Marco Ezechia Lombroso detto Cesare

Le biografie dei giocatori - trentesima biografia

Capitolo 113

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Claudio Simeoni

 

Le biografie dei filosofi che partecipano alla partita di calcio

 

La biografia di Marco Ezechia Lombroso detto Cesare

 

Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare, nasce a Verona il 6 novembre 1835 e morirà il 19 ottobre 1909.

Il padre era Aronne e la madre Zefora Levi, erano di origine ebrea e di tradizione sefardita strettamente osservante e Cesare Lombroso è cresciuto in quel clima di fanatismo religioso integralista convinto che il mondo fosse stato creato da Dio e che Dio fosse il creatore del destino dell'uomo. Dal momento che tentò di ribellarsi al fanatismo famigliare, organizzò la sua vita per veicolare il medesimo fanatismo in una sorta di "ateismo" che traferiva il determinismo del Dio padrone degli ebrei, nel "Dio padrone natura" capace di determinare l'uomo criminale ed era convinto che tale determinazione potesse essere riscontrabile nella struttura anatomica degli individui.

Cesare Lombroso ha passato tutta la sua vita a diffamare e criminalizzare gli individui partendo dalla loro fisionomia.

Questo modo di pensare, che altro non è che il concetto cristiano per cui l'uomo è malvagio in sé, è rimasto in tutto il sistema giuridico occidentale e Italiano. Una parte della scienza cerca in tutti i modi di legittimare questo modo di approcciare le contraddizioni sociali. Trasformano i problemi sociali in crimini e torturano i cittadini. Se prima era la forma del cranio, poi era il DNA e il "gene criminale", o il demonio, o la malvagità intrinseca.

Per Lombroso l'unico approccio utile col criminale era il manicomio, la galera e la fucilazione. Solo che per crimini intendeva solo ciò che a lui faceva comodo dal momento che egli si ergeva al posto del Dio padrone ebreo, giudice degli uomini e in diritto di ammazzarli (internarli, punirli, ecc. fate voi).

La famiglia ebrea da parte di padre proveniva dalla Spagna, si era fermata in Tunisia e poi dalla Tunisia è arrivata in Toscana prima e poi a Venezia per risiedere, infine, a Verona. La madre proveniva dalle comunità ebraiche del Piemonte. Questo determina il contesto culturale in cui Cesare Lombroso è cresciuto, i modelli con cui si identificava e la qualità della veicolazione delle sue emozioni.

Scrive Cesare Lombroso in "L'uomo delinquente":

"Gli è, per dirla con Sergi, che la morale vera è istintiva; senso morale è come il sentimento di pietà, che nessuna educazione forma, se vi ha insensibilità nativa."

p. 1636

In sostanza, non ha importanza con che nome chiami l'educazione ebraica subita e nemmeno è importante la forma e la sostanza che attribuisci all'idea di sottomissione da un assoluto; cambia pure il nome, non chiamarti ebreo, chiamati ateo, ma sempre ci sarà un assoluto al quale chiedi deferenza.

Nel 1850 Cesare Lombroso abbandona le scuole pubbliche e inizia a frequentare le scuole private.

Nel 1853 Lombroso si iscrive alla facoltà di medicina dell'università di Pavia.

Nel 1858 Cesare Lombroso si laurea a Pavia. La tesi è uno studio sul cretinismo in Lombardia

Nel 1859 allo scoppio della seconda guerra di indipendenza Cesare Lombroso va in Piemonte e si arruola come medico militare.

Finiti gli studi universitari, nel 1862 partecipò come medico psichiatra alla repressione piemontese delle ribellioni popolari nel sud Italia senza mai analizzare le cause sociali, ma mettendo l'accento sulla malvagità razziale che induceva quei comportamenti di ribellione.

Nel 1862 a Pavia svolse ricerche sul cretinismo e la pellagra e tenne un corso gratuito a partire dal 6 dicembre di quell'anno.

Nel 1866 Cesare Lombroso si arruola nella guerra contro l'Austria che porterà all'annessione del Veneto all'Italia.

Il 10 aprile 1870, dopo aver peregrinato fra casini e bordelli (vedremo poi come considera le prostitute che frequentava delle criminali), si sposa con Nina de Benedetti di religione ebrea e figlia di commercianti di stoffe di Alessandria. La cerimonia avvenne ad Alessandria con rito ebraico seguito dal rito civile.

Nel 1870 Lombroso inizia ad elaborare la sua teoria sull' "atavismo criminale".

Che cos'è la "teoria lombrosiana dell'atavismo"? E' la "teoria" attraverso la quale Lombroso può criminalizzare i poveri per essere poveri e giustificare ogni azione criminale Istituzionale contro di loro.

Proviamo a leggerci questa teoria da "L'uomo delinquente – quinta edizione 1897".

Scrive Lombroso:

Atavismo nel delitto. - E l'arresto di sviluppo così ci concilia la malattia con quell'atavismo che vedemmo tanto predominante. L'atavismo resta, quindi, malgrado o meglio insieme alla malattia, uno dei più costanti caratteri dei delinquenti-nati. Chi ha percorso il primo volume di quest'opera avrà potuto convincersi, come molti dei caratteri che presentano gli uomini selvaggi, ricorrono anche spessissimo in costoro. Tali sarebbero, p. es., la scarsezza dei peli, la fronte ristretta, sfuggente, i seni frontali molto sviluppati, la frequenza maggiore delle suture medio-frontali, della fossetta occipitale mediana, delle ossa wormiane, specie epactali, le sinostosi precoci, specialmente frontali, la salienza della linea arcuata del temporale, la semplicità delle suture, la maggiore frequenza dell' apofisi temporale del frontale, il maggior volume del cervelletto, del vermis in ispecie, la superficialità del gyrus cunei, come nei primati, l'indipendenza della scissura perpendicolare dalla calcarina, l'opercolo del lobo occipitale (V. pag.192 e seg.); la maggiore proiezione anteriore e lo spessore maggiore delle ossa crani che, lo sviluppo enorme delle mandibole e degli zigomi, l'incisura nasale foggiata a doccia, la frequenza del foro olecranico, del vermis ipertrofico, delle vertebre e coste in più, il prognatismo, l'obliquita e la maggior capacità delle orbite, la maggiore area del foro occipitale, il predominio della faccia sul cranio, parallelo a quello dei sensi sull'intelligenza; il più folto, nero ed arricciato capillizio, le orecchie ad ansa o voluminose, la più scarsa cani zie, la mancanza di barba negli uomini, la peluria del fronte, l'acuita risiva maggiore, la sensibilità molto minore (il che spiega il maggiore peso e la maggiore longevità), la scarsa reazione vasale, la precocità che trovasi fra i caratteri essenziali del selvaggio, la maggiore analogia dei due sessi, e la più grande uniformità fisiognomica, il mancinismo, la minore correggibilità della donna, la poca sensibilità dolorifica, la completa insensibilità morale e affettiva, l'accidia, la mancanza di ogni rimorso, l'imprevidenza, che sembra alle volte coraggio, e il coraggio che si alterna alla viltà, la grande vanità, la passione del sangue, del giuoco, degli alcoolici o dei loro surrogati, le passioni tutte fugaci quanto violente, la facile superstizione, la suscettibilità esagerata del proprio Io e perfino il concetto relativo della divinità e della morale. Le analogie vanno fino ai piccoli dettagli, che male si saprebbero prevedere, come, p. es., l'uso dei geroglifici, della pictografia, l'abuso dei gesti, l'abbondanza delle metafore e delle onomatopeie, degli automatismi, delle allusioni oscene, degli svisamenti etimologici, delle personificazioni di cose inanimate notate nel linguaggio, le leggi improvvisate dentro le associazioni, l'influenza tutta personale dei capi (Tacito, Germ., VII), il costume del tatuaggio, la stessa speciale letteratura, che ricorda quella dei tempi eroici, come li chiamava il Vico, in cui si inneggiava al delitto, e il pensiero tendeva a vestire, preferibilmente, la forma ritmica e rimata (Vedi Uomo di Genio, VI ediz.).
Si obbietta anche da chi non ha afferrato bene il nostro concetto come la pazzia morale sia un sintomo che sopravviene quasi ad ogni alienazione e che quindi non è una malattia a sè, un'entità clinica; ma oltrecchè quest'obbiezione vien tolta dai molti caratteri nuovi da noi trovati, che ne fissano il quadro clinico nella ben nota cornice dell'epilessia, non è raro il caso, anche in psichiatria, che fenomeni che costituiscono un sintomo od un esito di alcune forme costituiscano a lor volta in data condizione, una specie a parte di malattie mentali, per es., la demenza acuta, la paralisi generale. E anche le variazioni contradditorie individuali scompaiono nei pochi casi in cui si riesce a studiare la pazzia in parecchi rami di uno stesso ceppo, come in due o tre fratelli; in cui l'assenza completa di un fenomeno, in uno, è integrata dalla sua eccedenza nell' altro. Così in due pazzi morali, figli di una sifilitica guarita e di un beone, ho trovato una singolare contraddizione, che l'uno non ha vertigini, non ebbe grande precocità sessuale e presentò una strana tendenza al vagabondaggio tanto da non poter stare fermo in un sito; religiosità da bimbo, cosicchè si trovava sempre in chiesa, e meningite da fanciullo; l'altro vera vertigine a grandi intervalli, passione strana per gli animali fino al coito, esagerazione dell'attività muscolare, paurosità fino ad aver paura dei quadri, antitesi al vagabondaggio, terrore a muoversi; strana irascibilità: omicidio ora, completandosi, i due dànno il tipo dell'epilessia psichica. La molteplicità e diversità delle forme, così nel genio come nel delitto, si giustifica e spiega con la grande molteplicità e relativa indipendenza dei centri corti cali. Del resto, l'identità di origine e di natura non esclude la diversità di forma: altrimenti non vi sarebbe ragione di questione. Niuno pretende che il ghiaccio sia acqua e il diamante carbonio, eppure essi infine non variano nella composizione.
Applicazioni dell'atavismo. - Questo atavismo spiega l'indole e la diffusione enorme di alcuni delitti. Così mal si saprebbe spiegare la pederastia, l'infanticidio, che coglie intere associazioni, se non ricordando le epoche dei Romani, dei Greci, dei Chinesi, dei Taiziani, in cui non solo non erano considerate come un delitto, ma anzi qualche volta un nazionale costume; ed ecco forse intraveduta una spiegazione del frequente associarsi dei gusti estetici (Vedi p. 517) nei pederasti, appunto come nei Greci antichi, massime se si ricordi col Sergi (1) che vi ha una stratificazione nell'eredità, specialmente criminale, per cui si tende a riprodurre non solo gl'istinti dell'uomo preistorico, ma anche del medioevale : e così si capirebbero, per esempio, i recenti delitti degli anti-semiti, e le risse di campanile, per eredità degli odii nati nel medioevo, e così le irrefrenabili tendenze al duello. Spingendo le analogie atavistiche in direzione più remota, al di là della razza umana, possiamo spiegare qualche altra parvenza del mondo criminale, che sembrerebbe da sola inesplicabile anche all'alienista, per es., la frequenza della saldatura dell'atlante coll'occipite, la sporgenza del canino, l'appiattimento del palato, la concavità dell'apofisi basilare, la frequenza della fossa occipitale mediana e il suo sviluppo straordinario, precisamente come nei lemurini e nei rosicchianti! la persistenza della pelurie sul volto, gli arresti di sviluppo cerebrale, come la formazione di un opercolo del lobo occipitale, la apertura della fossetta del Silvio, la separazione della scissura calcarina dalla occipitale, l'ipertrofia del uermis, o di tutto il cervelletto, o la forma del lobo mediano, pari a quella dei mammiferi inferiori, la tendenza al cannibalismo anche senza passione di vendetta, e più ancora quella forma di ferocia sanguinaria mista a libidine, che ci manifestarono il Gille, il Verzeni, il Garayo, il Legier, il Bertrand, l'Artusio, il marchese di Sade, in cui l'atavismo era (notisi) quasi sempre favorito da epilessia, da idiozia o da paresi generale, ma che sempre ricordano il tempo, in cui l'accoppiamento dell'uomo, come quello dei bruti, era preceduto ed associato a lotte feroci e sanguinarie, sia per domare le renitenze della femmina, sia per vincere i rivali in amore. In molte tribù dell'Australia si usa dall' amante aspettare, in agguato, la sposa dietro le siepi, stramazzarla con un colpo di clava, e così tramortita trasportarla nella casa maritale. Di questi usi una traccia restò nei riti nuziali di molte nostre vallate, e nella orribile festa del Jagraate e nei baccanali romani, ove chi, anche maschio, resisteva allo stupro, era tagliato in pezzi così piccoli da non poterai rinvenire il cadavere (Tito Livio, XXXIX, cap. VIII). - Ed una traccia ne restò tuttavia latente fra noi. Il primo e più grande descrittore della natura, Lucrezio, aveva osservato come anche nei casi ordinari di copula può sorprendersi un germe di ferocia contro la donna, che ci spinge a ferire quanto si oppone al nostro soddisfacimento.
So di un distinto poeta che appena vede sparare un vitello o solo appese le carni sanguinanti, è preso da libidine; e di un altro che ottiene eiaculazione solo strangolando un pollo od un colombo. - Mantegazza sentì confessarsi da un amico, trovatosi ad uccidere parecchi polli, che dopo la prima uccisione provava una barbara gioia a palpare avidamente le viscere calde e fumanti, e che di mezzo a quel furore era stato assalito da un eccesso di libidine (Fisiologia del piacere, Milano, 1870).
Questi fatti ci provano chiaramente, che i crimini più orrendi, più disumani, hanno pure un punto di partenza fisiologico, atavistico, in quegli istinti animaleschi, che rintuzzati, per un certo tempo, nel l'uomo dall'educazione, dall'ambiente, dal terrore della pena, ripullulano, a un tratto, sotto l'influsso di date circostanze, come: la malattia, le meteore, l'imitazione, l'ubbriacamento spermatico, prodotto dall'eccessiva continenza, ond'è che si notano sempre nell'età appena pubere, nei paresici od in individui selvaggi o costretti ad una vita celibe o solitaria, preti, pastori, soldati. Sapendosi che alcune condizioni morbose, come i traumi del capo, le meningiti, l'alcoolismo ed altre intossicazioni croniche, o certe condizioni fisiologiche, come puerperio, senilità, possono provocare l'arresto di sviluppo dei centri nervosi e quindi le regressioni atavistiche, comprendiamo come debbano facilitare la tendenza ai delitti.
Sapendo come tra il delinquente ed il volgo ineducato ed il selvaggio la distanza è poca, ed alle volte scompare del tutto, comprendiamo perchè uomini del volgo, anche non immorali, abbiano pel reo sì spesso una vera predilezione, se ne foggino una specie di eroe e giungano fino ad adorarlo dopo morto, e perchè i galeotti, alla loro volta, si mescolino così facilmente coi selvaggi, adottandone i costumi tutti, non escluso il cannibalismo (Bouvier, Voyage à la Guyane, 1866), come accade in Australia ed alla Guiana. Osservando come i nostri bambini, prima della educazione, ignorino la distinzione tra il vizio e la virtù, rubino, battano, mentano senza il più piccolo riguardo, ci spieghiamo come tanta parte dei figli abbandonati, orfani ed esposti, si dieno al male, ci spieghiamo la grande precocità del delitto; comprendiamo come il carattere più odioso del reo e del: pazzo morale, la malvagità senza causa, la prava, o brutale, malvagità, sia una continuazione dell'epoca infantile, uno stato di infanzia prolungata: e come la pazzia morale così come la delinquenza possano anco manifestarsi pel solo fatto di una prava educazione che non ponga freno, ma asse con di le male tendenze congenite (Vedi Parte I, pago 133 e seg.).

Da pag. 742 a pag. 747

Se dal punto di vista dell'uomo la teoria atavistica di Lombroso è un insulto alle persone nel suo disperato tentativo di criminalizzarle ad ogni costo, dal punto di vista ideologico non è molto diversa dalla teoria degli archetipi di Jung.

Si tratta di teorie creazioniste giustificate dalle teorie evoluzionistiche darwiniane mal digerite o, se vogliamo, piegate alle idee che questi personaggi si sono formati durante le ore di catechismo cristiano o catechismo ebraico.

Non c'è da commentare la "teoria atavistica di Lombroso". E' un atto di terrorismo sociale, un atto di violenza criminale volto a costringere gli uomini alla miseria perché, tanto, sono portatori di tare ataviche e possono solo morire e prima lo fanno e prima tolgono l'imbarazzo della loro esistenza nella società umana.

Indubbio che qualcuno, ogni tanto, dando spiegazioni funzionali al momento, la ritira fuori dalla naftalina queste "teorie" in quanto rappresentano una forma ideologica che giustifica l'ideologia nazista, formulette elementari con cui "spiegare" i problemi della realtà, che viene inevitabilmente riproposta ciclicamente come strumento di controllo e di violenza sugli Esseri Umani.

Il 14 marzo 1871 nasce la figlia Paola Mazzola Lombroso e di seguito, gli altri figli di Cesare Lombroso; Gina nel 1872, Arnaldo nel 1874, Leo nel 1876 e Ugo nel 1877.

Nel 1871 Lombroso viene chiamato all'ospedale psichiatrico San Benedetto a Pesaro. Il manicomio di Pesaro divenne il giocattolo di Cesare Lombroso. Le persone rinchiuse divennero il suo personale bestiame.

Scrive la figlia Gina:

""A Pesaro, Lombroso trovò, caso unico nella sua vita scientifica, pronti e alla sua portata i materiali e gli uomini che lo potevano aiutare; subito gli fu concesso di visitare a suo agio i carcerati rinchiusi nel bagno penale locale, di misurarli, interrogarli, fotografarli, il Manicomio di Pesaro fu in un attimo trasformato in un meraviglioso laboratorio di psichiatria e di antropologia criminale"

(citazione trovata in web)

A Pesaro, usando gli uomini ridotti a bestiame, Lombroso inizia a cercare prove per avallare le sue teorie sul "criminale per nascita". Passa come uno schiacciasassi sulla psiche e sui desideri delle persone, ne misura i crani, le ossa, le attaccature dei capelli e identificare la "razza dei delinquenti".

Una razza di delinquenti che identificabile fin dall'infanzia perché, secondo Cesare Lombroso, si nasce delinquenti.

Scrive Cesare Lombroso sui ragazzi:

Essendo la pazza morale e le tendenze criminose fuse indissolubilmente, si spiega perchè quasi tutti i grandi delinquenti ebbero a manifestare le loro prave tendenze fino dalla prima infanzia.
La Lafarge strozzava i polli da bambino con grande piacere; e Feuerback narra di un parricida, che godeva far girare i polli intorno a sè dopo averli accecati. Dumbey a 7 anni e mezzo era ladro.
Il brigante B. a 9 anni era ladro e stupratore. Cartouche a 11 anni era ladro. Crocco a 3 anni spennava gli uccelli vivi. Lasagna a 11 anni inchiodava la lingua dei buoi sui banchi. Il Locatelli aveva osservato che la tendenza al furto si manifesta nell'età più tenera, comincia con piccole sottrazioni domestiche e progredisce man mano. Invece gli assassini diventano tali ad un tratto ed anche in età giovanissima.
Altrettanto osservò Roussel nella sua grandiosa Inchiesta sui minorenni, 1883, per quanto riguarda in Francia la prostituzione che ha una larghissima quota di minorenni: in 1500, p. es., su 2582 prostitute arrestate nel 1877. A Bordeaux si notava, continua egli, che se 461 prostituironsi per miseria, o per diretta corruzione (32) dei parenti, ben 44 solo per il pervertimento dei loro istinti - fra gli altri la figlia di un ingegnere e quella di un ricco possidente.

p. 148

Questo concetto di aver a che fare non con le persone, ma con le "bestie" è proprio dell'ideologia ebraica, fatta propria dal cristianesimo, in cui le persone sono soltanto le correligionarie, le altre persone sono le "scorie sociali" che devono essere ammazzate per metterle in ginocchio davanti all'unico dio, all'unica morale, all'unica verità di scienza dedotta dalla forma dei loro crani.

Erano pazzi, erano criminali e, secondo Lombroso, erano certamente degli uomini primitivi. Quelli cacciati dal paradiso terrestre e che non si erano elevati alla civiltà che riconosceva l'unico vero dio: non è importante se il nome di quel dio è il dio degli ebrei o il dio scienza. La sostanza ideologica è la medesima al di là del nome con cui viene chiamata. Ed è l'idea guida che sta alla base delle ricerche di Lombroso che avallerà ogni sciocchezza pur di confermare le sue idee superstiziose. Come quando trovò la "fossa mediana" negli uomini mentre è presente nei primati e nei gorilla, gli diede l'idea di una sorta di primitivismo evoluzionistico dal momento che Lombroso, come i positivisti, gli ebrei e i cristiani, pensava che l'uomo fosse il soggetto più evoluto. Dunque, la presenza in alcuni uomini di forme comuni ai primati dimostrava che questi uomini erano dei primitivi come le scimmie. Non gli è passato nemmeno dall'anticamera del cervello nel suo delirio di onnipotenza che, dal momento che erano presenti, uomini e gorilla, nel medesimo tempo, si trattava di un'evoluzione parallela sia pur con un antenato comune.

Nel 1876 Cesare Lombroso inizia la pubblicazione de "L'uomo delinquente" che verrà ripubblicato fino alla quinta edizione nel 1897. Lombroso diventa professore di medicina legale e igiene pubblica all'università di Torino.

Nel tentativo di legittimare la sua "teoria atavistica" dei caratteri "selvaggi" che si manifestano "nell'uomo delinquente" l'opera di Lombroso si apre con la diffamazione di gran parte dei popoli che sono sottoposti ad aggressione colonialista. Cesare Lombroso, da buon ebreo che agisce in ambito cristiano, fa propria la diffamazione di ogni popolo e di nazione che considera "selvaggio" rispetto a lui che si eleva a "Dio" come uomo civile.

Le affermazioni di Cesare Lombroso sono le affermazioni di un vigliacco, di un codardo che fa del genocidio il metodo colonialista in un'auto identificazione paranoica col dio padrone ebreo con cui si identifica. Come il Dio padrone ebreo giustifica il genocidio dell'umanità mediante il diluvio universale col fatto che gli uomini sono malvagi, così il colonialismo cristiano giustifica la distruzione e la sottomissione dei popoli con l'affermazione che quei popoli sono malvagi.

Scrive Lombroso:

L'aumento soverchio di popolazione, in confronto ai mezzi naturali di nutrizione, è un pericolo maggiore e continuo della vita selvaggia. Per esso si spiega la morale dei popoli primitivi e la più gran parte degli omicidi, che fra loro si commettono, non solo impunemente, ma spesso per obbligo morale e religioso ed anche a titolo di gloria.
L'aborto, che è ignoto agli animali nella sua forma volontaria, è comune fra i selvaggi, e bisogna giungere fino allo Zend-Avesta per trovare le prime proibizioni a tale riguardo.
Fra i Tasmaniani, le donne non vogliono divenir madri se non dopo parecchi anni di matrimonio, per conservare la freschezza delle carni, e perciò tentano o provocano l'aborto con colpi replicati sul ventre.
L'aborto è pure usato in America, alla baia d'Hudson e al bacino dell'Orenoc; nella Plata, i Payaguas fanno abortire le loro donne, dopo che queste hanno avuto due figli, e così fanno i Mbayas, loro vicini. Tra i Papuani di Andai, le donne muoiono giovani per « l'uso generale di procurare aborti dopo il primo od il secondo figlio ».
Ma è soprattutto nelle isole, ove più sono scarse le sussistenze, che l'omicidio e l'aborto sono permessi. Anzi all'Isola di Formosa, malgrado la minore barbarie degli abitanti, l'aborto è comandato dalla pubblica utilità e quindi dalla pubblica morale; talchè le donne ivi non possono aver figli prima dei 36 anni, e vi sono apposite sacerdotesse, che fanno abortire chiunque resti incinta prima di questa epoca.
Infanticidio, - E per le stesse cause è fra i selvaggi assai più frequente dell'aborto l'infanticidio; ne sono vittime i figli nati dopo il primogenito o il secondogenito, e assai più le femmine dei maschi (Letourneau, p. 134).
Così avviene in tutta la Melanesia. Nell'India, da Ceylan all'Himalaya, l'infanticidio è santificato' dalla religione, non solo presso gli aborigeni più barbari, ma anche fra i Radjpoutas, classi nobili, che si credono disonorate se hanno una figlia non maritata. Gli abitanti dell'Isola Tikopia uccidono invece più i maschi che le femmine, d'onde la loro poligamia.
Nel Giappone e nella China, come già narrava Marco Polo, l'infanticidio era ed è un mezzo violento di malthusianismo, e così fra gli abitanti delle Isole Sandwich, i Boschimani, gli Ottentotti, i Fidjani, gli indigeni dell' America, tanto che nell'isola di Tahiti non meno dei due terzi dei fanciulli, al dire dei missionari, erano assassinati dai loro genitori; in molte tribù del Paraguay le donne non allevano che un figlio ciascuna, e siccome risparmiavano quello che esse supponevano dover essere l'ultimo, capitava frequentemente che rimanessero senza figli.
Alcune tribù dell'Africa spesso usano i loro figli come esca nelle trappole per i leoni, e in certe regioni dell' Australia li uccidono per usarne il grasso pe gli ami.
Le madri Guarany (narra D'Azara) uccidono spesso le figlie femmine per rendere più desiderate le superstiti (Viaggi nell'Ame- rica, 1835).
Un'altra causa di infanticidio è pure la morte della madre, perchè allora molti selvaggi usano seppellire con essa anche i bambini, come per es., i Tasmaniani, i Pelli-Rosse e gli Eschimesi, per la credenza religiosa che la madre dal Khillo, soggiorno dei morti, chiami suo figlio, e per l'impossibilità di allevare il piccolo orfano.
Vi hanno pur causa i pregiudizi, l'avversione per i gemelli, creduti prova dell'infedeltà della moglie, perchè si ritiene che un uomo non possa avere se non un figlio per volta. Ciò avviene fra i Tasmaniani, fra i Moxos, fra i Peruviani indigeni, fra i Pelli-Rosse. Tra gli Ibo dell'Africa orientale, i gemelli sono esposti alle fiere e la madre è cacciata dalla società. Fra gli Ottentotti il peggio conformato viene quasi sempre sotterrato vivo col consenso di tutto il kraal. Presso gli Hindou, la donna rimasta senza figli per lungo tempo, sacrifica Il suo primogenito alla dea Dourga; e all'Isola di Madagascar si lasciano morire d'inedia o divorare dalle fiere i figli nati nei giorni nefasti.
La necessità talvolta spinge all'infanticidio, e Stanley ha narrato che presso i Bari, in Africa, nelle frequenti carestie, le madri precipitano i figli nel fiume, non potendo più allevarli.
Finalmente, presso gli antichi Messicani, la società degli Ixquimani e a Tahiti quella degli Arreoi, composta del fiore della popolazione, avevano per precetto l'infanticidio; la donna che avesse allevato un figliuolo ne era scacciata, col titolo disonorante di « portatrice di figli».
In Australia Grant sentì dirsi da una selvaggia incinta che avrebbe distrutto il figlio, per evitare di nutrirlo.
L'infanticidio nella Nuova Olanda è di regola quando vi è una seconda o terza figlia, quando v'hanno gemelli, quando muore la madre. In questo caso, dicono: chi lo nutrirebbe? (Hovelaque, Les débris de l'humanité, 1881).
Negli Assini ogni madre che abbia nove figli vivi, è obbligata ad uccidere il 10°, il che si capisce per la impossibilità di mantenerli (o. c.).
Uccisione di vecchi, donne e malati. - L'abbandono e l'uccisione degli impotenti al lavoro, che vedemmo anche fra gli animali, come effetto dell'eccesso della popolazione, si è poi conservata, per trasmissione ereditaria, come obbligo dei figli o dei conoscenti, anche quando il bisogno non lo esigeva, e col consenso degli stessi sacrificati.
Fitzroy narra dei Tabitiani, che «essi non si facevano alcuno scrupolo di far morire quelli fra loro che erano vecchi o malati, perfino i loro genitori ». Questo costume è seguìto in tutta la Melanesia: e nella Polinesia si cacciano di casa, talvolta sotterrandoli vivi, come pure nella Nuova Caledonia, dove però sono più spesso lasciati morire nell'abbandono. Così fanno i Cafri Matcapi e gli Americani, dalla baia d'Hudson alla Terra del Fuoco.
In passato i Sioux, gli Assinìboini e altre tribù della valle del Missourì, avevano l'abitudine di abbandonare quelli che, per vecchiaia od infermità, non potevano tener dietro al campo durante le caccie; lo stesso seguiva fra le tribù settentrionali. Così avviene tra parecchie tribù dell'Africa e dell'Oceania. Così fra gli Ottentotti appena un individuo si trova per vecchiaia nella impossibilità di lavorare e non può più, dice Kolben, rendere alcun servigio, viene relegato in una capanna solitaria, lontana dal kraal, con una piccola provvista di viveri, finchè muoia di fame o sotto le zanne delle belve.
Alla Nuova Caledonia le vittime stesse trovano la cosa naturale e chiedono esse medesime la morte, recandosi alla fossa, ove sono gettate dopo un colpo di mazza sulla testa. Alle isole Fidji quell'uso era molto più generale ed era consacrato dalla credenza religiosa, che si arrivasse nella vita futura nell'identico stato in cui si era abbandonato questo mondo.
Il missionario Hunt, pregato da un giovane ad assistere ai funerali di sua madre, accettò l'invito; ma, quando comparve il corteo funebre, fu stupito di non vedere il cadavere; avendone domandato la ragione, il giovane selvaggio gli mostrò sua madre, che andava insieme agli altri, allegra come qualunque altro dei presenti. Egli aggiunse «che agiva in tal modo per amore suo, e che per lo stesso amore l'avrebbero tra breve sotterrata, ad essi spettando un dovere tanto sacro ... Era la loro madre ed essi i suoi figli: dovevano dunque porla a morte », Il capitano Wilkes non vide in una città di varie centinaia di abitanti un solo uomo che oltrepassasse l'età di quarant'anni; avendo domandato dove fossero i vecchi, gli fu risposto che erano stati sotterrati dopo uccisi. Così fanno gli Eschimesi, i Koriak, i Tshuthski ed i Kamtschadali.
I Kamtscbadali uccidono i vecchi genitori e li fanno divorare dai cani, per la credenza che così saranno trascinati da cani eccellenti nell'altra vita.
L'uccisione dei vecchi è unita anche, presso alcune tribù, al cannibalismo, di cui parleremo più innanzi.
Gli Itonamos dell'America meridionale strangolano i loro ammalati. I Thibetani, mentre rispettano i genitori, lasciano morire nell'abbandono i loro ammalati, specialmente se affetti da morbo contagioso. I selvaggi della Terra del Fuoco, spinti dalla carestia, uccidono, non già i loro vecchi genitori indistintamente, ma le donne vecchie, ch'essi considerano meno utili degli animali domestici. Tengono loro la testa sopra il fumo di un fuoco di legna verde, poi le strangolano e le divorano. Interrogati perchè non mangiassero piuttosto i loro cani, risposero: «Il cane prende iappo», ossia la lontra. Fra gli Indiani della California settentrionale, non è considerato come giusto il battere le donne, ma gli uomini «si riservano il diritto di ucciderle quando ne sono stanchi ». Così fanno gli Australiani, fra i quali, come dice Olfield, poche donne sono abbastanza fortunate da morire di morte naturale: « si uccidono generalmente prima ch'esse diventino vecchie e magre, per non lasciar perdere tanto buon nutrimento» .
Del resto, l'uso di uccidere i vecchi e gli ammalati non è esclusivo ai soli selvaggi, ma fu praticato anche in Europa, prima che le idee morali e giuridiche avessero raggiunto il grado di evoluzione degli ultimi secoli. Così Erodoto narra che i Massageti uccidevano i loro vecchi; Eliano lo dice degli Iperborei; Platone di un popolo della Sardegna: Strabone degli abitanti dell'antica Bactriana, che allevavano dei cani allo scopo di divorare i vecchi e gli infermi; Svetonio parla dei Romani che esponevano i loro schiavi ammalati in una isola del Tevere; gli Spartani esponevano i loro figli deformi; una antica tradizione scandinava parla di guerrieri ammalati che si precipitavano dall' Atternis-stapi, o roccia della famiglia, e in Svezia si conservarono fino al 1600 delle grandi clave, dette Atta-klubbor (clavi di famiglia), con le quali i vecchi e gli incurabili erano anticamente uccisi con solennità dai loro parenti (Letourneau, 143).

p. 81 – 86

E' la tecnica dei missionari cristiani messa a punto da Agostino d'Ippona e da Orosio: diffamare gli indifesi per poterli macellare più facilmente.

Questa diffamazione era sistematica. Spesso costruita dai cristiani per legittimare in patria i genocidi colonialisti. Ed è dalla diffamazione trasformata in "carattere atavico" presente nelle popolazioni ancora in essere, che prende avvio la "teoria dell'atavismo" di Cesare Lombroso. Come per la spiritista Usapia Palladino, Cesare Lombroso non solo si beveva qualunque cosa, ma la usava in maniera cattiva e perversa per far del male alle persone.

Nel 1888 Cesare Lombroso pubblica "Troppo presto" e si occupa del nuovo codice penale e pubblica "I palimsesti del carcere".

Nel 1893 Cesare Lombroso pubblica "La donna delinquente, la prostituta e la donna normale". Cesare Lombroso si iscrive alla sezione di Torino del Partito socialista. E il socialista Crispi, alleandosi con i proprietari fondiari siciliani, soffoca le ribellioni dei contadini, dei Fasci Siciliani, per favorire i latifondisti. Uccide i contadini a Giardinello, 11 morti, uccide a Monreale. 11 morti a Lercara Friddi; 8 morti a Pietraperzia, 20 morti a Gibellina, 18 morti a Marineo e morti a Belmonte Mezzagno; a santa Caterina Villermosa ci furono 13 morti. Si operarono arresti di massa, 1000 persone mandate al confino e furono sospese tutte le libertà individuali. Crispi ucciderà il futuro della Sicilia condannandola ad una vita da colonia. Ma questo piace a Lombroso. Macellare i contadini non è un comportamento da delinquenti; i delinquenti sono i contadini che chiedono migliori condizioni di vita.

Per quanto riguarda "la donna delinquente", le idee di Cesare Lombroso sono abbastanza chiaramente espresse nell' "Uomo delinquente".

Vale la pena di leggere alcune pagine:

La minima partecipazione della donna alla grassazione, all'assassinio, omicidio e ferimento, si deve alla natura stessa della costituzione femminile: l'immaginare un assassinio, il prepararlo, l'attuarlo richiedono almeno in un gran numero di casi, non soltanto forza fisica, ma una certa forza e complicazione delle funzioni intellettuali anzi più queste che quella. E un tal grado di sviluppo fisico mentale è di regola deficiente - in confronto all'uomo - nella donna. Ci sembra che invece i reati relativamente all'uomo più frequenti nella donna, siano quelli che richiedono minore forza fisica e intellettuale, e ciò valga sopratutto per le ricettazioni, per gli avvelenamenti, per gli aborti e gl'infanticidi. E dico forza intellettuale e non coltura, in quanto che è noto che gli avvelenamenti vengo commessi con frequenza anche da persone colte.
Quetelet già aveva fatto osservare, che queste differenze dipendono, assai più che non da una minore pravità dell'animo, dalla vita più ritirata, la quale porge minori occasioni alle aggressioni, alle mancanze al pudore; dalla minor forza, quindi minori assassini; dalla minore istruzione, quindi minori delitti di stampa. Difatti, nei delitti domestici esse uguagliano, e qualche volta superano i maschi. Negli avvelenamenti dànno una cifra di 91 O/O, e nei furti domestici del 60, senza dire che negli aborti e negl'infanticidi stanno come 1250 a 260 dei maschi.
Se aggiungiamo che l'abbondanza maggiore dei delitti nei maschi per mancanza al pudore viene, più che eguagliata, superata, almeno davanti allo psicologo, dal meretricio, e che nei paesi e nelle epoche più civili la criminalità della donna aumenta, e quindi tende ad avvicinarsi alla' virile, troviamo che le analogie sono molto maggiori di quanto si potrebbe aspettare.
Prostituzione. - La scarsità delle condanne per ozio, vagabondaggio e contravvenzioni deriva da molte circostanze, tra le quali possiamo enumerare la molto minor tendenza della donna all'alcoolismo e quindi alla serie di mali che ne seguono; il partecipare in minor grado al commercio; al fatto che nell'età giovine le prostitute sostituiscono qui completamente e assolutamente la criminalità, facendo il vagabondaggio e 1'ozio, parte, si può dire, della ignobile professione (1).
Poichè se non davanti al giurista, certo davanti alla pubblica opinione, le prostitute dovrebbero contarsi fra la popolazione criminale, ed allora le partite fra i due sessi sarebbero pareggiate, e forse il sesso debole avrebbe una prevalenza. Secondo Ryan e Talbot, ogni 7 donne di Londra, e ad Amburgo ogni 9 ragazze, si conterebbe una prostituta. - Noi in Italia n'abbiamo 9000 di riconosciute; e nei grossi centri 18, e fino 330/00 abitanti (Castiglioni, Sulla pro- stitueione, Roma, 1871).
E la triste quota si è raddoppiata, decuplata in alcuni paesi. A Berlino, da 600 che erano nel 1845, crebbero a 9653 nel 1863. Du Camp calcola a 120,000 le sole clandestine di Parigi negli ultimi anni (Paris, 1876).
Un egregio statista scriveva: «La prostituzione è alle donne quello che il delitto è agli uomini» (Corné, Journ. des économistes, 1868, p. 89). Altrettanto vedemmo ripetuto, e quel che è meglio provare, dal Dugdale colla genealogia degli Juke (v. s.). Anch'essa è causata dalla miseria e dalla pigrizia; ma soprattutto dall'alcoolismo, dalla eredità e dalla speciale tendenza dell'organismo. E noi abbiamo veduto e vedremo sempre più come gli stessi caratteri fisici e morali del delinquente si possono applicare alle prostitute, e quanta sia la loro reciproca simpatia. «Confrontando i dati raccolti nelle opere (scrive Locatelli, p. 178) colle risultanze della mia esperienza, ho potuto convincermi che i pubblicisti caddero tutti, dal più al meno, nello stesso errore, assegnando a causa principalissima del meretricio l'abbandono e la miseria in cui versano molte giovinette del proletariato.
« La prostituzione, secondo me, ripete la sua origine, in principal modo, dalle viziate tendenze naturali di alcune individualità del sesso gentile, come la tendenza al furto, ecc., nel sesso mascolino; e ciò ne rende impossibile la cura radicale. Il difetto di educazione, l'abbandono, la miseria, i cattivi esempi possono essere considerati tutto al più quali cause secondarie, come le cure della famiglia e l'istmo zione possono servire di freno salutare alle cattive tendenze.
La tendenza al meretricio è la mancanza istintiva del sentimento del pudore, che bene spesso si manifesta contemporaneamente alla mancanza di ogni sensibilità sessuale, dappoichè molte di quelle infelici sono di un temperamento apatico.
«Questa specie di automi di nulla si curano, e molto meno si commuovono; nei fugaci e molteplici loro rapporti esse non dimostrano preferenza di sorta. Se poi concedono i loro favori ad un amante lo fanno non già per simpatia, ma per pura ostentazione e per seguire l'usanza delle loro pari, mostrandosi indifferentissime tanto agli omaggi come agli atti del più brutale disprezzo»
Noi vedemmo, è vero, che quest'apatia è interrotta da violenti ma fugacissimi tratti, ma anche in questo quanta somiglianza col delinquente di cui l'apatia, l'insensibilità e le violente, ma fugaci passioni e la pigrizia sono i caratteri predominanti (V. pago 89, ecc.). Ma anche a rigore di legge e di cifre, una parte delle prostitute va compresa fra le delinquenti. Il Guerry osservò che a Londra le prostitute fino a 30 anni davano un contingente di criminali dell'80, e dai 30 in su, del 7 %. Ed appunto come la prostituzione, così anche la delinquenza va crescendo nella donna in ragione della maggiore civiltà, e quindi va tendendo ad equipararsi alla virile. - Davano le ree il 18,8 nel 1834 in Londra ogni 100 maschi; il 25,7 nel 1853; e mentre nella Spagna scendono all'11, in Francia salgono al 20; in Prussia toccano al 22; in Inghilterra al 23. Nell'Austria mentre il totale della criminalità delle donne è di 14%, nella capitale giunge a 25, e nella Slesia a 26 (2). Ma oltre a questi ultimi, molti altri e gra vi argomenti ci movono a sospettare maggiore, che non appaia dalle statistiche, la criminalità delle donne. Infatti i reati, cui più facilmente la donna si abbandona, come manutengolismo, aborto, avvelenamento, furto domestico, sono fra quelli che meno facilmente si rivelano o si denunciano. S'aggiunga il fatto, ormai notorio, della maggiore loro intensità e tenacità nel delinquere.

P. 1476 – 1479

Le donne non sono costrette a vivere, sono perverse, impudiche, prive di morale. Ancor oggi che la prostituzione in Italia non è un reato, queste donne vengono perseguitate arbitrariamente dalla Polizia di Stato che anziché perseguire i loro sfruttatori, preferisce aggredire le donne come se fossero merce da poter disporre a piacimento e non persone con diritti sociali da tutelare.

Le idee di Lombroso sono il cancro sociale. Un cancro che uccide lo sviluppo della società italiana in funzione dell'obbedienza all'assolutismo. Un assolutismo che Cesare Lombroso favorisce giustificando la persecuzione dei miserabili.

Nel 1896 Cesare Lombroso lascia l'insegnamento di medicina legale e prende quello di psichiatria e clinica psichiatrica. Pubblica i primi due volumi della quinta edizione de "L'uomo delinquente".

Nel 1898 a Torino aprì una sorta di museo di psichiatria che venne, in seguito, chiamato "Antropologia criminale". In questo museo Cesare Lombroso mette in mostra i suoi trofei, spesso sottratti con la violenza, il furto e sempre con assoluto disprezzo nei confronti delle persone. Io, personalmente, sono stato a visitare quel museo. Era proibito fotografare perché nessuno doveva documentare il razzismo e la delinquenza di Cesare Lombroso.

Nel 1904 Cesare Lombroso si dimette da consigliere comunale di Torino e si dimette dal Partito socialista probabilmente in seguito al primo sciopero generale in cui i poveri, i suoi malati mentali affetti da atavismo, chiedevano migliori condizioni di vita. Perché si dimette dal Partito socialista? Perché il Partito Socialista, dopo le centinaia di morti per mano degli assassini istituzionali, decise di proclamare lo sciopero generale e Cesare Lombroso non sopportava che i poveri, che lui identificava con i delinquenti, pretendessero diritti sociali davanti al re che lui riteneva re per volontà di Dio.

Come pensava gli italiani Lombroso?

Ecco una domanda alla quale vale la pena di rispondere prendendo da "L'uomo delinquente":

CAPITOLO III

Influenza della razza.
Selvaggi onesti. - Centri criminali. - Razze semitiche, greche
in Italia e Francia. - Indice cefalico. - Color dei capelli.
Ebrei. - Zingari.

In Italia sono tristamente celebri per brigantaggio le colonie albanesi.
Centri criminali. - In tutte le regioni d'Italia, e quasi in ogni provincia, si additano alcuni villaggi per avere somministrato una serie non interrotta di speciali delinquenti; così in Liguria, Lerici è proverbiale per le truffe, Campofreddo e Masson per gli omicidi; e sul Novese, Pozzolo per le grassazioni; nel Lucchese, Capannori per assassini; in Piemonte, Cardè (su quel di Saluzzo) pei suoi ladri campestri e San Giorgio Canavese, Vische, Candia; nel Lodigiano, Sant'Angelo pei furti, come una volta Guzzola sul Cremonese, Ponteterra sul Mantovano, Este, Cavarzere, S. Giovanni Ilarione e Montagnana sul Veneto; altrettanto Pergola nel Pistoiese, siccbè Pergolino vi è divenuto sinonimo di ladro; nel Pesarese, San Pietro in Calibano è famigerato per furti campestri, Sant' Andrea in Villis e Ferreto per l'assassinio negli uomini, e nelle donne per piccoli furti. Nell'Italia del sud, Sora, Melfi, S. Fele diedero sempre briganti fin dal 1660, come Partinico e Monreale in Sicilia.
Questo predominio del delitto in alcuni paesi è certo dipendente dalla razza, come per alcuni ci è rivelato dalla storia. Così Pergola nel Pistoiese fu popolata da zingari, Masson da assassini portoghesi e Campofreddo da corsari corsi, così che ancor il dialetto vi è misto di corso e di ligure.
Più famigerato di tutti è il villaggio d'Artena nella provincia di Roma studiato così da Sighele (Arch. di Psich., XI, 1890):
« Situato in cima di una collina, fra una campagna verde e ridente con un clima dolcissimo, questo paese ove è sconosciuta la miseria, dovrebbe essere uno dei più onesti e dei più felici. Invece esso ha una celebrità infame e i suoi abitanti sono considerati nei dintorni come dei ladri, dei briganti, degli assassini. Questa nomea non data da ieri: nelle cronache italiane del Medio-Evo si trova spesso il nome d'Artena, e la sua storia si può riassumere in una lunga serie di delitti. «Si può giudicare della gravità del male dalla seguente tavola statistica:

[…tolta tabella…]

« Da cui appare che si distingue per un numero di ferimenti, omicidi ed assassinii sei volte maggiore di quello della media dell' Italia e per un numero di grassazioni trenta volte maggiore di quello della media dell' Italia. E ancora queste cifre non dànno un'idea della ferocia ed audacia dei delinquenti Artenesi. Per rendersene conto, bisognerebbe descrivere tutti i delitti, bisognerebbe vedere come si assassina di pieno giorno sulla pubblica piazza, come si strangolano i testimoni che osano dire la verità ai giudici!... «Le cause, secondo il Sighele, sarebbero il carattere degli abitanti e l'influenza esercitata dai cessati Governi, che produssero altrove brigantaggio e camorra: l'Impotenza dell'autorità a colpire i colpevoli pel silenzio dei testimoni, comprati o impauriti: ma sopratutto l'eredità. Studiando, infatti, i processi intentati contro gli Artenesi dal 1852, Sighele vi ha trovato sempre gli stessi nomi: il padre, il figlio, il nipote si segui vano a distanza come spinti da una legge fatale. Montefortino, che è il nome precedente d'Artena, era celebrato per delitti sino dal 1155. Paolo LV nel 1557 fu condotto a bandirne dalla vita tutti gli abitanti, e dar facoltà a chiunque d'ucciderli e distrugger il castello «acciocchè non abbia esser più nido et recepio di tristi ladroni » ,
Certo è all'influenza di razza che si deve il fatto del predominio di alcune specie di reati in alcune regioni; così nel Mantovano predomina il delitto dei furti di polli, e l'incendio. Udine correrebbe a ferimenti con grassazione per un centesimo, ed è famigerata pure per le percosse e i ferimenti dei genitori (28 in un anno) - e così Cilento, provincia di Napoli, assassinii per arma da fuoco su 200 abitanti 30 O/O in un anno.
Che la razza entri come fattore nella maggiore criminalità di questi paesi, io lo sospetterei, anco, dall'avere veduto in parecchi dei loro abitanti, come Sant'Angelo, Pozzolo, S. Pietro, una statura più alta, che non nei paesi circonvicini.
E giova, a questo proposito, notare, come questi paesi abbiano, anche, alcuni costumi particolari, superstiziosi in ispecie. Così a Sant' Angelo il prete è il padrone del paese j guai a chi non gli levi il cappello o anzi non gli baci le mani e perfino al tocco della campana non s'inginocchi: prima di ogni loro mala impresa, i Sant'Anogelini vanno a messa e le donne pregano la Madonna perchè l'assassinio ed il furto vadano impuniti. Esse parlano ad alta voce fra loro dei crimini dei loro mariti: ma se questi sono imprigionati, per le prime, se ne maravigliano ed accompagnanli per miglia e miglia, coi bimbi in braccio, scarmigliate, gridando all'ingiustizia; e anche esse, per piccole cause, danno mano ai coltelli; ma peggio fan gli uomini, inclini a vendetta per le più piccole cause; p. es., due passeggi eri passando a caso dal villaggio rifiutarono di dare un mossicone ad uno di loro, ed essi subito accordati si li rinchiusero in una stanza e tentarono farveli morire di fame.
Quando si pensa che il malandrinaggio in Sicilia si concentra quasi tutto in quella famosa valle della Conca d'Oro, dove le rapaci tribù Berbere e Semi te ebbero le prime e più tenaci dimore, e dove il tipo anatomico, i costumi, la politica e la morale conservano una impronta araba (e bastino a provarlo le descrizioni di Tommasi crudeli), quando si pensi che ivi come nelle tribù Arabe l'abigeato è il delitto più prediletto, resta facile il persuadersi che il sangue di quel popolo conquistatore e rapace, ospitaliero e crudele, intelligente, ma superstizioso, mobile sempre ed irrequieto e sdegnoso di freno, deve avere la sua parte nel fomentare le subitanee ed implacate sedizioni, e nel perpetuare il malandrinaggio, che, appunto come nei primi Arabi, vi si confonde non rare volte colla politica, ed anche al di fuori di questa, non suscita il ribrezzo nè l'avversione che suole in popoli assai meno intelligenti, ma più ricchi di sangue ariano, anche della stessa Sicilia, p. es. di Catania, Messina.
Viceversa, va notato il paese di Larderello di Volterra, che da 60 anni a questa parte non contò un omicidio, nè un furto e nemmeno una contravvenzione. Anche in Francia in una serie di borgate disposte sul confine delle foreste della Thierache, prolungamento di quelle delle Ardenne, Fauvell e (Bulletin de la Société d'anthropologie, 1891) ha indicato esistere una razza delinquente. Dovunque predomina questa razza non vi sono che risse violente di tutte le specie sulle quali l'autorità giudizi aria è il più delle volte obbligata di chiudere gli occhi per non ingombrare le prigioni. Il forestiero che s'arrischia in mezzo a queste popolazioni si espone agl'insulti tanto delle donne che degli uomini. Anche nella classe agiata, questa brutalità sovente si rivela sotto una certa vernice civile. L'alcoolismo frequente, esagera ancora questa specie di barbarie; vi si nota ripugnanza pei lavori dei campi; sfrutta le foreste o lavora nell' industria del ferro, ma preferisce il contrabbando. La statura è un po' al disopra della media, ha forti muscoli, le mascelle larghe e robuste; naso dritto e gli archi sopraccigliari accentuati; il sistema pilifero è abbondante e molto pigmentato, ciò che li distingue subito da un' altra razza dai capelli biondi giallastri che occupa molti vicini villaggi, a cui non si associa che raramente.
Queste influenze non sempre si possono precisare colle cifre alla mano, anche per la ragione che quando ci appoggiamo alle statistiche criminali, troviamo una serie di cause complesse, che ci impediscono di cavare una conclusione sicura. Per esempio, la donna in Spagna, Lombardia, Dalmazia, Voivoidina, Gorizia, darebbe il minimo della criminalità; ed il massimo nella Slesia austriaca, e nelle provincie Baltiche della Russia (Messedaglia, op. cit.).
Ma qui, più che l'influenza di razza, può quella dei costumi; dove le donne sono istrutte al pari degli uomini, come nella Slesia, nel Baltico, e prendono parte alle lotte virili, ivi danno una cifra di criminalità che più s'avvicina alla virile.
Lo stesso può dirsi della maggiore criminalità che si osservò negli adolescenti (e quindi nei celibi) dei paesi germanici dell'impero austriaco, specialmente Salisburgo, Austria, in confronto degli Slavi ed Italiani, Gorizia, Tirolo, Oarinzia (Messedaglia, op. cit.).
Nell'impero d'Austria, osservava il Messedaglia, prevalere i crimini per cupidigia in Bukowina, Oroazia, Boemia, Ungheria (68 a 76 O/O) in confronto alla Dalmazia, Tirolo e Lombardia (32 a 45%).
Le grandi lesioni corporali diedero un massimo nella Carniola e Tirolo (28 a 21 O/O), un minimo in Slesia e Moravia (1,36%).
In Baviera, secondo l'Oettingen, si avrebbe un massimo di furti (42%) nella Baviera Alta; un massimo di lesioni corporali nella Bassa (41%), mentre nella Svevia predominano le truffe e nel Pfalz le ribellioni.
In Francia, fra gli abitanti di razza pelasgica (Corsìca, Marsiglia) predominerebbero i rei contro le persone; fra quelli della germanica (Alsazia) i delitti d'ogni specie, che scarseggerebbero nella celtica (Quetelet).
Dall' Omicidio di Ferri è nettamente dimostrata, nelle sue grandi linee, l'influenza etnica sulla distribuzione dell'omicidio in Europa: vi si vede che i Tedeschi ed i Latini si trovano agli estremi anche nella tendenza all'omicidio in genere, nella prevalenza degli omicidii qualificati, nella frequenza dell'infanticidio, come, in senso inverso si trovano agli estremi nella tendenza al suicidio ed anche alla pazzia, più frequenti presso i Tedeschi che presso i Latini.
In Italia rilevando, pel 1880·83, gli omicidii semplici (insieme ai ferimenti con morte) e gli omicidi qualificati (insieme alla grassa- zione con omicidio), denunciati nelle varie provincie, secondo i dati raccolti nel Movimento della delinquenza dal 1873 al 1883, Roma, 1886, noi troviamo

[… tolta tabella…]

con predominio evidente fra le popolazioni a razza Semitica (Sicilia, Sardegna, Calabria) e Latina (Lazio, Abruzzi) in confronto a quelle di razze Germaniche, Liguri, Celte (Lombardia, Liguria, Piemonte) e Slave (Veneto).
Oltre, infatti, ai principali elementi etnici primitivi dei Liguri al Nord, degli Umbri ed Etruschi al centro, e degli Osci al Sud, oltre i Siculi, d'origine ligure, in Sicilia, le stirpi che, più concorsero a determinare il carattere etnico delle varie regioni italiane, sono germaniche, celte e slave al Nord e fenicie, arabe, albanesi e greche al Sud e nelle isole (Ferri, op. ci t.).
E' agli elementi africani ed orientali (meno i Greci), che l'Italia deve, fondamentalmente, la maggior frequenza di omicidii in Calabria, Sicilia e Sardegna, mentre la minima è dove predominarono stirpi nordiche (Lombardia): il che riceve la più evidente riprova da tal une oasi o di minore o di maggiore frequenza, che sono in troppo singolare coincidenza colle specialità etniche di quei paesi (Id.).
Altra prova: in Toscana alla frequenza minima di Siena (3.9 su 100.000 ab.), Firenze (4.3) e Pisa (6.0) fa contrasto l'intensità press'a poco doppia di Massa-Carrara (8.3), Grosseto (10.2), Lucca (11.9) e tripla di Arezzo (13.4) e sopratutto di Livorno (14.0).
Ora, oltre le speciali condizioni di vita che si hanno a Maasa-Carrara per le miniere e a Grosseto per le maremme, è innegabile (scrive Ferri, op. cit.) l'influenza etnica (1) nella Lucchesia, cui la statura alta e la dolicocefalia (prevalente pure a Massa-Carrara) e la maggiore tendenza all'emigrazione distinguono dal resto della Toscana: ed aggiungo io l'influenza dei ribelli Liguri antichi che tante volte si sollevarono all' impero di Roma, ma sopratutto è evidente l'influenza etnica a Livorno, di cui è nota l'origine. Villaggio paludoso nel XVI secolo, con 749 abitanti nel 1551, fu popolato prima dai Liburni «popoli dell'lllirico, inventori delle Galeotte liburne, e insigni pirati, a cui si aggiunsero saraceni, ebrei, marsigliesi» poi da avventurieri e pirati, ìvi chiamati dai Medici.
E Livorno, che nel 1879-83 diede la proporzione più alta per tutta Italia del totale dei reati denunciati, dà pure, in confronto alla Toscana, compreso Arezzo, cifre più alte di omicidii qualificati, e di ribellioni come di furti qualificati. Il che non può essere determinato, in prevalenza, dalla grande densità giacchè questa densità (355 abito ogni chilom. q.) si ha eguale a Milano (355) e molto maggiore a Napoli (11 49); e non è determinato neppure un maggiore agglomero della popolazione urbana, perchè questa a Napoli è il 94% della popolazione del comune, a Milano è il 92% e a Livorno è solo 1'80%. E tuttavia le ribellioni ed i furti qualificati sono molto meno frequenti a Milano e Napoli, malgrado i climi diversissimi, che a Livorno (Ferri, o. c.). Un altro contrasto spiccato si ha nella parte meridionale della penisola (Atlante) dove la distribuzione degli omicidii semplici segna delle oasi d'intensità maggiore nelle provincie di Campobasso, Avellino, Cosenza e Catanzaro, e delle oasi di minore frequenza in quelle di Benevento, Salerno, Bari e Lecce, in confronto alle provincie circostanti di Aquila, Caserta, Potenza, Reggio e sopratutto di Napoli, dove, al caso, la potenza criminogena dell'ambiente sociale dovrebbe essere molto più forte (Ferri, o. c.).
Ora è difficile non rilevare un rapporto di causalità tra la presenza delle colonie albanesi, come fattore etnico della maggiore criminalità di sangue nelle provincie di Cosenza, Catanzaro, Campobasso. Viceversa la minore intensità degli omicidii semplici a Reggio e soprattutto nelle Puglie (Bari e Lecce) dipende, in gran parte, dal- l'elemento greco, se si pensa all'antica Magna Grecia (che concorre anche a spiegare la minore intensità di Napoli) e poi alle colonie venute durante la dominazione bizantina e dopo ed alle precedenti immigrazioni dei Japigi-Messapi e «anche oggi in quelle provincie le fisonomie della maggior parte dei nativi ricordano quel tipo, da cui traspare la pacata mitezza del carattere» (Nicolucci): a cui bisogna pure aggiungere l'influenza nordica dell'occupazione Normanna.
Quanto poi alla spiccatissima intensità minore di omicidii semplici a Benevento e Salerno non è possibile non ricordare l'elemento longobardo, che vi ebbe così lungo dominio (ducato di Benevento e Salerno), da «poter contrastare in alcuni luoghi colla potenza assimilatrice degli Italiani e conservare fino ad oggi alcune sue impronte - statura alta, capelli biondi, ecc. -, che ne rivelano ancora la potenza in mezzo ai tipi indigeni della Penisola» (Ferri). E la diversa influenza del sangue albanese, ellenico e longobardo in queste oasi della criminalità si conferma colla distribuzione degli omicidi i qualificati e nelle grassazioni con omicidio. Infatti, meno per Salerno e per Reggio, che danno cifre relativamente più alte, abbiamo Napoli, che per il sangue greco, malgrado il grande agglomero di popolazione e di miseria, dà cifre molto basse, pari a quelle di Bari e Lecce; permane la minore intensità di Benevento come la maggiore di Campobasso e Avellino.
La Sicilia offre pure un esempio evidente dell'influenza etnica sull'omicidio.
Le provincie orientali di Messina, Catania e Siracusa hanno una intensità di omicidii semplici e qualificati (Atlante) molto inferiore a quella delle provincie di Caltanissetta, Girgenti, Trapani e Palermo.
Ora è noto che la Sicilia, così diversa pel carattere delle sue popolazioni dalla vicina penisola meridionale, in gran parte anche per i molti elementi nordici (Vandali, Normanni, Francesi, Fiamminghi) che l'hanno invasa e dominata, presenta nelle sue coste orientali una prevalenza di elementi ellenici, dai Magno-greci in poi, che è impossibile non mettere in relazione colla minore intensità di omicidii di quel versante (come per le Puglie); ed una prevalenza nella parte meridionale e settentrionale, invece di elementi saraceni ed albanesi, che certamente concorrono a determinare maggiore intensità di omicidi in quelle provincie.
Il Reclus scrive: «All'assedio di Palermo dai Normanni (1071) si parlavano cinque lingue in Sicilia; arabo, ebraico, greco, latino, siciliano volgare. L'arabo rimase la lingua prevalente anche sotto i Normanni. Più tardi Francesi, Tedeschi, Spagnuoli, Aragonesi contribuirono a fare dei Siciliani un popolo diverso dai vicini d'Italia per l'assetto, i costumi, le abitudini, il sentimento nazionale. .... La differenza fra le popolazioni siciliane è grandissima, secondo la prevalenza di questa o quella razza nell'incrociamento. Così gli abitanti delle provincie etnee, che sono forse d'origine ellenica più pura degli stessi greci, perchè non sono mescolati cogli Slavi, hanno un'eccellente rinomanza di buona grazia e di mitezza. I Palermitani al contrario, presso i quali l'elemento arabo ebbe maggiore influenza che in qualunque altra parte, hanno in generale i lineamenti gravi e diversi costumi :. (Ferri, o. c.).
Nè varrebbe il dire che queste contraddizioni potrebbero dipendere dall'influenza delle grandi città, perché vediamo la provincia di Palermo inferiore nei furti qualificati (150 per 100.000 ab.) a quella di Trapani (168) e Catania (173) e negli altri reati in genere contro le proprietà la provincia di Palermo (243) inferiore a quelle di Catania (248) e Caltanisetta (272).
Gli è, invece, che il sangue saraceno e albanese com'è più proclive ai reati di sangue, meno propende invece ai reati contro la proprietà.
La criminalità della Sardegna è pure caratteristica, sia nel confronto con quella del continente e soprattutto di Sicilia, sia nel contrasto quasi costante fra il Nord (provincia di Sassari) ed il Sud (provincia di Cagliari) nell'isola stessa.
Etnicamente la Sardegna si differenzia dalla Sicilia, perchè fino dall'antichità remotissima e poi ai tempi di Cartagine, «i Fenici ebbero in Sardegna più vasto imperio e più lunga dominazione che in Sìcilia », talcbè «anche il cranio degli odierni Sardi conserva in parte l'antico tipo del cranio fenicio (dolicocefalo); ed in Sardegna ebbero molto minore prevalenza gli elementi saraceni, di cui si hanno le due colonie dei Barbaricini nelle Barbagie (prov. di Sassari) e dei Maureddi presso Iglesias (prov. di Cagliari) (1).
Questa differenza etnica, certo concorre a determinare la più insana criminalità media contro le persone in Sicilia (malgrado l'inferiorità delle provincie orientali) e viceversa la maggiore delinquenza media contro le proprietà in Sardegna. Confrontando, per es., la Sardegna colla Sicilia, nell' Atlante, si vede lo spiccato contrasto delle due isole nella intensità degli omicidi semplici che si conferma anche più per i ferimenti volontari. E se per gli omicidii qualificati la Sicilia in totale dà una quota alquanto minore, per le basse cifre delle provincie orientali, la quota totale però di tutti i reati contro le persone, compresi gli omicidii semplici e qualificati e le grassazioni con omicidio, è molto superiore nella Sicilia (vedi pago 29).
Viceversa nei reati contro la proprietà la Sardegna (per la prevalenza del sangue semita) è molto superiore alla Sicilia, specie per i furti qualificati, come per i reati contro la fede pubblica, mentre nei reati violenti contro la proprietà, come grassazioni, estorsioni e ricatti senza omicidio, la Sicilia riprende una certa prevalenza.
Nella Sardegna poi vi è nella criminalità delle due provincie di Sassari e Cagliari quel contrasto che già si nota nel tipo degli abitanti come nelle manifestazioni della loro vita economico-sociale. Il nord ha l'agricoltura e l'industria più sviluppate, il sud ha le miniere presso Cagliari, Iglesias, ecc.
Etnicamente si sa che la provincia di Cagliari è più decisamente fenicia e che in quella di Sassari è pure notevole l'elemento spagnuolo (colonia d'Alghero); e ciò forse concorre colle condizioni economiche a determinare la maggior frequenza di furti qualificati e reati contro la fede pubblica nella provincia di Cagliari e la maggior intensità di omicidii semplici e qualificati e di grassazioni con omicidio in quella di Sassari (Ferri, o. c.).
Viceversa l'infanticidio tutto affatto occasionale dà cifre inferiori poco diverse dalla media del Regno (11 reati denunciati per 1 milione d'abitanti) nelle Corti d'appello di Palermo (8,9) e di Napoli (12), che negli assassini invece danno cifre (147 e 61) molto superiori alla media italiana (36): nelle Corti di Aquila (19) e Torino (15) l'infanticidio è relativamente molto più frequente che l'assassinio (36 e 7).
Così il parricidio dà, in contraddizione all' assassinio ed al rapporto etnico, una più alta frequenza nelle Corti di Aquila, Casale, Venezia ed una minore frequenza in quelle di Palermo e Cagliari. Un altro esempio spiccato dell'influenza etnica è offerto dalla criminalità della Corsica, che, com'è noto, segna il massimo in Francia dei reati di sangue (eccettuati il veneficio e l'infanticidio), mentre nei furti, per esempio, dà cifre molto più basse.

p. 1274 - 1284

La legittimazione del razzismo per Cesare Lombroso passa per i fatti di cronaca. Questi pezzenti che non vogliono stare al loro posto e che, anziché obbedire, sono corpi desideranti proiettati in uno spazio e in un tempo (prospettive) ristretto e doloroso. E' la razza. Li ha creati Dio. Li ha creati poveri e disgraziati. O li si riduce all'obbedienza o li si ammazza.

Individui discriminati da Lombroso che certifica come "buoni" ogni delitto nei confronti delle persone povere e fragili, come lo stupro dei bambini. Basta che non si dica nei tribunali, che stia nascosto fra le mura e, allora, quella violenza non esiste.

E' il caso di Don Bosco, un trafficante di carne umana che si soddisfaceva stuprando i bambini. Uno schiavista al servizio dell'industria e del re purché il re fosse obbediente alla chiesa cattolica. Non modificava le condizioni di vita delle persone, ma usava le persone per i suoi scopi separandole dalla società. Che gli Istituti Salesiani furono (fino ad oggi, 2018) dei centri per lo stupro dei ragazzi, oggi è cosa conosciuta per quanto la polizia e la magistratura abbiano coperto la pratica dei reati in nome di quel crocefisso con cui ancor oggi minacciano di morte i cittadini. Lo stupro dei ragazzi è una pratica conosciuta ed era conosciuta da Lombroso che non considerava quei ragazzi dei cittadini con una qualche forma di diritto e, dunque, riconosceva a don Bosco il diritto di stuprarli esattamente come Hitler, non riconoscendo gli ebrei come dei soggetti di diritto, si arrogava il diritto di metterli nei campi di sterminio.

La vicenda intercorsa fra Cesare Lombroso e Usapia Palladino ci permette di chiarire la vera natura delle idee superstiziose che stavano alla base delle "ricerche" di Cesare Lombroso.

Nel 1892 a Milano si formò una commissione di "scienziati" che dovevano esaminare Usapia Palladino una donna analfabeta o semianalfabeta che dichiarava di parlare con gli spiriti, di muovere tavolini e di fare sedute spiritiche. Lombroso passava per ateo e per scettico, eppure certificò l'autenticità della comunicazione della Usapia Palladino con gli spiriti e con un mondo dell'aldilà. Cesare Lombroso voleva credere, come ha sempre voluto credere nel mondo dominato dal dio padrone degli ebrei, e, per quanto nella sua vita avesse finto che non fosse così, davanti ad Usapia Palladino ha detto: "Si! Dio esiste!". E, in realtà, era quello che era andato cercando. Misurando i crani delle persone in cui voleva trovare il "marchio criminale" nella loro fisiologia. L'impronta di Dio!

Usapia Palladino divenne molto famosa, anche grazie a Cesare Lombroso e alle sue farneticazioni.

Edward Clodd scrisse "Lombroso si bevve tutto, dalla tavola spiritica alla materializzazione dei defunti, alla fotografia spiritica alle voci degli spiriti stessi; ogni storia, vecchia o nuova, indifferentemente dal fatto che venisse da fonti attendibili o meno, purché confermasse la sua voglia di credere".

Usapia Palladino, scoperta più volte con i suoi trucchi, continuava ad essere famosa. Negli USA fu smascherata definitivamente come truffatrice. Prima ad Harvard dallo psicologo Hugo Mursenberg, e poi alla Columbia University. Nel suo ultimo libro Lombroso scriveva del paranormale citando spesso Usapia Palladino. Il libro di Lombroso usciva in italiano ed in inglese. Non era solo Usapia Palladino a venir smascherata, ma veniva smascherato anche Cesare Lombroso: ciò che faceva non era scienza ma un gioco di prestigio le cui vittime erano coloro che non si potevano difendere. La Palladino morirà nel 1918 sola e in miseria nonostante i suoi grandi guadagni. Cesare Lombroso era morto da nove anni.

Lombroso si ammala di angina pectoris e l'aggravarsi della malattia caratterizza gli ultimi anni di vita di Cesare Lombroso. L'angina pectoris è una malattia che colpisce l'occidente ed è scarsamente diffusa in Africa. E' una malattia che colpisce le persone "benestanti" e, sicuramente, nella sua malattia Cesare Lombroso non avrà riscontrato i caratteri atavici che contraddistinguono gli "sporchi selvaggi". Quegli "sporchi selvaggi" che hanno distrutto l'esercito coloniale italiano ad Adua nel 1896.

 

NOTA: Le citazioni di Lombroso sono tratte: Cesare Lombroso, l'uomo elinquente, V edizione 1897, ristampata da Bompiani, 2013, le pagine indicate sotto la citazione sono relative a questa edizione.

 

Marghera, 28 novembre 2018

 

Pagina tradotta in lingua Portoghese

Tradução para o português: Capítulo 113 A biografia de Marco Ezechia Lombroso dito Cesare - trigésima biografia

 

 

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Claudio Simeoni

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