La partita di calcio fra filosofi, azione n. 47
Rinascimentali contro Dialettici n. 9

Capitolo 78

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Claudio Simeoni

 

Sei capace di giocare a calcio?

 

Rinascimentali e Dialettici n. 9

 

Continua dal precedente...

 

Kant tira forte in porta, ma Labriola para con un bel gesto atletico.

"Questo naturale sviluppo per cui l'uomo diviene, o si crede divenuto autonomo, piglia diverse forme nella vita privata e pubblica. Il figlio p. es. desidera dapprima, e poi vuole sottrarsi, e poi si sottrae di fatto all'autorità paterna: il discepolo a quella dell'educatore, e così via. Lo stesso, in più grandi proporzioni, è avvenuto nella vita sociale. Gl'individui, in più gran numero o tutti, si sono andati attribuendo molte di quelle facoltà che prima pochi pochissimi, con tacito o espresso consenso di tutti gli altri, esercitavano: e in questo esercizio ripongono, o la speranza della loro felicità, o il possesso di essa, o la maggiore, la più alta dignità della loro vita. E questo è anche naturale. Essi possono errare, ed in gran parte errano di fatti: perché l'esperienza prova che disponendo assai più di sé medesimi, non dispongono per ciò solo sempre meglio: spesso per ciò stesso peggio. Ma se errano nella credenza che hanno che il disporre di più e più liberamente, sia lo stesso che disporre meglio e più ragionevolmente, nessuno potrebbe dire che questa lotta per la libertà sia ingiusta, od irragionevole. Perché quale è in fatti l'uomo, la classe, il ceto privilegiato, che possa dire: io solo, noi soli dobbiamo disporre, e gli altri ubbidire: e in questa ubbidienza è tutta la dignità umana, la bontà dell'animo, la perfezione della vita? Se nella maggioranza degli uomini è entrata la opinione, che tutti o la maggior parte di quelli che si muovono e vivono, devano, possano regolarsi da sé: per non piccola parte ha contribuito a formare in essi questa convinzione, il discredito in cui erano venuti, tutti quelli che s'erano per lo innanzi creduti essi soli in dritto di guidar gli altri. Sotto questo riguardo si dice che la libertà, intesa in senso negativo, è un bene: ma non è forse preferibile il dire che essa sia la possibilità del bene?

Antonio Labriola, Tutti gli scritti filosofici e di teoria dell'educazione, della libertà morale, Bompiani, 2014, p. 669

In possesso di palla, Labriola lancia a Freud.

"Se non andiamo errati, la comprensione del tabù getta un po' di luce anche sulla natura e sulla nascita della coscienza morale. Si può parlare, senza ampliare i concetti, di una coscienza tabù e di un senso di colpa tabù dopo aver trasgredito il tabù. La coscienza tabù è probabilmente la forma più antica nella quale ci imbattiamo nel fenomeno della coscienza morale.
Perché che cos'è la "coscienza" morale? Stando alla testimonianza della lingua, è da porsi in riferimento con una conoscenza completa. In parecchie lingue Il coscienza" indica tanto la coscienza morale quanto la consapevolezza. Coscienza morale è la percezione interna della riprovazione di determinati impulsi di desiderio che sorgono in noi. L'accento cade però sul fatto che questa riprovazione non ha bisogno di richiamarsi a nient'altro al di fuori di sé, che è sicura di sé medesima. Questo fatto emerge ancor più chiaramente nel senso di colpa, nella percezione della condanna interiore di atti con i quali abbiamo realizzato determinati impulsi di desiderio. Qui appare superflua una motivazione: chiunque abbia una coscienza deve sentire in sé stesso la giustificazione della condanna, il rimprovero per l'azione compiuta. Ma il comportamento del selvaggi verso il tabù mostra questo stesso carattere: il tabù è un comandamento della coscienza morale, la sua violazione fa sorgere un tremendo senso di colpa che è tanto ovvio quanto è ignota la sua origine.
E' quindi probabile che anche la coscienza morale nasca, nell'ambito di un'ambivalenza emotiva, da relazioni umane ben precise nelle quali questa ambivalenza è insita: nasca inoltre nelle condizioni valide sia per il tabù che per la nevrosi ossessiva, che cioè un termine dell'antitesi sia inconscio e sia tenuto in stato di rimozione dall'altro, che domina per coazione. Questa conclusione è confortata da parecchie osservazioni che abbiamo fatto nel corso dell'analisi della nevrosi. Anzitutto, abbiamo constatato che nel carattere dei nevrotici ossessivi spicca il tratto di una meticolosa coscienziosità come sintomo di reazione alla tentazione latente nell'inconscio, e che via via che la condizione morbosa cresce essi sviluppano al massimo grado il senso di colpa.

Sigmund Freud, Totem e Tabù, Boringhieri, 1976, p. 107 – 108

Freud, dopo qualche passo, lancia a Feuerbach.

"L'animo religioso, secondo la sua natura finora spiegata, riposa nell'immediata certezza che tutte le sue involontarie affezioni di sé siano impressioni provenienti dall' esterno, apparizioni di un altro ente. L'animo religioso trasforma se stesso nell'ente passivo e Dio in quello attivo. Dio è la sua attività alienata, di cui a sua volta si riappropria solo rendendosi oggetto di questa attività, dunque indirettamente. Dio è l'attività; ma ciò che lo determina all'attività, ciò che trasforma la sua attività, inizialmente solo come onnipotenza, potentia, nell'attività effettiva, il motivo vero e proprio, il fondamento non è egli stesso - al quale non occorre nulla e che è senza bisogni -, bensì l'uomo, il soggetto o l'animo religioso. Chi determina Dio all'attività è l'uomo, ma nel contempo questi è a sua volta determinato da Dio, di cui si rende passivo; riceve da Dio determinate rivelazioni, determinate prove della sua esistenza. Dunque nella rivelazione l'uomo, essendo il motivo determinante, il soggetto determinante di Dio, è determinato da se stesso - in altri termini, la rivelazione è soltanto l'autodeterminazione dell'uomo, tuttavia, fra sé come determinato e sé come determinante, egli inserisce un oggetto - Dio, un altro ente. L'uomo attraverso Dio media la sua propria essenza con se stesso - Dio è il legame, il vinculum substantiale fra l'essenza, il genere, e l'individuo. La fede nella rivelazione svela nel modo più evidente la caratteristica illusione della coscienza religiosa. La premessa generale di questa fede è la seguente: l'uomo da se stesso non può sapere nulla di Dio; tutto il suo sapere è soltanto vano, terreno, umano. Dio però è un ente oltreumano: Dio solo conosce se stesso. Dunque non sappiamo nulla di lui tranne quanto ci ha rivelato. Appunto il contenuto comunicato da Dio è un contenuto divino, oltreumano, soprannaturale. Per mezzo della rivelazione conosciamo dunque Dio attraverso se stesso; infatti la rivelazione è proprio la parola di Dio, l'esprimersi di Dio su se stesso."

Ludwig Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, Laterza, 2003,p. 223

Su Feuerbach interviene, non senza una possibilità di fallo, Voltaire.

"Parecchi dotti hanno creduto che il Pentateuco non può essere stato scritto da Mosè. Dicono che dalla stessa Scrittura è accertato che il primo esemplare conosciuto fu trovato al tempo del re Giosia, e che questo unico esemplare fu portato al re dal segretario Safan. Ora, tra Mosè e questa vicenda del segretario Safan ci sono ottocentosessantasette anni secondo il calcolo ebraico. Difatti Dio apparve a Mosè nel roveto ardente nell'anno della creazione 2213, e il segretario Safan pubblicò il libro della legge nell'anno della creazione 3380. Questo libro ritrovato sotto il regno di Giosia restò sconosciuto fino al ritorno dalla cattività in Babilonia; ed è scritto che fu Esdra, ispirato da Dio, a riportare alla luce tutte le sacre Scritture. Ora, sia Esdra o un altro ad aver scritto questo libro, ciò è assolutamente indifferente dal momento che questo libro è ispirato. Nel Pentateuco non si dice che Mosè ne sia l'autore; sarebbe dunque permesso attribuirlo a un altro uomo cui lo Spirito divino l'avesse dettato se la Chiesa da parte sua non avesse deciso che il libro è di Mosè. Alcuni contestatori aggiungono che nessun profeta ha mai citato i libri del Pentateuco, che non se ne parla né nei salmi, né nei libri attribuiti a Salomone, né in Geremia, né in Isaia, insomma in nessun libro canonico. Le parole che corrispondono a Genesi, Esodo, Numeri, Levitico, Deuteronomio, non si trovano in nessun altro scritto né dell'Antico né del Nuovo Testamento."

Voltaire, Tutti i romanzi e i racconti, Dizionario filosofico, Newton, 1995, p. 649

Voltaire si libera della palla passando a Ficino.

"Tutto ciò che produce un effetto deve essere più eccellente dell'effetto stesso. Quanto più una cosa è libera dalla materia, tanto più è superiore. Per cui la causa deve sempre essere più libera dalla materia di quanto lo sia l'effetto. Pertanto nessun effetto può essere più libero dalla materia di quanto lo sia la propria causa. La potenza vegetativa è pienamente indipendente dalla materia, dal momento che, come abbiamo dimostrato altrove, essa compie moltissime operazioni che si collocano al di sopra e al di là dell'ordine degli elementi. La potenza sensitiva è ancora più indipendente dalla materia, perché nell'atto stesso di sentire coglie le forme delle realtà corporee senza la materia di cui esse sono fatte. Infatti, la vista non coglie il colore della parete insieme con la parete, ma percepisce l'immagine spirituale del colore. Di molto superiore, poi, da questo punto di vista, è l'azione dell'intelligenza; come mostreremo nei libri successivi. Dunque, poiché queste potenze dell'animo sono notevolmente indipendenti dalla materia, esse non possono derivare da una causa tale da essere o di natura materiale o immersa nella materia. Gli umori sono totalmente corporei. Per cui essi unendosi e armonizzandosi insieme non possono in alcun modo generare siffatte potenze; molto meno dunque possono generare l'anima che è la fonte di tali potenze. Se la sostanza dell'anima avesse il proprio fondamento nelle qualità degli umori, di certo tutto ciò che ad essa giungerebbe lo percepirebbe tramite le affezioni degli umori, attraverso le quali vengono percepite solo le forme corporee."

Marsilio Ficino, Teologia platonica, Bompiani, 2011, p. 573

Marsilio Ficino serve in attacco Imanuel Kant.

"La separazione dei buoni dai cattivi - cosa che, mentre la chiesa progredisce verso la perfezione, non sarebbe stata conciliabile appunto con questo fine da essa perseguito (poiché la mescolanza degli uni con gli altri era necessaria precisamente, sia per mettere alla prova della virtù i buoni, sia per ritrarre i cattivi dal male con l'esempio dei buoni) - ci è rappresentata come l'ultima conseguenza della fondazione completa dello Stato divino. A questo si aggiunge pure l'ultima prova della stabilità di questo Stato, considerato come una potenza, cioè la sua vittoria sui nemici esteriori, che sono precisamente considerati anch'essi come membri di uno Stato (lo Stato infernale). Con tale vittoria, tutta la vita terrena ha fine, poiché «l'ultimo nemico (degli uomini buoni), la morte, è distrutto» e per le due parti, per la salvezza degli uni e per la dannazione degli altri, comincia l'immortalità; la forma stessa di una chiesa cessa di esistere; ed il vicario sulla terra entra in una sola classe con tutti gli uomini, che ha elevato fino a Lui in qualità di cittadini celesti, e così Dio è tutto in tutto."

Imanuel Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, Laterza, 2018, p. 149

Su Imanuel Kant si precipita Bakunin che, dopo averlo spinto con la spalla, gli toglie la palla.

"Dopo migliaia di secoli di vani sforzi per rinvenire in sé, la Divinità, perduta e sparsa nella materia che ella anima e mette in movimento, trova un punto d'appoggio, una sorta di focolare per il proprio raccoglimento. E' l'uomo; ossia la sua anima immortale imprigionata in un corpo mortale. Ma ogni uomo individualmente considerato è infinitamente ristretto, e troppo piccolo per rinserrare l'immensità divina; non può contenerne che una piccolissima parte, immortale come il Tutto, ma infinitamente più piccola del Tutto. Ne risulta che l'Essere divino, l'Essere assolutamente immateriale, lo spirito, è divisibile come la materia. Ecco ancora un mistero di cui bisogna lasciare la soluzione alla fede. Se Dio tutto intero, potesse abitare in ciascun uomo, ciascun uomo sarebbe Dio. Noi avremmo allora un'immensa quantità di Dei, ciascuno dei quali si troverebbe limitato da tutti gli altri, e non essendo per questo meno infinito; contraddizione che implicherebbe necessariamente la mutua distruzione degli uomini, l'impossibilità che ce ne fosse più d'uno. Quanto alle particelle, è un 'altra cosa; nulla di più ragionevole, in effetti, che una particella sia limitata da un 'altra, e che essa sia più piccola del tutto. Ma qui si presenta un 'altra contraddizione. Essere più grande o più piccolo è un attributo della materia, non dello spirito come l'intendono gli idealisti. E' vero che, secondo i materialisti lo spirito non è che il funzionamento dell'organismo affatto materiale dell'uomo, e la grandezza o piccolezza dello spirito dipendono dalla più o meno grande perfezione materiale dell'organismo umano.

M. Bakunin, Dio e lo Stato, Samonà e Savelli. 1971, p. 46

In possesso della palla, Bakunin consapevole della sua forza atletica, perde un po' di tempo, dando modo ai suoi compagni di squadra di posizionarsi, prima di iniziare la sua azione verso la porta avversaria…

 

Continua...

 

Marghera, 22 agosto 2018

 

 

Gli Dèi riflettono su questa relazione:

Anubi e i filosofi Rinascimentali contro Dialettici n. 9, azione 47

 

Pagina tradotta in lingua portoghese

Tradução para o português: Capítulo 78 - A partida de futebol entre filósofos, ação n.47 Renascentistas contra Dialéticos n. 9

 

 

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Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

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