Bertrand Arthur William Russell

Le biografie dei giocatori - trentottesima biografia

Capitolo 121

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Claudio Simeoni

 

Le biografie dei filosofi che partecipano alla partita di calcio

 

La biografia di Bertrand Arthur William Russell

 

Bertrand Russel è nato il 18 maggio 1872 a Ravenscroft nel Monmouthshire. Nacque in una famiglia aristocratica britannica. Suo padre era Lord Amberly. Si dice che Lord Amberly fosse un ateo mentre la madre, Lady Amberley, era la figlia di Lord e Lady Stanley di Alderley.

La famiglia Russel era arrivata al potere con i Tudor e parteciparono a tutti gli eventi politici (guerra di nobili) dell'Inghilterra fino ad occupare cariche di Primo Ministro.

In sostanza, Bertrand è figlio di Lord e tutto il suo pensiero tenderà a legittimare la propria condizione come frutto del "destino".

Nel 1874 la madre di Russel muore di difterite e subito dopo muore anche la sorella Rachel di 6 anni. Il padre, malato di depressione, dopo due anni, nel 1876, muore in seguito ad una bronchite.

Frank e Bertrand furono affidati ai nonni paterni di ideologia morale vittoriana che vivevano a Pembroke Lodge a Richmond Park. Il nonno, un ex Primo Ministro, morì nel 1878 e Bertrand crebbe sotto la nonna che era la vera padrona di casa. La contessa Russell (da nubile era Lady Frances Elliot) proveniva da una famiglia presbiteriana scozzese di stampo conservatore e assolutista.

Uno dei principi di Russell era "Non morirò mai per le mie convinzioni perché potrei sbagliarmi". C'erano molti motivi per i quali un uomo può scegliere di non morire per le sue convinzioni (lo fece anche Galileo Galilei), ma quello adottato da Russell dimostra che delle proprie "idee", a Russell, non importava nulla. Erano poco più di un gioco di opinioni con cui prevalere. Per questo aveva fatto proprio il motto biblico "Non seguirai una moltitudine per fare il male" (Esodo 23: 2), dove per male significa negare la "volontà di Dio o del re".

L'atmosfera in cui viveva Russell a Pembroke Lodge era un'atmosfera cupa, intrisa di moralismo, doveri, regole religiose e preghiere. Mentre il fratello di Bertrand, Franke, si ribellava, Bertrand era accondiscendente.

Questa accondiscendenza nei confronti dell'integralismo religioso della nonna, una condizione sociale nobiliare e di superiorità rispetto al "popolo" condita con una separazione fra sé e il mondo mediata solo da istruttori privati, fu la miscela che fece vivere Russell in uno stato perenne di depressione nel quale pensò più volte al suicidio.

Fu verso i quindici anni che Russell iniziò a staccarsi dall'integralismo formare religioso pur continuando a riprodurre i modelli e le categorie cristiane. Russell si proclamò ateo a 18 anni.

Nel 1890 Russell viaggiò per l'Europa, visitò l'esposizione universale di Parigi e scalò la Torre Eiffel.

Nel 1990 Russell vinse una borsa di studio al Trinity College di Cambridge dove la sua preparazione viene affinata da relazioni con personalità come Alfred North Whitehead (nato a Ramsgate il 15.02.1861 e morto a Cambridge, Massachusetts il 30.12.1947) o John McTaggart Ellis McTaggart (nato a Londra il 3 settembre 1866 e morto a Londra il 18 gennaio 1925 è stato un filosofo inglese dell'Idealismo metafisico), George Edward Moore (nato a Londra il 4 novembre 1873 e morto a Cambridge il 24 ottobre 1958 è stato un filosofo britannico legato alla filosofia analitica), Giles Lytton Strachey (nato a Londra il 1º marzo 1880 e morto il 21 gennaio 1932 è stato uno scrittore, critico letterario e saggista inglese) e George Macaulay Trevelyan ( nato a Stratford-upon-Avon il 16 febbraio 1876 e morto a Cambridge il 21 luglio 1962 è stato uno storico e scrittore inglese.

Dopo il ciclo scolastico, a 22 anni, viene assunto all'Ambasciata Inglese a Parigi.

Nel 1896 Russell va in Germania e scrive "Democrazia Sociale Tedesca" come frutto della sua analisi sulla socialdemocrazia tedesca. In quell'anno iniziò ad insegnare la socialdemocrazia tedesca alla London School of Economics.

Nell'estate del 1889 Russell conobbe la famiglia di Alys Pearsall Smith. Era una famiglia di religione quacchera. Divenne un amico di famiglia e Russell si "innamorò" di Alys e, contro il parere della nonna, la sposò il 13 dicembre 1894. Il matrimonio finì con una separazione nel 1911.

Nel 1900 fa un viaggio in America dopo aver terminato un libro sui fondamenti della geometria (in quel saggio discusse le metriche di Cayley-Klein usate per la geometria non euclidea) e pubblica "Esposizione critica della Filosofia di Leibniz".

Nel 1900 va al Congresso internazionale di filosofia di Parigi dove incontra Giuseppe Peano e Alessandro Padoa che avevano elaborato la teoria degli insiemi.

Nel 1901 Russell subisce "l'illuminazione sulla via di Damasco" sotto forma di un'insorgenza emotiva che lo porta in un'estasi mistica mentre assisteva al dolore della moglie di Whitehead durante un attacco di angina. Si è sentito una sorta di inviato da Dio, un Buddha, col compito di trovare una filosofia che avrebbe reso sopportabile la vita umana.

Da quel momento Bertrand Russell si considerava un "illuminato".

Nel 1903 Russell pubblica "The Principles of Mathematics" in cui asserisce che matematica e logica sono la stessa cosa.

Intanto, dopo la separazione, Bertrand Russell ebbe molte relazioni sessuali fra le quali si ricordano quella con Morrell, l'attrice Lady Constance Malleson e, probabilmente, anche con Vivienne Haigh-Wood.

Russell intrattenne una relazione con Lady Ottoline Morrell fino al 1921 quando la separazione si concluse con un divorzio che permise a Bertrand Russell di risposarsi.

Nel 1905 Bertrand Russell scrive "On Denoting" pubblicato sulla rivista di filosofia Mind.

Nel 1908 divenne membro della Royal Society.

Fra il 1910 e il 1913 furono pubblicati "I Principia Mathematica" in tre volumi scritti con Whitehead.

Nel 1910 Bertrand Russell diventa docente all'Università di Cambridge, al Trinity College dove aveva studiato. Il suo agnosticismo gli precluse la sicurezza nella continuità del lavoro.

Durante il lavoro di docente ebbe come studente e amico Ludwig Wittgenstein di origine austriaca e con molti problemi psicologici. Ludwig Wittgenstein prestò servizio nell'esercito austriaco durante la prima guerra mondiale e dopo la guerra trascorse nove mesi in un campo di concentramento italiano.

Intanto sta scoppiando la prima guerra mondiale e Russell, che guarda con simpatia la Germania, vorrebbe che l'Inghilterra non entrasse in guerra. Il pacifismo di Russell non è il pacifismo dei "socialisti" che agli interessi di chi promuoveva la guerra anteponevano gli interessi di chi nella guerra moriva. Russell avrebbe desiderato che l'Inghilterra non fosse entrata in guerra per permettere alla Germania del Kaiser di vincere la guerra.

Vale la pena di ricordare che Russell proveniva da una famiglia che aveva dominato la scena politica e sociale dell'Inghilterra per secoli e che lo stesso nonno, che ha fatto crescere Bertrand, è stato un primo ministro inglese.

Sulle simpatie di Russell per la Germania del Kaiser c'è una dichiarazione fatta nella primavera del 1959 alla BBC in cui Russell dice:

« ... penso che l'Inghilterra avrebbe dovuto rimanere neutrale. L'ho detto allora e lo sostengo adesso. Se fossimo rimasti neutrali nella prima guerra mondiale, sarebbe stata una guerra piuttosto breve; sarebbe finita con la Germania molto più potente che non all'inizio, e la Germania del Kaiser, malgrado la propaganda che c'era in Inghilterra in quel tempo, non era poi così male. Anzi, oggi ci sono ben pochi governi buoni come il governo del Kaiser, pochissimi. Non credo che questo lo si possa applicare alla guerra contro i nazisti, perché non potrebbe esserci niente di peggio. Ma si può applicare genericamente, e se nel 1914 fossimo rimasti neutrali, non avremmo avuto il Nazismo e non avremmo avuto i Comunisti. I Comunisti, è molto evidente, sono una conseguenza della disintegrazione dell'esercito russo e del completo caos in Russia in quel periodo, che non sarebbe accaduto se la guerra fosse stata breve ... » (intervista alla BBC, primau. 1959, tr. it. A. Pellegrini, Longanesi, Milano).

Tratto dall'introduzione a: Russell, Principi di riforma sociale, Newton, 1970, p. 8

Perché sostengo che queste furono le ragioni del pacifismo di Russell? Perché non ha esposto le ragioni del suo pacifismo. Non ha preso una posizione né ha indicato delle alternative. In tutto il testo pubblicato nel 1916 "Principi di riforma sociale" non ci sono i motivi per essere contro la guerra se non quelli che la guerra mina gli interessi delle "nazioni". Non ci sono nemmeno censure a chi usa la guerra e non c'è il riconoscimento delle conseguenze della guerra sugli uomini.

C'è in Russell una disgressione sui "motivi" che portano a fare la guerra fra Francia, Germania e Inghilterra e tutti quei "motivi" sono tutti motivi di ordine soggettivo. Motivi di ordine religioso, categorie proprie del cristianesimo, che Russell estende a categorie dei popoli.

Scrive Russell in "Principi di riforma sociale":

Per prendere l'esempio più ovvio, la politica del1a Germania, negli anni immediatamente precedenti la guerra, non era contraria a questa, né amichevole nei confronti dell'Inghilterra. Vale la pena di soffermarsi un momento per capire la mentalità da cui nasceva questa politica. Tanto per cominciare, gli uomini che dirigono la politica tedesca sono patrioti fino ad un grado quasi sconosciuto in Francia e in Inghilterra. Gli interessi della Germania paiono loro insindacabili, i soli di cui devono tenere conto. Secondo loro non si devono considerare, nel perseguire questi interessi, i danni che si possono fare ad altre nazioni, le distruzioni che si possono portare alle città e alle popolazioni, i mali irreparabili che ne conseguirebbero alle civiltà. Se possono raggiungere ciò che credono un beneficio per la Germania, non tengono conto di niente altro.
Il secondo punto degno di nota, a proposito della politica tedesca, è che il concetto di benessere nazionale è essenzialmente competitivo. Non è il benessere intrinseco della Germania, sia materiale che intellettuale, che viene considerato importante dai governanti tedeschi: è il benessere relativo in un confronto competitivo con quello delle altre nazioni. Perciò pare loro desiderabile tanto la distruzione di beni all'estero, che la loro creazione in Germania. Nella maggior parte del mondo i Francesi sono considerati il popolo più civile: la loro arte, la loro letteratura, il loro modo di vivere esercitano sullo straniero un'attrattiva cui non possono aspirare quelli tedeschi. Gli Inglesi hanno sviluppato una libertà politica e l'arte di mantenere un Impero con la minima coercizione, in un modo per cui i Tedeschi, finora, non hanno mostrato attitudine. Questo è cibo per l'invidia e l'invidia desidera distruggere ciò che c'è di buono negli altri paesi. I militaristi tedeschi, con piena ragione, pensarono che ciò che di meglio c'era in Francia e in Inghilterra sarebbe stato probabilmente distrutto da una grande guerra, anche se alla fine Francia e Inghilterra non fossero uscite effettivamente sconfitte. Ho visto una lista di giovani scrittori francesi caduti sul campo di battaglia; probabilmente anche le autorità tedesche l'hanno vista e hanno riflettuto che un altro anno di tali perdite distruggerebbe la letteratura francese per una generazione - forse con la perdita della tradizione, per sempre -. Ogni attacco violento contro la libertà sui nostri giornali più guerrafondai, ogni incitamento alla persecuzione dei Tedeschi disarmati, ogni segno di crescente ferocia nel nostro carattere, deve essere letto con piacere dai patrioti tedeschi come prova del loro successo nel cancellare la nostra parte migliore e nello spingerci a imitare tutto ciò che c'è di peggio nella Prussia. Ma ciò che soprattutto i governanti tedeschi ci hanno invidiato sono la potenza e il benessere - la potenza derivata dal dominio dei mari e degli stretti, il benessere derivante da un secolo di supremazia industriale -. Essi sentono, in ambedue i campi, che i loro meriti superano i nostri. Si sono dedicati all'organizzazione militare e industriale con molta più accortezza e capacità. La loro intelligenza media e la loro cultura sono assai superiori; la loro capacità di perseguire un fine accessibile, uniti e preparati, è infinitamente più grande. Tuttavia noi avremmo realizzato un Impero più vasto del loro e un controllo di capitali enormemente più grande solo (così pensano) perché abbiamo avuto una partenza vantaggiosa nella corsa. Tutto ciò è insopportabile; solo una grande guerra può cambiare le cose.
Oltre a questi sentimenti, molti Tedeschi, specialmente quelli che meglio ci conoscono, nutrono un odio violento nei nostri confronti a causa della nostra superbia. Farinata degli Uberti si guardava intorno «come avesse lo inferno in gran dispitto ». Proprio così, gli ufficiali inglesi prigionieri si guardano intorno tra chi li ha catturati - mantenendosi distaccati, come se il nemico fosse una sporca creatura nociva, un rospo o una lumaca o un millepiedi che un uomo non tocca volentieri, e si scrolla di dosso con disgusto se è stato costretto per un momento a toccarla -. E' facile immaginare quanto i diavoli odiassero Farinata e gli infliggessero pene maggiori che ai vicini, sperando che la loro presenza fosse riconosciuta da un piccolo fremito di una sua parte, condotti all'esasperazione dal suo continuo comportarsi come se non esistessero. Allo stesso modo i Tedeschi sono portati alla pazzia dalla nostra indifferenza. In fondo li abbiamo considerati come si considerano le mosche in un giorno caldo: sono una seccatura, devono essere tolte di dosso, ma non c'è bisogno di girarsi per loro. Quando venne meno la primitiva certezza nella vittoria, per un po' di tempo cominciammo ad essere influenzati all'interno dai Tedeschi. Se le nostre imprese militari avessero continuato a fallire, avremmo capito in tempo che si trattava di esseri umani non soltanto d'una noiosa circostanza. Allora forse li avremmo odiati di un odio di cui non avrebbero avuto ragione di risentirsi. E da questo odio sarebbe stato breve il passo per un sincero riavvicinamento.

Bertrand Russell, Principi di riforma sociale, Newton, 1970, p. 67 – 69

L'uomo sparisce dall'orizzonte di Russell e rimangono le razze divise in greggi chiamati "nazione". E' l'idea del liberale che possiede gli uomini come oggetti e che pretende la libertà di possedere uomini che devono essere liberi di pensarsi come oggetti posseduti.

I tedeschi odiano gli inglesi e i francesi. I francesi che odiano i tedeschi e gli inglesi e gli inglesi che odiano i tedeschi e i francesi.

I francesi e i tedeschi pieni di invidia per gli inglesi e gli inglesi… è il soggettivismo cristiano che riduce l'uomo a gregge e il gregge orienta il suo cammino dove il buon pastore intende guidarlo.

L'idea di razza, di qualità della razza e le prerogative di razza che Russell individua fra francesi, inglesi e tedeschi è un elemento proprio del liberalismo. Loro sono più intelligenti, i loro meriti superano i nostri. Nell'ideologia di Russell non ci sono uomini, ci sono razze che lui indica con i nomi delle "nazioni".

E cosa pensa Russell nel 1916 del socialismo? Ritiene che:

"Ben pochi nelle classi benestanti godono di una vita piacevole al giorno d'oggi, e forse il socialismo sostituirebbe semplicemente i mali che affliggono i ricchi ai mali che affliggono i poveri."

Bertrand Russell, Principi di riforma sociale, Newton, 1970, p. 102

E che cosa pensa Russell del lavoro?

"Le richieste di giustizia rigorosamente interpretate, possono rinforzare questa tendenza. Si può pensare che sia ingiusto che qualche uomo debba avere un'entrata più alta e meno lavoro che gli altri. Ma l'efficienza del lavoro intellettuale, compreso quello dell'educatore, sicuramente richiede maggior comodità e periodi di riposo più lunghi di quanto richiede un lavoro manuale, se non altro perché esso non è fisiologicamente sano. Se non si riconosce questo, la vita intellettuale può essere ostacolata persino più dalla miopia che dalla deliberata ostilità"

Bertrand Russell, Principi di riforma sociale, Newton, 1970, p. 103

Per Russell il lavoro di educatore o il lavoro dell'intellettuale è più pesante di chi lavora per estrarre il carbone, di chi lavora nelle fabbriche tessili, di chi lavora a fondere il metallo e a costruire strade, palazzi e ponti.

E' il disprezzo del liberale nei confronti di chi sa trasformare merci in prodotti fruibili atti a soddisfare i bisogni umani.

Nonostante queste idee dichiaratamente antisocialiste, Russell viene accolto con entusiasmo alla convenzione dei Leeds nel giugno del 1917 in cui un migliaio di socialisti che si opponevano alla guerra (solo perché ritenevano stupido farsi ammazzare, non perché fossero simpatizzanti della Germania) non avevano capito che cosa Russell intendesse quando parlava di pace.

Nel 1918, quando la prima guerra mondiale sta per finire, Russell viene condannato a scontare sei mesi di prigione per aver tenuto una conferenza in cui collaborava con la Germania contro cui l'Inghilterra era in guerra. In quella conferenza invitava gli USA a non entrare in guerra a fianco dell'Inghilterra.

Scontata la pena, nel 1919, Russell viene riammesso al Trinity. Subito dopo Russell chiede un anno di aspettativa e parte per un viaggio che lo portò prima nell'Unione Sovietica e poi in Cina. Del suo viaggio in Unione Sovietica Russell scrive quattro articoli di diffamazione sulla rivista americana The Nation in cui, fra l'altro, parla di esecuzioni clandestine. Su questo fatto non erano d'accordo gli altri componenti (24) della delegazione che lo accompagnava. I rumori che sentiva non erano spari, ma scoppi di motore.

Di questo viaggio, in "Storia della filosofia occidentale", parlando di Dewey, Russell, scriveva:

"Come avvenne a me, ebbe molta influenza su di lui le visite in Russia e in Cina, negativa nel primo caso, positiva nel secondo. Benché riluttante fu un sostenitore della prima guerra mondiale."

Russell, Storia della Filosofia Occidentale (in quattro volumi), Longanesi editore, 1967, p. 1086

L'Unione Sovietica nel 1920 era un paese in guerra attaccato dall'Inghilterra, dall'Impero Austro-ungarico, dalla Germania, dalla Francia, dall'Italia, dal Giappone e dagli USA. A Pechino, nella Cina del 1920, erano al potere i "signori della guerra" e il feudalesimo era la condizione sociale della Cina. Le preferenze di Russell chiariscono la sua ideologia.

Dora Black visita l'Unione Sovietica a sua volta, nello stesso tempo, e la sua opinione è in contrasto con l'opinione di Russell. Lei era entusiasta della rivoluzione sovietica.

Dora Black accompagnò Russell in Cina. In Cina Russell tenne conferenze all'università di Pechino. Si ammalò di polmonite, tanto che la stampa giapponese lo dette per morto, ma non morì e arrivò in Giappone con Dora Black incinta.

Nel 1921 Russell scrive "L'analisi della mente". In quell'anno divorzia da Alys per sposare Dora Black. Dora era un femminista e con lei Bertrand ebbe due figli: John Conrad Russell nato il 16 novembre 1921 e la figlia Katharine Jane Russell nata il 29 dicembre 1923.

Per capire la filosofia di Russell è necessario capire che cos'è la vita o l'uomo per Russell e come Russell colloca il singolo individuo nell'insieme della vita. Troppo spesso il termine "approccio scientifico" è usato per dare una parvenza di legittimità alla superstizione o, se preferite, ad idee preconcette che stanno alla base del modo di pensare del filosofo.

In L'analisi della mente, Russell ci spiega che cosa lui vede nell'uomo che gli sta davanti e che cosa le azioni degli uomini e degli animali gli comunicano.

Scrive Bertrand Russell:

Possiamo dire, parlando piuttosto in generale, che uno stimolo diretto al sistema nervoso, come una scintilla alla dinamite, è in grado di mettere a profitto l'energia in equilibrio instabile accumulata, e produrre così movimenti sproporzionati alla causa immediata. I movimenti prodotti in questo modo sono movimenti vitali, mentre i movimenti meccanici sono quelli in cui non interviene l'energia accumulata di un corpo vivente. Nello stesso modo la dinamite può essere fatta esplodere, mostrando così le sue proprietà caratteristiche, o può essere trasportata (con le dovute precauzioni) come qualsiasi altro minerale. L'esplosione è analoga ai movimenti vitali, il trasporto ai movimenti meccanici.
I movimenti meccanici non interessano lo psicologo, ed è stato necessario definirli solo per poterli escludere. Nello studio del comportamento lo psicologo si interessa solo dei movimenti vitali. Noi, quindi, ignoreremo i movimenti meccanici, e studieremo solo le proprietà degli altri.
Ora si deve distinguere tra i movimenti istintivi e quelli acquisiti mediante l'esperienza. Anche questa, fino a un certo punto, è una distinzione di grado. La seguente definizione di «comportamento istintivo» viene data da Lloyd Morgan:
«Ciò che è, la prima volta che avviene, indipendente dall'esperienza precedente; che tende al benessere dell'individuo e alla preservazione della specie; che è eseguito in modo simile da tutti i membri di un gruppo di animali più o meno ristretto; e che può essere soggetto a susseguente modificazione sotto la guida dell'esperienza.».
Questa definizione è enunciata ai fini della biologia, ed è sotto alcuni aspetti inadatta ai bisogni della psicologia. Sebbene forse inevitabile, l'allusione al «gruppo di animali più o meno ristretto» rende impossibile giudicare che cosa sia: istintivo nel comportamento di un individuo isolato. Inoltre, «il benessere dell'individuo e la preservazione della specie» è solamente una caratteristica consueta e non universale, del tipo di movimenti che, dal nostro punto di vista, saranno detti istintivi; esempi di istinti nocivi saranno dati tra poco. Il punto essenziale della definizione, dal nostro punto di vista, è che un movimento istintivo è indipendente dall'esperienza precedente. Possiamo dire che un movimento «istintivo» è un movimento vitale compiuto da un animale la prima volta che si trova in una nuova situazione; o, più correttamente, un movimento che l'animale compirebbe se la situazione fosse nuova. Gli istinti di un animale sono differenti in differenti periodi del suo sviluppo, e questo fatto può causare mutamenti del comportamento che non sono dovuti all'apprendere. La fluttuazione periodica dell'istinto sessuale durante la maturazione ci offre un buon esempio. Dapprima quando l'istinto sessuale matura, il comportamento dell'animale in presenza della compagna è diverso dal suo comportamento precedente in circostanze simili, ma non è appreso, poiché è esattamente lo stesso anche se l'animale in precedenza non è stato mai in presenza della compagna.
D'altro canto, un movimento è «appreso», o rappresenta un'«abitudine», se è dovuto a un'esperienza precedente di situazioni simili, e non è quello che sarebbe se l'animale non avesse avuto nessuna esperienza del genere.
Ci sono varie complicazioni che in pratica offuscano la nitidezza di questa distinzione. Per cominciare molti istinti maturano gradualmente, e finché sono immaturi il modo di agire dell'animale è fatto di esitazioni e tentativi, ed è molto difficile distinguerlo dall'apprendere. James (Psicologia II, 407) sostiene che i bambini camminano per istinto, e che la goffaggine dei loro primi tentativi si spiega solo col fatto che l'istinto non è ancora maturato. Egli spera che «qualche vedovo fornito di spirito scientifico, lasciato solo con la sua prole al momento critico, possa ben presto verificare questa ipotesi sul soggetto vivente». Comunque sia, egli cita delle prove per mostrare che «gli uccelli non imparano a volare», ma che raggiunta l'età giusta volano per istinto (ibid pago 406). In secondo luogo spesso l'istinto dà solo un'idea approssimativa del genere di cosa da fare, nel qual caso è necessario imparare perché l'azione sia svolta con certezza e precisione. In terzo luogo, anche nei casi più evidenti di abitudine acquisita, come per esempio la parola, è necessario un certo istinto per mettere in moto il processo di apprendimento. Nel caso del parlare, appunto, si ritiene comunemente che il principale istinto interessato sia quello dell'imitazione, ma ciò in verità è discutibile (vedere Intelligenza Animale, pago 253 e segg. di Thorndike).
Nonostante queste qualificazioni, la netta distinzione tra istinto e abitudine è innegabile. Per prendere i casi estremi, ogni animale appena nato sa mangiare per istinto, prima che abbia potuto imparare; d'altro canto nessuno sa andare in bicicletta per istinto, sebbene dopo aver imparato i necessari movimenti diventano automatici proprio come se fossero istintivi.
Il processo di apprendimento, che consiste nell'acquisizione di abitudini, è stato molto studiato in vari animali. Per esempio: mettiamo un animale affamato, diciamo un gatto, in una gabbia con le porte che possano aprirsi sollevando un nottolino e, fuori della gabbia, del cibo. Il gatto all'inizio correrà su e giù per la gabbia, compiendo frenetici sforzi per trovare una via di uscita. Infine, per caso, il nottolino si solleva e il gatto piomba sul cibo. Il giorno successivo ripetiamo l'esperimento, e vediamo che il gatto esce dalla gabbia molto più rapidamente del giorno prima, benché faccia ancora qualche movimento a caso. Il terzo giorno esce ancora più presto, se ne va difilato al nottolino e lo solleva immediatamente. Costruiamo un modello del dedalo di vie di Hampton Court, e mettiamoci al centro un ratto eccitato dall'odore del cibo che si trova all'esterno. Il ratto comincia a percorrere tutte le vie, ma viene costantemente bloccato dai vicoli ciechi; infine, dopo ripetuti tentativi, riesce a uscire.
Ripetiamo l'esperimento il giorno dopo; misuriamo il tempo impiegato dal ratto per raggiungere il cibo; vediamo che questo tempo diminuisce rapidamente e che dopo un po' il ratto non sbaglia più strada. E' attraverso processi sostanzialmente simili che impariamo a parlare, a scrivere, a far di conto o a governare un impero. Watson (Comportamento, pagg. 262-3) espone una ingegnosa teoria sul modo in cui l'abitudine sorge dai movimenti casuali. Penso che ci sia una ragione per cui la sua teoria non possa da sola considerarsi sufficiente, ma non sembra improbabile che sia parzialmente esatta. Supponiamo, per amore di semplicità, che ci siano solo dieci movimenti casuali che un animale può fare - diciamo che possa percorrere dieci vie - e che solo uno conduce al cibo, o a qualsiasi altra cosa che rappresenti la meta nel caso in questione. Allora il movimento giusto si verifica in tutti i tentativi dell'animale, mentre ciascuno degli altri si verifica, in media, solo nella metà dei tentativi. La tendenza a ripetere una precedente impresa (cosa facilmente spiegabile senza l'intervento della «coscienza») conduce quindi ad attribuire più importanza al movimento giusto che a qualsiasi altro, e col tempo questo sarà l'unico ad essere eseguito. A questa tesi, se presa come la sola spiegazione, si può obiettare che nessun miglioramento dovrebbe esserci prima della terza prova; l'esperimento mostra invece che l'animale già al secondo tentativo fa meglio della prima volta. Occorre perciò qualche altra cosa per spiegare la genesi dell'abitudine dai movimenti casuali; ma non vedo nessuna ragione per supporre che ciò che è ulteriormente necessario comporti la «coscienza».

Bertrand Russell, L'analisi della mente, Newton, 1969, p. 49 – 53

E poi scoprirono la presenza dei neuroni specchio e le affermazioni di Russell risultarono solo farneticazioni, non argomentazioni.

Le affermazioni di Russell rientrano nell'ideologia dello schiavista: "Devo vedere se tu sei intelligente!". In sostanza, il liberale parte dal presupposto che lui è "dio" nei confronti degli uomini che devono servire "dio". Lui è intelligente, lui è cosciente, lui è consapevole. Non lo è il piccolo animale col quale fa esperimenti in laboratorio dimenticandosi che come l'uomo anche la sua specie è uscita dal brodo primordiale. Non lo è lo schiavo che obbedisce per paura delle frustate.

Non si tratta di un atteggiamento "scientificamente neutrale", si tratta di un atteggiamento che determina il tipo di ricerca scientifica e che farà dire a Russell: "I sovietici non avranno mai la bomba atomica perché gli scienziati sovietici agiscono nell'ambito dell'ideologia marxista!".

Si tratta di come l'uomo si pone davanti al mondo, davanti agli uomini e alla vita; si tratta dei presupposti da cui l'uomo parte per analizzare la vita. Russell era uno schiavista, un liberale padrone di uomini e da liberale padrone di uomini pensa gli uomini come oggetti d'uso.

Nel 1922 e nel 1923 Russell si presentò come candidato del partito laburista nel collegio di Chelsea e fu sconfitto dal rappresentante dei conservatori.

Nel 1924 Russell si impegnò in una campagna per il controllo delle nascite. Non sul controllo delle nascite in generale, ma sul controllo delle nascite dei lavoratori. Fondò un gruppo, assieme a Wells e John Maynard Keynes, partecipando ad una campagna del Partito Laburista per il controllo delle nascite.

Nel 1927, quando era negli USA, Russell incontrò Barry Fox con cui intreccia una relazione molto intensa. Fox ricorderà che in quei tre anni sono stati molto vicini.

Dora Black nel 1927 costituì una scuola per bambini e bambine a Beacon Hill School, in cui tentò di applicare metodi permissivi rispetto ai metodi in voga all'epoca. Insegnava ai bambini ad abbandonare la superstizione e l'irrazionalità. Sulle sue idee scrisse un libro "Defence of Children". Dopo la separazione con Bertrand e il disinteresse di Russell per questa operazione, Dora continuò a gestire la scuola fino alla seconda guerra mondiale.

L'8 luglio 1930 Dora ebbe una terza figlia con un giornalista USA, Harriet Ruth. Il matrimonio con Bertrand Russell si stava sfaldando e si separarono nel 1932.

Nel 1930 Russell scrive "Elogio dell'ozio" un lungo testo di odio contro il comunismo che in realtà nasconde l'odio per le persone che tentano di chiedere giustizia e di migliorare le loro condizioni di vita. Il testo chiarisce la visione esistenziale che oppone Dora Black a Russell. La differenza è tale che giustifica con l'incompatibilità la rottura del matrimonio.

Nel 1936 Bertrand Russell divorzia da Dora Bliack per sposare Patricia Spence una studentessa che era stata governante dei suoi figli. Con lei ebbe un figlio, Conrad Sebastian Robert Russell.

Nel 1937 Russell si oppone al riarmo dell'Inghilterra contro la Germania Nazista.

Dall'Inghilterra si trasferisce negli USA all'UCLA di Los Angeles e in altri istituti.

Nel 1943 Russell si schiera con il sionismo e afferma che gli ebrei hanno diritto ad uno Stato. Da buon liberale si è dimenticato di dire che anche chi abitava il territorio, dove gli ebrei avrebbero dovuto andare, avevano diritto al loro Stato.

Nel 1944 torna in Inghilterra e viene riammesso al Trinity College.

Nel 1948 Bertrand Russell subisce un incidente aereo, ma si salva a nuoto.

Nel 1948 Russell vedeva nell'URSS, che aveva liberato l'Europa dal nazismo con 20 milioni di morti, il nemico che andava distrutto. Auspicava l'uso della bomba atomica contro l'Unione Sovietica dal momento che solo gli USA avevano la bomba atomica. La vittoria, diceva Russell, sarebbe stata più rapida. Russell insisteva per attaccare l'Unione Sovietica. Russell scrive lettere ai giornali dal 1945 al 1948 insistendo sulla necessità di attaccare l'Unione Sovietica con le bombe atomiche. Russell scrive una di queste lettere nel settembre del 1949 affermando che l'URSS non avrebbe mai potuto sviluppare armi nucleari perché le "purghe staliniane" costringevano la cultura sovietica a sviluppare la scienza entro le linee guida marxiste. Una settimana prima di questa lettera l'Unione Sovietica fece esplodere la prima bomba atomica. Appena Russell seppe che l'URSS aveva sviluppato la tecnica per costruire bombe atomiche si dichiarò a favore del disarmo nucleare.

Nel 1950 Russell fu insignito del premio Nobel.

Nel 1950 Bertrand Russell fu alla conferenza del Congresso per la libertà culturale, un'organizzazione anticomunista finanziata dalla CIA che usava la cultura come arma nella guerra fredda. Russell era uno dei maggiori finanziatori dell'impresa finché non si dimise nel 1956.

Cosa pensava del mondo e delle società Bertrand Russell mentre collaborava con la CIA USA? Ma soprattutto, quali idee di società spinsero Russell a collaborare con la CIA? E ancora, che idea diffondeva la CIA del mondo e che Russell aveva fatto propria?

Nel 1951 Russell scrive "L'impulso della scienza sulla società" nel quale scrive:

Un governo totalitario a tendenze scientifiche potrebbe compiere cose che a noi sembrano orripilanti. I Nazisti erano più scientifici degli attuali capi della Russia, e quindi più portati verso quel genere di atrocità cui alludo. Si dice - e non so fino a che punto ciò corrisponda a verità - che abbiano fatto uso dei prigionieri nei campi di concentramento quale materiale per ogni genere di esperimenti, alcuni dei quali portavano a morte dopo terribili sofferenze. Se i Nazisti avessero vinto la guerra, si sarebbero ben presto dedicati alla selezione scientifica della razza. Qualsiasi nazione che adotti questo principio si troverà a godere di grandi vantaggi entro una sola generazione. Il sistema si presenta più o meno come segue: coll' eccezione dell'aristocrazia governativa, il 95% dei maschi e il 70% delle femmine verrà sterilizzato. Le femmine prescelte dovranno dedicare alla riproduzione la loro giovinezza, dai 18 ai 40 anni, al fine di assicurare carne da cannone in misura adeguata. La fecondazione artificiale verrà in genere preferita al metodo naturale. Se i non sterilizati desidereranno i piaceri dell' amore, dovranno cercarli con compagne sterilizzate. Gli «stalloni» verranno scelti per determinate qualità, sia fisiche sia mentali. Dovranno essere sani e, a meno che i loro figli siano destinati al governo, di temperamento docile e sottomesso. Come nella « Repubblica» di Platone, i bimbi verranno tolti alle madri e allevati da infermiere specializzate. Gradualmente, grazie alla selezione della razza, le differenze congenite fra governanti e governati aumenteranno fino a farne due razze nettamente distinte. Una rivolta della plebe diverrà inconcepibile quanto un'insurrezione organizzata di pecore contro l'abitudine di mangiar carne ovina. (Gli Aztechi cannibali, il cui regime era totalitario, tenevano una tribù straniera addomesticata quale riserva di carne umana).
A coloro ormai abituati a questo sistema, la famiglia quale noi la concepiamo apparirà usanza strana quanto lo sono per noi oggi i riti degli aborigeni australiani. Freud dovrà essere riscritto da cima a fondo, e inclino a credere che Adler guadagnerà d'importanza. La classe lavoratrice sarà costretta a un numero tale di ore di lavoro che i suoi desideri non potranno arrivare oltre il sonno e a quel poco di cibo concessole. La classe governante, privata dei piaceri più intimi tanto dall' abolizione della famiglia come dal dovere supremo di devozione allo Stato, acquisterà una mentalità ascetica: i suoi membri cercheranno solo il potere, e nel perseguirlo non indietreggeranno davanti ad alcuna crudeltà. Praticando la crudeltà, essi diverranno sempre più duri ed insensibili, cosicché dovranno escogitare torture sempre peggiori per dare un brivido agli spettatori. Le possibilità sopra esposte, realizzate su larga scala, potranno apparirvi soltanto un fantastico incubo. Ma io credo fermamente che se i Nazisti avessero vinto l'ultima guerra, conquistando così la supremazia mondiale, non avrebbero tardato a mettere in opera il sistema che ho testé descritto. Avrebbero usato Russi e Polacchi come uomini-macchina e, una volta fermamente instaurato il loro impero, si sarebbero valsi del lavoro dei negri e dei Cinesi. Le nazioni occidentali sarebbero state opportunamente convertite in paesi collaborazionisti, secondo i metodi praticati in Francia dal 1940 al 1944. Dopo trent'anni di tali metodi, l'Occidente avrebbe certamente perduto ogni idea di ribellione. A evitare questi orrori scientifici, la democrazia è necessaria ma non sufficiente. E' essenziale che sopravviva pure quel rispetto per l'individuo che ispirò la dottrina dei Diritti dell'Uomo, anche se, presa in blocco, tale dottrina si dimostri inaccettabile. Come giustamente disse Bentham: « Diritti dell'uomo? sciocchezze; imprescrittibili diritti dell'uomo? sciocchezze sui trampoli.» Dobbiamo ammettere che, di fronte a grandi e indiscutibili vantaggi per la comunità, può essere lecito infliggere un'ingiustizia all'individuo. Ciò accade, ad esempio, allorché un nemico vittorioso s'impegna a non distruggere una città in cambio d'un certo numero di ostaggi. Le autorità cittadine (non il nemico, naturalmente) non possono essere biasimate se, in tali circostanze, consegnano il richiesto numero di ostaggi. In generale, i «Diritti dell'Uomo» devono sempre venire considerati in relazione al supremo bene comune. Ciò ammesso, dobbiamo però asserire - e con estrema convinzione - che certe ingiustizie inflitte all'individuo innocente non risultano quasi mai a vantaggio dell'interesse generale. Quanto asserisco è importante, poiché coloro che sono al potere, specialmente in un'Oligarchia, sono troppo propensi, in ogni occasione, a pensare che si tratti di casi nei quali i diritti dell'uomo debbano essere ignorati. Il totalitarismo ha una teoria, oltre che una pratica. Come pratica esso significa che un determinato gruppo, avendo comunque preso le redini del potere (costituite soprattutto dalle forze armate e dalla polizia), debba dedicarsi a sfruttare al massimo la sua posizione di vantaggio, regolando ogni cosa in modo da ottenere il massimo controllo sugli altri. Ma come teoria è qualcosa di ben diverso: è la dottrina secondo cui lo Stato, o la Nazione, o la comunità, è capace di un bene assai diverso da quello dell'individuo e completamente estraneo a ciò che l'individuo pensa o sente. Questa dottrina fu sostenuta in modo particolare da Hegel, che glorificò lo Stato dichiarando che una comunità dev'essere la più organica possibile. Egli pensava che, in una comunità organica, l'eccellenza risiedesse nel tutto. Un individuo è un organismo, e noi non crediamo che le sue diverse parti godano di beni diversi: se gli duole l'alluce, è lui che soffre, non l'alluce in particolare. Così, in una società organica il bene ed il male apparterranno all'intero piuttosto che alle parti.

Bertrand Russell, L'impulso della scienza sulla società, Editore Aldo Martello, 1970, p. 90 – 94

Tutto questo discorso era rivolto all'Unione Sovietica. La CIA tentava di far credere che la società sovietica fosse organizzata come erano i campi di sterminio nazisti. L'occidente immaginava l'URSS come una grande prigione e non come una nazione che tentava di uscire dalla miseria zarista pur con tutte le contraddizioni sociali che questo comportava.

A Russell non importava se i nazisti non potevano vincere la guerra e se i sovietici avevano lasciato sul campo 20milioni di morti per salvare anche la Francia e l'Inghilterra.

A Russell scocciava che la Germania non avesse distrutto l'Unione Sovietica permettendo ai liberali di accreditarsi come una forza ragionevole e moderata.

Russell vedeva la Cina diventare un fornitore di schiavi per l'occidente. In fondo ha scritto questo libro nel 1950 e la Repubblica Popolare Cinese era stata proclamata da un anno con la sconfitta dell'Inghilterra, della Francia, degli USA e del Giappone che volevano trasformarla in uno Stato satellite (leggi coloniale).

A questo punto dobbiamo leggere anche le considerazioni di Russell sul futuro e le ricette che proponeva.

Sono considerazioni agghiaccianti, ma erano le idee che la CIA e gli "intellettuali del circolo di Vienna" facevano girare come delle verità profetiche volte a procurare ansia e apprensione nei cittadini spingendoli a desiderare la guerra.

Sempre in "L'impulso della scienza sulla società" scrive Russell:

Con ciò non voglio asserire che il controllo delle nascite sia l'unico mezzo per frenare l'aumento della popolazione mondiale. Ve ne sono altri che, a quanto pare, gli oppositori di questo metodo preferirebbero. Come ho già detto, la guerra ha finora deluso a questo riguardo: forse la guerra batteriologica si dimostrerà più efficace. Se la peste potesse venir diffusa in tutto il mondo una volta ogni generazione, i sopravvissuti potrebbero procreare liberamente, senza pericolo di affollare troppo la terra. In questo metodo non c'è nulla che offenda la coscienza dei devoti o che reprima le ambizioni dei nazionalisti. La situazione sarebbe alquanto spiacevole, ma che importa? Gli uomini superiori non si curano della felicità, particolarmente quando si tratta di quella altrui. Ma io sto divagando: ritorniamo quindi alla questione della stabilità. Vi sono tre modi per far sì che la società abbia una popolazione numericamente stabile: il controllo delle nascite; l'infanticidio o le guerre veramente distruttive; la miseria generale, eccetto che per una minoranza potente. Questi tre metodi sono già stati praticati; il primo, ad esempio, dagli aborigeni Australiani; il secondo dagli Aztechi, dagli Spartani e dai governanti della «Repubblica» di Platone; il terzo nel mondo quale sperano di renderlo alcuni internazionalisti occidentali e nella Russia Sovietica. (Non si deve credere che gl'Indiani e i Cinesi amino soffrire la fame, no: devono rassegnarsi al loro misero stato perché gli armamenti occidentali sono troppo forti per loro). Dei tre metodi esposti, soltanto il controllo delle nascite non porta alla crudeltà e a una spaventosa infelicità per la maggioranza degli esseri umani. Frattanto, finché non esisterà un singolo governo mondiale, continuerà la rivalità del potere fra le diverse nazioni. E poiché l'aumento di popolazione reca in sé la minaccia di carestie, il potere nazionale diverrà sempre più l'unico modo per evitare la fame. Si formeranno quindi coalizioni di nazioni affamate contro quelle ben nutrite: così si spiega appunto la vittoria del Comunismo in Cina.
Queste considerazioni provano che la società scientifica non può essere stabile se non esiste un governo mondiale. Si obbietterà, suppongo, che questa mia conclusione è troppo affrettata. Da quanto abbiamo detto, appare evidente che, senza un governo mondiale che imponga un controllo delle nascite ovunque, dovranno scoppiare di tanto in tanto grandi guerre il cui prezzo di sconfitta sarà la morte per fame. Il mondo si trova appunto in questa situazione, e alcuni penseranno che non c'è ragione perché non continui così per secoli. Personalmente, non lo credo possibile. Le due grandi guerre che abbiamo subito hanno abbassato il livello della civiltà in molte parti del mondo, e la prossima sarà certamente più efficace a questo riguardo. Sempre che, a un dato momento, una potenza o gruppo emerga vittorioso e proceda a instaurare un governo unico mondiale col relativo monopolio delle forze armate, appare evidente che il livello della civiltà dovrà continuamente abbassarsi finché la guerra scientifica diverrà impossibile - e ciò finché la scienza perirà. Ancora una volta ridotto a usare archi e frecce, l'Homo sapiens potrà forse respirare e ricominciare la difficile ascesa fino al futile culmine.
Se vogliamo che il problema della popolazione sia risolto umanamente, la necessità di un governo mondiale appare evidente e basata su principi darwiniani. Di due gruppi che si trovino nelle medesime condizioni, ma uno dei quali abbia una popolazione in aumento e l'altro una popolazione stazionaria, il primo diverrà col tempo il più forte. Dopo la vittoria, ridurrà i viveri ai vinti, molti dei quali moriranno. Avremo così continue vittorie di quelle nazioni che, da un punto di vista mondiale, sono troppo prolifiche. Questa non è che una forma moderna dell'antica lotta per l'esistenza. Fornito del potere scientifico distruttivo, un mondo che permetta a questa lotta di continuare non può quindi essere stabile.

Bertrand Russell, L'impulso della scienza sulla società, Editore Aldo Martello, 1970, p. 180 – 183

Le prospettive apocalittiche sono arte della propaganda del terrore, dell'instabilità sociale. Diffondere paura e istigare all'odio contro chi non si allinea. In Cina ha vinto il comunismo, ma non ha vinto per fame, ha vinto perché i cinesi volavano costruire un futuro diverso da quello proposto dai signori della guerra o dal colonialismo inglese e USA. Non erano gli aborigeni australiani che praticavano l'infanticidio, ma erano i conquistatori inglesi che praticavano il genocidio degli aborigeni australiani come hanno praticato il genocidio delle popolazioni native nel nord america.

Russell storpia anche i principi Darwiniani per alimentare l'apprensione e preparare la guerra. Il genocidio è stata una pratica dei coloni inglesi contro gli aborigeni australiani.

La stortura mentale fa vedere a Russell fantasmi che popolano un futuro che esiste solo nella sua immaginazione malata. Per limitare le nascite oggi esistono metodi che si chiamano "preservativo", "pillola anticoncezionale", "aborto" e altri sistemi che non ledono il diritto di autodecisione della persona.

Nel 1952 Russell divorziò da Patricia e sposò, il 15 dicembre 1952, Edith una sua vecchia conoscenza. Il figlio che ha avuto con Patricia Spence si rifiuterà di vedere suo padre fino al 1968.

Edith Finch sarà l'ultima moglie di Russell. Intanto il figlio maggiore di Russell, avuto con Dora Black, soffriva di una grave malattia mentale e questa condizione era causa di attriti e litigi fra Bertrand Russell e l'ex moglie Dora Black.

Per capire ulteriormente il pensiero di Russell vale la pena di riportare una citazione da un libro scritto nel 1959, "Dio e la religione" in cui appare un articolo scritto nel 1956 dal titolo "Il declino della fede è causa dei problemi del mondo?".

Scrive Russell:

Nel 1914, i tedeschi si reputavano abbastanza forti da poter conquistare con la forza un impero simile a quelli britannico, francese e russo. La Gran Bretagna, la Francia e la Russia si unirono per contrastare tale ambizione. La Russia venne sconfitta, e durante la rivoluzione del 1917 abbandonò la sua tradizionale politica imperialistica. L'Occidente aveva promesso Costantinopoli ai russi, ma dal momento che la Russia firmò separatamente la pace la promessa non fu più valida. La Gran Bretagna e la Francia, con l'aiuto dell'America, sconfissero i tedeschi, dopo che i tedeschi ebbero sconfitto i russi. I tedeschi furono costretti ad accettare l'umiliante Trattato di Versailles e a dichiarare la loro completa responsabilità nel causare il conflitto. I tedeschi erano «cattivi» perché avevano dichiarato guerra. I russi erano «cattivi» perché avevano firmato una pace separata e, per di più, non avevano pagato i loro debiti di guerra. Tutte le nazioni vincitrici si allearono per combattere i bolscevichi, ma vennero sconfitte, e rimasero un po' sorprese nel constatare che i russi non le amavano più. I tedeschi, nel frattempo, subivano le conseguenze di una grande crisi, che fu ulteriormente aggravata dalla follia del governo repubblicano americano che causò la Depressione. La crisi portò all'isterismo, e l'isterismo a Hitler. Le nazioni occidentali, sperando che Hitler attaccasse la Russia, non lo ostacolarono. Si erano opposte alla Repubblica di Weimar, che era relativamente innocente, ma favorendo l'ascesa di Hitler provarono all'umanità che erano totalmente prive di ogni principio morale. Hitler, per fortuna, era un pazzo, e, grazie alla sua follia, fu causa della sua stessa rovina. L'Occidente fu onorato di accettare l'aiuto della Russia per giungere a questo risultato, e, nonostante la Germania e la Russia fossero entrambe deboli alla fine della Prima Guerra Mondiale, alla fine della seconda la Russia era molto forte. La Gran Bretagna era sempre stata tradizionalmente ostile alla Russia, ma dal 1907 al 1917 era stata costretta a mostrarsi amica, per timore della potenza della Germania. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale si sviluppò tutta una gamma di rapporti internazionali molto particolare. L'Europa occidentale perse tutta la sua importanza. La Russia e gli Stati Uniti erano le uniche vere potenze. Com'era sempre accaduto in passato in situazioni simili, le due potenze erano vicendevolmente ostili. Ognuna intravedeva la possibilità di conquistare un'egemonia mondiale. La Russia aveva adottato la politica di Filippo II, di Napoleone e del Kaiser. L'America, invece, la politica che l'Inghilterra aveva adottato durante tutto il diciottesimo e il diciannovesimo secolo. In tutto questo non vi era nulla di nuovo, eccetto la tecnologia.
I conflitti fra le due grandi potenze erano gli stessi di sempre, solo che la tecnologia aveva reso le grandi potenze ancora più potenti, e la guerra ancora più distruttiva. La situazione attuale sarebbe esattamente la stessa, anche se la Russia facesse ancora parte della Chiesa ortodossa. In quel caso, noi occidentali metteremmo in luce tutto quello che consideriamo eretico nella Chiesa greca. E la propaganda che faremmo sarebbe la stessa che chiunque può leggere nei documenti della guerra di Crimea. Non sto affatto difendendo l'attuale regime russo, più di quanto non difenda il regime zarista. Quello che voglio dire è che i due sono molto simili, nonostante uno fosse cristiano, mentre l'altro non lo è. Voglio anche dire che, se l'attuale governo russo fosse cristiano, la situazione sarebbe esattamente la stessa. La causa del conflitto è l'antico scontro fra poteri politici. Non è affatto uno scontro fra fede e non-fede, o fra una fede e un'altra, ma fra due imperi potentissimi, ognuno dei quali intravede la possibilità di conquistare la supremazia sul resto del mondo. Nessuno può far finta di credere che la Prima Guerra Mondiale sia stata provocata dalla mancanza di fede cristiana dei suoi protagonisti. Lo zar, il Kaiser e l'imperatore dell'Austria erano tutti degli onesti cristiani. E altrettanto erano Sir Edward Grey e il Presidente Wilson. Vi era solo un personaggio politico di spicco che non era cristiano. Questi era Jean Jaures, un socialista che si oppose alla guerra e che fu assassinato con l'approvazione di quasi tutti i cristiani francesi. In Inghilterra, l'unico membro del Gabinetto che si dimise per protesta contro la guerra fu Lord Morley, noto ateo. Allo stesso modo, in Germania l'unica opposizione venne dagli atei, sotto la guida di Liebknecht. In Russia, quando gli atei conquistarono il potere, la prima cosa che fecero fu di fare la pace. I bolscevichi, è vero, non rimasero pacifici, ma non c'è da stupirsi se si pensa che tutte le nazioni cristiane vincitrici li attaccarono.
Ma lasciamo da parte i dettagli della politica, e prendiamo in esame la nostra domanda da un punto di vista più generale. Dunque, i cristiani sostengono che la loro fede è benefica, mentre quella degli altri è dannosa. Comunque sia, i cristiani lo sostengono per quanto riguarda la fede comunista. Quello che io asserisco, invece, è che tutte le fedi sono dannose. La «fede» poggia sulla ferma convinzione in qualcosa che non può essere dimostrata. Quando una cosa può essere dimostrata, nessuno parla di «fede». Non parliamo di fede dicendo che due più due fa quattro, e che la terra è rotonda. Parliamo di fede solo quando desideriamo sostituire la prova con il sentimento. Tale sostituzione probabilmente porterà a un conflitto, dato che gruppi diversi hanno sentimenti diversi. I cristiani hanno fede nella resurrezione. I comunisti nella teoria del plus-valore di Marx. Nessuna delle due fedi può essere dimostrata razionalmente, e pertanto ognuna di esse ha bisogno di essere difesa con la propaganda e, se necessario, con la guerra. Le due fedi si equivalgono sotto questo aspetto. Se pensate che sia molto più importante che le persone credano in qualcosa che non può essere dimostrato razionalmente, non fa alcuna differenza cosa sia quel qualcosa. Se avrete il controllo del governo, inculcherete quella fede nelle menti immature dei bambini, e brucerete o censurerete i libri che diranno il contrario. Se invece non avrete il controllo del governo, creerete, se sarete abbastanza forti per farlo, delle forze armate, con la speranza di conquistarlo. Tutto ciò è una conseguenza inevitabile di una fede fortemente sentita, e inevitabile, a meno che, come i quaccheri, non ci si accontenti di rimanere per sempre una piccola minoranza.
Non riesco proprio a capire come possano esistere delle persone, apparentemente sane di mente, che ritengono che la fede cristiana possa prevenire la guerra. Persone del genere sembrano completamente incapaci di imparare qualsiasi cosa dalla storia. L'impero romano divenne cristiano all'epoca di Costantino, e rimase quasi perennemente in guerra, finché non cessò di esistere. Gli Stati cristiani che gli sono succeduti continuarono a combattersi a vicenda, anche se, dobbiamo ammetterlo, di tanto in tanto combatterono anche contro Stati che non erano cristiani.

Bertrand Russell, Dio e la religione, Newton, 1994, p. 251 – 253

Nel 1961 Russell fu imprigionato per sette giorni per aver partecipato ad una manifestazione antinucleare.

Fra il 1966 e il 1967 Russell con Jean-Paul Sartre e altri dà vita al tribunale per processare gli USA per i crimini di guerra in Vietnam. Quella commissione voleva investigare sui crimini commessi dagli USA durante l'occupazione del Vietnam, ma fece qualche cosa di malvagio: legittimò la guerra d'invasione censurando i metodi usati per l'invasione. In sostanza gli USA non furono accusati di atrocità per aver occupato il Vietnam, ma furono accusati di atrocità per come avevano messo in atto e gestito l'occupazione. Non fu denunciata l'atrocità della guerra, ma il metodo di condurre la guerra. Questo metodo, adottato dal tribunale Russell, divenne il metodo della conduzione delle guerre fino ad oggi. Prima di tutto il nemico doveva essere accusato di atrocità. Col nemico non si discute, ma gli si chiede di arrendersi per mettere fine alle atrocità che commette e poi lo si macella per mettere fine alle sue atrocità. Non è un metodo nuovo, è nella bibbia cristiana, è il metodo del genocidio del dio dei cristiani che Russell ha elevato a metodo sociale. Un metodo che aveva già messo in atto quando diffamò l'Unione Sovietica invocando contro di essa l'intervento nucleare. Con la propaganda messa in atto da tribunale Russell è stato fatto accettare da tutti i pacifisti di "sinistra" che da allora in poi non sono più stati in grado di distinguere una guerra di liberazione da una guerra di occupazione e di sterminio.

L'ultima presa di posizione di Russell è del 31 gennaio 1970 ed è una dichiarazione contro l'aggressione israeliana in Medio Oriente. Chiedeva il ritiro degli israeliani entro i confini della guerra dei 6 giorni. Questo atto è stato letto alla Conferenza internazionale dei parlamentari al Cairo il 3 febbraio 1970, un giorno dopo la sua morte.

Russell muore a Penthryfrndraeth nel Galles settentrionale il 2 febbraio 1970 per bronchite.

Aveva 98 anni.

 

Marghera, 17 febbraio 2019

 

 

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Claudio Simeoni

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