Maometto
Abu l-Qasim Muhammad ibn 'Abd Allah ibn 'Abd al-Muttalib al-Hashimi

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Capitolo 118

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Claudio Simeoni

 

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La biografia di Maometto
Abu l-Qasim Muhammad ibn 'Abd Allah ibn 'Abd al-Muttalib al-Hashimi

 

Il vero nome di Maometto è Muhammad, il nome completo è Abu l-Qasim Muhammad ibn 'Abd Allah ibn 'Abd al-Muttalib al-Hashimi. Il nome Maometto è un'italianizzazione diventata talmente comune che se si usasse il nome Muhammad non saremmo in grado di distinguere il soggetto di cui parliamo da un nome molto comune fra le popolazioni arabe.

Per questo motivo, nello scrivere questa biografia, uso il termine Maometto perché questo, in Italia, mi dice immediatamente di chi sto parlando.

Per scrivere della vita di Maometto non ci possiamo soffermare all'insieme dei dati certi, ma dobbiamo anche affrontare l'agiografia con la quale le persone di religione islamica descrivono la vita di Maometto.

Il problema si è posto con la vita di Gesù. Gesù come persona non è mai esistito. Il nome Gesù sta ad indicare tutta una serie di scritti che si dividono in canonici e non canonici. Tutti questi vangeli hanno un antenato comune ed è un'operazione ideologica intentata da neoplatonici-ebraici che, sfuggita dal loro controllo, si è sviluppata alimentando ogni sete di potere e di dominio dell'uomo sull'uomo che ha incontrato nella storia dell'umanità. Il nome Gesù non indica una persona, ma le descrizioni che ne fanno i vangeli.

Per Maometto la questione è differente. Maometto è un personaggio storico sulla cui figura è stata costruita un'agiografia estremamente articolata allo scopo di favorirne il culto. Parte di questa agiografia è stata costruita su delle forme di disturbi mentali di Maometto? Forse, ma sta di fatto che quelle manifestazioni hanno modificato la vita degli uomini e questa manifestazione ideologica, scaturita in questo modo, va affrontata e definita per la sue espressione e per le scelte sociali che ha indotto.

Come ho fatto con Gesù che sono andato alla ricerca delle fonti agiografiche con cui è stata costruita l'immagine di Gesù, così devo fare con Maometto, ma con una differenza sostanziale. La fonte dalla quale derivavano gli elementi agiografici di Gesù erano i testi Pagani; la fonte da cui trae origine l'agiografia di Maometto sono i testi cristiani ed ebraici.

In sostanza, l'immagine agiografica di Maometto deriva direttamente dai testi ebraici e cristiani. Ed è logico, se ci si riflette. Eravamo nel 600 e la cultura antica era stata completamente distrutta dalle devastazioni portate dai cristiani. Il cristianesimo e l'ebraismo nella penisola arabica e in Siria erano rimasti l'unica fonte dalla quale trarre i modelli agiografici. Tuttavia il cristianesimo e l'ebraismo non avevano conquistato l'Arabia che continuava a seguire i culti degli antenati anche se fortemente inquinati dal cristianesimo e dall'ebraismo.

Maometto nasce a La Mecca nel 570 d. c. E' l'anno in cui il re cristiano dell'Abissinia, Abirahah, attacca la penisola arabica. Prima massacra la popolazione di un re ebreo dello Yemen che era diventato famoso per aver ucciso dei cristiani nella città di Nagran e poi si dirige verso La Mecca.

Questo fatto, storicamente dimenticato, segnerà le scelte e la vita di Maometto.

Il padre di Maometto morì, secondo alcune fonti, mentre la madre era incinta di Maometto. Secondo altre fonti, morì quando Maometto aveva due anni. Il padre di Maometto, Abdallah figlio di Abd al-Mutalib, stava tornando da un viaggio d'affari in Siria, si era ammalato a Medina ed era morto. Sta di fatto che Maometto crebbe senza un padre.

La madre di Maometto, Aminah figlia di Wahb della tribù di Zuhrah dette Maometto da allattare a Halimah e a suo marito e lo svezzarono a due anni, dopo un po' fu restituito alla madre che lo portò dal padre di suo marito Abd el-Muttalib presso i quali Maometto stette tre anni. Quando poi, a cinque anni, la madre partì per Medina per presentare il figlio agli zii, i Banu al-Naggar, e visitare la tomba del padre di Maometto.

Era il primo viaggio di Maometto e stette a Medina per un anno. Fra La Mecca e Medina, in una località chiamata al-Abwa, Aminah, madre di Maometto, muore. Era il 576. Maometto viene riaccompagnato dai compagni di viaggio dal nonno paterno Abe el-Mutalib che lo cresce fino all'età di otto anni finché anche lui muore. La funzione di tutore viene presa da Abu Talib che quando Maometto aveva nove anni decise di partire per affari in Siria. Voleva affidare Maometto al fratello, ma Maometto insistette per poterlo accompagnare.

Il nonno di Maometto era un personaggio importante sia a La Mecca che a Medina. Maometto era orfano, ma non visse come un orfano povero. Visse come un personaggio agiato. Comunque, visse nella condizione di orfano adottato.

Queste sono le notizie relativamente attendibili sulla prima infanzia di Maometto. Non abbiamo notizie del tipo di istruzione che Maometto ha ricevuto, ma certamente una grande esperienza nelle attività di commercio e di relazioni pubbliche. Più avanti Maometto dirà di non saper leggere.

Ora veniamo al parallelismo costruito fra la figura di Maometto e quella di Gesù nella costruzione della prima infanzia.

Il primo elemento è: la nascita annunciata da fatti prodigiosi.

Chi parla di fatti prodigiosi relativi alla nascita di Gesù? Essenzialmente Matteo, Luca e Giovanni, meno Marco.

La prima differenza che notiamo è che mentre Gesù viene spacciato come "figlio del Dio degli ebrei", Maometto viene fin da subito pensato come un profeta. Perché questa differenza? Perché Gesù non è mai esistito e, visto che si deve immaginare, tanto vale immaginarlo in grande. Maometto è un personaggio storico e non si può mitizzare la sua figura prescindendo dalla sua storicità.

Prendiamo le "meraviglie della nascita.

Scrive nel suo vangelo Matteo:

Ecco come è nato Gesù Cristo. Maria, sua madre, era fidanzata con Giuseppe; essi non vivevano ancora assieme, ma lo Spirito Santo agì in Maria ed ella si trovò incinta.
Ormai Giuseppe stava per sposarla. Egli voleva fare ciò che era giusto, ma non voleva denunciarla di fronte a tutti. Allora decise di rompere il fidanzamento, senza dir niente a nessuno.
Ci stava ancora pensando, quando una notte in sogno gli apparve un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, discendente di Davide, non devi aver paura di sposare Maria, la tua fidanzata: il bambino che lei aspetta è opera dello Spirito Santo.
Maria partorirà un figlio e tu gli metterai nome Gesù, perché egli salverà il suo popolo da tutti i peccati».
E così si avverò quello che il Signore aveva detto per mezzo del profeta Isaia:
Ecco, la vergine sarà incinta partorirà un figlio ed egli sarà chiamato Emmanuele. Questo nome significa: «Dio è con noi».
Quando Giuseppe si svegliò, fece come l'angelo di Dio gli aveva ordinato e prese Maria in casa sua.
E senza che avessero avuto fin'allora rapporti matrimoniali, Maria partorì il bambino e Giuseppe gli mise nome Gesù.
Gesù nacque a Betlemme, una città nella regione della Giudea, al tempo del re Erode. Dopo la sua nascita, arrivarono a Gerusalemme alcuni uomini sapienti che venivano dall'oriente
e domandarono: «Dove si trova quel bambino, nato da poco, il re dei giudei? In oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo».
Queste parole misero in agitazione tutti gli abitanti di Gerusalemme, e specialmente il re Erode. Il quale appena lo seppe,
radunò tutti i capi dei sacerdoti e i maestri della legge e domandò: «In quale luogo deve nascere il Messia?».
Essi risposero: «A Betlemme, nella regione della Giudea, perché nella Bibbia è scritto:
Tu Betlemme, del paese di Giudea, non sei certo la meno importante tra le città della Giudea, perché da te uscirà un capo che guiderà il mio popolo, Israele».
Allora il re Erode chiamò in segreto quei sapienti venuti da lontano e si fece dire, con esattezza, quando era apparsa la stella.
Poi li mandò a Betlemme dicendo: «Andate e cercate con ogni cura il bambino. Quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, così anch'io andrò a onorarlo».
Ricevute queste istruzioni da parte del re, essi partirono. In viaggio, apparve ancora a quei sapienti la stella che avevano visto in oriente,
ed essi furono pieni di grandissima gioia. La stella si muoveva davanti a loro fino a quando non arrivò sopra la casa dove si trovava il bambino: là si fermò.
Essi entrarono in quella casa e videro il bambino e sua madre, Maria. Si inginocchiarono e adorarono il bambino. Poi aprirono i bagagli e gli offrirono regali: oro, incenso e mirra.

Vangelo di Matteo 1, 18-25 e 2, 1-11

Più articolato è il racconto nel vangelo di Luca, ma per il confronto è sufficiente quello di Matteo.

E ora leggiamo come viene descritta la nascita di Maometto.

La madre del Profeta ha raccontato che quando, al termine dei nove mesi, si appressava al parto, vide in sogno scendere dal cielo un angelo che le disse: «Colui che porti in seno è il più grande degli uomini, e la più nobile tra le creature: quando lo avrai partorito, dagli il nome di Maometto! e pronuncia queste parole: "Mi sono rivolta per lui all'unico Dio, contro il cattivo influsso degli invidiosi» e che raccontò questo sogno ad 'Abd al-Muualib. La notte che il Profeta venne al mondo sua madre lo guardò e vide uscire da lui una luce che irraggiava fino alla Siria, sicché riuscì a distinguere tutti i palazzi di quel paese. La luce che sortiva da lui si irradiava anche verso il cielo, e raggiungeva le stelle. L'indomani fece chiamare 'Abd al-Muttalib e gli raccontò ciò che aveva visto ed 'Abd al-Muttalib diede al bimbo il nome di Maometto. Un'altra fonte narra che, al momento della nascita del Profeta, tutti gli idoli esistenti nel tempio della Càaba e nella città della Mecca caddero in avanti; i fuochi, in tutti i luoghi dove li custodivano i Magi in Arabia e Persia, si spensero; Anosharvan vide in sogno cadere le torri del suo palazzo. Infine il grande Mobadh sognò di grandi e forti cammelli in lotta contro pochi e piccoli cammelli. Questi, che erano cammelli arabi, misero in fuga i loro avversari, passarono il Tigri, penetrarono in Persia e vi si diffusero. La mattina seguente il Mobadh si alzò e non parlò a nessuno del sogno, ma in cuor suo ne fu molto afflitto. L'indomani giunse dalla Persia la notizia che il grande fuoco magico si era spento la notte che Anosharvàn aveva avuto quella visione nel sogno. Erano mille anni che quel fuoco non si spegneva. Anòsharvàn ne rimase attonito e disse: «E' una notizia assai grave, bisogna informarne il popolo». Riunì i ministri, i più alti ufficiali dell'impero e il Mobadh raccontò loro il suo sogno, dando lettura della lettera appena giunta. Il Mobadh disse: «Anch'io, quella notte, ho avuto un sogno in cui ho visto dei cammelli». Raccontò il sogno ed aggiunse: «Qualcosa di grande sta accadendo tra gli Arabi. Verrà di là qualcuno che soggiogherà la Persia, e che trionferà sulla sua monarchia e sulla sua religione. Ci occorre un arabo che conosca la loro tradizione e i loro scritti, per interrogarlo al riguardo». Anòsharvàn scrisse subito una lettera a Nu'màn, figlio di al-Mundir, dicendogli: «Mandami un arabo sapiente e anziano perché possiamo interrogarlo su alcune cose della tradizione araba». V'era allora a Hìrah un cristiano di nome 'Abd al-Masih, figlio di 'Aror il Gassànide, discendente dei re di Siria. Costui aveva vissuto già trecento sessanta anni; era molto esperto nelle tradizioni antiche e aveva letto molti libri. Suo zio era Satih, l'indovino dello Yemen, ed era da costui che egli aveva appreso l'arte della divinazione. Nu'màn, figlio di al-Mundir, mandò a dire a Anòsharvàn: «Ecco l'uomo più vecchio e sapiente tra gli Arabi». Anosharvàn gli chiese la spiegazione del suo sogno e di quello del Mobadh e dello spegnersi del fuoco magico. 'Abd al-Masih disse: «Nascerà fra gli Arabi un uomo che porterà la rovina e la miseria in Persia. Mi recherò da mio zio Satih, l'indovino dello Yemen e della Siria, l'uomo più sapiente di tutta la terra; gli chiederò consiglio, e tornerò qui a informarne il gran re». Andò dunque in Siria, da Satih, che abitava in una città fra la Siria e lo Yemen. Quando giunse da lui, lo trovò moribondo. Gli disse: «Vengo a farti una domanda». E Satih: «Tu non vieni di tua iniziativa, ma mandato dal re di Persia: Anòsharvàn ha avuto un sogno così e così, lo stesso il suo Mobadh, e si è spento il fuoco magico. Anòsharvàn ti ha mandato a chiamare e ti ha chiesto spiegazione di questi fatti, e tu non hai saputo dargliela; allora ti ha mandato da me. Digli: "Verrà dagli Arabi un profeta il cui potere e la cui religione regneranno in Persia; alla sua morte la sovranità della Persia passerà al suo popolo; ci saranno ancora quattordici re in Persia, poi la monarchia persiana finirà e nel paese si manifesteranno il potere e la religione di questo profeta. E' venuto il momento della nascita di questo profeta, anzi è già nato». 'Abd al-Masih tornò da Còsroe.

Muhammad Ibd Garir al Tabari, Vita di Maometto, traduzione Giancarlo Buzzi, BUR, 2016, p. 5 – 7

Come si può notare, il portento alla nascita è abbastanza simile a quello di Gesù anche se, per Gesù il racconto è limitato mentre per Maometto le meraviglie spaziano in tutto l'oriente.

La predestinazione di Gesù è la predestinazione di Maometto. Una predestinazione che per entrambi configura un luminoso avvenire per i "loro popoli".

Il concetto di predestinazione è un concetto a fondamento di entrambe le ideologie, sia di quella cristiana che di quella musulmana. E' Dio che determina il "destino" dell'uomo e l'uomo che Dio ha voluto a capo degli uomini è colui che decide l'azione di quegli uomini che devono obbedire alla sua volontà in quanto quella è la volontà di Dio.

In entrambi i racconti appaiono gli zoroastriani, i magi. In entrambi i racconti il destino di Gesù e di Maometto è quello di combattere il male che in Gesù appare come "il salvare dal peccato" mentre in Maometto appare come "tutti gli idoli de La Mecca caddero e i fuochi dei Magi si spensero". I magi di Gesù e i magi di Maometto sono diversi. I magi di Gesù sono i sapienti che vengono ad omaggiare il figlio del dio padrone; i magi di Maometto sono coloro che alimentano il fuoco sacro dell'impero sassanide.

Un episodio da sottolineare è l'analogia fra i racconti della "strage degli innocenti" di Erode col tentativo di uccidere Gesù e il racconto di come un "arabo idolatra" tentò di uccidere il bambino Maometto quando la coppia affidataria, temendo che Maometto fosse posseduto, portò Maometto da un "indovino" delle antiche religioni Arabe.

Non riporterò il racconto della strage degli innocenti di Erode, perché presumo che sia conosciuta e, in ogni caso, una rapida ricerca la potete facilmente trovare. Riporto l'episodio in cui l'indovino (ovviamente delle religioni "idolatre") scoprendo il ruolo di Maometto, tenta di ucciderlo.

Scrive al-Tabari:

Il marito di Halìmah disse a sua moglie: «Temo che questo ragazzo possa avere qualche accesso demoniaco. Vieni! Lo porteremo da un tale, un indovino molto abile, che sta nella tal tribù; gli racconteremo la sua storia. Se deve diventare un ossesso, lo renderemo alla madre». Il giorno dopo Halìmah e il marito si recarono dall'indovino, portando con sé Maometto. Halìmah gli disse: «Eccoti un bambino che ho preso alla Mecca dai Banù Quray e che ho allevato. Ora i dev lo tormentano, come se dovesse diventare un ossesso. Dieci tu cos'ha!». Quell'indovino era un idolatra, seguiva la religione degli Arabi preislamici. Chiese: «Quali segni da ossesso vedi in lui?». Halìmah gli raccontò la sua avventura. L'indovino rispose: «Fa' avvicinare il ragazzo, ch'io mi faccia raccontare da lui, perché certo saprà meglio cosa gli è accaduto». Fecero avvicinare Maometto e l'indovino lo interrogò su come si erano svolti i fatti. Maometto gli riferì ciò che aveva visto. Terminato che ebbe, l'indovino si alzò, prese Maometto in braccio e si mise a gridare ad alta voce: «Arabi, costui è vostro nemico! Nemico della vostra religione e dei vostri dèi. Egli cambierà la vostra religione e rovescerà i vostri idoli». Gli uomini della tribù si radunarono e l'indovino disse loro: «Uccidetelo e tagliatelo in due». Halìmah gli si precipitò addosso e gli strappò Maometto, esclamando: «Tu sei molto più ossesso di questo bimbo». E si portò Maometto a casa. L'indomani il marito le disse: «Vieni, rendiamo questo bambino alla madre mentre è sano, prima che ci muoia tra le mani. Vedo che ha molti nemici». Il giorno dopo, Halìmh ed il marito riportarono Maometto alla madre.

Muhammad Ibd Garir al Tabari, Vita di Maometto, traduzione Giancarlo Buzzi, BUR, 2016, p. 12 – 13

La fuga in Egitto di Giuseppe e Maria fa il pari con l'azione di Halimah che, fuggendo, sottrae Maometto a chi lo vuole uccidere (anche Erode il Grande era dipinto come un idolatra perché seguiva i culti greci anche se ha riedificato il tempio degli ebrei). Inoltre, il racconto serve a giustificare il futuro genocidio degli "idolatri" che non volendo riconoscere Maometto come profeta non si sottomettono al suo Dio.

Gli "idolatri" avrebbero capito, fin da subito, che Maometto è il profeta e che spazzerà via la sua religione; un po' come Satana che nei vangeli riconosce il ruolo di Gesù nella salvezza degli uomini dai peccati. Nessuno ha mai capito quali siano i peccati degli uomini dai quali è necessario salvarli, ma Satana certifica la missione di Gesù (i quaranta giorni di digiuno nel deserto e le tentazioni) esattamente come farà per la missione di Maometto.

Anche l'episodio del vangelo di Luca che riguarda la presentazione al tempio di Gesù è ripreso dall'agiografia di Maometto.

Vale la pena di aprire una breve parentesi. Il sistema allucinatorio che verrà attribuito a Maometto o con cui Maometto giustificherà le sue "visioni dell'arcangelo Gabriele che porta la rivelazione di Dio", dal punto di vista psichiatrico andrebbero ascritte a disturbi schizofrenici in cui si riversa la condizione desiderante di Maometto. Questo però non giustifica un atteggiamento superficiale con cui trattare le affermazioni di Maometto perché, che piaccia o meno, le sue affermazioni si sono tradotte nella pratica quotidiana trasformando la vita quotidiana dell'Arabia. Pertanto, chi affronta culturalmente il fenomeno Maometto deve entrare anche nelle affermazioni che scaturiscono dalle sue allucinazioni. O, come dicevano alcuni, dalle sue condizioni di posseduto. Un conto è la condizione soggettiva di Maometto e un altro conto sono gli effetti sociali prodotti dalla condizione soggettiva di Maometto. La stessa cosa vale per i cristiani. La condizione soggettiva è che Gesù come persona non è mai esistito, la condizione oggettiva è che esiste un complesso culturale determinato dai quattro vangeli che viene chiamato "Gesù" e che ha modificato le società civili lastricando la storia di centinaia di milioni di cadaveri. Se questo non è reale….

Continuiamo con le analogie fra Maometto e Gesù.

Scrive il vangelo di Luca:

Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio:
Dice Simone:
«Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele».
Profezia di Simeone
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione 35perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima».

Vangelo di Luca 2, 22- 34

Secondo Luca, Simone è un ebreo che attende la venuta del "messia", nel caso di Maometto il Simone ha il nome del monaco cristiano di nome Behira.

Siamo nella situazione in cui la carovana con Maometto bambino sta viaggiando verso la Siria.

Così racconta la storia al-Tabari:

Quando si fece giorno, lasciando i cammelli a pascolare, i viaggiatori si misero a dormire. Maometto se ne stava seduto a guardia dei loro beni. Quando il sole si fece più caldo, una grossa nuvola a forma di scudo venne a far ombra sulla testa del Profeta. Vedendo ciò, il monaco apri la porta del convento e uscì. La gente della carovana si svegliò: Bahira si strinse Maometto al petto e lo interrogò sulla sua condizione, su suo padre, sua madre e suo nonno. Maometto gli raccontò tutto, compresa la storia degli angeli che gli avevano aperto il corpo. Babira gli chiese che cosa vedeva in sogno di notte, e Maometto glielo disse. Tutto ciò collimava con quanto Bahìra aveva trovato nei libri. Gli guardò poi tra le spalle e gli scorse il marchio del Profeta. Allora disse ad Abù Tàlib: «Cos'è per te questo ragazzo?», Quello rispose: «E mio figlio». Bahirà rispose: «E impossibile che suo padre sia vivo». Allora AbùTalib disse: «E' mio nipote». Bahìrà domandò: «Dove lo porti?». L'altro disse: «In Siria». Bahirà disse: «Costui è il migliore fra tutti gli uomini della terra e il Profeta di Dio. La sua descrizione si trova in tutti gli antichi testi, così come il suo nome e la sua condizione. Io ho settant'anni ed è molto che attendo la sua venuta come profeta. Ti scongiuro di non portarlo in Siria: temo che i Giudei o i Cristiani te lo rapiscano. Non potranno ucciderlo, perché nessuno può opporsi alla volontà di Iddio, ma potrebbero storpiarlo nelle mani, nei piedi o nel corpo. Rimandalo a casa, alla Mecca».

Muhammad Ibd Garir al Tabari, Vita di Maometto, traduzione Giancarlo Buzzi, BUR, 2016, p. 15 – 16

Per Gesù è l'ebreo Simone che ne certifica il ruolo, per Maometto è il monaco cristiano Bahira. Il modello narrativo è uguale come uguale sono le previsioni dell'arrivo del "messia" nei vangeli cristiani

Scrive al-Tabari:

Anosharvàn gli chiese la spiegazione del suo sogno e di quello del Mobadh e dello spegnersi del fuoco magico. 'Abd al-Masih disse: «Nascerà fra gli Arabi un uomo che porterà la rovina e la miseria in Persia. Mi recherò da mio zio Sa!Ih, l'indovino dello Yemen e della Siria, l'uomo più sapiente di tutta la terra; gli chiederò consiglio, e tornerò qui a informarne il gran re». Andò dunque in Siria, da Satih, che abitava in una città fra la Siria e lo Yemen. Quando giunse da lui, lo trovò moribondo. Gli disse: «Vengo a farti una. domanda». E Satih: «Tu non vieni di tua iniziativa, ma mandato dal re di Persia: Anòsharvàn ha avuto un sogno così e così, lo stesso il suo Mobadh, e si è spento il fuoco magico. Anòsharvàn ti ha mandato a chiamare e ti ha chiesto spiegazione di questi fatti, e tu non hai saputo dargliela; allora ti ha mandato da me. Digli: "Verrà dagli Arabi un profeta il cui potere e la cui religione regneranno in Persia; alla sua morte la sovranità della Persia passerà al suo popolo; ci saranno ancora quattordici re in Persia, poi la monarchia persiana finirà e nel paese si manifesteranno il potere e la religione di questo profeta. E' venuto il momento della nascita di questo profeta, anzi è già nato».

Muhammad Ibd Garir al Tabari, Vita di Maometto, traduzione Giancarlo Buzzi, BUR, 2016, p. 7

Qua e là ci sono altri veggenti che parlano di Maometto ed Al-Tabari ci racconta di altri che predicono la venuta del profeta Maometto quando, in modo particolare, Maometto, viaggiando nel deserto, viene protetto dal sole da una nuvola.

In tutto questo noi non abbiamo un solo accenno a come Maometto è istruito, come forma la sua conoscenza, quali rapporti culturali ha avuto.

Nel 595 Maometto si sposa con Hadigah.

Al-Tabari ci racconta la storia dell'incontro fra Maometto e Hadigah ed è una storia illuminante sulla condizione della donna in Arabia prima dell'avvento dell'islam. Hadigah è una donna molto ricca, una vedova che ha rifiutato tutti i pretendenti de la Mecca.

Innanzi tutto, secondo al-Tabari, non è Maometto che chiede Hadigah in moglie, ma è Hadigah che, dopo aver assunto Maometto per accompagnare una sua carovana di merci in Siria, al ritorno lo chiede in sposo. Nel chiederlo in sposo, Hadigah deve rispettare la tradizione e la procedura, ma quando suo padre rifiuta di darla in sposa a Maometto, Hadigah ordisce un complotto facendo ubriacare il padre e, quando è ubriaco, fa chiedere, dal padre adottivo di Maometto, a suo padre di concedere alla figlia di sposare Maometto. Ubriaco, il padre di Hadigah acconsente e Hadigah, che ha predisposto tutto per il suo matrimonio, si sposa immediatamente finché suo padre è ancora ubriaco.

Questa vicenda che ho riassunto brevemente ci dice che Hadigah non dipendeva dal padre, ma era una donna molto ricca che commerciava con proprie carovane partendo da la Mecca e arrivando in Siria. Era una donna che possedeva grandi ricchezze e di queste ricchezze ne ribadisce il possesso quando il padre la rimprovera di aver sposato un povero orfano. Inoltre, il vino scorreva a fiumi ed è usando il vino che Hadigah ha potuto strappare il consenso alle nozze a suo padre sapendo che Maometto non beveva vino.

Maometto si era sposato con Hadigah a 25 anni ed ebbero 7 figli tre bambini, Quasim, Tahir e Teyyib, e quattro bambine, Zaynab, Ruqayyah, Umm Kultum e Fatimah.

I tre figli (poi al-Tabari parla di quattro figli maschi) maschi morirono prima che Maometto iniziasse la predicazione mentre le figlie femmine sopravvissero.

Il padre adottivo di Maometto, Abu-Talib, era al governo della città La Mecca e, secondo al-Tabari, sembrava naturale che Maometto sarebbe succeduto a lui nel governo della città.

La missione profetica di Maometto inizia quando Maometto ha quaranta anni e la moglie di Maometto Hadigah muore quando Maometto ha 45 anni. In tutto questo tempo, la relazione matrimoniale di Maometto è stata monogamica nel senso che non ha contratto altri matrimoni.

Nel 605 Maometto, discendente del capo della città Mecca, viene designato a collocare la "pietra nera" dopo che i Coreisciti avevano demolito il tempio per ricostruirlo.

Questo episodio è importante in quanto colloca Maometto come una figura eminente nella citta di Mecca non solo per la ricchezza ottenuta tramite la moglie, ma per una sorta di "condizione morale" e, in ultima analisi, religiosa. L'altro aspetto è che Maometto partecipa alla ricostruzione del tempio di la Mecca, il tempio degli "idoli" come li chiamerà lui per abbatterli e sarà Maometto a ricollocare nel tempio la "pietra Nera".

Il tempio di Mecca doveva essere ristrutturato in quanto la pavimentazione molto bassa portava a frequenti allagamenti. Nessuno, prima di allora, aveva osato demolirlo per ricostruirlo su basamenti rialzati. I Coreisciti erano divisi in quattro grandi tribù: i Banu Asim, i Banu Umayyah, i Banu Zuhrah e i Banu Mahzum. Le quattro tribù si assunsero il compito di demolire i quattro lati del tempio assieme agli abitanti di Mecca mentre i Banu Gumah e i Banu Sahm furono incaricati di riparare il tetto. Decisero di agire tutti contemporaneamente perché se Dio avesse punito l'impresa li avrebbe puniti tutti.

Secondo la leggenda, il tempio di Càaba era stato costruito da Abramo e quando venne ricostruito al tempo di Maometto fu usato legname abissino che il Negus (re cristiano) aveva mandato in Siria per costruire una chiesa, ma la nave era naufragata e il legname era arrivato a Gedda salvando l'equipaggio.

Nel 610 inizia la "missione" di Maometto, a circa 40 anni (c'è chi dice 43).

E qui inizia il primo problema, Maometto non sapeva né leggere né scrivere al contrario della moglie, Hadigah, che sapeva leggere e scrivere.

Vale la pena di riportare come al-Tabari racconta l'inizio della predicazione di Maometto.

Scrive al-Tabari:

Venne infine il giorno in cui Dio comunicò a Maometto la sua missione profetica. Fu un lunedì. Si dice, nell'opera che sto riassumendo, che fu nel diciottesimo giorno del mese di Ramadan. Secondo altre fonti fu di lunedì, dodicesimo giorno del mese di Rabi' primo, che Maometto ricevette la missione, lo stesso giorno e lo stesso mese in cui era nato e lo stesso in cui sarebbe morto. Dunque, nel giorno di lunedì, Dio inviò Gabriele a Maometto con l'ordine di rivelarglisi, di portargli la sua missione profetica e la sura del Corano detta Iqra', la prima che Maometto ricevette da Lui. Gabriele scese dal cielo e trovò Maometto sul monte Hirà'. Gli si palesò e gli disse: «Salute a te, Maometto, apostolo di Dio!». Maometto si spaventò. Pensando di essere diventato pazzo, si alzò e si diresse verso la cima del monte per buttarsi giù e uccidersi. Gabriele allora lo prese tra le sue ali in modo che non potesse né avanzare, né retrocedere. Poi gli disse: «Maometto, non temere perché tu sei il profeta d'Iddio e io sono Gabriele, il suo angelo». Maometto rimase immobile tra le due ali. Poi Gabriele gli disse: «Maometto, leggi!». Maometto disse: «Come posso, se non so leggere?». Gabriele insistette: «Recita. Nel nome del tuo Signore, che ha creato da un grumo di sangue. Recita: Perché il tuo Signore è il più generoso. Egli è colui che ha insegnato a servirsi del càlamo; ha insegnato all'uomo ciò che non sapeva» (XCVI, 1-5). A questo punto Gabriele lo lasciò e scomparve. Maometto scese la montagna. Fu assalito da un tremito e rincasò continuando a ripetere tra sé la sura. Il suo cuore traeva grande rassicurazione da quelle parole, ma tremava in tutto il corpo per la paura e il terrore ispiratigli da Gabriele. A casa disse a Hadìgah: «Colui che mi era sempre apparso di lontano, oggi mi si è presentato dinnanzi». «Cosa ti ha detto?», domandò Hadigah. «Mi ha detto: Tu sei il profeta d'Iddio e io sono Gabriele, e mi ha recitato questa sura: Leggi: nel nome del tuo Signore, ecc.» Hadìgah, che aveva letto le antiche scritture e conosceva la storia dei profeti, aveva anche imparato a conoscere il nome di Gabriele. Maometto fu colto dal freddo, piegò la testa e disse: «Copritemi, copritemi!». Hadìgah lo copri con un mantello ed egli si addormentò. Hadìgah si recò da Waraqah, figlio di Nawfal, che era un sapiente cristiano che viveva alla Mecca praticando la religione di Gesù e il culto d'Iddio. Possedeva molti libri, conosceva il Vangelo e sapeva ch'era venuto il tempo in cui doveva apparire un nuovo profeta. Hadìgah gli disse: «Non hai trovato da qualche parte, negli antichi libri, il nome di Gabriele o sai cosa sia questo Gabriele?». Waraqah disse: «Perché mi fai questa domanda?». Hadìgah gli raccontò ciò che era accaduto a Maometto, dal principio alla fine. Waraqah disse: «Gabriele è il grande Nasus, l'angelo che fa da intermediario tra Dio e i profeti e porta loro i messaggi divini. E' lui che visitò Mosè, così come Gesù e, se ciò che mi racconti è vero, tuo marito Maometto è il profeta che deve sorgere alla Mecca, tra gli Arabi, di cui fanno menzione le Scritture». Le chiese ancora: «Non gli ha dato nessun ordine? Gli ha detto di chiamare gli uomini a Iddio?». Hadìgah gli recitò la sura «del grumo di sangue»! e Waraqah disse: «Se egli avesse ordinato di chiamare gli uomini a Iddio, il primo che gli avrebbe risposto e che avrebbe creduto in lui sarei stato io. Da molti anni, infatti, l'attendo». Hadìgah tornò a casa e trovò Maometto addormentato sotto al mantello. Si ripresentò Gabriele, annunciandosi a Maometto con un rumore, e gli disse: «Alzati, tu che sei coperto da un mantello!». Maometto rispose: «Eccomi in piedi. Cosa devo fare?». E allora Gabriele disse alternando alla Parola di Dio la sua spiegazione: «Sorgi e predica, ovvero chiamali a Dio. Magnifica il tuo Signore, glorificalo con la virtù; purifica le tue vesti, ovvero purifica il tuo cuore dal dubbio; fuggi l'abominazione, ovvero la menzogna. Non essere liberale sperando di ricevere di più, ovvero non dare per accumulare ricompense; pazientemente attendi il tuo Signore, ovvero sopporta i maltrattamenti degli uomini» (LXXIV, 1-7). In queste parole Iddio ha riassunto per il Profeta la profezia, la preghiera, la religione, la purezza, la fede, la liberalità, la buona indole e la perseveranza: tutte le parti della religione c le qualità della funzione profetica. Poi il Profeta gettò via il mantello con cui era coperto e si alzò. Hadìgah gli disse: «Abù al-Qàsim, perché non dormi e non ti riposi?». Rispose: «Non sono per me il sonno e il riposo. Gabriele è venuto e mi ha ordinato di trasmettere il messaggio di Dio agli uomini e di predicare la preghiera e il culto». Hadìgah, piena di gioia, si alzò e disse: «O apostolo d'Iddio, cosa ti ha ordinato Gabriele?». Maometto disse: «Mi ha raccomandato di chiamare gli uomini al Signore. Ma chi convertirò? Chi mi crederà?». Hadìgah disse: «Puoi almeno fare appello a me, prima di tutti gli altri, poiché io ti credo». Il Profeta ne fu molto felice; presentò la formula di fede a Hadìgah ed ella credette. Gabriele, che era presente, disse al Profeta: «Domanda dell'acqua, ch'io possa insegnarti l'abluzione, il modo di lavarti le mani e la preghiera, affinché tu sappia come devi adorare il Signore». Il Profeta domandò dell'acqua e Gabriele gli mostrò come fare l'abluzione delle mani e gli spiegò il modo di pregare. Poi gli si mise davanti e disse: «Ora pregheremo». Fece due rak'ah, il Profeta li ripeté dopo di lui e Hadìgah dopo il Profeta. In quel momento entrò nella casa Ali, figlio di Abli Tàlib. Aveva allora sette anni o, come dicono altri, nove, o altri ancora, dieci. La maggior parte delle fonti, tuttavia, dicono sette. Vedendo Maometto e Hadìgah che s'inchinavano e non vedendo davanti a loro né idoli, né altre cose, disse: «Maometto, che fai? Davanti a chi t'inchini?». Maometto rispose: «Davanti a Iddio di cui sono il profeta. Gabriele mi ha ordinato di adorare Iddio e di chiamare a Lui gli uomini. Se credi nella mia religione, abbandona il paganesimo e l'idolatria». Ali disse: «Aspetta che mi consulti con Abù Talib, ché senza il suo permesso non posso fare nulla». Uscì e il Profeta gli raccomandò: «Mantieni segreta questa faccenda e non parlarne se non ad Abù Talib». Giunto sulla soglia, Ali rientrò e disse: «O Maometto, Dio mi ha creato senza consultare Abù Talib. Che bisogno ho di consultare Abù Tàlib per abbracciare la religione d'Iddio e adorarlo? Spiegami la religione che ti è stata comandata». Il Profeta spiegò ad Ali la formula della fede; egli la pronunciò, fece con Maometto la preghiera di prima ed entrambi mantennero il segreto sull'accaduto. Gabriele se ne andò.

Muhammad Ibd Garir al Tabari, Vita di Maometto, traduzione Giancarlo Buzzi, BUR, 2016, p. 59 – 63

In questo modo, secondo al-Tabari, inizia la predicazione di Maometto. Nel Corano non appare mai il nome di "Gabriele", ma appare la dicitura "Compagno più alto" o espressioni simili. Questo non significa che l'interpretazione di al-Tabari non sia corretta.

Vale la pena di analizzare questa condizione in cui si racconta che ebbe inizio la predicazione di Maometto perché è la medesima condizione raccontata nella bibbia sia per Mosé che per Gesù.

In sostanza abbiamo il medesimo modello letterario, anche se qui, a differenza della condizione di Mosé e di Gesù, il racconto è più ricco di particolari.

Per Mosé leggiamo dalla bibbia CEI:

Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. Ora va'! Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?». Rispose: «Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte». Mosè disse a Dio: «Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi». Dio aggiunse a Mosè: «Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione.

Esodo 3, 1 – 15

Questo è come la bibbia racconta la chiamata di Mosé ad opera di Dio.

Così inizia il racconto della predicazione di Gesù in Matteo:

Da allora in poi, Gesù cominciò a predicare: «Lasciate il peccato e volgetevi a Dio, perché il Regno dei Cieli è vicino!» Un giorno, mentre stava passeggiando lungo la riva del lago di Galilea, Gesù vide due fratelli: Simone, (che poi sarà soprannominato Pietro) e Andrea. Stavano in barca a pescare con le reti, dato che erano pescatori di mestiere. Gesù li chiamò: «Venite con me e vi insegnerò come si pescano le anime degli uomini!» Lasciate immediatamente le loro reti, Simone e Andrea andarono con lui. Poco più oltre, sempre sulla riva, Gesù vide altri due fratelli, Giacomo e Giovanni, che sedevano su di una barca col padre, Zebedeo, e riparavano le reti. Gesù li chiamò. Ed anche quelli interruppero il lavoro e, lasciato il loro padre, andarono con lui. Gesù percorse tutta la Galilea, insegnando nelle sinagoghe, predicando ovunque la buona notizia del Regno dei Cieli e guarendo ogni tipo di malattia ed infermità. La notizia dei suoi miracoli varcò i confini della Galilea, così che una folla di malati ben presto si presentò a lui per farsi guarire, giungendo persino dalla Siria. Li guariva tutti, qualunque fosse la loro malattia o sofferenza; sia che fossero posseduti dai demoni, sia che fossero squilibrati, o paralizzati. Un enorme folla lo seguiva ovunque andasse: gente dalla Galilea e dalla Decapoli, gente da Gerusalemme e da tutta la Giudea, e perfino gente che giungeva da oltre il Giordano.

Vangelo di Matteo 4, 17 – 25

Come si può notare dal confronto, la chiamata di Maometto ad opera di Dio e dell'angelo Gabriele (che nella bibbia e nei vangeli ricorre come messaggero di Dio), segue lo stesso modello letterario di bibbia e vangeli. Questo perché le tre religioni monoteiste (cristianesimo, ebraismo e islam) sono rappresentazioni degli stessi modelli religiosi veicolati in modi diversi, per usi diversi, in situazioni diverse, ma sempre col medesimo fine: sottomettere gli uomini.

La Sura XCVI che Maometto non sa leggere, ma recita con l'angelo Gabriele dice:

Grida ai quattro venti, in nome del Signore che ha creato,
che ha creato l'uomo da sangue rappreso derivato dalla goccia di sperma.
Grida ai quattro venti! Il tuo signore è il magnifico!
Ha addestrato l'uomo all'uso del calamo,
gli ha insegnato ciò che egli ignorava.
E in cambio? L'essere umano esce dai limiti,
non appena straripa di ricchezza.
Eppure verso il signore sarà il ritorno!
Non hai visto colui che impediva
ad un servo di pregare?
Hai capito se si trova sul sentiero retto,
o se invita alla pietà?
Hai notato se smentisce e fugge?
Ma non sa che invero Dio vede?
Se non smette lo ghermiremo per la ciocca:
una ciocca sfrontata e ribelle.
Chiami urlando quelli della sua parte,
noi convocheremo i guardiani del fuoco.
Al limite non dargli troppa importanza: prostrati
nel sugud e avvicinati.

Maometto, Corano, Sura XCVI, Mondadori, 1980, p. 918

La chiamata alla predicazione di Maometto avviene mediante la Sura LXXIV, versetto 1 -7

«O tu che ti sei imbacuccato in un dithr!
Levati presto, e predica
e il signor tuo glorifica
e mondo sii negli abiti
e ciò che irrita il Dio evita
non ricordare il beneficio fatto ad altri per vantartene
e verso il tuo Signore sii costante.

Maometto, Corano, Sura LXXIV, Mondadori, 1980, p. 836

Si tratta dell'ordine di predicare la sottomissione a Dio. Maometto non racconta Dio, ma ordina di mettersi in ginocchio davanti a Dio del quale ne canta le magnificenze. Lo stesso fece Gesù e lo stesso fece Mosé: "Adorate il vero Dio!".

E' importante sottolineare questo meccanismo proprio delle religioni "rivelate". Le persone devono mettersi in ginocchio, non devono chiedere spiegazioni. Maometto non argomenta le sue ragioni, afferma la magnificenza di Dio. Esattamente come fa l'ebraismo e il cristianesimo.

Questo metodo d'azione implica due tipi di risposta: 1) quella di colui che dice "D'accordo, mi metto in ginocchio davanti al Dio che tu affermi e lo prego"; 2) quella di colui che dice: "Io non mi sottometto e non prego, anzi uccido chi mi chiede di sottomettermi. Se oggi tu ti limiti a chiedermelo, domani cercherai di ammazzarmi perché non l'ho fatto e dal momento che ora sono più forte, elimino alla radice il problema uccidendoti".

Questo meccanismo sarà il meccanismo ideologico che guiderà l'esistenza di Maometto in tutto il proseguo della sua vita e diventerà il meccanismo di diffusione dell'islam.

Inizialmente Maometto coinvolge la sua cerchia familiare e la sua linea di condotta è doppia: guerra agli "idoli", gli Dèi degli arabi prima dei cristiani, e guerra di conquista per far aderire le persone al proprio credo. I nemici di Maometto non sono i cristiani. I cristiani sono favorevoli a Maometto. I nemici di Maometto sono "gli idoli" che devono essere abbattuti per la gloria di Dio.

Si tratta, in sostanza, dello stesso meccanismo usato dagli ebrei per diffondere l'ebraismo in ambiente pagano. Il Dio degli ebrei ordina di uccidere tutti coloro che adorano Dèi diversi da lui e distruggere i luoghi di culto degli Dèi. La stessa cosa fa Gesù che ordina di uccidere coloro che non volevano che lui fosse il loro padrone. Questo meccanismo viene fatto proprio da Maometto e viene messo in atto con tanta più violenza quanto più aumenta la capacità militare del gruppo che si forma attorno a Maometto. Come avvenne per i cristiani e per gli ebrei.

Inizialmente Maometto forma un piccolo gruppo di fedeli pescando dai parenti e dagli amici, poi Maometto inizia a predicare e la predicazione indica negli Dèi della Caaba i nemici da distruggere.

La predicazione di Maometto inizia con:

"Ora vi dico: "Sono l'apostolo di Dio, che vi è stato inviato. Adorate Dio e abbandonate gli idoli altrimenti il castigo scenderà su di voi dal cielo e sarete sterminati."

Muhammad Ibd Garir al Tabari, Vita di Maometto, traduzione Giancarlo Buzzi, BUR, 2016, p. 72

Nel 619 muore la moglie di Maometto Hadigah.

L'opposizione a Mecca dei seguaci delle tradizioni contro Maometto erano direttamente proporzionali alle offese e alle ingiurie che Maometto rivolgeva loro. Il conflitto fra i seguaci di Maometto (che da ora chiamerò musulmani) e i tradizionalisti che seguivano l'antica religione si faceva sempre più aspro viste le intenzioni di Maometto e dei suoi seguaci. Maometto, ritenendosi ancora troppo debole per reagire, ma volendo continuare ad insultare, per sottrarre un gruppo dei suoi seguaci alle possibili rappresaglie li inviò in Abissinia dal Negus con queste parole:

Dissero a Maometto: "Non possiamo sopportare oltre le vessazioni, i tormenti e il disprezzo con cui costoro ci subissano. Temiamo di lasciarci andare ad azioni o a parole che Dio disapproverebbe. Consentici di lasciare la Mecca e di andare in un'altra regione, fino a che non riceverai da Dio il permesso di fare guerra". Il Profeta diede loro il permesso: "Andate in Abissinia dove la gente è cristiana, possiede un libro sacro ed è più vicina ai musulmani di quanto siano gli idolatri. Il Negus è un re che non commette mai ingiustizie contro alcuno".

Muhammad Ibd Garir al Tabari, Vita di Maometto, traduzione Giancarlo Buzzi, BUR, 2016, p. 82

Era il 622 e da quell'anno, con la fuga di Maometto da Mecca a Medina inizia il calendario musulmano.

Intanto, al-Tabari ci racconta che anche il Negus voleva convertirsi all'islam, ma gli abissini si rifiutarono di abbandonare il cristianesimo e il Negus, per paura di perdere la corona, desistette dall'intento.

Secondo al-Tabari, (pag. 87 del libro citato), gli arabi che seguivano la tradizione tentarono di mediare con Maometto sulle questioni religiose per evitare ogni conflitto. Proposero di riunire le forze e che ognuno adorasse il proprio Dio oppure, si potevano adorare gli antichi Dèi e il Dio di Maometto insieme. Maometto rispose: "Miscredenti, io non adorerò mai ciò che voi adorate." E anche questa risposta diventa un versetto coranico.

L'opposizione di la Mecca a Maometto è molto forte, gli insulti agli Dèi tradizionali non vengono facilmente sopportati. Pur tuttavia Maometto, inaspettatamente incontra l'aiuto degli abitanti di Medina.

Ma chi erano gli abitanti di Medina? E perché Maometto che falliva a la Mecca fu accolto dagli abitanti di Medina?

Scrive al-Tabari:

Poco tempo prima dell'ègira sei persone della tribù dei Hazrag erano giunte alla Mecca per il pellegrinaggio. Medina era abitata da due tribù: gli Aws e i Hazrag. Questi ultimi erano i più numerosi. I villaggi del territorio di Medina, come Haybar, Qurayzah, Wadì al-Qurà e Yanbu erano abitati da Ebrei e Arabi discendenti dei Banu Isra'i1, quelli che erano venuti dalla Siria e da Gerusalemme, fuggendo davanti a Nabucodonosor, prima di Alessandro. Gli Aws ed i Hazrag volevano impadronirsi di questi villaggi, ma non vi riuscirono, poiché gli Ebrei avevano fortezze grandi e solide. Gli Ebrei conoscevano, per averla letta nel Pentateuco, la descrizione del Profeta e lo attendevano con fede. Ma pensavano che sarebbe stato uno dei Banù Isra'il, della stirpe di Mosè; non sapevano che sarebbe venuto dagli Arabi. Il Pentateuco conteneva anche la descrizione di Maometto, ma gli Ebrei del tempo antico l'avevano soppressa, così che i loro discendenti non sapevano che questo Profeta, che onoravano e in cui credevano, sarebbe stato un arabo. Ogni volta che venivano attaccati dagli Arabi, prendevano il Pentateuco, vi cercavano il passo concernente il Profeta e vi posavano la mano, dicendo: «Signore, soccorrici contro questi nemici, nel nome del tuo profeta!» e ottenevano aiuto. Dunque, quando apparve il Profeta e videro che era arabo, non figlio d'Israele come si aspettavano, non vollero credere in lui, e dissero: «Non è questo il Profeta che attendiamo». Come sta scritto nel Corano: «Quando venne a loro, da parte di Dio, un Libro confermante ciò che era presso di loro mentre prima imploravano da Dio la vittoria sui miscredenti mediante il Profeta che attendevano, quando dunque venne loro ciò di cui essi avevano già conoscenza lo rinnegarono; la maledizione di Dio sia sui miscredenti» (TI, 83). I sei abitanti di Medina della tribù di Hazrag venuti alla Mecca quell'anno erano: As'ad, figlio di Zuràrah, soprannominato Abu Umàmah; Awf, figlio di Harit; Ràfì', figlio di Malik, Qutbah, figlio di 'Amir; 'Uqbah, figlio di 'Amir, discendente di Haràm; e infine Gabir, figlio di 'Abdallàh. Era gente nota, ma di media condizione, non elevata e non bassa. Il Profeta si recò da loro a 'Mina, dove si erano fermati, espose loro l'Islàm e recitò il Corano. Lo ascoltarono con piacere e credettero in lui, ed egli insegnò loro una parte del Corano. Poi chiese che lo prendessero con loro e lo portassero a Medina. Risposero: «Apostolo di Dio, gli abitanti di Medina sono composti da due tribù: gli Aws ed i Hazrag. Noi siamo della tribù di Hazrag, che è in lite con gli Aws. Torneremo a Medina e parleremo ai nostri compatrioti di te e della tua religione, e appianeremo le controversie che li dividono; l'anno prossimo verremo ad avvertirti, verrai con noi e sarai più onorato». Partirono, e il Profeta restò alla Mecca. Nessuno ebbe sentore dell'accaduto. Di ritorno a Medina i sei personaggi parlarono alla gente delle tribù degli Aws e dei Hazrag, esposero loro la religione musulmana, recitarono ciò che avevano appreso dal Corano e dissero: «Questo Maometto è quel profeta il cui nome è costantemente in bocca agli Ebrei, nel quale hanno creduto e in cui sperano tuttora. Se sentiranno di lui, lo andranno a prendere. Preveniteli, facendolo venire da voi». Quella religione, il Corano e le parole del Profeta fecero una buona impressione agli abitanti di Medina, e molti tra loro si convertirono. Ci furono poche case a Medina dove non si imparassero i versetti del Corano che i sei personaggi avevano appreso a memoria.

Muhammad Ibd Garir al Tabari, Vita di Maometto, traduzione Giancarlo Buzzi, BUR, 2016, p. 103 – 105

Attorno a Medina c'erano delle fortezze di ebrei e gli abitanti di Medina avevano continuamente sentito parlare della prossima venuta del messia che si sarebbe messo a capo degli eserciti. Venuti a sapere che questo era un Profeta e pensando che fosse il profeta che gli ebrei attendevano, fecero quanto era in loro potere affinché Maometto andasse da loro e non dagli ebrei.

Gli ebrei con le fortezze attorno a Medina sembra che siano arrivati o dopo la distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani, oppure per espansione di colonie ebraiche già presenti sul territorio dell'Arabia del sud oppure, come si ipotizza, erano soldati al servizio di un qualche impero che di stanza in Arabia si sono spostati nella zona di Medina.

Questi ebrei, sempre in guerra con i vicini arabi, pongono le basi perché una parte degli abitanti di Medina siano indotti a credere che Maometto sia il profeta di Dio fornendo loro un capo militare fortemente ideologico.

Da Medina iniziò la guerra di Maometto. Maometto iniziò a depredare le carovane che trasportavano merci. In sostanza, la sua guerra religiosa era una guerra di rapina.

Nel 624 Maometto combatte la battaglia di Badr che da un tentativo di rapinare una carovana si trova a dover affrontare i Coreisciti di la Mecca. Maometto vince la battaglia e questo rafforza il suo potere e la sua influenza sugli arabi.

Iniziano i problemi con gli ebrei delle fortezze attorno a Medina che si preoccupano di questo nuovo fenomeno messianico nato attorno a loro.

E fu guerra fra le fortezze ebraiche e i musulmani. Maometto distrusse i Banu Qaynuqa. Cinse d'assedio per quindici giorni e quando si arresero Maometto ammazzò tutti gli uomini e fece schiave le donne e i bambini. Altri ebrei, i Banu Hazrag furono depredati e costretti all'esilio.

Nel 625 gli arabi tradizionalisti misero insieme un esercito per combattere Maometto, quell'esercito aveva come simbolo una divinità, Hubal uno degli Dèi maggiori del tempio di la Mecca. A Uhud si scontrarono con i musulmani di Maometto e Maometto fu sconfitto. Si salvò soltanto perché lo credettero morto. Nonostante gli arabi tradizionalisti avessero vinto, non portarono l'attacco a Medina e questo permise a Maometto di riorganizzare le sue forze.

Chi era il Dio Hubal? Sarebbe una divinità importata dalla Mesopotamia da Qusayy il mitico fondatore dell'unità tribale dei Coreisciti nel III° secolo d. c. oppure, si dice anche da parte di ?Amr ibn Luhayy che viene considerato l'organizzatore della religione politeista presente a Mecca. La divinità si presentava come un anziano armato di arco e frecce. La divinità era di cornalina rossa e forse un braccio, staccatosi, è stato ricostruito in oro. Il nome del Dio è una variante locale di ha-Ba'l che significava "Dio", "Signore". Lo stesso termine viene usata per chiamare Allah, Rabb al Bayt che significa "Signore del santuario" lo stesso titolo di Hubal. In sostanza Hubal non è altro che un altro nome di Baal.

Dopo questo Maometto distrusse la fortezza ebraica dei Banu Nadir e subito dopo gli ebrei Banu Qurayzah.

Nel 630 Maometto occupa la Mecca. Entra nel tempio e distrugge le statue degli Dèi. La statua del Dio Hubal, simbolo che ha portato alla sua sconfitta nella battaglia di Huhud, cinque anni prima, viene rovesciato di traverso la porta in modo che tutti coloro che entrano lo calpestino. Agli abitanti di Mecca non restò altro che fare professione di fede a Maometto.

Nel 632, malato da molti mesi, Maometto si preoccupava che nello Yemen un certo Aswad e fra i beduini un certo Tulayhah, che poi si converte all'islam, si spacciavano per profeti e radunavano delle popolazioni attorno alla loro preticazione. L'uccisione di Aswad, ordinata da Maometto, rese felice Maometto sul punto di morire. Morì dopo un po' di tempo fra molte sofferenze.

Un capitolo a parte andrebbe dedicato alle "mogli di Maometto". L'attività sessuale con mogli e schiave sembra che sia stata per Maometto l'attività principale ed è diventata un modello seguito in tutto l'Islam.

Si tratta di una sorta di "modello di potere" che rende l'individuo padrone delle donne, uguale a Dio nel disporre delle donne stesse. Questo modello, forse preesistente, ma sicuramente portato all'estremo da Maometto, va equiparato al bambino nudo con cui Gesù viene arrestato nel vangelo di Marco. Come Maometto fornisce il modello del possesso della donna da parte dell'uomo, così Gesù aveva fornito il modello della pratica della pederastia fra i cristiani diventando, questi due modelli, modello da imitare nelle rispettive religioni. Un modello che del resto deriva dalla tradizione biblica ebraica dove non è proibita la relazione sessuale di un padre con i suoi figli. Nell'ebraismo i figli sono oggetti posseduti dal padre e Dio è il padre che possiede tutti i membri del popolo eletto.

Il modello desunto dalle reazioni fra Maometto e le donne ha impedito la trasformazione del mondo islamico. Ogni volta che diritti sociali venivano acquisiti, gli integralisti, in nome di Maometto, riproponevano l'ordine coranico della sottomissione.

A questo punto io potrei anche fare un riassunto sintetico delle "mogli di Maometto" o delle donne con cui Maometto ha avuto delle relazioni sessuali.

Non posso farlo.

Sono costretto a riprodurre l'intero testo per come al-Tabari lo ha scritto. Perché? Perché queste donne sono persone, singoli individui, con una storia, con una struttura desiderante, con progetti esistenziali esattamente come Maometto. Sono persone con un nome e cognome e con un'identità.

Io personalmente non me la sento di sintetizzare la pagina di al-Tabari dicendo, ad esempio: "Ha avuto dieci mogli", "Ha avuto rapporti con 20 schiave ecc.", sicuramente qualche volta l'ho fatto, ma in questo caso non me la sento di farlo. Definire con un numero annulla l'individuo: uccise 1000 uomini è distante dalla percezione umana, mentre, dire ha ucciso Gesù è percepito immediatamente che a morire è una persona. Ma i 1000 sono uomini, con un nome e con delle passioni, non sono numeri. Eppure, vengono annullati nella percezione soggettiva che ne ha il lettore.

Queste persone che volenti o nolenti hanno avuto rapporti sessuali con Maometto, sono persone con cui Maometto ha avuto rapporti sessuali e da questi rapporti nasce un modello culturale che ancora vige in molte parti del mondo e, quando questo modello viene rimosso, ci sono forze che ancora tendono a ripristinarlo.

Scrive al-Tabari dei rapporti fra Maometto e le donne:

Bisogna distinguere tra le donne del Profeta: quelle con cui consumò il matrimonio dopo averle sposate; quelle che ripudiò senza consumare con loro il matrimonio; quelle defunte; quelle che desiderò senza sposarle; e infine le schiave che possedeva. Il Profeta sposò quindici donne; con tredici ebbe rapporti, due le ripudiò senza toccarle. Ebbe talvolta undici donne per volta, talaltra dieci o nove. Quando morì lasciò nove mogli. La prima donna sposata dal Profeta fu Hadigah, figlia di Huwaylid figlio di Asad, figlio di 'Abd al-'Uzza. Hadigah prima era stata maritata a 'Atik, figlio di 'A'id, della tribù di Mabzum, a cui aveva dato una figlia. Morto 'Atik, aveva avuto per marito Abu Hàlah, figlio di Zuràrah, della tribù dei Tamim, a cui anche aveva partorito una figlia. Morto Abu Hàlah, Hadigah divenne sposa del Profeta. Gli dette quattro figli: Qàsim, Tayyib, Tàhir e 'Abdallah, che morirono tutti in giovane età, e quattro figlie: Ruqayyah, Umm Kultùm, Zaynab e Fàtimah. Fino a che visse Hadigah il Profeta non prese altre mogli: dopo la sua morte sposò 'à'isah che aveva solo sette anni ed era troppo giovane perché egli potesse consumare con lei il matrimonio. Ancora per due anni ella rimase presso suo padre, Abu Bakr, e il Profeta la prese con sé solo dopo l'ègira, In quei due anni sposò Sawdah, figlia di Zam'ah. Sawdah aveva abbracciato l'Islàm e fu suo padre stesso a darla al Profeta. Solo 'A'isah fra tutte le sue donne non aveva avuto marito prima di lui. A Medina, dopo aver consumato il matrimonio con 'A'isah, sposò Hafsa, figlia di Ornar, moglie precedentemente di Hunays, figlio di Hudafah; poi Umm Salimah, figlia di Abù Umayyah, figlio di Mugìrah, sua cugina. Il vero nome di Umm Salimah era Hind: sua madre era Barrah, figlia di 'Abd al-Muttalib. Abu Umayyah era famoso tra i Coreisciti per la sua generosità; era uno di quelli che venivano chiamati «Azwad al-rakb» ovvero «le provviste della comitiva». Il primo marito di Umm Salimah era stato Abii Salàmah 'Abdallàh, figlio di al-Asad, della tribù di Mahzum. Il Profeta sposò poi Guwayriyyah, figlia di Hàrit, figlio di Abu Diràr, della tribù dei Banu Mustaliq. Prigioniera di Tabit, figlio di Qays, aveva patteggiato con lui un riscatto per riacquistare la libertà: il Profeta pagò la somma stabilita e sposò Guwayriyyah, il cui primo marito era stato Màlik, figlio di Safwan. Maometto sposò poi Umm Habìbah, figlia di Abu Sufyàn, figlio di Harb; poi Zaynab, figlia di Gahs, maritata, in precedenza a Zayd, figlio di Hàritah. L'anno della spedizione di Haybar, sposò Safiyyah, figlia di Huyayy, figlio di Ahtab. Safiyyah era stata moglie di Sallàm, figlio di Miskam, e, dopo la sua morte, di Kinànah, figlio di Rabi'. Kinànah fu fatto prigioniero e messo a morte per ordine del Profeta che ricevette come propria parte del bottino Safiyyah, a cui diede la libertà e che sposò. Prese poi in moglie Maymunah, figlia di Harit. Alcuni sostengono che questo Harit fosse figlio di 'Abd al-Muttalib e che Maymùnah fosse cugina del Profeta. Altri dicono che Harit era figlio di Hazn, figlio di Bahìr, della tribù dei Banu Hilàl. Quest'ultima ipotesi è più attendibile e più conforme alla tradizione, ed è quella accettata dagli storici. Maymunah aveva avuto come primo marito 'Umayr, figlio di 'Amr, della tribù di Taquif; era stata poi maritata con Abu Zuhayr (Abu Ruhm), figlio di 'Abd al-'Uzzà. Fu 'Abbàs, figlio di 'Abd al-Muttalib, a darla al Profeta perché era sorella di sua moglie, quando egli venne alla Mecca per la Visita del compimento.
Sono queste le nove donne che il Profeta lasciò alla sua morte, dato che Hadigah era deceduta prima di lui. Ne sposò anche altre, di cui alcune ripudiate prima e alcune dopo la consumazione del matrimonio. Una donna di nome Sabà, figlia di Rifa'ah, che altri chiamano Sana, figlia di Asma, figlia di al-Salt, morì prima ch'egli potesse consumare il suo matrimonio con lei. Un'altra, anch' essa di nome Sabà, che altri chiamano Samà, figlia di 'Amr, della tribù dei Banù Gifar, con la quale non aveva ancora consumato il matrimonio quando mori suo figlio Ibràhìm, in quell'occasione disse: «Se fosse un profeta non lascerebbe che la morte gli sottraesse il membro della famiglia che gli è più caro». Il Profeta udì quelle parole, e la ripudiò all'istante. Sposò una donna di nome 'Arabah, figlia di Gabir, della tribù dei Banu Bakr figlio di Kilab, nelle seguenti circostanze: 'Arabah viveva nella sua tribù, e il Profeta udì parlare di lei come di una bella donna. Mandò allora uno degli Ansar, Abu Usayd, dai Banu Bakr Ibn Kilab - altri sostengono che erano i Banù Kindah - perché la domandasse in sposa e gliela conducesse. Quando giunse dal Profeta, ella gli disse: «Mi hanno dato a te, ma non mi hanno consultato». Il Profeta allora la ripudiò e la rimandò al suo paese. Un'altra delle donne che sposò era Asma, figlia di Nu'man, della tribù di Kindah. Al momento di consumare le nozze, tuttavia, egli scoperse che era lebbrosa. Allora la ripudiò e la rimandò al padre. Sposò inoltre Zaynab, figlia di Huzaymah, della tribù di 'Amir Ibn Sa' sa 'ah, vedova di Tufayl, figlio di Hàrig, Ella morì poco dopo. Si dice che, a parte Hadigah e Zaynab, nessuna delle sue mogli sia morta in casa sua.
Sono queste le quindici donne che tutte le fonti menzionano come spose del Profeta. In altri libri, estranei a quest'opera, si dice che il Profeta abbia sposato altre cinque donne, e cioè:
1) Saraf, figlia di Balifah il Kalbìta, sorella di Diliyah, figlio di Halifah. Mori in casa del Profeta dopo averci vissuto qualche tempo. 2) 'Aliyyah, figlia di Zabyan, della tribù dei Banù Bakr Ibn Kilab. TI Profeta la abbandonò poco tempo dopo il matrimonio. 3) Qutaylah, figlia di Qays, figlio di Ma'dikarib il Kindìta, e sorella di As'at, figlio di Qays. Alcuni sostengono che il Profeta sia morto prima di avere consumato il matrimonio con lei. La stessa fonte afferma che al momento della morte egli lasciò dieci mogli, ma è una notizia inesatta: non ne lasciò più di nove. 4) Hawlah, figlia di al-Hudayl, della tribù di Harir. La tenne per qualche tempo e poi la abbandonò. 5) Laylà, figlia di Hatim, della tribù dei Hazrag, il cui padre era un uomo molto stimato, chiamato per la sua generosità «Mubariz al-rih», ovvero «colui che lotta con il vento». Costei era una donna anziana. Un giorno che il Profeta stava nella moschea, con la schiena volta all'ingresso, la donna entrò e gli posò le mani sulle spalle, da dietro. «Chi è?» disse Maometto. «Sono Laylà» rispose «figlia di Mubariz al-rih; prendimi in moglie, ch'io possa vantarmene nella mia tribù,» TI Profeta acconsentì. Laylà portò la notizia alla sua gente. «Hai avuto torto» le dissero. «Non vorrà saperne di una vecchia: non ti ha vista, e quando ti vedrà ti lascerà. Maometto sposa molte donne, ma tu non scamperai al suo risentimento.» Layla tornò dal Profeta e gli disse: «Mi pento di ciò che ho fatto: sono vecchia e non faccio per te, ripudiami». E il Profeta acconsentì. Se ciò che è tramandato su queste cinque donne è esatto, il Profeta avrebbe sposato nel corso della sua vita venti donne. Cinque inoltre ne desiderò senza sposarle. La prima è Umm Hàni', figlia di Abu Talib: non la sposò perché aveva due figli. Un'altra è Sa'ah, figlia di 'Amìr, della tribù dei Banù 'Amir Ibn Sa'sà'ah. Il Profeta la domandò a suo figlio, che era già adulto e si chiamava Salamah, figlio di Hisàm, figlio di Mugìrah. Salamah rispose che voleva prima consultare sua madre. Andò da lei e la mise al corrente della proposta del Profeta. Ella disse: «Cosa gli hai risposto?». «Gli ho detto che prima bisognava consultarti.» «Occorreva consultarmi trattandosi del Profeta? Va' e maritami con lui.» Quando Salamah tornò dal Profeta, costui aveva appreso che Sà'ah era già molto avanti negli anni. Salamah, sedutosi di fronte al Profeta, attendeva ch'egli gliene parlasse, ma il Profeta non ne fece più cenno. La terza donna che desiderò sposare era Safìyyah, figlia di Bassamah, della tribù dei Banù 'Anbar; era prigioniera dei Musulmani, e il marito, per amore, l'aveva seguita e aveva abbracciato l'Islàm. Il Profeta domandò a Safiyysh se voleva essere sua moglie o se preferiva il marito. Safìyyah scelse il marito e il Profeta la rese a costui. La quarta donna che desiderò è Habìbah, figlia di 'Abbàs, figlio di 'Abd al-Muttalib. 'Abbas però gli disse: «Apostolo di Dio, essa è tua sorella di latte». La quinta è Hamrà', figlia di Harit, figlio di Haritah. Il Profeta la domandò di persona al padre. Harit, non volendogliela dare, addusse una ragione menzognera e disse: «Non ti conviene prenderla, ha la lebbra». Il Profeta tacque, ma quando Harit rincasò, trovò la figlia coperta dalla lebbra. Ecco dunque la lista completa delle donne sposate o desiderate dal Profeta.
C'erano inoltre due schiave: Rayhanah, figlia di Zayd, della tribù dei Banù Qurayzah, da lui scelta tra le prigioniere dei Banii Qurayzah, e Maryah, figlia di Simeone il Copto, inviatagli dal Muqawqis, dalla quale ebbe un figlio, Ibràhìm, morto all'età di due anni.

Muhammad Ibd Garir al Tabari, Vita di Maometto, traduzione Giancarlo Buzzi, BUR, 2016, p. 361 – 365

Leggendo le relazioni sessuali avute da Maometto il sospetto è che sia stata una sorta di vendetta o di rivalsa rispetto alla prima moglie Hadigah. Donna ricca, energica che sovraintendeva agli affari e aveva proprie carovane che commerciavano con la Siria, Fu lei a rendere ricco Maometto che tuttavia aveva una posizione di rilievo nella società meccana.

Appariva chiaro che era Hadigah colei che comandava e colei che controllava Maometto. Fu lei che decise di sposare Maometto e fu lei ad ingannare suo padre per ottenere il consenso al matrimonio. Fu sposata a Maometto dal 595 al 619 ebbe otto figli e Maometto non ebbe altre mogli mentre lei era in vita.

E' facile supporre che Hadigah avesse il controllo della vita sessuale di Maometto, un controllo che venne meno con la sua morte.

Tutte le altre relazioni sessuali di Maometto vanno annoverate fra il 619 e il 632 anno della sua morte. E spesso appaiono come un esercizio di potere e di dominio.

Fra il 619 e il 632 viene dunque fissato il modello di relazioni famigliari che ancor oggi vige fra i musulmani più o meno mediato dalle diverse società civili.

In ambiente musulmano, Hadigah è la figura di donna che viene distrutta. I musulmani hanno paura di Hadigah perché Hadigah è più forte di Maometto e costringe Maometto ad un rapporto monogamico. Quando c'è Hadigah il Dio della Mecca è Hubal.

Hadigah è una donna, non è un oggetto di possesso. Lei accetta quanto dice Maometto, ma non per questo accetta di essere un oggetto posseduto da Maometto come sarà per tutte le altre donne dopo la sua morte.

Nel mondo musulmano non è passato il modello di Hadigah, ma è passato il modello delle frequentazioni fatto da Maometto dopo che Hadigah è morta. Con Hadigah è morta l'antica comunità araba.

 

Marghera, 10 gennaio 2019

 

 

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Claudio Simeoni

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