Friedrich Engels

Le biografie dei giocatori - dodicesima biografia

Capitolo 95

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Claudio Simeoni

 

Le biografie dei filosofi che partecipano alla partita di calcio

 

La biografia di Friedrich Engels

 

Engels nasce nel novembre del 1820 primogenito di otto fratelli. Suo padre è un proprietario di filande. Un capitalista. Dal punto di vista religioso è un "pietista". Il suo fanatismo religioso si riversa sui figli e Friedrich ne è una vittima.

Anche Kierkegaard è una vittima dell'assolutismo religioso cristiano. Ma mentre Kierkegaard farà proprio il fanatismo religioso e lo veicolerà all'interno della sua filosofia esaltandolo e proponendolo, Friedrich Engels si ribella al fanatismo religioso anche se non sarà mai in grado di liberarsene del tutto.

Il pietismo è uno sviluppo dell'ideologia protestante che spinge l'uomo verso il misticismo e pretende una prassi di vita che scimmiotti la vita di Gesù e degli apostoli come i cristiani luterani immaginavano che questa fosse stata.

Il misticismo dei pietisti ritiene che l'istruzione non serva (tutto viene concessi da Dio. Se Dio non lo concede, tu non lo puoi pretendere). Per questo il padre non consente a Friedrich di finire il liceo e preferisce mandarlo a lavorare come contabile a Brema. Era il 1837.

A Brema frequenta i circoli letterari della sinistra hegeliana con Arnold Ruge, Bruno Bauer e David Friedrich Strauss.

Nel 1839 a diciannove anni con lo pseudonimo Friedrich Oswald, nel Telegraph für Deutschland (Telegrafo per la Germania), riesce a pubblicare un articolo sulle atroci condizioni di vita degli operai negli opifici gestiti dai pietisti cristiani. Operai costretti a lavorare in stanze basse in cui respirano più polvere di carbone che non ossigeno fin dall'età di sei anni. Pietisti e mistici che costringono bambini a lavorare togliendo loro forza e gioia di vivere.

Questo articolo, scritto a diciannove anni, segna la scelta di vita di Engels. Engels si stacca dalla scelta pietista del padre e sceglie la via del cittadino e della democrazia. Comunque, non si libererà mai della violenza con cui il cristianesimo gli ha imposto di credere. Continuerà a credere anche se considera le chiese cristiane artefici della miseria umana. Però non le combatterà mai.

Nella rivoluzione francese del 1830 vede il tentativo di affermare la democrazia contro la dittatura monarchica.

Legge la Vita di Gesù di Strauss che considera i vangeli delle storie inventate, fasulle, una sorta di "mito" e studia Schleiermacher per coniugare il sentimento religioso con una ragione che respinga ciò che nella religione è inaccettabile.

Nel 1839 afferma di adottare l'idea di Dio di Hegel entrando a far parte dei così detti "neo-pietisti".

Sempre nel 1839 scrive un nuovo articolo sulle condizioni di vita degli operai della regione di Elberfeld dimostrando come questo sia uno dei motivi centrali della sua esistenza nel mondo.

Una caratteristica fondamentale da cui si muove la formazione del pensiero di Engels è il riconoscimento del valore positivo, in termini sociali, dell'occupazione napoleonica della Germania.

La Germania è stata costretta ad adottare il Codice Civile che consente ai cittadini di rivendicare i propri diritti sia fra loro che nei confronti delle Istituzioni. Ha portato all'emancipazione degli ebrei portandoli ad essere cittadini e critica la scuola di diritto tedesca legata ancora alle corporazioni medioevali.

E' indubbio che in Engels c'è una grande spinta verso il nuovo e non ha nessun progetto di possedere parte della società sostituendosi all'aristocrazia esistente. La spinta di un democratico che, anziché sottomettersi al pietismo come fece Kierkegaard, cerca la propria strada per affermare sé stesso.

Nell'ottobre del 1841 è a Berlino per compiere il servizio militare. Si appassiona di "strategia militare" con la quale alimenterà il proprio concetto di dialettica. La passione per la "strategia militare" gli durerà per tutta la vita e spesso questa appare nelle articolazioni dei suoi scritti. Il concetto è quello di progettare il futuro con le stesse modalità con cui la "strategia militare" progetta di vincere la battaglia o la guerra.

Nel 1841 il governo tedesco affida la cattedra di filosofia a Schelling per contrapporne il pensiero filosofico di un vecchio, che in attesa di morire si rivolge al misticismo, al pensiero di Hegel che il governo tedesco percepisce come pericoloso. Engels critica la filosofia della rivelazione di Schelling e critica le posizioni di Hegel che da premesse progressiste arriva a conclusioni conservatrici. Il progetto filosofico di Schelling è quello di alimentare l'idea di sottomissione all'autorità, alimentare la credenza nel misticismo e giustificare il dogmatismo.

Nel 1842 su la Rheinische Zeitung, un quotidiano progressista di Colonia, Engels denuncia la mancanza di libertà di stampa e la necessità di ottenere una Costituzione democratica.

Termina il servizio militare l'8 ottobre 1842 e si trasferisce a Mancester, in Inghilterra, per occuparsi dell'azienda Ermen & Engels di cui il padre è uno dei proprietari.

Vivendo in Inghilterra a contatto con le pessime condizioni di vita degli operai Inglesi, riesce a vedere un miglioramento delle loro condizioni di vita solo attraverso una modificazione violenta della struttura sociale cosa che ritiene impossibile perché, dice, gli operai inglesi sono addestrati all'obbedienza e solo una crisi economica abbastanza forte da modificare la loro sicurezza nel lavoro potrebbe scuoterli. In sostanza, la paura di morire di fame provocherebbe una violenta azione sociale anziché un'azione politica.

Questa illusione di Engels si scontra con la realtà. Abbiamo visto che le persone e i popoli ridotti alla fame non modificano la struttura sociale mediante un'azione violenta, ma si riducono all'accattonaggio come imposto loro dall'educazione cristiana.

Nel Regno Unito Engels scopre che le differenze fra i partiti politici sono anche differenze di classe sociale. I Tories sono i nobili e gli integralisti religiosi; i Whigs sono commercianti, borghesi e protestanti dissidenti dall'anglicanesimo; gli uomini della bassa borghesia sono radicali; mentre dai proletari trae forza il cartismo [Cartismo: Movimento politico-sociale inglese a carattere democratico e umanitario, della prima metà del sec. XIX; chiedeva il suffragio universale maschile, lo scrutinio segreto, il parlamento annuale, un'indennità ai deputati, collegi numericamente uguali, l'abolizione del censo].

Nell'agosto del 1844 inizia il sodalizio con Marx.

Da questo momento in poi la storia di Engels si intreccia con quella di Marx e i due lavoreranno praticamente in simbiosi.

Nel 1843 Engels e Marx conoscono i membri della "Lega dei giusti" con cui riprende contatti nel 1845 assieme a Marx.

Nel 1847 nel congresso di Londra della "lega dei giusti" la Lega cambia nome in "Lega dei comunisti" e il motto da "Tutti gli uomini sono fratelli" diventa "Proletari di tutto il mondo unitevi". Il congresso incaricò Marx ed Engels di elaborare il Manifesto del partito.

Nel 1848 durante la rivoluzione Engels raggiunge Marx a Parigi e insieme redigono le richieste del Partito Comunista Tedesco. Che cosa chiedono? Chiedono: la formazione di una Repubblica tedesca, una moneta unica, la fine dei privilegi feudali, la riforma agraria, la nazionalizzazione delle banche, dei trasporti, delle miniere, un'imposta progressiva, la separazione fra Stato e Chiesa. Riconoscendo il carattere democratico-borghese della rivoluzione in atto, cercano di trarne da essa dei vantaggi sociali che diventino permanenti nella società tedesca.

Tutte queste richieste nel 2000 sono state realizzate da tutte le nazioni Europee. Dunque, possiamo dire che Marx ed Engels hanno vinto. Non si tratta della vittoria di chi voleva dominare, ma della vittoria di chi voleva costruire delle libertà sociali dato in momento storico in cui viveva.

Tuttavia, tutta la rivoluzione del 1848 viene spazzata via. In Francia il generale Cavaignac la soffoca in un bagno di sangue. Francoforte e Colonia vengono assediate e la ribellione repressa.

Il 12 luglio 1849 con la sconfitta delle milizie comuniste di August Willich, membro della Lega dei comunisti che fuggiranno in Svizzera, la rivolta è definitivamente sedata.

Nel 1850 si espelle dalla Lega dei Comunisti il gruppo di Willich che vorrebbero la lotta armata per la lotta armata e nel 1852 si scioglie anche la Lega dei Comunisti.

Engels si schiera contro le tesi di Feuerbach per ricordare il distacco del materialismo dall’idealismo tedesco scrivendo:

“L’idealismo di Feuerbach che i rapporti fra gli uomini basati su una inclinazione reciproca, l’amore sessuale, l’amicizia, la compassione, il sacrificio, ecc. egli non li considera come sono di per sé, senza riferirsi in modo retrospettivo a una religione particolare, che anche per lui appartiene al passato, ma afferma che essi acquistano il loro pieno valore soltanto allorché si da loro, col nome di religione, una consacrazione più alta. L’essenziale per lui non è l’esistenza di questi rapporti puramente umani, ma il fatto che essi vengano concepiti come la nuova, la vera religione.”

Engels, Ludwig Feuerbach, Editori riuniti, 1972 p. 45.

Engels partecipa al primo Congresso dell'Internazionale a Ginevra fra il 6 e il 13 settembre 1866 e si schiera contro i proudhoniani e i lassalliani legati alla politica di Bismark.

Il 27 marzo 1867 Marx conclude il primo libro de Il capitale.

Nel 1869 Engels lascia l'amministrazione dell'azienda e con Lizzie Burns, sorella della compagna Mary e una delle figlie di Marx, Eleanor viaggia in Irlanda alimentando le simpatie per la lotta per l'indipendenza dall'Inghilterra pur criticandone i metodi.

Il 19 luglio 1870 scoppia la guerra franco-prussiana.

Il 18 marzo 1871 Parigi insorge. I comunardi vengono sconfitti e macellati. Marx ed Engels si erano opposti all'insurrezione, ma la sinistra populista ebbe la meglio.

Nel 1877 Engels scrive uno dei testi fondamentali della sua filosofia sociale e politica per individuare la filosofia del materialismo storico: L'Antiduring. Nella critica alla visione utopica del positivista During, Engels propone i principi fondamentali della filosofia materialistico dialettica.

Scrive Engels nell'Antiduring:

Sin qui il sig. Duhring. Il metodo matematico per cui «ogni questione deve risolversi assiomaticamente in forme fondamentali semplici, come se si trattasse di semplici... principi della matematica»; questo metodo è qui applicato per la prima volta. «L'essere che tutto abbraccia è unico.» Se Una tautologia, semplice ripetizione nel predicato di ciò che è già espresso nel soggetto, costituisce un assioma, qui ne abbiamo uno della più bell'acqua. Nel soggetto il sig. Duhring ci dice che l'essere abbraccia tutto e nel predicato afferma intrepido, che allora niente è fuori di esso. Che colossale idea «creatrice di un sistema»! Creatrice di un sistema, infatti! Non sono ancora passate altre sei righe ed ecco che il sig. Duhring, per mezzo del nostro pensiero unitario, ha trasformato l'unicità dell'essere nella sua unità. Poiché l'essenza di tutto il pensiero consiste nell'attività sintetica unitaria, l'essere, tosto che viene pensato, viene pensato come unitario: il concetto del mondo è un concetto indivisibile; e poiché l'essere pensato, il concetto del mondo, è unitario, l'essere reale, il mondo reale, è parimente una unità indivisibile. Conseguentemente, «una volta che lo spirito abbia imparato a concepire l'essere nella sua omogenea universalità, non c'è più luogo per le trascendenze». E' questa una campagna di fronte alla quale scompaiono completamente Austerlitz e Jena, Koniggratz e Sedan. Con poche frasi, appena una pagina dopo che abbiamo mobilitato il primo assioma, abbiamo già abolito, eliminato, annientato ogni trascendenza, dio, le schiere celesti, il cielo, l'inferno e il purgatorio, insieme all'immortalità dell'anima. Come arriviamo dall'unicità dell'essere alla sua unità? In generale col pensarlo nella nostra mente. L'essere unico diventa nel pensiero un essere unitario, una unità ideale, non appena intorno ad esso tendiamo il nostro pensiero unitario come una cornice; infatti l'essenza di tutto il pensiero consiste nella riunione di elementi della coscienza in una unità.
Quest'ultima proposizione è semplicemente falsa. In primo luogo il pensiero consiste tanto nella scomposizione degli oggetti della coscienza nei loro elementi, quanto nella riunione di elementi omogenei in una unità. Senza analisi non c'è sintesi. In secondo luogo, il pensiero non può, se non vuol prendere un granchio, che raccogliere in una unità quegli elementi della coscienza nei quali, o nei prototipi reali dei quali, questa unità esisteva già da prima. Se si sussume una spazzola da scarpe sotto l'unità mammifero, ci vuol altro perché le crescano le mammelle. L'unità dell'essere, ossia la legittimità del fatto che esso venga concepito nel pensiero come unità, è quindi proprio ciò che si doveva dimostrare e se il sig. Duhring ci assicura che egli pensa nella sua mente l'essere unitariamente e non già come una dualità, con ciò non ci racconta altro che la sua non autorevole opinione.
Se vogliamo presentare nettamente la linea del suo pensiero, essa è la seguente: Io comincio con l'essere. Quindi io penso nella mia mente l'essere. Il pensiero dell'essere è unitario. Ma pensare ed essere devono armonizzare: essi sono in corrispondenza l'uno con l'altro: «coincidono». Quindi l'essere è unitario anche nella realtà. Quindi non ci sono «trascendenze». Ma se il sig. Duhring avesse parlato così scopertamente invece di regalarci le sentenze oracolari che abbiamo riportate sopra, l'ideologia sarebbe stata chiaramente visibile.

Engels, L'Antiduhring, Editori Riuniti, 1971, p. 46 – 47

La visione filosofica di Engels è un visione antiontologica. Questa idea di "penso l'Essere e dunque l'Essere esiste" è una delle follie, delle malattie psichiatriche, della filosofia. Penso ad una cosa immensa che chiamo Essere, Dio, pretendendo che, dal momento che lo penso, debba necessariamente esistere e tutti devono convenire nella sua esistenza.

Lo scontro nella filosofia non consiste più nell'interpretazione dei dati di realtà, ma nell'argomentazione formale con cui, dato un non-sense iniziale, come l'Essere "che tutto abbraccia ed è unico", si deve necessariamente procedere ad una costruzione logica che ha il non-sense come prologo e conclusione del discorso.

Dal momento che il non-sense, l'Essere, non può né deve essere discusso, ne deriva che tutti coloro che mettono in discussione l'Essere per poter procedere con una diversa costruzione logica devono necessariamente essere messi a tacere o ammazzati affinché non procedano a mettere in discussione l'Essere come fondamento di quella logica. Si può discutere del tipo di logica che procede dall'Essere, ma non si può discutere dell'Essere che deve essere accettato come fondamento di ogni discorso.

Engels cita Duhring che dice che " una volta che lo spirito abbia imparato a concepire l'essere nella sua omogenea universalità, non c'è più luogo per le trascendenze". Duhring dice, in sostanza, che una volta che vengono costrette le persone a imparare a concepire Dio nella sua omogenea universalità, non c'è più la necessità di pensarlo come trascendente, esterno, alla vita stessa. In questo modo, dice Engels, Duhring avrebbe spazzato via la necessità dei cristiani di avere strumenti di terrore come Dio, le schiere celesti, il cielo, l'inferno, il purgatorio e l'immortalità dell'anima.

Una battaglia del genere, dice ancora Engels è infinitamente più grande di tutte le battaglie moderne della sua epoca.

Per questo Engels afferma che il pensiero "consiste tanto nella scomposizione degli oggetti della coscienza nei loro elementi, quanto nella riunione di elementi omogenei in una unità". In sostanza, dice Engels, il pensiero scompone gli oggetti in categorie e ricompone quella scomposizione in insiemi di elementi omogenei. Un conto è pensare agli Esseri della Natura come un insieme e un altro conto è spacciare come soggetto, essere, l'dea di Dio, provata da quell'insieme. Puoi annoverare Dio fra gli esseri, ma resta sempre un'astrazione priva di corpo e priva di realtà a differenza degli esseri che hanno un corpo e una realtà in cui agiscono.

Engels dice che "senza analisi non c'è sintesi", ma l'analisi verte su condizioni che rientrano, sempre e comunque, nel sensibile ed ha la necessità di separare il reale dall'immaginario, la realtà dalla malattia psichiatrica. Questo perché, dice Engels, Duhring avrebbe dovuto dimostrare la legittimità che l'Essere sia concepito nel pensiero come unità. Questo anche se Duhring avrebbe dovuto dimostrare il percorso di analisi del reale per cui Durhing arrivava ad affermare l'esistenza e la realtà dell'Essere, di Dio.

La filosofia di Engels è una filosofia antiontologica. La filosofia di Engels non ammette oggetti dell'immaginazione a fondamento del reale da analizzare. Gli oggetti dell'immaginazione hanno il loro posto nell'immaginazione, quando pretendono di dominare il reale, essi stessi assumono un dato di realtà che, anziché dimostrare il contenuto descritto, dimostrano l'alienazione dell'individuo, che li afferma, dalla realtà in cui vive.

Come si riempiono di contenuti le condizioni psicologiche e patologiche vissute dalle persone? Attraverso la soddisfazione del bisogno e del desiderio. E' la soddisfazione del bisogno e del desiderio nella realtà vissuta che permette alle persone di non essere prigioniero di un desiderio che immagina contenuti deliranti come "Dio".

Scrive Engels:

Voler dimostrare, partendo dall'identità di pensiero ed essere, la realtà di qualsiasi prodotto del pensiero: questo è stato precisamente uno dei più folli deliri febbrili di un Hegel. Il sig. Duhring, anche se il suo procedimento dimostrativo fosse giusto, non avrebbe guadagnato sugli spiritualisti neanche un pollice di terreno. Gli spiritualisti gli risponderebbero in breve: il mondo è semplice anche per noi; la divisione in al di là e al di qua esiste solo per il nostro punto di vista specificamente terreno, inficiato dal peccato originale; in sé e per sé, cioè in dio, tutto l'essere è uno. E accompagnerebbero il sig. Duhring sugli altri corpi celesti a lui cari e gliene mostrerebbero uno o più in cui non ha avuto luogo nessun peccato originale; in cui quindi non esiste antitesi tra l'al di qua e l'al di là e in cui l'unità del mondo è un postulato della fede.
L'elemento più comico della cosa è che il sig. Duhring per dimostrare la non esistenza di dio partendo dal concetto dell'essere, applica la prova ontologica dell'esistenza di dio. Essa suona così: se noi immaginiamo dio, lo immaginiamo come la somma di tutte le perfezioni. Ma alla somma di tutte le perfezioni è inerente prima di tutto l'esistenza, infatti un essere non esistente è necessariamente imperfetto. Quindi tra le perfezioni di dio dobbiamo annoverare anche l'esistenza. Dunque dio deve esistere ... Precisamente nella stessa maniera ragiona il sig. Duhring: se noi pensiamo nella nostra mente l'essere, lo pensiamo come un concetto. Ciò che è compreso in un concetto è unitario. L'essere dunque non corrisponderebbe al suo concetto se non fosse unitario. Conseguentemente esso deve essere unitario. Conseguentemente dio non esiste, ecc.
Se noi parliamo dell'essere, e semplicemente dell'essere, l'unità può consistere solo nel fatto che tutti gli oggetti di cui si tratta sono, esistono. Essi sono raccolti nell'unità di quest'essere e in nessun'altra, e l'espressione comune che, essi tutti, sono, non solo non può dar loro nessun'altra proprietà comune o non comune, ma come tale, esclude, per il momento, dalla nostra considerazione ogni altra proprietà similare. Infatti appena ci allontaniamo anche solo di un millimetro dal semplice fatto fondamentale che tutte queste cose hanno in comune l'essere, cominciano a balzarci agli occhi le differenze di queste cose, e se queste differenze consistono nel fatto che di queste cose le une sono bianche e le altre sono nere, le une sono animate e le altre inanimate, le une sono, diciamo, dell'al di qua, le altre dell'al di là, è cosa che non possiamo decidere partendo dal fatto che ad esse tutte egualmente è attribuita la semplice esistenza.

Engels, L'Antiduhring, Editori Riuniti, 1971, p. 47 – 48

Non solo per Engels l'Essere non esiste, ma non è opinabile nemmeno la sua possibilità di esistenza. Engels definisce frutto di follia le affermazioni di Hegel secondo cui voler affermare la realtà di ogni prodotto dell'immaginazione trasformato in pensiero. Dovremmo forse considerare reali i contenuti delle sedute di terapia dei malati psichiatrici con i loro dottori?

Hegel rileva come sia per affermare l'esistenza di Dio, sia per negare l'esistenza di Dio, non ci si riferisce a dati di realtà ma solo ad una contrapposizione fra due fazioni ontologiche. In sostanza, uno dice che Dio esiste mentre l'altro dice che Dio non esiste. Entrambi proclamano Dio e nessuno di loro mette in discussione la logica sociale sviluppata dall'esistenza di Dio perché non sono in grado di argomentare contro Dio o a favore di Dio al di fuori del puro affermare e del puro negare.

Dice Engel che affermare, come fa Hegel, che tutti gli oggetti dell'universo, qualunque sia la loro realtà, formano un "tutto" e chiamare quel "Tutto" con l' "Essere", come l'Essere fosse un oggetto in sé e cosciente di sé, è un inganno perché un conto è affermare che gli oggetti esistono e un altro conto è affermare l'esistenza di un oggetto dell'immaginazione dedotto arbitrariamente dal fatto che gli oggetti, che consideriamo, esistono. Mentre gli oggetti dell'insieme esistono in quanto oggetti, l'insieme esiste per l'esistenza degli oggetti e non è indipendente dagli oggetti che esistono. Oggetti il cui minimo comune denominatore è quello di esistere a differenza dell'insieme che non ha a fondamento l'esistenza, ma solo la rappresentazione dell'insieme degli oggetti che esistono.

Scrive Engels:

Del resto il sig. Duhring non riuscirà a pensare senza contraddizione la reale infinità. L'infinità è una contraddizione ed è piena di contraddizioni. E' già una contraddizione che una infinità debba essere composta puramente di cose finite, eppure questo avviene. La limitatezza del mondo materiale porta a contraddizioni non meno della sua illimitatezza, ed ogni tentativo di eliminare queste contraddizioni porta, come abbiamo visto, a nuove e peggiori contraddizioni. Precisamente perché l'infinità è una contraddizione, essa è un processo infinito che si svolge senza un termine nello spazio e nel tempo. La soppressione della contraddizione sarebbe la fine dell'infinità. Tutto questo Hegel lo aveva già compreso in modo assolutamente giusto e perciò egli tratta con meritato disprezzo anche quei signori che si stillano il cervello intorno a questa contraddizione.
Andiamo avanti. Dunque il tempo ha avuto un principio.
Che cosa c'era prima di questo principio? Il mondo che si trovava in uno stato eguale a se stesso, immutabile. E poiché in questo stato non abbiamo mutamenti successivi, anche il concetto più specifico di tempo si trasforma nell'idea più generale dell'essere. In primo luogo, qui a noi non interessa affatto quali concetti si trasformino in testa al signor Duhring. Non si tratta del concetto di tempo, ma del tempo reale e di questo il sig. Duhring non si libererà tanto a buon mercato. In secondo luogo, per quanto il concetto di tempo possa trasformarsi nell'idea più generale dell'essere, non perciò noi faremo un passo avanti. Infatti, le forme fondamentali di tutto l'essere sono spazio e tempo, e un essere fuori del tempo è un assurdo altrettanto grande quanto un essere fuori dello spazio. L'«essere trascorso senza tempo» di Hegel, il neoschellingiano «essere impensabile in precedenza» sono idee razionali in confronto a questo essere fuori del tempo. Perciò il sig. Duhring si mette all'opera anche con molta cautela: parlando con precisione, probabilmente c'è un tempo, ma è un tempo tale che in fondo non si può chiamare tempo: il tempo invero, in se stesso, non consta di parti reali, e solo dal nostro intelletto viene arbitrariamente diviso, solo un tempo realmente riempito di fatti distinguibili appartiene alla sfera del numerabile: che cosa possa significare l'accumularsi di un vuoto durare è cosa che non si può assolutamente pensare. Che cosa possa significare questo accumularsi è qui assolutamente indifferente; ci si chiede se il mondo, nello stato che qui è presupposto, dura, ha una durata nel tempo. Che a misurare una tale durata priva di contenuto, non si ricavi niente, precisamente come a misurare lo spazio vuoto senza scopo e senza meta, è cosa che sappiamo già da lungo tempo, ed anzi, proprio per via dell'insulsaggine di questo procedere, Hegel, questa infinità la chiama anche la cattiva infinità. Secondo il sig. Duhring il tempo esiste solo in virtù del cambiamento e non esiste il cambiamento nel tempo e in virtù del tempo. Precisamente perché il tempo è diverso e indipendente dal cambiamento, lo si può misurare per mezzo del cambiamento, infatti il misurare implica sempre una cosa diversa da quella da misurare. E il tempo nel quale non avvengono cambiamenti avvertibili è molto lontano dal non essere un tempo; esso è invece il tempo puro, non affetto da mescolanze estranee, e quindi il tempo vero, il tempo come tale. Infatti se noi vogliamo cogliere il concetto di tempo in tutta la sua purezza, separato da ogni mescolanza estranea e indebita, siamo costretti a metter da parte come indebiti tutti i vari avvenimenti che accadono simultaneamente o successivamente nel tempo, e conseguentemente a rappresentarci un tempo nel quale non avviene niente. Con ciò dunque, noi non abbiamo fatto assorbire il concetto di tempo dall'idea generale dell'essere, ma siamo solo arrivati al concetto puro di tempo.
Ma tutte queste contraddizioni e impossibilità sono ancora un puro giuoco da bambino di fronte alla confusione in cui cade il sig. Duhring col suo stato iniziale eguale a se stesso del mondo. Se una volta il mondo era in uno stato in cui non avveniva assolutamente nessun cambiamento, come ha potuto passare da questo stato al cambiamento? Ciò che è assolutamente privo di cambiamento e che inoltre è in questo stato dall'eternità, non può da se stesso uscire da questo stato e passare a quello di movimento e di cambiamento. E' necessario quindi che dall'esterno, dal di fuori del mondo, sia venuto un primo impulso che lo abbia posto in movimento. Ma è noto che il «primo impulso» non è che un'altra espressione per dire dio. Quel dio e quell'al di là che il sig. Duhring nella sua schematizzazione del mondo pretendeva di aver così bellamente liquidato, egli stesso li riporta tutti e due, precisati e approfonditi, nella filosofia della natura.
Inoltre, il sig. Duhring dice: «Laddove un elemento costante dell'essere ha una grandezza, questa rimarrà immutata nella sua determinatezza. Questo vale ... per la materia e per l'energia meccanica», Detto di passaggio, la prima proposizione fornisce un esempio prezioso della magniloquenza assiomatico-tautologica del signor Duhring: laddove una grandezza non cambia, resta la stessa. Quindi la quantità di energia meccanica che c'è nel mondo resta eternamente la stessa. Noi prescinderemo dal fatto che, nella misura in cui tutto questo è giusto, nella filosofia Descartes lo aveva già saputo e detto circa trecento anni fa, e che nella scienza della natura la dottrina della conservazione dell'energia da vent'anni è in voga dappertutto; e dal fatto che il sig. Duhring, limitandola all'energia meccanica, non migliora in nessun modo questa dottrina. Ma dove era l'energia meccanica al tempo dello stato di immutabilità? A questa domanda il sig. Duhring ci rifiuta ostinatamente ogni risposta.

Engels, L'Antiduhring, Editori Riuniti, 1971, p. 57 – 59

Il tempo è oggetto in sé. Un oggetto in sé al di fuori della percezione razionale e al di fuori di ogni possibile descrizione e definizione. Nel mondo della ragione percepiamo il tempo attraverso il mutamento. Il mutamento, ogni mutamento, misura il tempo nella ragione. I mutamenti non sono possibili nel mondo del tempo perché ogni mutamento non è una trasformazione, ma un apparire, una rappresentazione di un nuovo oggetto che rimane sempre uguale a sé stesso pur apparendo sempre nuovi oggetti che sono sempre il medesimo oggetto. Il mondo del tempo è caratterizzato dall'immutabilità. Gli oggetti nel mondo del tempo non mutano. E' l'emozione che sorgendo negli oggetti del mondo spinge gli oggetti all'azione, al mutare apparendo uguali a sé stessi ogni volta che appaiono nuovi e diversi. La ragione interviene a misurare il cambiamento. La ragione descrive l'azione degli oggetti del mondo come cambiamento. La ragione misura la forma e la quantità e, misurando la forma e la quantità, misura anche le trasformazioni della forma e della quantità.

L'azione, che manifesta il cambiamento come manifestazione della volontà, inizia e termina in sé stessa. Produce un soggetto diverso da prima che agisse, ma quel soggetto è fermo nel tempo. Ha ucciso sé stesso, ciò che era prima di mettere in essere l'azione, e riappare dopo l'azione come nuovo e assoluto nel tempo. Tutto è fermo, tutto attende un nuovo agire, una nuova azione. Quando il soggetto agisce muore il soggetto che ha preceduto l'azione e l'azione trasforma producendo un nuovo soggetto che a sua volta si rappresenta come assoluto nel mondo del tempo. Il mondo della ragione dice: sei un uomo che ha superato le avversità, ma sei sempre lo stesso uomo sia prima che adesso. Il prima e l'adesso sono i limiti della trasformazione con cui viene misurato il tempo nel mondo della ragione.

L'infinito nello spazio e nel tempo è l'infinito delle trasformazioni a cui attende il presente, qualunque sia la forma che il presente attende.

Ciò che era all'inizio del tempo era un oggetto senza cambiamento. Un oggetto che si rappresentava come sé stesso nel tempo e che viveva la staticità di sé stesso nel tempo.

L'oggetto all'inizio del tempo occupava uno spazio, ma era privo di mutamento, privo di trasformazioni interne.

Che da questa condizione l'oggetto all'inizio del tempo fosse privo di mutamento o comunque privo dei mutamenti che noi possiamo pensare, è una condizione che possiamo immaginare, ma dal come noi immaginiamo che l'oggetto all'inizio del tempo ha iniziato a manifestare mutamenti, noi regoliamo e organizziamo la nostra vita.

E' uno stimolo esterno all'oggetto che ne ha messo in moto le trasformazioni, o è uno stimolo interno, proprio della materia dell'oggetto, che ha messo in moto le trasformazioni per far nascere il presente?

Questo Engels non lo dice. Tuttavia rileva come Duhring parlando di stimolo esterno che mette in moto i mutamenti dell'oggetto all'inizio del tempo, non fa altro che riprendere il ruolo di Dio nella creazione del mondo.

Scrive Engels:

La teoria kantiana della genesi di tutti gli odierni corpi celesti da masse nebulose rotanti è stata il più grande progresso che l'astronomia abbia fatto dopo Copernico. Per la prima volta fu infirmata l'idea che la natura non abbia una storia nel tempo. Sino allora si riteneva che i corpi celesti permanessero sin dall'origine in stati e traiettorie sempre eguali; e se anche si ammetteva che nei singoli corpi celesti gli individui organici perissero, tuttavia i generi e le specie erano considerati immutabili. Certo la natura era visibilmente in continuo movimento, ma questo movimento appariva come l'incessante ripetizione degli stessi processi. In questa idea assolutamente conforme al modo di pensare metafisico, Kant aperse la prima breccia, e in verità in modo così scientifico, che la massima parte degli argomenti da lui usati conservano anche oggi la loro validità. Certo la teoria kantiana, considerata rigorosamente, è ancora oggi una ipotesi. Ma anche il sistema cosmologico copernicano, sino al giorno d'oggi, non è qualcosa di più, e solo dopo che la prova spettroscopica dell'esistenza di simili masse gassose incandescenti nella volta celeste ha annientato le affermazioni contrarie, l'opposizione scientifica alla teoria kantiana è stata ridotta al silenzio. Neanche il sig. Duhring può portare a termine la sua costruzione del mondo senza un tale stadio nebulare, ma se ne vendica, pretendendo che gli si debba mostrare il sistema meccanico esistente in questo stato nebulare e, poiché questo non è possibile, caricando lo stato nebulare di ogni sorta di epiteti ingiuriosi. Disgraziatamente la scienza moderna non può individuare questo sistema in modo da recar gioia al signor Duhring. Né, egualmente, può rispondere ad altre domande. Alla domanda: perché i rospi non hanno la coda? sino ad ora si può solo rispondere: perché l'hanno perduta. Ma se ci si volesse impuntare e dire che così tutto rimane nel vago e nell'informe di un'idea di perdita non ulteriormente determinabile e che questa è una concezione estremamente campata in aria, con siffatte applicazioni della morale alla scienza della natura non avremmo fatto un passo avanti. Siffatte acrimonie e manifestazioni di insofferenza possono essere applicate sempre e dappertutto e proprio per questo fatto esse non sono a proposito mai e in nessun luogo. Chi impedisce dunque al sig. Duhring di scoprire, anche, il sistema meccanica della nebulosa primitiva?
Per fortuna oggi sappiamo che la massa nebulare kantiana «è molto lontana dal coincidere con uno stato completamente eguale a se stesso del mezzo universale, o per esprimerei diversamente, con uno stato eguale a se stesso della materia». Una vera fortuna per Kant, il quale poteva accontentarsi di risalire dai corpi celesti esistenti alla sfera nebulare e ancora non poteva nemmeno immaginare lo stato eguale a se stesso della materia! Notiamo di passaggio che se nell'odierna scienza della natura la sfera nebulare kantiana viene indicata come nebulosa primitiva, va da sé che questo fatto deve intendersi solo in un senso relativo. Essa è nebulosa primitiva, da una parte in quanto è l'origine dei corpi celesti esistenti e dall'altra in quanto è la forma più remota di materia alla quale possiamo sino ad oggi risalire. La qual cosa non esclude affatto, ma invece implica, che prima della nebulosa primitiva la materia abbia percorso una serie infinita di altre forme.
Il sig. Duhring segna qui un suo vantaggio. Laddove noi, con la scienza, rimaniamo provvisoriamente fermi alla nebulosa primitiva, del pari provvisoria, la sua scienza della scienza lo aiuta a risalire ancora più in là, a quello «stato del mezzo universale, che non è possibile concepire né come puramente statico nel senso che questa idea ha oggi, né come dinamico» e che quindi in generale non «è possibile concepire. L'unità di materia ed energia meccanica, che noi oggi designiamo col nome di mezzo universale, è per così dire una formula logico-reale per indicare lo stato eguale a se stesso della materia come il presupposto di tutti quegli stadi di sviluppo che sono numerabili».
Evidentemente ancora per molto tempo non ci libereremo dallo stato primitivo eguale a se stesso della materia. Qui questo stato è designato come unità di materia ed energia meccanica, e ciò è designato come una formula logico-reale ecc. Quindi non appena cessa l'unità di materia ed energia meccanica, comincia il movimento.
La formula logico-reale non è altro che un fiacco tentativo di rendere utilizzabili per la filosofia della realtà le categorie hegeliane dell'in sé e per sé. Per Hegel nell'in sé consiste l'identità originaria delle opposizioni non sviluppate celate in una cosa, in un processo, in un concetto; nel per sé si manifestano la distinzione e la separazione di questi elementi celati e comincia il loro conflitto. Dobbiamo quindi rappresentarci lo stato primitivo privo di movimento come unità di materia ed energia meccanica, e il passaggio al movimento come separazione e contrapposizione di entrambe. Quello che abbiamo guadagnato con ciò non è la prova della realtà di quello stato primitivo fantastico, ma solo questo, che lo si può comprendere sotto la categoria hegeliana dell'in sé e che la sua egualmente fantastica cessazione, la si può comprendere sotto la categoria del per sé. Hegel, aiuto!
La materia, dice il sig. Duhring, è la portatrice di tutto ciò che è reale; conseguentemente non può esserci nessuna energia meccanica fuori della materia. L'energia meccanica è inoltre uno stato della materia. Ora nello stato primitivo, in cui niente avveniva, la materia era una cosa sola con il suo stato, la energia meccanica. Più tardi, quando qualche cosa cominciò ad accadere, certamente allora questo stato diventò qualcosa di distinto dalla materia. Dovremmo dunque lasciarci pascere di queste frasi mistiche e dell'assicurazione che lo stato eguale a sé stesso non era né statico né dinamico, né in equilibrio né in movimento.
E non sappiamo ancora dove mai in quello stato fosse l'energia meccanica, né come dovremmo, senza un impulso esterno, cioè senza dio, passare dall'assoluta immobilità al movimento.
Prima del sig. Duhring i materialisti parlavano di materia e movimento. Egli riduce il movimento all'energia meccanica come presunta forma fondamentale di esso, e conseguentemente si toglie la possibilità di intendere il nesso reale tra materia e movimento, del resto non chiaro neppure a tutti i materialisti precedenti. Eppure la cosa è abbastanza semplice. Il movimento è il modo di esistere della materia. Mai e in nessun luogo c'è stata o può esserci materia senza movimento. Movimento nello spazio cosmico, movimento meccanico di masse più piccole nei singoli corpi celesti, vibrazione molecolare come calore o come corrente elettrica o magnetica, scomposizione e combinazione chimica, vita organica: sono queste le forme di movimento, nell'una o nell'altra o contemporaneamente in parecchie delle quali si trova, in ogni dato istante, ogni singolo atomo di materia cosmica. Ogni stato di quiete, ogni stato di equilibrio, è solo relativo, ha un senso solo in riferimento all'una o all'altra forma determinata di movimento. Un corpo per es. può trovarsi sulla terra in equilibrio meccanico, meccanicamente in quiete, ma questo fatto non impedisce per nulla che esso prenda parte al movimento della terra, come a quello di tutto il sistema solare; nella stessa maniera che non impedisce alle sue più piccole particelle fisiche di compiere le vibrazioni determinate dalla sua temperatura, o ai suoi atomi di passare attraverso un processo chimico. Materia senza movimento è altrettanto impensabile quanto movimento senza materia.

Engels, L'Antiduhring, Editori Riuniti, 1971, p. 62 – 65

Per i materialisti dialettici, la vita inizia con il concetto di "nebulosa primordiale" di Kant che verrà modificato, nel corso del secolo, in uno stato di materia compressa che origina l'universo mediante il Big-bang.

Tutte le teorie e l'analisi fisica dell'universo portano a questa considerazione. La teoria dell'universo in espansione non è solo un'ipotesi, è una teoria supportata da analisi scientifica. Allo stesso modo per cui la vita ebbe origine da un ipotetico "brodo primordiale". Ogni affermazione scientifica ha dei contenuti. Questi contenuti sono descritti dalle scoperte scientifiche del proprio tempo. Il problema non consiste nella definizione dei meccanismi scientifici dell'idea filosofica, ma comprendere come l'idea filosofica del venir in essere dell'universo, come della vita, è avvenuto per trasformazione di un esistente precedente e se io, nella vita reale, devo mettere in atto nella società un'etica o una morale, questa deve essere conforme alle necessità del divenire della vita.

Questo essere conforme alla necessità del divenire della vita si contrappone alla necessità per l'uomo di adeguarsi e sottomettersi alla morale e all'etica imposte dal Dio padrone in quanto creatore del mondo.

Se affermo che la vita è il prodotto delle trasformazioni che da un precedente ha proceduto a manifestare il presente, per manifestare il futuro, nel mio presente, devo agire conseguentemente. Il cambiamento, dall'agire pensando a Dio che ha creato il mondo all'agire secondo cui la realtà è il prodotto del cambiamento di realtà precedenti non è pacifico. Crea grandi conflitti negli individui. Un individuo educato (addestrato) a vivere per sottomissione, vive con terrore la perdita della relazione fra lui che serve e l'autorità che lo comanda. Si sente smarrito e si sente ancor più smarrito se non può prendere il posto dell'autorità che comanda, ma deve organizzare come uomo in relazione agli altri uomini la propria vita. Per modificare la mentalità dell'uomo sottomesso a Dio che crea ad una mentalità dell'uomo che vive nel mondo e progetta la propria esistenza in vista di un futuro possibile, servono molte generazioni e molti cambiamenti sociali che necessariamente producono conflittualità sociale.

Non è sufficiente dire che l'universo si è prodotto dal Big-bang se l'uomo continua a mettersi in ginocchio davanti a Dio che viene pensato come padrone in quanto creatore del mondo. Un'idea sociale o scientifica modifica l'uomo quando penetra nell'uomo e ne determina i comportamenti e le scelte nella vita quotidiana.

Scrive Engels:

Il passaggio in sede concettuale al mondo organico viene fornito al sig. Duhring dal concetto di finalità. Questo concetto è a sua volta preso a prestito da Hegel che nella Logica, dottrina del concetto, passa dal chimismo alla vita mediante la teleologia o dottrina della finalità. Dovunque gettiamo lo sguardo nel sig. Duhring ci imbattiamo sempre in una «crudezza» hegeliana che disinvoltamente spaccia per quella sua propria scienza che va alle radici. Andremmo troppo in là se indagassimo qui in che misura sia giustificata ed opportuna l'applicazione delle idee di finalità e di mezzo al mondo organico. In ogni caso, anche l'applicazione della «finalità interna» hegeliana, cioè di una finalità che non è introdotta nella natura mediante un terzo che agisce intenzionalmente, come sarebbe la saggezza della provvidenza, ma invece è insita nella necessità della cosa stessa, porta costantemente in gente non perfettamente ferrata in filosofia, all'interpolazione inconsiderata di azione cosciente e intenzionale. Lo stesso signor Duhring che di fronte al più piccolo moto «spiritistico» altrui, cade in una indignazione morale smisurata, assicura «con decisione che le sensazioni istintive ... essenzialmente sono state create per la soddisfazione che è legata alla loro attività». E ci racconta che la povera natura «deve sempre ricominciare da capo a mantenere in ordine il mondo oggettivo» e che inoltre ha anche da sbrigare più di un affare, «che esige da parte della natura una sottigliezza maggiore di quella che di solito le si concede». Ma la natura non solo sa perché fa or questa or quella cosa, non solo deve sbrigare i servizi di una domestica tuttofare, non solo ha della sottigliezza, ciò che è già un simpatico grado di perfezione nel pensiero soggettivo consapevole, ma ha anche una volontà. Infatti l'ulteriore attributo degli istinti, cioè che essi, compiano inoltre reali funzioni naturali, nutrizione, propagazione, ecc., questo ulteriore attributo «dobbiamo ritenere che sia voluto non direttamente, ma solo indirettamente». Con ciò siamo arrivati ad una natura che pensa ed agisce consapevolmente, siamo quindi già sul ponte, ma non sul ponte che porta dallo statico al dinamico, bensì su quello che porta dal panteismo al deismo. O forse aggrada al sig. Duhring fare, una volta tanto, un po' di quella «semipoesia che è propria della filosofia della natura»?
Impossibile. Tutto ciò che il nostro filosofo della realtà ci sa dire sulla natura organica, si limita alla lotta contro questa sernipoesia della filosofia della natura, contro «la ciarlataneria con le sue superficiali facilonerie e con le sue mistificazioni pseudo-scientifiche», contro i « caratteri di pura poesia» del darwinismo.
Prima di ogni altra cosa si rimprovera a Darwin di aver trasferito la teoria malthusiana della popolazione dall'economia alla scienza della natura, di essere stato prigioniero delle idee degli allevatori di animali, di aver fatto, sulla lotta per l'esistenza, della semipoesia non scientifica, finalmente che tutto il darwinismo, toltone quanto è stato mutuato da Lamarck, è un campione di brutalità diretta contro l'umanità.
Darwin aveva riportato dai suoi viaggi scientifici l'idea che le specie vegetali e animali, anziché essere costanti, sono variabili. Per proseguire nello sviluppo di questi pensieri dopo il suo ritorno, non gli si offriva miglior campo di osservazione che l'allevamento delle piante e degli animali. Per questo scopo l'Inghilterra è proprio il paese classico; ciò che si è fatto in altri paesi, per es. in Germania, non può dare neanche lontanamente una misura di ciò che a questo riguardo è stato raggiunto in Inghilterra. Inoltre la maggior parte dei successi appartengono agli ultimi cento anni, cosicché la constatazione dei fatti presenta poche difficoltà. Ora, Darwin trovò che tale allevamento aveva provocato artificialmente, in piante ed animali della stessa specie, differenze maggiori di quelle che si presentano tra specie che in generale sono riconosciute come differenti. Quindi, da una parte era dimostrata la modificabilità delle specie sino ad un certo grado, dall'altra la possibilità di antenati comuni per organismi che possedevano caratteri specifici differenti. Darwin si diede ora ad indagare la possibilità che nella natura si trovino cause che, senza l'intenzione cosciente dell'allevatore, tuttavia alla lunga provochino negli organismi viventi modificazioni analoghe a quelle provocate dall'allevamento artificiale. Queste cause egli le trovò nella sproporzione tra il numero enorme di germi prodotti dalla natura e il numero ristretto di organismi che effettivamente raggiungono la maturità. Ma poiché ogni germe tende allo sviluppo, sorge necessariamente una lotta per l'esistenza che si presenta non solo come l'atto diretto, corporeo, di combattersi o di mangiarsi, ma anche, perfino nelle piante, come lotta per lo spazio e per la luce. Ed è evidente che in questa lotta avranno la migliore prospettiva di raggiungere la maturità e di riprodursi quegli individui che posseggono certe particolarità individuali che, per insignificanti che siano, sono però vantaggiose nella lotta per l'esistenza. Queste proprietà individuali hanno perciò la tendenza a trasmettersi ereditariamente e, se si presentano in più individui della stessa specie, ad incrementarsi, per trasmissione ereditaria accumulata, nella direzione che hanno preso; mentre gli individui che non posseggono queste proprietà, soccombono più facilmente nella lotta per l'esistenza e gradualmente spariscono. In questa maniera una specie si modifica per selezione naturale, mediante la sopravvivenza del più adatto.
Contro questa teoria darwiniana il sig. Duhring dice che l'origine di quest'idea della lotta per l'esistenza debba, come Darwin stesso avrebbe confessato, ricercarsi in una generalizzazione delle vedute dell'economista Malthus, teorico del fenomeno della popolazione e che conseguentemente sarebbe affetta da tutte quelle pecche che sono proprie delle vedute di sapore sacerdotale di Malthus sulla pressione demografica. Ora, a Darwin, neanche da lontano è mai venuto in mente di dire che l'origine dell'idea della lotta per l'esistenza si debba ricercare in Malthus. Egli dice solamente che la sua teoria della lotta per l'esistenza è la teoria di Malthus applicata a tutto il mondo animale e vegetale. Per quanto grosso possa essere il granchio preso da Darwin nell'accettare ingenuamente, senza averla esaminata, la dottrina di Malthus, ognuno vede a prima vista che non occorrono gli occhiali di Malthus per percepire la lotta per l'esistenza nella natura, la contraddizione, cioè, tra l'innumerevole quantità di germi che la natura produce a profusione e il ristretto numero di essi che in generale può arrivare a maturità; contraddizione che si risolve in effetti, per la massima parte, in una lotta, a volte straordinariamente crudele, per l'esistenza. E come la legge del salario ha conservato il suo valore anche dopo che da gran tempo sono screditati gli argomenti di Malthus sui quali la faceva poggiare Ricardo, così nella natura può egualmente aver luogo la lotta per l'esistenza, anche senza nessuna interpretazione malthusiana. Del resto gli organismi della natura hanno egualmente le loro leggi demografiche, le quali vengono poco o niente indagate, ma la cui constatazione sarà di importanza decisiva per la teoria dell'evoluzione delle specie. E chi ha dato anche in questa direzione l'impulso decisivo? Nessun altro che Darwin.

Engels, L'Antiduhring, Editori Riuniti, 1971, p. 72 – 75

Nel 1876 Engels era in grado di discutere le teorie di Darwin e di comprenderne le implicazioni nello sviluppo e nel divenire della natura.

Engels condivide le teorie di Darwin mentre censura le teorie di Malthus. Il tutto si trasforma e il tutto diviene per modificazione del precedente; è il fondamento dell'ideologia materialistica dialettica. Questo divenire lo abbiamo visto con la nube primordiale di Kant, lo vediamo esplicitarsi nelle teorie di Darwin e lo vediamo fatto proprio dai materialisti dialettici in contrapposizione ai positivisti come Duhring.

La lotta per la sopravvivenza di Darwin non suscita le immagini volute da Darwin ma suscita le immagini volute dai cristiani, quella "legge della giungla" applicando la quale i cristiani stanno sterminando popoli per imporre il colonialismo cristiano.

Se il Darwinismo convalida le tesi sul divenire e sulla necessità di una filosofia della trasformazione, dall'altro canto le implicazioni più rivoluzionarie del Darwinismo sono in campo religioso. Se gli uomini sono divenuti per diversificazione delle specie, ogni specie è come l'uomo e conserva le stesse prerogative divine dell'uomo avendo un antenato comune all'origine di ogni specie.

Ad Engels interessa solo legittimare la filosofia del divenire dove l'oggetto del discutere non è la verità presentata, ma gli strumenti attraverso i quali modificare la realtà vissuta e costruire un diverso futuro.

Non si può paragonare la filosofia del materialismo dialettico ad ogni altra filosofia. Tutte le filosofie sono filosofie della verità. Il filosofo si preoccupa di dire alle persone che cosa Dio vuole o che cosa Dio pensa o si aspetta dagli uomini. Il materialismo dialettico parla della trasformazione del presente in funzione di un futuro che può anche essere desiderato, ma che necessariamente non è detto che si realizzi in quel modo perché la trasformazione del presente non coincide con i desideri di chi quel presente vive e in quel presente agisce.

In questo contesto è da ricordare che "comunismo", per Marx ed Engels, significa modificazione del presente in funzione di un futuro migliore; per i cristiani comunismo è la "città di Dio" realizzata in terra.

Il conflitto fra cristianesimo e coloro che seguono la filosofia del divenire è un conflitto ideologico che attraverserà tutto il XX e il XXI secolo.

Scrive Engels:

Tutti i corpi organici si compongono, ad eccezione degli infimi, di cellule, di piccoli grumi albuminosi, visibili solo a forte ingrandimento e aventi nel loro interno un nucleo cellulare. Di regola la cellula sviluppa anche una membrana esterna, e il suo contenuto è allora più o meno fluido. I corpi cellulari più bassi si compongono di una sola cellula; l'enorme maggioranza degli esseri organici è pluricellulare, è un complesso armonico di molte cellule, che, negli organismi inferiori sono ancora omogenee, negli organismi superiori acquistano forme, raggruppamenti, attività sempre più distinti. Nel corpo umano per es., ossa, muscoli, nervi, tendini, legamenti, cartilagine, pelle, in breve tutti i tessuti, sono composti di cellule o sono originati da esse. Ma a tutti gli esseri cellulari organici, dall'ameba, che è un semplice grumo cellulare per la maggior parte della sua vita privo di membrana e avente all'interno un nucleo cellulare, sino all'uomo; e dalla più piccola desmidiacea unicellulare sino alle piante più altamente sviluppate, il modo con cui le cellule si moltiplicano è comune: per scissione. Dapprima il nucleo cellulare si strozza nel mezzo, poi la strozzatura che separa i due lobi del nucleo diventa sempre più forte, finalmente questi si separano e formano due nuclei cellulari. Lo stesso processo ha luogo nella cellula medesima, ciascuno dei due nuclei diventa il punto centrale di un ammassamento di protoplasma che è messo in comunicazione con l'altro per mezzo di una strozzatura, che diventa sempre più stretta finché alla fine si separano l'uno dall'altro e continuano a vivere come cellule a sé stanti. Mediante il ripetersi di una tale scissione cellulare, dalla vescicola germinaIe dell'uovo animale, intervenuta la fecondazione, si sviluppa a poco a poco tutto l'animale completo, e in modo analogo si effettua, nell'animale adulto, la sostituzione dei tessuti consumati. Per chiamare composizione un tale processo, e «pura immaginazione» il designarlo come evoluzione, ci vuole certo qualcuno che non sappia proprio niente di questo processo, per quanto possa essere difficile ammetter ciò; qui invero, c'è proprio solo, e precisamente nel senso più letterale della parola, evoluzione, e di composizione, invece, non c'è neanche l'ombra!

Engels, L'Antiduhring, Editori Riuniti, 1971, p. 83

Il concetto di divenire e di trasformazione del presente mediante il divenire è un concetto fatto proprio da Engels e introdotto nella filosofia che non può più parlare di una "verità dell'esistente", ma dei mezzi con cui avviene la trasformazione del presente in funzione di un futuro per come il passato lo ha costruito.

Engels introduce questo cambiamento nella filosofia anche se le sue osservazioni si fermeranno a corpi fisici perché non è in grado di immaginare la modificazione della struttura psichica ed emotiva date le condizioni ideologiche in cui gli uomini sono costretti a nascere.

C'è un microscopio con cui studiare le cellule e il protoplasma. I batteri vengono scoperti e si inizia a studiarli fra il 1865 e il 1870 da Pasteur. I virus saranno scoperti fra il 1892 e il 1898. L'antiduring di Engels è scritto nel 1876, eppure Engels nelle sue osservazioni sul divenire della vita biologica sta usando le informazioni del suo tempo: tutto diviene e si trasforma. Non c'è una verità al di sopra dell'uomo, c'è una verità dell'uomo che consiste nella trasformazione sia dell'uomo che della società in cui l'uomo vive.

Non c'è un microscopio per la psiche dell'uomo. Non c'è un microscopio per la struttura emotiva dell'uomo e psiche ed emozioni, anche nel pensiero engeliano, rimangono delle costanti e non vengono vissute in un divenire e in una trasformazione.

Scrive Engels:

Se già con verità ed errore non siamo andati molto avanti, ancora meno andremo avanti con male e bene. Questa antitesi si muove esclusivamente sul piano morale e quindi su un piano appartenente alla storia umana, e qui le verità di ultima istanza sono estremamente rare. Da popolo a popolo, da epoca ad epoca, le idee di bene e di male si sono cambiate in tal misura da essere arrivate spesso addirittura a contraddirsi. Ma, qualcuno obietterà, pure il bene non è male e il male non è bene; se male e bene vengono confusi insieme, cessa ogni moralità e ciascuno può fare o non fare ciò che vuole. Questa, spogliata di tutta la sua forma oracolare, è anche l'opinione del sig. Duhring, Ma, tuttavia, la cosa non si sbriga così facilmente. Se la cosa fosse così semplice, non ci sarebbe davvero nessuna disputa sul bene e sul male, ciascuno saprebbe che cosa è il bene e che cosa è il male. Ma come stanno oggi le cose? Quale morale ci si predica oggi? C'è anzitutto la morale cristiano-feudale, tramandata dai tempi passati della fede, che, a sua volta, si divide in cattolica e protestante, e non ci mancano ancora altre suddivisioni, dalla gesuitica cattolica e dalla ortodossa protestante sino a una duttile morale illuminata. Accanto vi figura la morale borghese moderna e a sua volta, accanto a questa, la morale proletaria dell'avvenire, cosicché passato, presente e futuro, solo nei paesi più progrediti dell'Europa, offrono tre grandi gruppi di teorie morali che vigono contemporaneamente e l'una accanto all'altra. Ora, quale è la vera? Nel caso che abbia assoluta validità, nessuna singolarmente presa; ma certo sarà in possesso del maggior numero di elementi che promettono di essere duraturi, quella morale che, nel presente rappresenta il rovesciamento del presente, il futuro, e quindi la morale proletaria.
Ma ora, se noi vediamo che le tre classi della società moderna, l'aristocrazia feudale, la borghesia e il proletariato hanno ciascuno la propria morale particolare, possiamo trarne la conclusione che gli uomini, consapevolmente o inconsapevolmente, in ultima analisi traggono le loro concezioni morali d'ai rapporti pratici sui quali è fondata la loro condizione di classe, dai rapporti economici in cui producono e scambiano.
Ma nelle tre teorie morali menzionate c'è pure qualche cosa di comune a tutte e tre: non sarebbe questo almeno un elemento di quella morale fissata una volta e per sempre? Quelle teorie morali rappresentano tre diversi gradi dello stesso sviluppo storico, hanno quindi uno sfondo storico comune, e già per questo necessariamente. hanno molto in comune. Ma c'è di più: dati dei gradi di 'Sviluppo economico eguali o approssimativamente eguali, le loro teorie morali necessariamente debbono più o meno concordare tra loro. A partire dal momento in cui si sviluppò la proprietà privata di beni mobili, a tutte le società in cui vigeva questa proprietà privata dovette essere comune il comandamento morale:
Non rubare. Questo comandamento diventa perciò una legge morale eterna? Niente affatto. In una società in cui i motivi per rubare sono eliminati, in cui a lungo andare soltanto i pazzi potrebbero rubare, quanto si riderebbe del predicatore di morale che proclamasse solennemente la verità eterna: Non rubare!
Per conseguenza noi respingiamo ogni pretesa di imporci una qualsiasi dogmatica morale come legge etica eterna, definitiva, immutabile nell'avvenire, col pretesto che anche il mondo morale avrebbe i suoi principi permanenti, che stanno al di sopra della storia e delle differenze tra i popoli. Affermiamo per contro, che ogni teoria morale sinora esistita è, in ultima analisi, il risultato della condizione economica della società di quel tempo. E come la società si è mossa sinora sul piano degli antagonismi di classe, così la morale è stata sempre una morale di classe; o ha giustificato il dominio e gli interessi della classe dominante, o, diventata la classe oppressa sufficientemente forte, ha rappresentato la rivolta contro questo dominio e gli interessi futuri degli oppressi. Che cosi all'ingrosso si sia avuto un progresso tanto per la morale quanto per tutti gli altri rami della conoscenza umana, è cosa su cui non è possibile nessun dubbio. Ma non abbiamo ancora superato la morale di classe. Una morale che superi gli antagonismi delle classi e le loro sopravvivenze nel pensiero, una morale veramente umana è possibile solo a un livello sociale in cui gli antagonismi delle classi non solo siano superati, ma siano anche dimenticati per la prassi della vita. E ora si valuti la presunzione del sig. Duhring che, dal bel mezzo della vecchia società classista, alla vigilia di una rivoluzione sociale, pretende di imporre alla futura società senza classi una morale eterna, indipendente dal tempo e dai mutamenti della realtà! E ciò anche se supponiamo, ciò che sinora ci è ignoto, che egli conosca, almeno nelle sue grandi linee, la struttura di questa società dell'avvenire.
E per finire, ancora una rivelazione «originale sin dalle radici»: per quel che concerne l'origine del male [Engels cita Duhring]:
il fatto che il tipo del gatto, con la falsità che gli è propria, si presenti sotto forma di animale per noi è sullo stesso piano della circostanza che una analoga configurazione caratteristica si ritrova anche nell'uomo .. Il male non è perciò qualche cosa di misterioso, a meno che non si abbia, diciamo, il gusto di fiutare qualche cosa di mistico nell'esistenza del gatto e in generale dell'animale da preda.
Il Male è il gatto. Quindi il diavolo non ha corna e piedi equini, ma artigli e occhi verdi. E Goethe commise un errore imperdonabile quando presentò Mefistofele come un cane nero anziché come il gatto suddetto. Il Male è il gatto! Questa è la morale non solo per tutti i mondi, ma anche ... per il gatto! [si tratta di un gioco di parole di difficile traduzione in italiano].

Engels, L'Antiduhring, Editori Riuniti, 1971, p. 98 – 101

Engels afferma che non esiste una morale definita, eterna ed assoluta, ma solo una morale contingente che ha valore solo nel momento storico limitato.

Il rifiuto di Engels non è solo il rifiuto di una morale determinata capace di identificare il concetto di male nel materialismo storico che sta costruendo, ma è l'affermazione che il concetto di male stesso è un concetto più legato alla propaganda di un ceto sociale che non una necessità di un popolo.

La morale è un'arma per imporre su qualcuno ed assicurare vantaggi ad altri. Se c'è una morale che dice di "non uccidere", perché il Dio di chi proclama quella morale uccide gli uomini? Qual è il fine di quella morale? Ovviamente quello di consentire a Dio (o chi in suo nome) di uccidere gli uomini criminalizzando chi tenta di sopravvivere uccidendo chi in nome di Dio sta uccidendo gli uomini.

Duhring dice che il male è l'aggressore, il gatto, il predatore, ma dicendo questo non ha detto nulla. Come può il gatto essere il male per il fatto di essere un predatore? E' come se l'erba dicesse che la mucca è il male perché si mangia l'erba.

In cosa consiste il male per l'aristocrazia se non la ribellione all'aristocrazia? Ma l'aristocrazia è una categoria umana e la ribellione all'aristocrazia è un ribellione di uomini che alla morale dell'aristocrazia oppongono la loro morale. Quando Duhring dice che il gatto è il male, oppone alla categoria topo la categoria gatto, ma se lui opponesse la categoria topo e la categoria "contadini" il gatto sarebbe sempre il male per il topo, ma sarebbe il bene per i "contadini". Duhring non si può permettere di imporre le categorie di bene e di male alle specie animali e alle loro relazioni perché il concetto di morale, da cui scaturisce il concetto di bene e di male, è un concetto umano ed è relativo alle classi sociali o alle relazioni sociali. Come oggetto proprio delle relazioni sociali si modifica al modificarsi delle relazioni sociali o degli interessi che concorrono a formare la morale sociale. Basti pensare alla morale sessuale, ai vestiti delle donne, alle lotte sociali per avere un costume da bagno succinto o alla morale che vige nei paesi musulmani.

La filosofia di Engels è la filosofia del divenire, della modificazione, delle trasformazioni. Una filosofia che si contrappone a tutte le filosofie della verità, a tutti quei filosofi che dicono all'uomo che cosa è Dio o che cosa vuole Dio dall'uomo.

Scrive Engels:

[continuando nel commento delle idee di Duhring che confuta il principio di uguaglianza sociale]

Infatti! Le ragioni della dipendenza non debbono cercarsi nell'attività delle due volontà come tali! Naturalmente no, infatti l'attività di una delle volontà è anzi proprio ostacolata! Ma invece in una terza sfera! E che cos'è questa terza sfera? La determinazione concreta di una volontà sottomessa in quanto insufficiente! Il nostro filosofo della realtà si è allontanato a tal punto dalla realtà, che di fronte al termine astratto e privo di contenuto: volontà, il contenuto reale, la determinazione caratteristica di questa volontà costituisce già per lui, una «terza sfera». Ma comunque ciò sia, dobbiamo constatare che l'eguaglianza di diritti ha la sua eccezione. Essa non ha validità per una volontà affetta da deficienza di auto determinazione. Ritirata n. 1.

Andiamo avanti [Engels cita Duhring].

Laddove la bestia e l'uomo sono fusi insieme in una persona, si può domandare, in nome di una seconda persona completamente umana, se il loro modo di agire possa essere lo stesso come se stessero di fronte persone per così dire solamente umane... perciò il nostro presupposto di due persone moralmente diseguali, una delle quali in un certo senso partecipi al carattere peculiare della bestia, è la forma fondamentale tipica di tutti i rapporti che, conformemente a questa differenza, possono presentarsi ... all'interno dei gruppi umani e tra di loro.

Ed ora il lettore segua con i suoi occhi la miserevole diatriba che segue questi impacciati sotterfugi, in cui il sig. Duhring si gira e si rigira come un gesuita per stabilire casisticamente sino a che punto l'uomo umano possa intervenire contro gli uomini bestiali, sino a che punto possa usare contro di loro diffidenza, astuzia guerresca, mezzi di inganno sottili, anzi perfino terroristici, senza neppure derogare in qualche cosa dalla morale immutabile.
Quindi se due persone sono «moralmente diseguali», anche l'eguaglianza cessa. Ma allora non valeva la pena di evocare i due uomini assolutamente eguali, infatti non esistono due persone che moralmente siano assolutamente eguali; la diseguaglianza consisterebbe però nel fatto che l'una è una persona umana e l'altra reca in sé qualcosa della bestia. Ma è già insito nella discendenza dell'uomo dal regno degli animali il fatto che l'uomo non si libera mai completamente dalla bestia, cosicché si può trattare sempre di un più c un meno, di una differenza nel grado della bestialità e rispettivamente dell'umanità. Una divisione degli uomini in due gruppi nettamente distinti, in uomini umani e uomini-bestie, in buoni e cattivi, in pecore e becchi, oltre alla filosofia della realtà la conosce soltanto il cristianesimo che, in modo del tutto conseguente, ha anche il suo giudice universale che compie la separazione. Ma nella filosofia della realtà, chi deve essere giudice supremo? Dovrà probabilmente avvenire come nella prassi cristiana, in cui le pie pecorelle si assumono loro stesse, e adempiono col noto successo, l'ufficio di giudice universale dei becchi, loro prossimo profano. La setta dei filosofi della realtà, se mai verrà al mondo, sotto questo riguardo certo non la cederà in "niente ai Pacifici della terra [allusione ad una setta pietistica che fiorì in Germania nel XVIII secolo]. Ma tutto questo può esserci indifferente; ciò che ci interessa è la confessione che, in conseguenza della diseguaglianza morale tra gli uomini, ancora una volta l'eguaglianza si riduce a niente.
Ritirata n. 2.

Andiamo di nuovo avanti [Engels cita Duhring].

Se uno dei due uomini agisce secondo verità e scienza e l'altro, invece, secondo qualche superstizione o qualche pregiudizio... di regola devono intervenire mutue interferenze... Ad un certo grado di incapacità, di rozzezza o di cattiva tendenza del carattere, dovrà in ogni caso avvenire un conflitto ... Non sono semplicemente i bambini e i folli quelli nei cui confronti la violenza è l'ultima risorsa. Il carattere di interi gruppi naturali e di intere classi di uomini civili può rendere inevitabilmente necessario sottomettere la loro volontà, ostile per la sua perversità, al fine di ricondurre questa stessa volontà ai legami della comunità. Anche qui la volontà altrui viene considerata come avente eguali diritti; ma per la perversità della sua attività aggressiva e ostile ha provocato un'azione di compenso, e se ora subisce un'azione di forza, non fa che raccogliere la reazione alla propria ingiustizia.
Quindi non solo la diseguaglianza morale, ma anche la diseguaglianza spirituale è sufficiente per eliminare 1'« assoluta eguaglianza delle due volontà» e per istituire una morale secondo la quale si possono giustificare tutte le infamie commesse da briganteschi Stati inciviliti contro popoli arretrati, sino .alle atrocità dei russi nel Turkestan. Quando il generale Kaufmann, nell'estate 1873, fece attaccare la tribù tartara dei Jomudi, bruciare le loro tende, massacrare le loro donne e i loro bambini «alla buona maniera caucasica », come diceva il suo ordine, affermava anche lui che era diventata una necessità ineluttabile sottomettere la volontà dei Jomudi, ostile per la sua perversità, al fine di ricondurre questa loro volontà ai legami della comunità; che i mezzi da lui usati erano i più appropriati allo scopo e che chi vuole il fine, deve volere anche i mezzi. Solamente non era così crudele da schernire per soprammercato i Jomudi dicendo che li massacrava per una azione di compenso e che proprio per questo considerava la loro volontà come avente eguali diritti. E ancora una volta in questo conflitto sono gli eletti, coloro che pretendono di agire secondo verità e scienza, quindi in ultima analisi sono i filosofi della realtà, quelli che hanno da decidere che cosa sono superstizione, pregiudizio, rozzezza, cattiva tendenza del carattere, e quando sono necessari la violenza e l'assoggettamento come azione di compenso. L'eguaglianza è quindi ora: l'azione di compenso mediante la violenza, e la seconda volontà viene dalla prima riconosciuta come avente eguali diritti, mediante l'assoggettamento.
Ritirata n. 3, che qui già degenera in fuga ignominiosa.
Di passaggio, la frase che dice come precisamente nell'azione di compenso mediante la violenza la volontà altrui venga considerata avente eguali diritti, è solo un'alterazione della teoria hegeliana secondo la quale la punizione è il diritto del delinquente; «col fatto che la pena sia considerata come recante in sé un suo proprio diritto, il delinquente viene onorato come un essere razionale». (Filosofia del diritto, par. 100, nota).
E con questo possiamo troncare. Sarebbe superfluo continuare ancora a seguire il sig. Duhring nella distruzione che compie pezzo per pezzo della sua eguaglianza, della sua sovranità umana in generale, poste così assiomaticamente; e osservare come egli, è vero, viene a capo della società con due uomini, ma come per costruire lo Stato ne abbisogna di un terzo, perché, per farla breve, senza questo terzo nessuna decisione a maggioranza può essere presa, e senza questa, e quindi senza dominio della maggioranza sulla minoranza, neanche può sussistere lo Stato; e come poi, a poco a poco, cambia rotta, passando nelle acque più tranquille della costruzione del suo futuro Stato socialitario, dove un bel giorno avremo l'onore di andarlo a trovare. Abbiamo visto a sufficienza che l'eguaglianza assoluta delle due volontà sussiste solo sino a quando queste due volontà non vogliono nulla; che non appena esse cessano di essere volontà umane in quanto tali e si trasformano in volontà reali, individuali, nelle volontà di due uomini reali, l'eguaglianza cessa; che puerilità, follia, cosiddetta bestialità, presunta superstizione, asserito pregiudizio, supposta incapacità da una parte e pretesa umanità, conoscenza della verità e scienza dall'altra, quindi ogni differenza nella qualità delle due volontà e in quella dell'intelligenza che le accompagna, giustifica una diseguaglianza che può spingersi sino alla sottomissione; che cosa di più vogliamo ancora dopo che il sig. Duhring ha distrutto così radicalmente dalle fondamenta il proprio edificio dell'eguaglianza?
Ma se anche l'abbiamo fatta finita con la trattazione superficiale e dilettantesca che il sig. Duhring fa dell'idea di eguaglianza, non perciò l'abbiamo fatta finita con questa idea stessa, in quanto essa ha un'importante funzione teorica, specialmente grazie a Rousseau, pratico-politica durante e dopo la Grande Rivoluzione, e ancora oggi agitatoria nel movimento socialista di quasi tutti i paesi. La constatazione di quale sia il suo contenuto scientifico determinerà, anche il suo valore per l'agitazione proletaria.
L'idea che tutti gli uomini in quanto uomini hanno qualche cosa di comune e che essi sono anche eguali nei limiti di questo elemento comune, è ovviamente antichissima. Ma assolutamente diversa da tutto questo è la moderna rivendicazione dell'eguaglianza; questa consiste invece nel dedurre da quella proprietà comune dell'essere umano, da quell'eguaglianza degli uomini in quanto uomini, il diritto ad un eguale valore politico e, rispettivamente, sociale, di tutti gli uomini, o almeno di tutti i cittadini di uno Stato, o di tutti i membri di una società. Prima che da quella originaria idea di una eguaglianza relativa si sia potuta trarre la conclusione di un'eguaglianza di diritti nello Stato e nella società, prima ancora che questa conclusione sia potuta apparire come qualche cosa di naturale e ovvio, dovevano passare millenni, e millenni sono passati. Nelle comunità più antiche, nelle comunità naturali poteva parlarsi di eguaglianza di diritti tutt'al più tra i membri della comunità; va da sé che donne, schiavi, stranieri ne erano esclusi. Fra i greci e fra i romani le diseguaglianze degli uomini avevano un peso molto maggiore di qualsiasi eguaglianza. Che greci e barbari, liberi e schiavi, cittadini e clienti, cittadini romani e sudditi romani (per usare un termine comprensivo) potessero pretendere parità di condizioni politiche, agli antichi necessariamente sarebbe parso pazzesco. Sotto l'impero romano tutte queste differenziazioni a poco a poco si dissolsero, ad eccezione di quella di liberi e schiavi; si originò di conseguenza, almeno per i liberi, quell'eguaglianza dei privati cittadini sulla cui base si sviluppò il diritto romano, la più perfetta costruzione a noi nota del diritto fondato sulla proprietà privata. Ma sino a quando sussisté la contrapposizione di liberi e schiavi, non si poté parlare di conclusioni giuridiche tratte dall'eguaglianza umana in generale; cosa che anche di recente abbiamo visto negli Stati schiavisti dell'Unione nordamericana.
Il cristianesimo conobbe solo una eguaglianza di tutti gli uomini, quella dell'eguale peccaminosità originaria, che era perfettamente adeguata al suo carattere di religione degli schiavi e degli oppressi. Oltre a questa tutt'al più conosceva l'eguaglianza degli eletti, che però fu accentuata solamente e unicamente agli inizi. Le tracce della comunione dei beni che si trovano del pari agli inizi della nuova religione si possono ricondurre molto più alla solidarietà dei perseguitati che a vere idee di eguaglianza. Ma ben presto, stabilitasi la contrapposizione tra preti e laici, anche questo inizio di eguaglianza cristiana ebbe fine. L'invasione dell'Europa occidentale da parte dei germani eliminò per secoli ogni idea di eguaglianza, costruendo a poco a poco una gerarchia sociale e politica in una forma così complicata quale mai sino allora era esistita; ma ad un tempo introdusse nel movimento storico l'Europa occidentale e centrale, creò per la prima volta una compatta zona di civiltà e per la prima volta creò su questo territorio un sistema di Stati prevalentemente nazionali che esercitavano l'uno sull'altro una mutua influenza e che mutuamente si tenevano in scacco. Con questo essa preparò il terreno sul quale, solo in più tarda età, si poté parlare di eguaglianza umana e di diritti dell'uomo.
Il medioevo feudale sviluppò inoltre nel suo seno la classe che era chiamata, nel suo sviluppo ulteriore, a diventare la depositaria della moderna rivendicazione dell'eguaglianza: la borghesia. Dapprima ceto feudale essa stessa, la borghesia aveva sviluppato l'industria prevalentemente artigiana e lo scambio di prodotti ad un grado relativamente alto entro la società feudale, quando, con la fine del XV secolo, le grandi scoperte marinare le apersero una carriera nuova e più vasta. Il commercio extraeuropeo, sinora esercitato solo tra l'Italia e il Levante, fu esteso sino all'America e all'India, e presto sorpassò in importanza tanto lo scambio dei singoli paesi europei tra di loro, quanto il traffico interno di ciascun paese singolo. L'oro e l'argento dell'America inondarono l'Europa e penetrarono come un elemento disgregatore in tutti i vuoti, le fessure e i pori della società feudale. L'industria artigiana non fu più sufficiente per i bisogni crescenti e nelle industrie principali dei paesi più progrediti fu sostituita dalla manifattura.

Engels, L'Antiduhring, Editori Riuniti, 1971, p. 106 – 111

Da Duhring Engels prende spunto per parlare del concetto di uguaglianza propria del materialismo storico e dialettico. Ho voluto mettere una citazione consistente perché il concetto di uguaglianza del "comunismo" è sempre stato diffamato, per ragioni politiche o di disonestà ideologica, dai suoi nemici che hanno finito per attribuire ai marxisti il concetto di uguaglianza proprio dei cristiani "tutti gli uomini uguali, ugualmente in ginocchio davanti a me che sono il padrone degli uomini" e hanno voluto attribuire il concetto di uguaglianza giuridica o a chi costruisce la disuguaglianza, come i liberali che sono i teorici della schiavitù, o ai "socialisti positivisti" che con Duhring hanno costruito l'ideologia nazional-socialista.

Engels rileva come Duhring sia un teorico della disuguaglianza sociale che individua i fattori di disuguaglianza nello scostamento, da parte di alcuni uomini, dal modello di perfezione umana creato da Dio. I due uomini, presi a modello da Duhring, sono uguali perché creati uguali da Dio, ma poi, alcuni uomini imperfetti per vari motivi si sottomettono a loro creando la disuguaglianza sociale e la privazione degli uguali diritti.

Una privazione degli uguali diritti che giustifica i massacri e il genocidio colonialista, la riduzione in schiavitù affermando che il sottomesso, il soggetto umano che viene ammazzato, è l'inferiore e che, ammazzandolo, gli si riconosce "un uguale stato di uomo" che però va eliminato dalla faccia della terra.

E' l'idea ebraica della bibbia, l'idea del popolo eletto che in nome di Dio macella tutti i popoli perché solo il popolo eletto ha la verità di Dio.

Duhring non fa altro che riprendere l'ideologia della bibbia e riprodurla come se tale ideologia avesse una qualche forma di legittimità nella vita degli uomini. Di questo Engels se ne avvede solo in parte affermando che il cristianesimo ritiene gli uomini uguali in quanto peccatori, cioè in ginocchio davanti a Dio.

Il concetto di uguaglianza di Engels è il concetto di uguaglianza di ogni soggetto di diritto davanti alla medesima legge. Il che significa che l'uomo non è solamente uguale a tutti gli altri uomini senza distinzione di razza, sesso, o convinzioni politiche o religiose, ma è uguale a Dio ed è sottomesso alla medesima legge sociale o civile a cui deve essere sottomesso Dio che, pertanto, deve rispondere dei reati commessi in considerazione che i delitti contro l'umanità non cadono mai in prescrizione.

Oggi sappiamo che il concetto di uguaglianza di Engels è alla base di tutte le Costituzioni occidentali. Questo concetto, che ancora non è pienamente realizzato ha avuto il suo nemico nel cristianesimo, nell'islamismo, nel buddismo, nell'ebraismo che ai principi di uguaglianza dell'uomo oppongono il diritto di Dio di dominare l'uomo, ucciderlo ed imporgli la propria morale.

Il 14 marzo 1883 muore Karl Marx. Da quel momento in poi Engels si incarica di sistemare gli scritti di Marx.

Nel febbraio 1885 Engels conclude la sistemazione del secondo volume del Capitale e il terzo volume sarà concluso del 1894.

Nel 1891 partecipa a Bruxelles al II Congresso dell'Internazionale e poi, nel 1893 è a Zurigo al III Congresso dell'Internazionale. Critica i socialisti francesi e i socialisti tedeschi per le loro illusioni trasformate in "tattiche elettorali".

Muore a Londra il 5 agosto 1895 per un cancro all'esofago che lo ha tormentato per alcuni anni.

Il potere era il suo nemico. Non tanto di sé stesso, ma della gente, degli operai, delle persone che gli stavano attorno. Era sete di giustizia contro l'assolutismo, il dispotismo, la riduzione dell'uomo ad oggetto. Engels era un uomo della democrazia contro le dittature indipendentemente dal come le dittature si presentano. Engels è stato il padre delle attuali società europee.

Era un filosofo che non metteva al centro del mondo e del pensiero ciò che egli avrebbe voluto essere, ma metteva al centro delle sue riflessioni sociali e filosofiche le esigenze della società civile nella prospettiva di costruire un futuro.

I filosofi integralisti mettono al centro delle loro riflessioni il loro rapporto "intimo" con Dio. Con questa operazione i filosofi integralisti si sostituiscono a Dio e dicono agli uomini che cosa Dio vuole. Engels, al contrario, sottolinea le esigenze della società per come lui le percepisce e progetta un possibile futuro per come lui è in gradi di immaginarlo consapevole che il futuro che può nascere dalla sua azione non è necessariamente quello che lui immagina.

 

Marghera, 23 settembre 2018, modificato il 5 novembre 2019

 

Pagina tradotta in lingua Portoghese

Tradução para o português: Capítulo 95 A biografia de Friedrich Engels - décima segunda biografia

 

 

Hai imparato a chiedere l'elemosina?

 

Davvero vuoi continuare a navigare in questo sito?

Clicca qui e impara come si chiede l'elemosina

 

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

Membro fondatore
della Federazione Pagana

Piaz.le Parmesan, 8

30175 Marghera - Venezia

Tel. 3277862784

e-mail: claudiosimeoni@libero.it

 

2017

Indice Generale degli argomenti