Emile Durkheim

Le biografie dei giocatori - cinquantanovesima biografia

Capitolo 142

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Claudio Simeoni

 

Le biografie dei filosofi che partecipano alla partita di calcio

 

La biografia di Emile Durkheim

 

David Emile Durkheim nasce il 15 aprile del 1858 ad Epinal nei Vosgi. I Durkheim erano una famiglia di rabbini ebrei. Rabbini da molte generazioni che hanno imposto ad Emile l'ideologia ebraica fin dalla primissima infanzia. Secondo i progetti della famiglia Emile avrebbe dovuto fare il rabbino. Viene educato a pensarsi rabbino. Durkheim cresce nella convinzione di essere parte di un popolo eletto creato da Dio e anche se molto presto Durkheim si allontana dalla partecipazione al culto ebraico, l'impronta di arrogante superiorità del popolo eletto rispetto agli altri "popoli inferiori" si impone così profondamente nella sua psiche da caratterizzare l'intera sua esistenza condizionando il suo modo di interpretare il mondo e la vita.

Egli si ritiene l'eletto e dall'alto del cielo interpreta gli uomini e il loro divenuto. Durkheim non è l'uomo che vive la vita e che elabora filosoficamente e antropologicamente la sua esperienza. E' il Dio che dall'alto dei cieli dice agli uomini che cosa sono e come sono divenuti.

Questo modo di vedere le cose e le questioni sociali diventeranno l'impostazione di tutta la sociologia e l'antropologia per un secolo e mezzo e anche oggi, che la dialettica sul fronte della filosofia e l'evoluzionismo di stampo darwiniano stanno cambiando il modo di legge e interpretare la realtà, la legge positivista dei "tre stadi" di Comte, come elaborata da Durkheim e ripresa da altri, come Freud e Jung in psicologia, Mauss e Levi-Straus in antropologia e dalle Istituzioni per giustificare antropologicamente il colonialismo come superiorità della razza bianca, verrà comunque imposto ai cittadini per condizionare le loro idee e le loro scelte.

Nel 1871 scoppia la Comune di Parigi. Napoleone II tenta di annettersi il Luxemburgo e scoppia la guerra fra la Francia e la Prussia del Nord alleata a due regni, fra cui la Baviera, del sud. La guerra inizia il 19 luglio 1870 e si conclude con la disfatta della Francia nel maggio del 1871. Contro l'impero di Napoleone II la popolazione di Parigi impose la Repubblica. La comune di Parigi chiedeva una Repubblica con ampie libertà cosa che il governo repubblicano non era propenso a concedere. Così il governo Francese, riunito a Versailles mandò l'esercito sconfitto dalla Prussia, a massacrare i suoi concittadini di Parigi. Vennero macellati 20.000 parigini. Decina di migliaia furono i condannati e i deportati e molte decine di migliaia di parigini fuggirono all'estero. Questo massacro cambiò la struttura sociale e ideologica di Parigi.

Durkheim completa il baccalaureato a Epinal negli anni '70 del 1800 e si iscrive al liceo a Parigi. Nel 1879 fu ammesso all'Ecole Normale Superieure nella quale si formavano gli insegnanti di liceo. La scuola era il trampolino di lancio per la carriera accademica.

Nel 1882 Durkheim si laurea dopo aver studiato storia e filosofia diventando professore di filosofia di liceo.

Durkheim ricevette una borsa di studio che gli permise di studiare, fra il 1885 e il 1886, le condizioni delle scienze sociali in Germania. Fu incaricato di studiare le componenti sociali dell'ideologia dell'espansionismo tedesco. Sembra che sia stato in questo contesto che prese la decisione di imporre la sociologia come materia autonoma negli studi universitari. In Germania Durkheim conosce Fred Wagner, Gustav Schmoller, Rudolf von Jehring, Albert Schaffle e Wilhelm Wundt che influenzarono Durkheim nella ricerca di modelli sociali per la moralità individuale.

Nel 1887 Durkheim fu incaricato all'università di Bordeaux dove avrebbe insegnato "scienze sociali e pedagogia".

Nel 1892 Durkheim pubblica "La divisione del lavoro sociale". Egli intendeva far riconoscere alla sociologia lo status di "scienza sociale autonoma", come scienza di gestione delle "masse", nella quale introduceva le categorie creazioniste della bibbia seguendo le tracce di Comte.

Nel 1895 Durkheim divenne titolare fisso di cattedra a Bordeaux. Fece in modo che il suo corso, e la sua cattedra, si chiamassero "scienza sociale" nello sforzo di collegare sé stesso e le proprie tesi al positivismo di Comte.

Nel 1895 Durkheim pubblica "Le regole del metodo sociologico".

Che cos'è per Durkheim una società e come si è formata? Una società, per Durkheim si è formata come viene raccontato dalla bibbia. Dopo il diluvio universale gli uomini si sono dispersi e poi si sono riaggregati "orda" dopo "orda". Uomini sempre uguali a sé stessi; sempre creati da Dio, tant'è che Durkheim non pensa all'uomo di 100.000 anni fa nel suo abitare il mondo, ma pensa sé stesso come sarebbe stato se fosse vissuto 100.000 anni fa. Durkheim non riflette sulla società e il suo divenuto, ma sulla trasformazione sociale della creazione di Dio che, in quanto creazione, rimane sempre uguale a sé stessa. Mentre Darwin afferma che nel corso del tempo l'uomo ha trasformato sé stesso in un ambiente in trasformazione, l'uomo che forma la società di Durkheim è Durkheim che pensa sé stesso in un diverso ambiente esattamente come il biblista pensa che cosa avrebbe potuto fare Adamo se lui fosse stato Adamo cacciato dal paradiso terrestre.

Questo modo di pensare alla vita e alla società è il modo di pensare proprio della sociologia ancora oggi dove l'uomo non si trasforma adattandosi alle condizioni e con la volontà di modificare, sempre e comunque, le condizioni che ha incontrato, ma l'uomo è creato da Dio e le sue trasformazioni consistono in condizioni morale di accettazione del presente o di malvagità nel voler modificare un presente che non gli "deve" provocare "sofferenza" in quanto quel presente è voluto da Dio. E' la malvagità del singolo uomo che lo spinge a diventare un "soggetto criminale" e non condizioni sociali che vanno modificate in quanto inadeguate quando criminali esse stesse nei confronti dell'uomo. Del singolo uomo o di strati sociali della società stessa. Da questo punto di vista non è diverso il pensiero di Lombroso dal pensiero di Durkheim. Partono da punti di vista diversi, ma la conclusione è la stessa: il singolo è criminale rispetto alla società creata da Dio.

Come è dunque venuta in essere la società pensata da Durkheim?

Scrive Durkheim:

Spencer ha compreso benissimo che la classificazione metodica dei tipi sociali non poteva avere un fondamento diverso.
Abbiamo visto - egli dice - che l'evoluzione sociale comincia con piccoli aggregati semplici, che essa progredisce mediante l'unione di alcuni di questi aggregati in aggregati più grandi e che, dopo essersi consolidati, questi gruppi si uniscono ad altri gruppi simili per formare aggregati ancora più grandi. La nostra classificazione deve quindi cominciare dalle società del primo ordine, cioè del più semplice.
Purtroppo, per mettere in pratica questo principio si dovrebbe cominciare definendo con precisione ciò che si intende per società semplice. Questa definizione, però, Spencer non la dà, ma la giudica press'a poco impossibile. Ciò accade perché la semplicità - quale egli la intende - consiste essenzialmente in una certa grossolanità di organizzazione, e non è facile dire con esattezza in quale momento l'organizzazione sia abbastanza rudimentale per essere qualificata semplice; questa è infatti una questione di apprezzamento. Perciò la formula che Spencer ne dà è talmente fluttuante che conviene ad ogni sorta di società. Il meglio che possiamo fare - egli dice - è considerare come semplice la società che forma un tutto non sottomesso ad un altro, e le cui parti cooperino, con o senza un centro regolatore, in vista di certi scopi di interesse pubblico. Ma i popoli che soddisfano a questa condizione sono numerosi, e il risultato è che: egli confonde a caso nella medesima rubrica tutte le società meno civili. E' facile immaginare quale possa essere, con un simile punto di partenza, tutto il resto della classificazione: in essa vediamo accostate nella più straordinaria confusione le società più disparate - i Greci dell'epoca omerica affiancati ai feudi del secolo X e posti al di sotto dei Beciuani, degli Zulù e degli abitanti delle isole Figi, la Confederazione ateniese affiancata ai feudi della Francia del secolo XIII e posta al di sotto degli Irochesi e degli Araucani.
Il termine semplicità, ha un senso definito soltanto se significa un'assenza completa di parti. Bisogna quindi ritenere semplici tutte le società che non ne racchiudono altre più semplici di essa e che non soltanto sono ridotte attualmente ad un unico segmento, ma che non recano traccia di una segmentazione anteriore. L'orda - quale l'abbiamo definita altrove - risponde esattamente a questa definizione: essa è un aggregato sociale che non comprende e non ha mai compreso nel suo seno nessun aggregato più elementare, ma che si risolve immediatamente negli individui. Questi non formano, all'interno del gruppo totale, gruppi specifici e diversi da esso, ma sono giustapposti atomicamente. Si capisce che non possano esserci società più semplici: l'orda è il protoplasma del regno sociale, e quindi la base naturale di ogni classificazione.
E' vero che forse non esistono società storiche che corrispondano esattamente a questi connotati; ma - come abbiamo dimostrato nel libro già citato - conosciamo molteplici società che sono formate immediatamente, e senza intermediari, da una ripetizione di orde. Quando l'orda diventa un segmento sociale, anziché essere l'intera società, essa muta nome e si chiama clan, ma conserva i suoi tratti costitutivi. Il clan è infatti un aggregato sociale che non si risolve in nessun altro aggregato più ristretto. Qualcuno farà forse osservare che, generalmente, dove lo osserviamo oggi, esso racchiude una pluralità di famiglie particolari. Ma, in primo luogo - per motivi che non possiamo esporre in questa sede - riteniamo che la formazione di questi piccoli gruppi familiari sia posteriore al clan; inoltre essi non costituiscono segmenti sociali nel vero senso della parola, perché non sono divisioni politiche. Ovunque lo incontriamo, il clan costituisce l'ultima divisione di questo genere; perciò, quand'anche non possedessimo altri fatti per postulare l'esistenza dell'orda - ed avremo un giorno l'occasione di esporne alcuni - l'esistenza del clan, cioè di una società formata da una riunione di orde, ci autorizza a supporre l'esistenza originaria di società più semplici che si riducevano all'orda propriamente detta, e a fare di quest'ultima il ceppo dal quale sono nate tutte le specie sociali. Una volta stabilita la nozione di orda o società a segmento unico - intesa o come realtà storica oppure come postulato scientifico - disponiamo del punto d'appoggio necessario per costituire la scala completa dei tipi sociali. Distingueremo tanti tipi fondamentali quante sono le maniere in cui l'orda può combinarsi con se stessa e dare origine a nuove società, ed in cui queste ultime possono combinarsi tra loro. Dapprima si incontreranno aggregati formati mediante una semplice ripetizione di orde o di clan (per chiamarli con il loro nuovo nome), senza che questi clan siano associati in modo da costituire gruppi intermedi tra il gruppo totale…

Emile Durkheim, Le regole del metodo sociologico, Einaudi 2008, p. 85 – 86

La formazione della società pensata da Durkheim altro non è che la riaggregazioni di elementi che vengono pensati come "disgregati" per essere riaggregati nelle forme immaginate da Durkheim. L'idea biblica dalla quale parte Durkheim è la fine del diluvio universale e la dispersione degli uomini sulla terra che tornano a formare delle comunità mediante quelle che Durkheim chiama "orde" o, un attimo più complesse, "clan". Ciò che disturba la visione di Durkheim è che non c'è mai stato un diluvio universale e che gli uomini si sono aggregati per fini intelligenti fin da prima che nascesse quella che noi chiamiamo "intelligenza umana". L'aggregazione, la somma e l'interrelazione le specie animali, di cui l'uomo è parte, sono state messe in atto da sempre. Da sempre le società umane, anche quand'eravamo un piccolo topo, si sono aggregate e separate per riaggregarsi. Ed è sempre stata una scelta di intelligenza. E l'uomo "primitivo" aveva una conoscenza scientifica precisa dell'ambiente in cui viveva.

E' solo l'ebreo o il cristiano che proiettano sugli antichi un'idea di trogloditismo che nasce dalla loro idea sul come loro avrebbero agito se si fossero trovati in quella situazione. Ma quello che loro chiamano "uomo primitivo" era un uomo culturalmente evoluto e quelle che Durkheim chiama "società primitive", analizzate in maniera tardiva dagli "antropologi" (dopo che i missionari le hanno macellate fisicamente e culturalmente) sono degli sviluppi sociali paralleli alla società occidentale che sono venuti in essere senza la violenza fisica, psichica e morale messa in atto dal cristianesimo.

Diventa illegittimo e offensivo parlare di "società primitive", ma si deve parlare di "società altre". Parlare di "società primitive" significò parlare di non-uomini, bestie da ridurre in schiavitù o ammazzare.

Scrive Durkheim in "Le regole del metodo sociologico" a proposito di che cos'è un "fatto sociale":

Prima di cercare quale sia il metodo che conviene allo studio dei fatti sociali, occorre sapere quali siano i fatti che denominiamo in tal modo.
La questione è resa ancor più necessaria dal fatto che ci si serve di questa qualifica senza molta precisione: essa viene comunemente impiegata per designare press'a poco tutti i fenomeni che si verificano all'interno della società, per poco che essi presentino - con una certa generalità - un interesse sociale. Ma in questa maniera non c'è per così dire avvenimento umano che non possa venire chiamato sociale. Ogni individuo beve, dorme, mangia, ragiona, e per la società è del massimo interesse che queste funzioni si esercitino regolarmente: se questi fatti fossero sociali, la sociologia non avrebbe un oggetto proprio, ed il suo dominio si confonderebbe con quello della biologia e della psicologia.
In realtà, in ogni società c'è un gruppo di fenomeni che si distinguono mediante caratteri spiccati da quelli studiati dalle altre scienze della natura.
Quando assolvo il compito di fratello, di marito o di cittadino, quando soddisfo agli impegni che ho contratto, io adempio doveri che sono definiti - al di fuori di me e dei miei atti - nel diritto e nei costumi. Anche quando essi si accordano con i miei sentimenti, ed io ne sento interiormente la realtà, questa non è perciò meno oggettiva: non li ho fatti io, ma li ho ricevuti mediante 1'educazione. Quante volte, d'altronde, ci succede di ignorare i dettagli delle obbligazioni a cui siamo tenuti e dobbiamo, per conoscerli, consultare il Codice ed i suoi interpreti autorizzati! Analogamente, per ciò che riguarda le credenze e le pratiche della vita religiosa, il fedele le ha trovate già fatte alla sua nascita; se esse esistevano prima di lui, è perché esistono al di fuori di lui. Il sistema di segni, del quale mi servo per esprimere il mio pensiero, il sistema monetario che impiego per pagare i miei debiti, gli strumenti di credito che utilizzo nelle mie relazioni commerciali, le pratiche seguite nella mia professione, e così via, funzionano indipendentemente dall'uso che ne faccio. Se prendiamo gli uni dopo gli altri tutti i membri di cui è composta la società, ciò che precede potrà essere ripetuto per ognuno di essi. Vi sono dunque modi di agire, di pensare e di sentire che presentano la notevole proprietà di esistere al di fuori delle coscienze individuali.
Questi tipi di condotta o di pensiero non soltanto sono esterni all'individuo, ma sono anche dotati di un potere imperativo e coercitivo in virtù del quale si impongono a lui, con o senza il suo consenso. Indubbiamente, quando mi conformo ad essi di mia spontanea volontà, questa coercizione non si fa sentire, o si fa sentire poco, perché è inutile. Ma essa rimane tuttavia un carattere intrinseco di tali fatti; lo dimostra il suo affermarsi nel momento stesso in cui tento di resisterle. Se cerco di violare le regole del diritto, esse reagiscono contro di me in modo da impedire il mio atto, se si è ancora in tempo, oppure in modo da annullarlo e da ripristinarlo nella sua forma normale, se è compiuto e riparabile, oppure in modo da farmelo espiare, se non si può riparare ad esso in un altro modo. Quando si tratta di massime puramente morali, la coscienza pubblica contiene tutti gli atti che la offendono mediante la sorveglianza che essa esercita sulla condotta dei cittadini e le pene specifiche di cui dispone: in altri casi, la costrizione è molto violenta - ma non cessa di esistere. Se non mi sottometto alle convenzioni del mondo, se nel mio abbigliamento non tengo conto degli usi del mio paese e della mia classe, l'ilarità che provoco e la distanza in cui sono tenuto producono - per quanto in maniera più attenuata - gli effetti di una pena propriamente detta. In altri campi la costrizione, per quanto indiretta, non è meno efficace. Non sono obbligato né a parlare francese con i miei compatrioti né a impiegare le monete legali; ma mi è impossibile fare altrimenti. Se cercassi di sottrarmi a questa necessità, il mio tentativo fallirebbe miseramente. Essendo industriale, nulla mi impedisce di lavorare servendomi di procedimenti e di metodi del secolo scorso; ma, se lo facessi, la mia rovina sarebbe certa. Anche quando posso effettivamente rendermi indipendente da queste regole e violarle con successo, ciò non accade mai senza che sia obbligato a lottare contro di esse. Perfino quando sono finalmente vinte, esse fanno sentire sufficientemente il loro potere costrittivo mediante la resistenza che oppongono. Non c'è innovatore - anche riuscito - le cui imprese non abbiano finito con l'urtarsi contro opposizioni di questo genere. Ecco dunque un ordine di fatti che presentano caratteri molto specifici: essi consistono in modi di agire, di pensare e di sentire esterni all'individuo, e dotati di un potere di coercizione in virtù del quale si impongono ad esso.

Emile Durkheim, Le regole del metodo sociologico, Einaudi 2008 p. 25 – 26

Il fatto sociale sono le condizioni oggettive che formano la società in cui un individuo è nato e alla quale l'individuo si adatta. Cosa sta dicendo Durkheim se non riproducendo quanto ha appreso dalla bibbia?

Scrive la bibbia:

"E dimorino queste parole, le quali oggi ti comando, nel tuo cuore, e inculcale ai tuoi figliuoli, e ragionane quando tu starai a sedere in casa tua, e quando tu camminerai per via, e quando tu giacerai, e quando tu ti leverai. E legale per segnale , in su la tua mano, e sieno per frontali fra i tuoi occhi. Scrivili ancora sopra gli stipiti della tua casa, e sopra le tue porte."

Deuteronomio 6, 6 – 9

Nella bibbia cattolica della Cei lo stesso passo suona:

"Questi precetti che oggi ti do, ti siano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte."

Deuteronomio 6, 6 – 9

Che cos'è dunque il fatto sociale come oggetto della sociologia? E' il padre che agendo con violenza sul figlio gli impone di far proprie le sue credenze. Le sue credenze in nome di Dio o in nome della società, il cui dominio di essa sugli uomini, altro non fa che le veci di Dio nell'imporsi ad ogni singolo individuo.

L'arte della sociologia in Durkheim è l'arte della coercizione. E' vero che è imposta una moneta come è vero che c'è un esercito, ma è altrettanto vero che c'è l'ossigeno e l'acqua. Nel senso che noi viviamo nascendo e adattandoci alle condizioni che troviamo e che quelle condizioni manipolano la nostra psiche, ma mentre l'ossigeno e l'acqua sono condizioni oggettive sulle quali difficilmente la vita, in quanto tale del singolo individuo, può agire perché da quelle condizioni non è possibile prescindere, la moneta o l'esercito sono elementi sociali costruiti dall'uomo e sui quali, sia per quantità che per qualità, il singolo individuo può agire per modificare la loro capacità di inferenza nella società.

Gli elementi che costituiscono una società modificano l'individuo, ma l'individuo può agire per modificare la struttura della società esattamente come il figlio può uccidere il padre impedendogli di continuare la manipolazione mentale che ha messo in atto nei suoi confronti. Uccidere il padre che manipola la struttura emotiva del figlio o modificare le strutture sociali nella loro azione coercitiva che costringe le persone ad adattarsi, sono due azioni che dimostrano che "il fatto sociale" di Durkheim non è una condizione quale oggetto in sé, ma è una condizione mediante la quale alcuni uomini agiscono su altri uomini e il fatto sociale esiste solo nella misura in cui è espresso da alcuni uomini come la coercizione del padre sul figlio esiste solo nella misura in cui un uomo si definisce "padre".

Il fatto sociale non è un oggetto in sé, è un mezzo usato da uomini per modificare la struttura sociale a loro favore. La moneta non è un oggetto in sé, è un metro per misurare gli scambi materiali fra gli uomini. Nella misura in cui la moneta non serve a scambiare tempo di lavoro o merci, diventa un oggetto inutile come sono inutili quei chili di carta moneta durante le grandi svalutazioni nazionali.

Durkheim vuole distaccare il "fatto sociale" dagli uomini per dargli una valenza oggettiva e un valore di coercizione in sé sull'uomo. Il "fatto sociale" di Durkheim sta alla società come Dio sta a tutto. O il tutto si adegua o Dio lo ammazza; o l'individuo si adatta alla società o la società lo ammazza. Il "Fatto sociale" diventa l'immobile e assoluto Dio della società. Solo che le società non sono immobili come il Dio degli ebrei, sono dinamiche in continua trasformazione e il "fatto sociale" non è un oggetto in sé ma un mezzo di cui gli uomini si servono. Essendo un mezzo di cui gli uomini si servono, il mezzo stesso varia al variare delle necessità degli uomini.

La società di Durkheim è la società voluta dal Dio egli ebrei, una società immobile privata del tempo e delle trasformazioni perché la società ha privato gli uomini che la compongono della loro volontà e della loro determinazione mediante la quale agire nel mondo. Dice Gesù. "Io sono la verità e la verità (cioè io) vi rende liberi". Un fatto sociale a cui gli uomini, secondo Durkheim, si devono adattare anziché modificarlo in una diversa ricerca di verità che possa renderli liberi dalla verità imposta da Gesù.

Anche quando Durkheim deve definire il concetto di reato, tutta l'educazione ebraica e tutta la sua bibbia, diventa il suo modello di riferimento. Durkheim si guarda bene dall'accusare Dio di essere un criminale. Deve accusare gli uomini di essere dei "peccatori". Così, allo stesso modo non accusa la società di atti criminali nei confronti dei singoli individui, ma accusa i singolo individui di essere dei criminali nel loro tentativo di sopravvivere ai crimini socialmente imposti.

Scrive Durkheim a proposito del reato:

Nessun fenomeno presenta quindi in modo più evidente tutti i sintomi della normalità, perché si manifesta strettamente vincolato alle condizioni dell'intera vita collettiva. Fare del reato una malattia sociale significherebbe ammettere che la malattia non è qualcosa di accidentale, ma deriva invece, in certi casi, dalla costituzione fondamentale dell'essere vivente; significherebbe cancellare ogni distinzione tra il fisiologico e il patologico. Senza dubbio può darsi che il reato stesso abbia forme anormali - ed è quello che accade quando, per esempio, attinge un tasso esagerato: un simile eccesso è infatti di natura morbosa. Normale è semplicemente il fatto che esista una criminalità, purché essa arringa e non sorpassi - per ogni tipo sociale - un certo livello che non è forse impossibile fissare conformemente alle regole precedenti.
Eccoci in presenza di una conclusione in apparenza paradossale. Infatti non dobbiamo ingannarci: classificare il reato tra i fenomeni della sociologia normale non significa soltanto dire che esso è un fenomeno inevitabile, benché increscioso, dovuto all'incorreggibile cattiveria degli uomini; ma significa anche affermare che esso è un fattore della salute pubblica, una parte integrante di ogni società sana. Questo risultato è a prima vista assai sorprendente, tanto che esso ha sconcertato per lungo tempo anche noi. Tuttavia, una volta dominata questa prima impressione di sorpresa, non è difficile trovare i motivi che spiegano, e nel medesimo tempo confermano, tale normalità.
In primo luogo, il reato è normale perché la società che ne fosse esente sarebbe assolutamente impossibile.
Il reato - l'abbiamo dimostrato altrove - consiste in un atto che offende certi sentimenti collettivi, dotati di particolare energia e nettezza. Affinché in una certa società gli atti ritenuti criminali non venissero più commessi, sarebbe necessario che i sentimenti che essi offendono si trovassero in tutte le coscienze individuali senza eccezione, e con il grado di forza sufficiente a frenare i sentimenti contrari. Però, anche supponendo che questa condizione possa effettivamente realizzarsi, non perciò il reato scomparirebbe: esso muterebbe soltanto di forma, perché proprio la causa che inaridirebbe in tal modo le fonti della criminalità ne aprirebbe immediatamente altre.
Infatti i sentimenti collettivi, che il diritto penale di un popolo protegge in un determinato momento della sua storia, giungono così a penetrare nelle coscienze che fino allora erano ad essi precluse, o ad aumentare il loro potere dove non ne avevano abbastanza, soltanto a patto di acquistare un'intensità superiore a quella che avevano prima avuto. Occorre che la comunità nel suo insieme ne sia consapevole in modo più vivo, perché essa è l'unica fonte alla quale possono attingere la forza necessaria per imporsi agli individui che prima erano i più refrattari. Affinché gli omicidi scompaiano, occorre che l'orrore per il sangue versato divenga maggiore negli strati sociali in cui si reclutano gli assassini; ma a tale scopo è necessario anche che esso divenga maggiore in tutta l'estensione della società. D'altronde l'assenza stessa del reato contribuirebbe direttamente a produrre questo risultato: un sentimento appare molto più rispettabile quando viene sempre e uniformemente rispettato. Ma non si osserva che questi stati forti della coscienza comune non possono venir rafforzati senza che gli stati deboli - la cui violazione dava precedentemente origine soltanto a colpe puramente morali - vengano rafforzati nel medesimo tempo: i secondi non sono altro che il prolungamento o la forma attenuata dei primi. Perciò il furto e la semplice indelicatezza urtano un solo ed unico sentimento altruistico - il rispetto della proprietà altrui. Ma questo sentimento viene offeso più debolmente dall'uno che dall'altro di questi atti; e poiché, d'altra parre, la media delle coscienze non sente in modo abbastanza intenso la più leggera di queste due offese, essa è oggetto di una maggiore tolleranza. Ecco perché colui che commette un'indelicatezza viene semplicemente biasimato, mentre il ladro viene punito. Ma se questo stesso sentimento diventa più forte, al punto di far tacere in tutte le coscienze la tendenza che rende l'uomo incline al furto, egli diventerà più sensibile alle lesioni che prima lo offendevano soltanto leggermente; egli reagirà quindi contro di esse con maggiore vivacità; ed esse saranno oggetto di una riprovazione più energica che ne trasformerà alcune da semplici colpe morali in reati. Per esempio, i contratti indelicati o eseguiti con indelicatezza, che provocano soltanto il pubblico biasimo o riparazioni civili, diventeranno delitti. Immaginate una società di santi, un chiostro esemplare e perfetto: i reati propriamente detti saranno qui ignoti, ma le colpe che sembrano veniali al volgo faranno lo stesso scandalo che il delitto ordinario produce sulle coscienze ordinarie. Se questa società sarà munita del potere di giudicare e di punire, essa qualificherà perciò come criminali questi atti e li tratterà come tali. Per questa stessa ragione l'uomo perfettamente onesto giudica le sue più piccole mancanze con una severità che la folla riserva agli atti veramente delittuosi. Un tempo, gli atti di violenza contro le persone erano più frequenti di oggi, perché il rispetto per la dignità individuale era più debole. Con il suo aumento, questi reati sono diventati più rari; però molti degli atti che ledevano questo sentimento sono entrati nel diritto penale, con cui in origine non avevano rapporto.
Ci si chiederà forse - per esaurire tutte le ipotesi logicamente possibili - perché questa unanimità non potrebbe estendersi senza eccezione a tutti i sentimenti collettivi, e perché anche i più deboli non potrebbero aumentare la loro energia in modo da prevenire ogni dissenso. La coscienza morale della società si troverebbe allora intera in tutti gli individui, e la sua vitalità basterebbe a impedire tutti gli atti che l'offendono - tanto le colpe puramente morali quanto i reati. Ma un'uniformità così universale e così assoluta è radicalmente impossibile, perché l'ambiente fisico nel quale ognuno di noi è immediatamente situato, i precedenti ereditari, le influenze sociali da cui dipendiamo variano dall'uno all'altro individuo, differenziando quindi le coscienze. Non è possibile che tutti si assomiglino a tal punto, per il semplice motivo che ognuno ha il proprio organismo e che gli organismi occupano settori diversi dello spazio. Ecco perché anche presso i popoli inferiori - dove l'originalità individuale è ben poco sviluppata - essa non è però mai del tutto assente. Perciò, dal momento che non può esserci società laddove gli individui non divergono più o meno dal tipo collettivo, è inevitabile che alcune di queste divergenze presentino un carattere criminale. Infatti ciò che conferisce ad esse tale carattere non è la loro importanza intrinseca, bensì quella attribuita dalla coscienza comune.

Durkheim, Le Regole del metodo sociologico, Einaudi, 2008, p. 73 – 75

Il reato non offende necessariamente la società. Il reato offende Dio che chiama reato il peccato. Durkheim identifica la società con Dio e si guarda bene dal condannare il reato fatto da Dio, dalla società, contro il singolo individuo che davanti a quei delitti è costretto a subirli perché viene privato del diritto di esercitare giustizia per i delitti subiti. Il reato non è ciò che l'uomo fa nella o alla società, ma è ciò che la società fa al singolo individuo. Questo è l'oggetto che deve essere preso in considerazione ogni volta che si studia una società.

La domanda che uno studioso di sistemi sociali si deve fare è questa: quali e come commette delitti la società rispetto al singolo individuo per indurlo a commettere degli atti di "ribellione" che poi vengono sanzionati come delitti?

Durkheim è un uomo malvagio. La sua malvagità, i delitti che commette nello scrivere le sue pretese sociologiche, sono una risposta di Durkheim alla violenza, ai delitti, che Durkheim ha subito. La famiglia ha costretto Durkheim ad identificarsi con Dio pretendendo che tale identificazione entrasse in maniera così profonda dentro di lui da trasformarlo in un rabbino. Questo delitto di manipolazione dell'infanzia non è stato punito. Si è ritenuto che essendo Durkheim figlio di suo padre e sua madre questi avessero diritto di esercitare violenza nei suoi confronti per ottenere da lui le scelte che loro volevano. Chi è che commette un delitto? Durkheim che chiama popoli diversi dal suo "popoli inferiori" predisponendoli per farli macellare, o la famiglia e l'ambiente in cui Durkheim è cresciuto che lo ha costretto ad identificarsi nel Dio, il macellaio di Sodoma e Gomorra, di cui lui avrebbe dovuto essere il portavoce?

Cos'è un delitto sociale se non un delitto che una società fa nei confronti del singolo individuo?

Consideriamo i delitti di femminicidio. Questi delitti sono voluti e organizzati in maniera capillare dalla società in cui viviamo. Come? In una società in cui ogni individuo, ogni soggetto, è padrone di sé stesso e del proprio corpo anche quando contrae contratti come quello matrimoniale, si impone un'educazione sull'infanzia che spinge l'individuo ad imitare non solo il Dio cristiano che violentando Maria diventa oggetto delle lodi di Maria per averla violentata, ma gli si impone un modello di "sacra famiglia" in cui la donna, obbediente e sottomessa, permane indefinitivamente nel suo stato di sottomissione e di obbedienza. Nel momento stesso in cui quella donna, anziché elevare le lodi al marito, si stanca delle sue pretese di sottomissione e di farsi obbedire rivendicando il proprio ruolo di cittadina, in molti casi la donna (qualche volta anche l'uomo) finisce accoltellata. Quest'uomo sarà condannato dalla legge, ma quest'uomo ha subito un delitto feroce da parte della società civile che a fronte della libertà dei soggetti di disporre sempre e comunque del proprio corpo e della propria persona, gli è stata inculcata l'idea di poter essere un padrone di corpi e di persone.

E' nazista l'idea secondo cui la società, sia come insieme che come comando sociale, è Dio a cui i cittadini devono obbedire e adeguarsi e, quando non lo fanno, commetterebbero reati o delitti. E' il fondamento del nazismo come è il fondamento del nazismo non punire il Dio degli ebrei e dei cristiani per delitti come la strage di Sodoma e Gomorra o per aver violentato Maria inducendo nelle persone l'idea di poter risolvere i propri problemi con l'omicidio o la violenza.

E in effetti, Durkheim è uno dei padri fondatori dell'ideologia nazista.

Quando si usa il termine "nazismo" in filosofia si vuole indicare l'ideologia cristiana ed ebraica secondo cui Dio può ammazzare tutti, in quanto padrone, e non viene sottoposto a giudizio per i suoi delitti. Questa definizione è estremizzata, ma intende dimostrare che nazismo, cristianesimo ed ebraismo sono la stessa struttura ideologica che si presenta nella società ogni volta che un soggetto non è portatore di tutti i diritti sociali ma per una qualche ragione viene discriminato mettendo, di fatto, le basi per la sua eliminazione fisica (che poi questa avvenga o non avvenga praticamente, per la filosofia è irrilevante). In questo ambito, espressioni come la calunnia, la diffamazione, la derisione rientrano tutte nell'ambito dell'ideologia cristiana, ebrea e nazista perché hanno lo scopo di svilire l'individuo, umiliarlo, impedendogli di fruire a pieno dei diritti sociali. In sostanza, hanno lo scopo, come dice Paolo di Tarso di impedirgli "di vantarsi davanti a Dio"!

Nel 1896 Durkheim cercò e trovò una sede e un editore a Parigi dove voleva pubblicare il periodico " L'Année sociologique" che ebbe un discreto successo. Sul periodico Durkheim recensiva articoli e scritti di interesse sociologico pubblicati un paio di anni prima sistemandoli in modo da costruire una visione di insieme di quello che lui riteneva fossero gli interessi sociologici. Questo lavoro non consisteva nella diffusione di idee, ma soprattutto nella censura delle idee diverse dalle sue e alle quali non era in grado di contrapporre altre idee. In sostanza, Durkheim esercitava un vero e proprio controllo sulla cultura.

Nel 1897 Durkheim pubblica "Il suicidio" con un sottotitolo "Studi di sociologia".

In breve tempo, mediante il controllo che esercitava sull'insegnamento, Durkheim fu a capo di una vera e propria setta all'interno del circuito universitario attraverso la quale condizionava nomine e programmi scolastici promuovendo la sociologia come progetto d'azione sociale. In breve controllava cattedre e promozioni. Un sistema che oggi definiremo mafioso con cui condizionare gli indirizzi e lo sviluppo della cultura.

Nel 1902 Durkheim lascia Bordeaux e passò alla Sorbona di Parigi come titolare della cattedra di scienza dell'educazione.

Cosa sfugge agli analisti di Durkheim? Sfugge il fatto che Durkheim era ebreo ed era un ebreo che si dedicava al sistema dell'educazione. Anche se lui si era distaccato formalmente dalle credenze della religione ebraica, aveva, comunque, interiorizzato la più grande scoperta fatta dagli ebrei in ordine all'"educazione", chiamiamola così o, se vogliamo usare il suo nome, la manipolazione mentale dell'infanzia scoperta dagli ebrei.

Di questo si occupava Durkheim. Le persone con cui trattava non erano bambini piccolissimi come prevede la bibbia, erano studenti quasi adulti, ma la loro base ideologica usciva dalla sottomissione cristiana ed era facile indurli a seguire una sociologia che pensava l'individuo come creato da Dio riducendolo alle categorie proprie della creazione del dio della bibbia.

Durkheim era considerato un professore molto dotato un eccellete insegnante che conduceva seminari molto seguiti. Era estremamente abile nell'individuare gli studenti che gli sarebbero stati utili in futuro assicurandogli un seguito di devoti. Questa azione gli fu possibile perché per molti anni occupò ruoli istituzionali a fianco del ministro della Pubblica Istruzione e di molti politici. Solo la prima Guerra mondiale, con le sue stragi, impedì la realizzazione del progetto di Durkheim

Nel 1912 Durkheim pubblica "Le forme elementari della vita religiosa". Il testo era considerato una pietra fondamentale nello studio della filosofia antropologica. Ho già trattato parte di questo testo nella Teoria della Filosofia Aperta. Pertanto, le critiche al sistema "evolutivo" della formazione religiosa dell'uomo elaborato da Durkheim le potete leggere nella Teoria della Filosofia Aperta. In questa biografia sono necessarie solo alcune osservazioni in merito a che cos'è la religione e come la religione agisce nella società e nell'uomo. Durkheim contribuì a marchiare le società non-cristiane come "società primitive" paragonandole ed equiparandole alle civiltà "primitive" che immaginava si fossero formate dopo la cacciata dell'uomo dal paradiso terrestre o dopo il diluvio universale.

Che cosa intendeva per religione Durkheim?

Scrive Durkheim:

Scartate queste definizioni, poniamoci di fronte al problema. In primo luogo si può rilevare che in tutte queste formule si cerca di esprimere direttamente la natura della religione nel suo insieme, procedendo come se la religione formasse una specie di entità indivisibile, mentre essa è un tutto formato da parti, cioè un sistema più o meno complesso di miti, di dogmi, di riti, di cerimonie. Ma un tutto può essere definito soltanto in rapporto alle parti che lo formano. E' dunque più corretto dal punto di vista metodologico cercare di caratterizzare i fenomeni elementari di cui è formata ogni religione, prima del sistema prodotto dalla loro unione. Questo metodo si impone tanto più in quanto esistono fenomeni religiosi non appartenenti ad alcuna religione determinata, come quelli che costituiscono l'oggetto del folklore. Essi sono in genere frammenti di religioni scomparse, sopravvivenze disorganizzate; ma ve ne sono anche altri che si sono formati spontaneamente sotto l'influenza di cause locali. Nei paesi europei il Cristianesimo si è sforzato di assorbirli e di assimilarli, dando loro un'impronta cristiana. Tuttavia ve ne sono molti che sono rimasti fino a data recente, o che rimangono ancora in una relativa autonomia. Le feste dell'albero di maggio, del solstizio di estate, del carnevale, credenze diverse relative a geni, demoni locali ecc. Se il carattere religioso di questi fatti va scomparendo, la loro importanza religiosa è tuttavia tale da permettere a Mannhardt [Wilhelm Mannhardt 1831 - 1880 etnologo e studioso di miti europei] alla sua scuola di rinnovare la scienza delle religioni. Una definizione che non ne tenesse conto non potrebbe perciò abbracciare tutto ciò che è religioso.
I fenomeni religiosi si collocano naturalmente in due categorie fondamentali: le credenze e i riti. Le prime sono stati di opinione e consistono di rappresentazioni; i secondi costituiscono tipi determinati di azione. Tra questi due ordini di fatti c'è tutta la differenza che separa il pensiero dal movimento.
I riti possono essere definiti e distinti dalle altre pratiche umane, specialmente da quelle morali, soltanto per la natura particolare del loro oggetto. Una legge morale ci prescrive infatti, esattamente come un rito, modi di agire che si rivolgono però a oggetti di un genere diverso. E' dunque l'oggetto del rito che occorre caratterizzare, per poter caratterizzare il rito stesso; e la natura speciale di questo oggetto si esprime nella credenza. Non si può dunque definire il rito se non dopo aver definito la credenza.
Tutte le credenze religiose conosciute, siano esse semplici o complesse, hanno uno stesso carattere comune: esse presuppongono una classificazione delle cose reali o ideali che si rappresentano gli uomini, in due classi o in due generi opposti, definiti generalmente con due termini distinti tradotti abbastanza bene dalle designazioni di profano e di sacro. La divisione del mondo in due domini che comprendono l'uno tutto ciò che è sacro, e l'altro tutto ciò che è profano, è il carattere distintivo del pensiero religioso: le credenze, i miti, gli gnomi, le leggende sono rappresentazioni, o sistemi di rappresentazioni che esprimono la natura delle cose sacre, le virtù e i poteri loro attribuiti, la loro storia, i loro rapporti reciproci e con le cose profane. Ma per cose sacre non bisogna intendere soltanto quegli esseri personali che vengono chiamati dèi o spiriti; una roccia, un albero, una fonte, un ciottolo, un pezzo di legno, una casa, insomma qualsiasi cosa può essere sacra. Un rito può avere questo carattere; ed anzi non esistono riti che in qualche grado non lo posseggano. Esistono parole, espressioni, formule che possono essere pronunciate soltanto dalla bocca di persone consacrate; esistono gesti e movimenti che non possono essere eseguiti da chiunque. Se il sacrificio vedico ha avuto tanta efficacia, se perfino è stato - secondo la mitologia - generatore di dèi anziché essere soltanto un mezzo per guadagnarne il favore, ciò vuol dire che esso possedeva una virtù comparabile a quella degli esseri più sacri. L'ambito degli oggetti sacri non può essere determinato una volta per tutte; la sua estensione è infinitamente variabile a seconda delle religioni. Ecco perché il Buddismo è una religione: perché in mancanza di dèi ammette l'esistenza di cose sacre, cioè delle quattro verità sante e delle pratiche che ne derivano.

Durkheim, "Le forme elementari della vita religiosa, Edizione Comunità, 1971, p. 38 – 40

L'uomo scompare, la religione è un oggetto in sé che si impone sull'uomo. A Durkheim non interessa né chi, né perché l'uomo ha costruito una religione. Questo perché, Durkheim ritenendo che l'uomo sia creato da Dio, parte dal presupposto anche la religione sia emanazione della volontà di Dio.

La religione è, un fatto sociale da analizzare in sé. Ma per Durkheim è un fatto sociale senza passato né futuro è un oggetto finito in sé stesso.

Invece, al contrario di quanto afferma Durkheim, la religione è uno strumento che l'uomo usa per vivere e abitare nel mondo. Che poi questo strumento finisca per impossessarsi dell'uomo come strumento di possesso dell'uomo sull'uomo da parte di una gerarchia sociale, ciò non toglie che questo strumento è il prodotto del lavoro dell'uomo e che l'uomo ha la facoltà sia di modificare questo strumento e sia di produrne altri mediante il suo lavoro e la sua volontà in base alle proprie necessità.

Ma che cos'è la religione? La religione è l'unica scienza che ha la capacità di manipolare la struttura emotiva profonda dell'uomo facendo nascere nell'uomo, mediante questa manipolazione, quelle idee e solo quelle idee come risposta al benessere emotivo che l'uomo cerca nella sua vita. Idee diverse dalla manipolazione subita, indurrebbero nell'uomo forme di dolore psicologico o di disagio sociale. La rimozione della manipolazione mentale infantile mediante l'espressione di idee diverse da quelle imposte nella vita quotidiana, richiedono un grande investimento di energia da parte del soggetto. Spesso assistiamo a individui manipolati mentalmente nell'infanzia dalla religione cristiana che riescono, per una parte della loro vita, ad accantonare l'aspetto più fondamentalista della loro formazione, magari facendo professione di ateismo, ma il fondamentalismo emerge in età avanzata quando l'individuo, non avendo modificato radicalmente la propria struttura psico-emotiva, comincia ad essere stanco e a non aver energia per controllare i propri impulsi fondamentalisti.

In questo ambito Durkheim, seguendo le idee religiose del cristianesimo e dell'ebraismo, separa il mondo in sacro e in profano. Ma questa divisione delle cose del mondo non appartiene al sentimento religioso pre-filosofico in quanto, per quel sentimento religioso (andrebbe definito come religione anche se non è mai stato strutturato in quanto tale) riteneva che tutta l'esistenza è sacra. Ogni gesto ed ogni azione è sacra. Ogni sentimento e ogni emozione esprime un Dio sia che questa appartenga a noi o al mondo in cui viviamo (vedi la Religione di Roma precristiana).

Durkheim come ebreo e simpatizzante cristiano, ritiene che la religione possieda gli uomini mentre, al contrario, nelle antiche religioni, era l'uomo che possedeva la religione intesa come relazione emotiva fra l'uomo e il mondo in cui viviamo.

Anche in questo caso la sociologia altro non fa che tradurre in termini "laici" i modelli ideologici propri dell'ebraismo e del cristianesimo legittimandoli nella società oltre il confine religioso ebraico e cristiano entro il quale andrebbero confinati.

L'idea di primitivo, propria dell'evoluzionismo cristiano, è l'idea a fondamento del razzismo e dell'odio per le popolazioni che venivano ridotte in schiavitù mediante il colonialismo.

Durkheim riprende le teorie di antropologi che sono andati a studiare i "primitivi" sparsi per il mondo dopo che le loro idee religiose ed esistenziali erano state da secoli manipolate dai missionari cristiani. In questi "primitivi" ha voluto costruire un parallelo (un'uguaglianza) con i "primitivi" di qualche migliaio di anni fa. Ha voluto certificare la superiorità della razza bianca, cristiana, contro altre forme di pensiero di cui non sapeva nulla, ma immaginava nella sua testa.

In questo modo, nella sua testa, gli uomini dopo il diluvio universale erano uguali agli aborigeni australiani, dovevano avere le stesse credenze, non come l'uomo europeo che credeva in Gesù e li stava macellando.

Leggendo "Le forme elementari della vita religiosa" Durkheim appare con tutto l'odio dell'ebreo che deve macellare i seguaci della religione di Baal e per farlo diffama, insulta, calunnia il modo che hanno gli uomini di relazionarsi nel mondo che li circonda.

Durkheim con i suoi seguaci operava un'azione capestro di controllo assoluto della cultura francese portando avanti un piano ideologico di destabilizzazione sociale mediante una valutazione dei contributi di studiosi di vari paesi Europei nei campi di ricerca più disparati della filosofia sociale. Dal diritto penale, alla geografia, alla storia antica e quant'altro. Durkheim aveva messo in piedi una vera e propria struttura di controllo culturale con l'aiuto dei suoi seguaci.

I legami fra Durkheim e i repubblicani e alcuni socialisti, nonché il suo ruolo Istituzionale giustificano il successo della sociologia. Un'influenza che non fu dovuta a "rapporti politici", ma a rapporti ideologici. In sostanza, la sociologia di Durkheim forniva sostanziosi argomenti ideologici sia per giustificare il colonialismo che il nazionalismo francese mediante l'idea di superiorità di razza. Inoltre, il positivismo sociologico è il fondamento dell'ideologia socialista in contrapposizione all'ideologia marxista (se mai comunisti e socialisti fossero mai stati in grado di comprendere il materialismo dialettico e di distinguerlo dal materialismo meccanicista dei positivisti).

Prima della prima guerra mondiale Durkheim scrisse un testo in cui accusava la Germania della responsabilità della guerra che stava per scoppiare. Molte persone della sua organizzazione e dei suoi studenti morirono sul campo di battaglia.

Qual era la struttura psicologica di Durkheim? Era quella di chi è educato per diventare un rabbino ebraico, colui che parla direttamente con Dio e che trasmette agli uomini la parola e la volontà di Dio di cui lui ha confidenza e frequentazione. Questo carattere rabbinico imposto nell'infanzia va al di là delle possibilità dell'individuo, una volta adulto, di rigettarlo. L'individuo ne riaffermerà la sostanza ideologica anche quando la veicolerà con forme apparentemente diverse da quelle strettamente religiose.

Quando si leggono i resoconti della struttura psicologica e comportamentale di Durkheim, l'educazione ad essere il messaggero di Dio appare in tutta la sua evidenza. Durkheim si sentiva un illuminato, un investito di una missione divina, i cui scopi perseguiva con un lavoro intenso. Era un uomo intollerante nel senso che "lui era colui che parla con Dio" e gli altri avrebbero dovuto essere degli Yes-men. Era sempre pronto a scorrettezze nei confronti dei rivali. Presentava un ego smisurato che si identificava con Dio per la stima che aveva per la sua "intelligenza superiore". Rigido e pedante per il senso morale che ostentava.

Un uomo così vive e "impera" fintanto che va tutto bene e si ritiene nelle "grazie di Dio", ma quando i problemi lo toccano nell'intimo, allora l'educazione ebraica, come quella cristiana, portano l'individuo allo sfacelo e alla depressione.

Nel 1915 muore il figlio di Emile Durkheim durante una missione militare. André Durkheim muore nel dicembre del 1915. Dopo la morte del figlio, tutta l'educazione ebraica emerge in Durkheim sotto forma di depressione. Non è più nelle grazie di Dio e lui si pensa impotente. Subisce la volontà di Dio ed entra in uno stato di forte depressione che lo accompagna fino alla morte.

Nel 1917 Durkheim muore all'età di 59 anni.

 

NOTA: Per le considerazioni del pensiero di Durkheim, in particolare per "Le forme elementari della vita religiosa", vedi la Teoria della filosofia Aperta.

 

Marghera, 04 settembre 2019

 

 

Hai imparato a chiedere l'elemosina?

 

Davvero vuoi continuare a navigare in questo sito?

Clicca qui e impara come si chiede l'elemosina

 

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

Membro fondatore
della Federazione Pagana

Piaz.le Parmesan, 8

30175 Marghera - Venezia

Tel. 3277862784

e-mail: claudiosimeoni@libero.it

 

2017

Indice Generale degli argomenti