Proclo Licio Diadoco

Le biografie dei giocatori - trentanovesima biografia

Capitolo 122

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Claudio Simeoni

 

Le biografie dei filosofi che partecipano alla partita di calcio

 

La biografia di Proclo Licio Diadoco

 

Della vita di Proclo sappiamo molto poco o, forse, c'è poco da sapere.

In questa biografia, breve per i pochi dati in possesso sulla vita di Proclo, intendo inserire quanto di Proclo scrive Marino (il successore di Proclo all'ultima Accademia di Atene). Quanto scrive Marino è importante non solo per alcune notizie che fornisce sulla vita di Proclo, ma soprattutto per il tentativo dell'Accademia di divinizzare Proclo allo stesso modo con cui, quasi un millennio prima, l'Accademia aveva divinizzato Platone. Un metodo formale che è stato fatto proprio dai cristiani pur modificandolo nella sostanza. La differenza fra il metodo usato dall'Accademia per divinizzare Proclo differisce dal metodo usato dai cristiani per santificare i loro seguaci. Mentre per l'Accademia la persona viene divinizzata perché si ritiene che sia stato utile agli uomini, i cristiani santificano chi è stato utile alla gloria di "Dio" anche se ha macellato, rubato e stuprato gli uomini perché, come dice Paolo di Tarso, "lo ha fatto per lo spirito, non per la carne".

Proclo è nato a Costantinopoli l'8 febbraio del 412, ed è morto ad Atene il 17 aprile 485.

Proclo era figlio di Marcella e Patrizio originari della Licia. Il padre faceva l'avvocato ed era di casa a Cotantinopoli dove esercitava.

Proclo, dopo aver studiato in Licia, partì per Alesandria d'Egitto. Studiò con il sofista Leonade e visse per un certo tempo nella sua casa. Frequentò la scuola del grammatico Orione che proveniva dall'ultima classe sacerdotale egiziana. Studiò anche le recitazioni retoriche latine e, per un certo tempo, Proclo fu avviato alla professione di avvocato come il padre.

Scrive Marino della salute e dell'aspetto fisico di Proclo:

Come terza virtù del corpo egli possedeva quella ordinata secondo temperanza, virtù che sostengono di contemplare nella bellezza fisica, e giustamente. Come infatti quella è contemplata nell'armonia e nell'accordo delle facoltà dell'anima, così anche la bellezza del corpo è vista in una certa qual simmetria delle membra. Era di aspetto davvero gradevole. Non solo aveva un fisico armonioso, ma anche quella, se così si può dire, luce vitale che, provenendo dall'anima, si manifesta nel corpo, risplendeva in modo davvero mirabile e non è assolutamente possibile descriverla a parole. Era tanto bello che nessun pittore riusciva a ritrarlo fedelmente; tutte le sue immagini in circolazione, sebbene fossero esse pure bellissime, restavano pur sempre ancora molto lontane dalla riproduzione del modello quale effettivamente era. La quarta, cioè la salute, sostengono che sia una sorta di rettitudine del corpo, analoga alla rettitudine che ha sede nell'anima. Quella condizione infatti che priva di qualsiasi conflitto le parti dell'anima non è altro che la rettitudine, e quella condizione che fa diventare gli elementi costitutivi del corpo da sregolati in regola e in accordo tra loro è chiamata salute anche dai medici. Questa dote si trovava in lui così perfetta fin dalla prima infanzia, che egli poteva perfino affermare di essersi ammalato solo due o tre volte nei settantacinque anni della sua lunga vita. Una prova sufficiente di ciò - e ne fui testimone anch'io nel corso della sua ultima malattia - è che egli non riconosceva affatto quali erano le infermità che colpivano il suo corpo, tanta era l'inesperienza di esse.

Marino, Vita di Proclo, riportato in Proclo, I manuali, Rusconi, 1999, p. 287 – 288

Grande oratore, Proclo sembrava avviato seguire le orme di avvocato come il padre. Per un certo tempo esercitò la professione, ma poi preferì occuparsi di filosofia.

Partì per Alessandria d'Egitto e abitò presso il sofista Leonade.

A tale proposito, scrive Marino:

… partì per Alessandria d'Egitto, portando già con sé le caratteristiche della virtù morale, con le quali avvinse anche i maestri del luogo. Il sofista Leonade, isauro, credo, di stirpe e famoso fra la moltitudine di coloro che ad Alessandria esercitavano la sua stessa professione, non solo lo rese partecipe dei suoi discorsi, ma anche lo riteneva degno di abitare sotto il suo stesso tetto e lo fece vivere con sua moglie e i suoi figli, come fosse anch'egli suo vero figlio. Lo presentava a coloro che tenevano le redini dell'Egitto, i quali pure, ammirando la naturale prontezza e la dirittura morale del giovane, lo includevano nel numero degli amici più stretti. Frequentò anche la scuola del grammatico Orione, che proveniva dalla classe sacerdotale egiziana e che aveva così appropriatamente esaminato quanto concerneva la sua arte, da elaborare operette proprie e lasciarle non senza vantaggio ai posteri.

Marino, Vita di Proclo, riportato in Proclo, I manuali, Rusconi, 1999, p. 292

Con Leonida, Proclo compie un viaggio fino a Bisanzio. Secondo le affermazioni di Marino, Proclo era devoto alla Dea di Bisanzio che gli appariva in sogno e lo incitava a dedicarsi alla filosofia.

Scrive Marino:

Quando ancora frequentava le scuole, il sofista Leonade lo prese come compagno nel viaggio alla volta di Bisanzio che egli faceva per compiacere l'amico Teodoro, allora governatore di Alessandria, uomo colto, dotato di grandezza d'animo e amante della filosofia. Egli, ancor giovane, seguiva con particolare entusiasmo il maestro, affinché non gli fossero impediti gli studi di retorica: a dire il vero, una certa qual sorte favorevole lo ricondusse di nuovo alla causa prima della sua nascita. Allora infatti, al suo arrivo, la dea lo incitò alla filosofia, a visitare anche le scuole di Atene. Ritornato dapprima ad Alessandria, avendo abbandonato la retorica e gli altri studi a cui poco prima si dedicava, si mise a frequentare i filosofi del luogo. E frequentò, per imparare le teorie aristoteliche, il filosofo Olimpiodoro, la cui fama era ampia; per la matematica si affidò a Erone, uomo religioso, che possedeva una assoluta competenza circa i metodi educativi. Anche costoro tanto ammirarono l'indole del giovinetto, che Olimpiodoro, il quale aveva una figliola educata anch' essa alla filosofia, manifestò il desiderio di dargliela in sposa, ed Erone osò comunicargli tutto il suo sistema religioso e renderlo suo ospite fisso. Frequentava le lezioni di Olimpiodoro, abile oratore, per la facilità e velocità di parola comprensibile a pochi degli uditori, e quando usciva dopo la lezione ripeteva a memoria ai compagni, con le stesse parole, tutti i temi trattati, che erano moltissimi; così mi ha raccontato uno dei suoi condiscepoli, Ulpiano di Gaza, anch'egli dedicatosi nella giusta misura alla filosofia nel corso della sua vita. Imparava perfettamente e con estrema facilità persino le opere di logica di Aristotele, la cui pura e semplice lettura è già di per sé difficile.

Marino, Vita di Proclo, riportato in Proclo, I manuali, Rusconi, 1999, p. 292 – 293

Dunque, Proclo ritornò ad Alessandria d'Egitto dove studiò la filosofia aristotelica e la matematica.

Scrive Marino a proposito delle doti psicologiche e delle predisposizioni di Proclo:

Sebbene queste doti siano relative al corpo, si potrebbe forse chiamarle anticipatrici delle specie della virtù perfetta che sono state distinte. Quanto alle doti prime dell'anima, innate in lui per natura e senza previo insegnamento, anch'esse parti della virtù, ci si potrebbe meravigliare osservando che sono proprio quelle che Platone chiama elementi costitutivi della natura del filosofo. Infatti era dotato di memoria, di facilità nell'apprendere, di grandezza d'animo, di grazia; era unito da vincoli affettivi e naturali alla verità, alla giustizia, al coraggio e alla temperanza. Per quanto dipese dalla sua volontà, in nessuna occasione ammise la menzogna, anzi la odiava con tutto il cuore, mentre amava la sincerità e la verità. E in effetti bisognava che chi era destinato a raggiungere la verità assoluta subito fin da giovane aspirasse a essa al massimo grado possibile. La verità è infatti il principio di tutti i beni sia per gli dèi sia per gli uomini. Disprezzava i piaceri fisici e cercava di essere temperante quanto più poteva: basta ricordare in proposito la sua vivissima propensione per le materie d'insegnamento e per tutto questo genere di interessi; essa non permette che neppure cominci a ingenerarsi il piacere proprio degli animali e volgare, mentre può produrre la gioia dell'anima conforme a se stessa. Non è neppure possibile dire quanto fosse lontano dall'amore per le ricchezze; egli fin da fanciullo tenne sempre in poco conto persino il patrimonio familiare, pur notevole, tanto era il suo amore per la filosofia. Di conseguenza gli erano assolutamente estranee la mancanza di liberalità e la cosiddetta grettezza, poiché aspirava all'assoluto e universale divino e umano. In seguito a una tale mentalità essendo dotato di grandezza d'animo, riteneva che la vita umana non fosse nulla; neppure la morte era per lui, come per altri, qualcosa di terribile. Per tutto ciò che normalmente sembra temibile non provava timore, grazie a quella sola qualità fisica che conviene chiamare non con un altro nome di virtù, ma solo coraggio. Da questi stessi dati risulta già chiaro a tutti, anche a chi non ha fatto esperienza della sua buona disposizione naturale, che fin da giovane amò sempre la giustizia, fu giusto e mite e nient'affatto scontroso o difficile a trattarsi, o comunque ingiusto; a noi parve essere per natura equilibrato e non amante delle ricchezze, né illiberale, né arrogante o vile.

Marino, Vita di Proclo, riportato in Proclo, I manuali, Rusconi, 1999, p. 288 - 290

Nel 431 arrivò all'Accademia di Atene, per quello che era rimasto, e divenne scolaro di Siriano di Atene che lo fece conoscere a Plutarco a capo dell'Accademia. Proclo visse due anni con Plutarco prima che morisse.

Dell'arrivo di Proclo ad Atene, scrive Marino:

Quando sbarcò al Pireo e la notizia fu riferita a quelli che si trovavano nella città, Nicola, in seguito divenuto famoso nella sofistica e allora discepolo dei maestri di Atene, scese al porto come incontro a un personaggio noto, per accoglierlo e fargli da guida, considerandolo suo concittadino. Infatti anche Nicola era licio. Lo stava conducendo dunque in città. Egli, per il camminare, sentì stanchezza lungo il tragitto e nei pressi del tempietto di Socrate, non sapendo ancora né avendo sentito dire che in quella zona si onorava Socrate, pregò Nicola di fermarsi un po' e di sedersi e al tempo stesso di procurargli dell'acqua, se poteva trovarne da qualche parte: aveva infatti, come diceva, una gran sete. Quegli prontamente gliela fece portare non da altro posto, ma da quello stesso luogo sacro, poiché non lontano c'era la fonte della statua di Socrate. Quand'ebbe bevuto, Nicola gli disse che era un segno premonitore che alla sua prima sosta si fosse fermato al tempietto di Socrate e di lì avesse bevuto per la prima volta acqua attica. Egli, alzatosi in piedi e inchinatosi, si diresse verso la città. Si imbatté in lui, salito fino all'acropoli, all' entrata, il custode, che già stava per chiudere a chiave le porte, e gli disse (riferirò testualmente le parole di costui): «Certo, se tu non fossi venuto, avrei chiuso». Quale segno avrebbe potuto verificarsi più chiaro di questo, che non ha neppure bisogno, per essere spiegato, di Pollete, Melampodo o simili?

Marino, Vita di Proclo, riportato in Proclo, I manuali, Rusconi, 1999, p. 294

Proclo abitò per due anni a casa di Plutarco.

Morto Plutarco, il controllo dell'Accademia di Atene passò a Siriano di Atene che morì nel 437 d. c.

Con Siriano, Proclo studiò Aristotele per passare a Platone e studiare il Timeo.

Nel 437 Proclo divenne capo dell'Accademia di Atene e ad Atene visse per tutto il resto della sua vita.

Fu mandato in esilio per un anno dai cristiani che tentavano in tutti i modi di chiudere quell'Accademia.

L'episodi dell'allontanamento di Proclo da Atene è così raccontato da Marino:

Talora il filosofo stesso si occupava di decisioni politiche: partecipava alle riunioni pubbliche sugli affari della città, proponeva con saggezza il suo parere, si incontrava coi governanti per discutere di una giusta amministrazione dello Stato e non solo li esortava, ma in certo qual modo li costringeva, con la libertà di parola propria del filosofo, a dare a ognuno il suo. Ancora nel pubblico interesse si prendeva cura del contegno educato degli studenti e faceva sì che dominasse la temperanza, dando insegnamenti non con la mera parola, ma mettendoli piuttosto in pratica durante tutta la sua vita e diventando in un certo senso modello di moderazione per gli altri. Manifestò la forma del coraggio politico in misura davvero eraclidea. Venutosi a trovare al culmine di una tempesta di fatti politici, venti burrascosi spirando contro la sua integerrima vita, quest'uomo intrepido con serietà e fermezza, anche se in modo temerario, fece la traversata della vita e una volta, essendo stato messo sotto inchiesta in un assembramento di uomini violenti, se ne andò, così come si trovava, da Atene, obbedendo al corso del destino, e si diresse verso l'Asia. Anche questo episodio si risolse a suo vantaggio. Infatti, affinché non restasse escluso neppure dagli antichi riti di quella regione ancora esistenti, il demone gli fornì 1'occasione per la partenza. Egli apprendeva con precisione gli usi degli abitanti e, se essi a causa del lungo tempo trascorso incorrevano in qualche errore nel celebrare i riti, li istruiva spiegando con particolare competenza quanto riguardava gli dèi. Facendo tutto questo e vivendo di conseguenza, si teneva tanto nascosto che neppure i pitagorici custodiscono così saldo il precetto del loro maestro: «Vivi nascosto», Essendosi fermato solo un anno nella zona della Lidia, di nuovo fece ritorno ad Atene con la provvidenza della dea che presiede alla filosofia.

Marino, Vita di Proclo, riportato in Proclo, I manuali, Rusconi, 1999, p. 298 – 299

I cristiani stavano procedendo a distruggere ogni testimonianza dell'antica religione della Grecia. I templi distrutti, le statue abbattute. Questo avveniva con continui tumulti, aggressioni, linciaggi messi in atto dai cristiani che avevano l'appoggio e la complicità delle autorità civili.

Con i cristiani, ogni ragionamento era inutile. Per loro, ogni ginocchio doveva piegarsi a Gesù. Una sola voce dissonante dal loro gregge costituiva un pericolo che andava eliminato con la massima violenza.

Per i cristiani Proclo era il nemico. Un nemico audace e sufficientemente abile per fermare le loro aggressioni in quel tempo, ma non abbastanza abile per costruire un diverso futuro.

Per questo, davanti agli attacchi dei cristiani, Proclo preferisce ritirarsi e andare in esilio consentendo ai motivi delle aggressioni contro di lui di stemperarsi e diluirsi.

Proclo non si è sposato (che si sappia, ha avuto solo un'offerta della figlia di un sofista mentre era in Egitto), non ha avuto figli. Della sua pratica "devozionale" si dice che di notte stesse sveglio a pregare e che celebrasse i noviluni. Una volta all'anno si recava sulle tombe dei filosofi e degli eroi greci per rendere loro omaggio.

Marino ci parla anche della vita privata di Proclo e dice:

Non avendo mai fatto esperienza né di nozze, né di figli, per propria scelta, sebbene gli si fossero presentate molte possibilità di contrarre un matrimonio che si distinguesse per nobiltà e per censo, da tutto ciò, come diceva, essendosi reso libero, si preoccupava di tutti i suoi discepoli e amici, dei loro figli e delle loro mogli, come se fosse stato per loro in un certo senso un padre comune e causa del loro esistere: si prendeva infatti cura in svariati modi anche della vita di ciascuno. Se capitava che qualcuno dei suoi allievi fosse ammalato, dapprima supplicava gli dèi per lui in forma solenne con azioni sacrificali e inni, poi con la massima sollecitudine stava presso il malato e convocava i medici, incitandoli a fare senza indugio ciò che era di loro competenza. Anch'egli in questi casi proponeva qualche rimedio straordinario; molti già, in tal modo, salvò dai più gravi pericoli. E' possibile, a chi lo voglia, apprendere dal testamento del beato uomo quanto bene voleva ai servi particolarmente fedeli. Di tutti i suoi discepoli amava soprattutto Archiada e i suoi parenti, anzitutto per la sua discendenza dal filosofo Plutarco, poi per l'amicizia pitagorica che aveva instaurato con Archiada, essendo divenuto al tempo stesso suo compagno di studi e maestro. La loro amicizia, che consisteva nei due tipi di amicizia raramente notati negli uomini delle generazioni precedenti, parve essere particolarmente perfetta. Niente infatti era Archiada che Prodo non volesse, né viceversa questi, che non volesse anche Archiada.

Marino, Vita di Proclo, riportato in Proclo, I manuali, Rusconi, 1999, p. 300

E' abbastanza chiara l'origine dell'ascetismo di Proclo. Tuttavia è stata una risposta ai cristiani. Un esempio morale da opporre al cristianesimo. Il cristianesimo lo usava come propaganda mentre praticava ben altro. La doppia immagine del cristianesimo, una per la propaganda e una per i seguaci verso l'esterno, pagava molto di più in termini di proselitismo che non la dirittura morale di Proclo.

Marino ci parla dell'attività religiosa che Proclo conduceva nella sua attività quotidiana. Tale pratica è interessante perché ci dice molto sulla qualità del pensiero filosofico di Proclo.

Scrive a tal proposito Marino:

Per lo più osservava scrupolosamente l'astinenza dalle carni; se capitava che qualche situazione con particolare insistenza lo spingesse a mangiarne, le assaggiava solo, per attenersi al precetto. Seguiva ogni mese le pratiche ascetiche in onore di Cibele celebrate con zelo presso i Romani o anche, prima, presso i Frigi, osservava i giorni nefasti degli Egiziani più di loro stessi e digiunava in modo particolare per alcuni giorni in seguito a una visione. Non toccava cibo ogni ultimo giorno del mese, senza neppure aver cenato il giorno precedente, così come celebrava i noviluni con solennità e continuò a celebrare secondo i rituali le feste, per così dire, importanti presso tutti e quelle locali; non considerava neppure queste, come fanno altri, un'occasione per riposarsi un po' o per saziare il corpo, bensì per vegliare in preghiera, per cantare inni e per altre simili occupazioni. E una prova la sua produzione di inni, che non si limitano agli encomi degli dèi onorati solo presso i Greci, ma cantano anche Marna Gazeo, Asclepio Leontuco Ascalonite, Tiandrite (un altro dio molto onorato dagli Arabi), Iside, che è ancora onorata a File, e, in una parola, tutti gli altri. Infatti quel religiosissimo uomo era solito ripetee che il filosofo deve né essere ministro dei culti di una sola città, né della religione locale di qualche popolo, ma sacerdote comune del mondo intero. E così, per quanto riguarda la continenza, viveva in modo puro e santo.

Marino, Vita di Proclo, riportato in Proclo, I manuali, Rusconi, 1999, p. 302 – 303

La temperanza, il digiuno, l'astinenza, il dolore, erano visti come mezzi per controllare gli impulsi nell'idea di contrapporre i desideri del corpo a quello che pensavano fossero le virtù dell'anima.

Un altro aspetto della debolezza di Proclo rispetto ai cristiani fu che Proclo e gli altri filosofi di questa accademia applicavano temperanza, digiuno, astinenza e sopportazione del dolore a sé stessi mentre i cristiani, la temperanza, l'astinenza, il digiuno e il dolore, lo imponevano agli altri uomini per costringerli alla gloria di "Dio".

Vista dall'esterno, la filosofia di Proclo produceva dolore e sofferenza in chi la seguiva, al contrario, vista dall'esterno si vedeva nei cristiani la felicità nell'imporre agli altri la sofferenza e il dolore. Per questo motivo le persone erano propense ad accorrere ed aiutare i cristiani ad imporre sofferenza e dolore piuttosto che aiutare Proclo e imporre a sé stessi temperanza, digiuno, astinenza e dolore.

Sempre nelle pratiche di vita quotidiane Proclo cercava di raggiungere quell'imperturbabilità che l'Accademia aveva ereditato dallo scetticismo di Pirrone e poi semidimenticato nelle successive fasi della ricostruzione dell'Accademia.

Il concetto di imperturbabilità praticato da Proclo aveva più assonanze con il buddismo che non con il Jainismo come espresso da Pirrone.

Scrive Marino a tal proposito:

Era tanto imperturbabile non solo di fronte al dolore fisico, ma in misura ancor maggiore di fronte al sopraggiungere di situazioni dipendenti dalle circostanze esterne e di fronte a ciò che sembra accadere contro ogni attesa, che diceva di ogni cosa che capitava: «Questo fatto si presenta così, questo fatto è normale». Questo detto mi pareva degno di essere ricordato e sufficiente prova dell'animo superiore del filosofo. Frenava l'ira, per quanto ne era capace, cosicché restava assolutamente imperturbabile oppure l'anima razionale restava estranea alla collera e quello che era un moto non intenzionale, comunque poca cosa, senza veemenza alcuna, aveva un'altra provenienza. Per quanto riguarda i piaceri d'amore, si atteneva alla natura, quel tanto da coinvolgere, credo, solo l'immaginazione, fugace anche questa che era un moto non intenzionale, comunque poca cosa, senza veemenza alcuna, aveva un'altra provenienza. Così da ogni cosa raccogliendosi e riconducendosi a se stessa, l'anima del beato uomo si separava quasi dal corpo, mentre in apparenza era ancora posseduta da quello. In essa c'era infatti la sapienza, non più, quale è quella a livello politico, consistente nell'agire bene in quelle situazioni che ammettono soluzioni diverse, bensì nella facoltà stessa intellettiva in sé perfetta, nell' essere l'anima rivolta a se stessa e nel non consentire in nessun caso col corpo. In essa c'era pure la temperanza, cioè il non unirsi a ciò che è inferiore e non essere neppure in modo misurato sotto il dominio delle passioni, ma esserne totalmente libero. Inoltre la fortezza, vale a dire il non aver paura di separarsi dal corpo. Poiché dominavano in lui la ragione e l'intelletto e non si contrapponevano più gli elementi di ordine inferiore di cui l'uomo è composto, tutta intera la sua vita era ordinata dalla giustizia purificatrice.

Marino, Vita di Proclo, riportato in Proclo, I manuali, Rusconi, 1999, p. 303 – 304

Per Marino è importante dire che Proclo facesse poco sesso e solo attraverso la sua immaginazione perché questo mette in rilievo quella moderazione che nell'ultima accademia appare come virtù. Proclo era virtuoso, dice Marino.

Proclo, una volta ad Atene, non lasciò più la città salvo l'anno in cui è stato esiliato. Rimase ad Atene fino alla sua morte, anche quand'era paralizzato.

Della sua morte Marino ci racconta questo:

Lavorò a riassumere con il conveniente giudizio critico le esegesi dei filosofi che lo avevano preceduto e fece una redazione scritta di tutti gli altri punti della dottrina caldaica e delle parti più importanti dei commentari a questi oracoli trasmessi dagli dèi, portando a termine il lavoro in un quinquennio, durante il quale fece anche il ben noto sogno di origine divina. Gli parve che il grande Plutarco gli predicesse in sogno che sarebbe vissuto per un numero di anni pari a quello delle tetradi da lui composte sugli oracoli. Contatele, trovò che erano settanta. Il carattere divino del sogno fu rivelato dal modo in cui si concluse la sua vita. Visse infatti, come anche prima abbiamo detto, settantacinque anni, ma gli ultimi cinque senza più energie. Il suo fisico di solida costituzione, esaurito dal regime di vita troppo severo e intollerabile, dalle frequenti abluzioni e da altre pratiche ugualmente dure, dopo il settantesimo anno cominciò a indebolirsi, tanto che si trovava in difficoltà di fronte a ogni tipo di azione. Anche in queste condizioni pregava e componeva inni, scriveva qualcosa e si riuniva coi colleghi, ma tutto faceva in uno stato di notevole debolezza. Per cui, ricordandosi del sogno, si meravigliava e diceva ogni volta di aver vissuto solo settant'anni.

Marino, Vita di Proclo, riportato in Proclo, I manuali, Rusconi, 1999, p. 308 – 309

In sostanza, Proclo stette abbastanza bene fino a settanta anni, poi gli prese una sorta di paralisi che ne ridusse notevolmente l'attività anche se continuò a vivere per altri cinque anni.

Un'altra curiosità che vale la pena di ricordare. A Proclo veniva attribuita anche la capacità di fare miracoli intercedendo con gli Dèi.

A questo proposito scrive Marino:

Volendo dilungarsi, si avrebbe molto da racconta- re anche sulle azioni teurgiche di quel beato; ne citerò solo una delle numerosissime, vero miracolo persino a udirsi. Asclepigenia 37, figlia di Archiada e di Plutarca, e moglie di Teagene, nostro benefattore, quand'era ancora fanciulla e viveva in casa dei genitori fu colpita da una grave malattia che neppure i medici erano in grado di curare. Archiada, che in lei sola aveva speranza per una discendenza, si af- fli~va e piangeva, com'era naturale. Poiché i medici non avev no speranze, andò, come era solito fare nei casi più gravi, all'estrema ancora di salvezza, o meglio dal filosofo come unico salvatore, lo supplicò con insistenza di pregare senza indugio per la figlia. Egli, preso con sé il grande Pe- ride di Lidia, anch'egli molto sapiente, salì al tempio di Asdepio 38 per intercedere presso il dio in favore dell' am- malata. A quel tempo infatti la città godeva della sua pre- senza: il tempio del salvatore 39 non era stato ancora sac- cheggiato. Mentre egli pregava secondo il rito più antico, si manifestava un cambiamento generale nelle condizioni della fanciulla e si verificava all'improvviso un migliora- mento; il salvatore infatti guariva facilmente, in quanto dio. Terminato il rito, Prodo si recò da Asdepigenia e la trovò appena liberata dalle sofferenze che possedevano il suo corpo e in buona salute. Compl tale genere di azioni, non diversamente che in questa occasione, di nascosto alla folla e non offrendo nessun pretesto a coloro che volevano tramare contro di lui, aiutandolo allo scopo anche la casanella quale abitava; infatti, oltre agli altri privilegi riserva- tigli dalla sorte, aveva la residenza più idonea; vi avevano abitato suo padre Siriano e il suo nonno - così li chiama- va - Plutarco; si trovava vicino al tempio di Asclepio cele- brato da Sofocle e a quello di Dioniso, posto presso il tea- tro, e si poteva scorgerla dall'acropoli di Atena

Marino, Vita di Proclo, riportato in Proclo, I manuali, Rusconi, 1999, p. 311 – 313

Nel V secolo il culto di Asclepio era ancora vivo ad Ascalona, Atene, nell'Epidauro e a Xanto in Licia. Il termine "salvatore" è usato da Marino in polemica con i cristiani che stanno distruggendo templi e statue. Questo termine Marino lo attribuisce sia a Proclo che ad Asclepio.

I cristiani stavano procedendo alla distruzione dei templi e delle statue. La distruzione provocava sentimenti molto forti e la distruzione della statua di Atena sul Partenone avrebbe significato la fine della civiltà greca come si era espressa negli ultimi duemila anni.

Di questa distruzione scrive Marino:

A che punto egli divenne caro alla dea stessa della filosofia è emerso a sufficienza dalla sua scelta di vivere praticando la filosofia, scelta che fu tale quale abbiamo esposto; lo mostrò chiaramente anche la dea stessa, quando la sua statua, fino ad allora situata nel Partenone, fu spostata da coloro che muovono anche ciò che non può essere mosso. Al filosofo pareva in sogno che gli si avvicinasse una donna di magnifico aspetto e lo avvertisse di preparare al più presto la casa; «la dea Atenaide infatti» disse «vuole dimorare presso di te »,

Marino, Vita di Proclo, riportato in Proclo, I manuali, Rusconi, 1999, p. 313

Ora il cristianesimo avanzava e distruggeva tutto quanto gli era possibile distruggere. Tanto, il suo profeta Gesù sarebbe venuto di lì a poco con grande potenza sulle nubi. La distruzione era il modo con cui il cristianesimo si presentava al mondo e annunciava l'imminente fine del mondo.

Marino conclude la sua storia sulla vita di Proclo con la sepoltura di Proclo e nel raccontare della sepoltura, racconta anche delle pratiche che Proclo metteva in atto nei confronti dei defunti.

Scrive Marino:

Morì nel centoventiquattresimo anno dal regno di Giuliano, durante 1'arcontato in Atene di Nicagora il Giovane, il 17 del mese Munichione del calendario ateniese, che corrisponde al 17 aprile del calendario romano. La salma fu ritenuta degna degli onori della sepoltura secondo le usanze patrie degli Ateniesi e come egli stesso quando era ancora vivo aveva disposto. Infatti anche questa era una prerogativa del beato uomo più che di qualsiasi altra persona, la conoscenza e la pratica dei riti funebri. Nessun tempo riservato ai consueti onori resi ai defunti è stato da lui trascurato; ogni anno in giorni definiti andava a visitare le tombe degli eroi attici, quelle di coloro che avevano praticato la filosofia e degli altri suoi amici e conoscenti; compiva i riti consueti non tramite un intermediario, bensì di persona. Dopo il culto reso a ciascuno andava all' Accademia e in qualche luogo, ma appartato, compiva sacrifici espiatori per le anime degli antenati e in generale dei parenti. Poi, in un'altra parte dell'edificio, faceva in comune delle libazioni a favore delle anime di tutti i filosofi. Al termine di tale serie di riti funebri questo uomo piissimo, dopo aver delimitato un altro terzo luogo, in esso offriva un sacrificio espiatorio a tutte le anime dei defunti. La sua salma, vestita e sistemata, come ho detto, seco e sue stesse disposizioni e portata dagli amici, fu sepolta in una zona più orientale dei sobborghi della città, presso il Licabetto, dove riposa anche il corpo del suo maestro Siriano. Costui infatti gli aveva fatto questa raccomandazione quando era ancora in vita e a tale scopo aveva fatto costruire un monumento funebre con due loculi. Dopo la sua morte, poiché il santissimo uomo meditava fra sé se la cosa non fosse sconveniente, gli apparve in sogno Siriano che lo minacciava, per il fatto di aver anche solo pensato a una cosa del genere. Sul sepolcro è incisa una iscrizione di quattro versi che egli compose per sé: «lo, Prodo, sono licio di origine; Siriano qui mi formò e istruì perché gli succedessi nell'insegnamento; questa tomba comune ha accolto i corpi di entrambi. Possano anche le nostre anime ottenere dalla sorte un'unica sede!».

Marino, Vita di Proclo, riportato in Proclo, I manuali, Rusconi, 1999, p. 317 – 318

C'è da rilevare che l'Accademia di Atene, di cui Proclo è stato il capo, è stata fondata da Plutarco all'inizio del 400 d.c. Fino ad allora, per 4 secoli e mezzo l'Accademia di Atene era stata chiusa. Non funzionava più. Alcuni filosofi si erano trasferiti ad Alessandria d'Egitto. Plutarco, figlio di Nestorio, rifondò l'Accademia di Atene e alla sua morte gli successe Siriano. Plutarco aveva ricevuto dal padre Nestorio l'arte della Teurgia. Quei segreti li aveva tramandati alla figlia che li rivelò solo a Proclo.

Dopo la morte di Proclo l'Accademia fu condotta prima da Marino di Neapoli e poi da Isidoro a cui succedette Zenodoto per concludere il ciclo millenario dell'Accademia con Damascio che riuscì ad arrivare alla vecchiaia grazie ad un salvacondotto trattato per lui dal re di Persia. L'Accademia di Atene fu chiusa definitivamente dai cristiani nel 529 attraverso l'Imperatore bizantino Giustiniano I. Damascio fuggì in Persia sotto la protezione del re Cosroe I. Fallito il tentativo di fondare in Persia una nuova accademia, Cosroe nelle trattative con Bisanzio, impose il riconoscimento di un salvacondotto affinché Damascio non fosse perseguitato quando tornò in occidente. Damascio fugge da Atene per le persecuzioni dei cristiani.

Della fuga di Damascio, scrive Catherine Nixey:

Si aggiravano come se fossero dei fantasmi. Era un gruppo di sette uomini che nel 532 d. c. lasciò Atene, portando con sé opere di filosofia e poco altro. Tutti erano membri di quella che era stata la scuola di filosofia più celebre dell'intera Grecia, l'Accademia. I filosofi dell'Accademia facevano risalire con orgoglio la loro storia indietro nel tempo ininterrottamente fino a Platone, quasi un millennio prima, seguendo a ritroso gli anelli di quella che chiamavano "catena aurea". Ora quella catena stava per essere spezzata nel modo più drammatico possibile: questi uomini stavano abbandonando non solo la loro scuola, ma lo stesso Impero Romano. Atene, la città che aveva visto la nascita della filosofia occidentale, non era più un luogo adatto per i filosofi. Forse la presenza del capogruppo Damascio fra le loro fila fu di qualche conforto mentre si accingevano a mettersi in viaggio verso l'ignoto.

Catherine Nixey, Nel nome della croce, Bollati Boringhieri, 2018, p. 20

Con Proclo si chiude il ciclo dell'Accademia di Atene. L'attività filosofica di Proclo consegna gli ultimi elementi platonici, filtrati dal neoplatonismo, ai cristiani che li usarono per supportare la loro ideologia religiosa. Proclo ha indubbiamente tentato di combattere il cristianesimo nei sui aspetti più truculenti, ma per farlo ha usato le categorie di pensiero cristiane proprie del neoplatonismo.

Fra gli allievi di Proclo ricordiamo Marino di Neapoli che ci ha permesso di avere notizie della vita di Proclo e che succedette a Proclo nel Controllo dell'Accademia. Marino di Neapoli era originario di Neapoli una città della Palestina. Marino, ebreo o samaritano, abbandonò la religione ebraica in giovane età e iniziò a frequentare i circoli greco-platonici. Nel V secolo la città di Neapoli era abitata da cristiani, samaritani e piccole comunità greco-neoplatoniche. I cristiani vessavano i samaritani e questi si ribellarono nel 484 e nel 529 subendo ulteriori massacri.

Un altro allievo di Proclo fu Ammonio di Alessandria che fu a capo della scuola di Alessandria. Commentò testi platonici e aristotelici ed entrò in polemica con i peripatetici, i manichei e gli stoici. Come Giamblico, tentò di dimostrare come la libertà umana non sia in contrato con la volontà di Dio. Costui ebbe come scolaro Asclèpio di Tralle che commentando la Metafisica di Aristotele trascrisse brani di Alessandro di Afrodisia.

Proclo ebbe come seguaci alcuni filosofi cristiani come Ermia di Alessandria e la moglie Edesia. Costoro furono genitori del filosofo Ammonio di Ermia (440-523) che con il suo allievo Giovanni Filopono (490-570) elaborarono un sistema dottrinale che tendeva a conciliare il cristianesimo con il neoplatonismo.

 

Marghera, 02 marzo 2019

 

 

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