Nemesi e i filosofi fondamentalisti contro rinascimentali
fase n. 3, azione 13

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Capitolo 14
Gli Dèi riflettono sui filosofi

di Claudio Simeoni

Continua dal precedente...

Sei capace di giocare a calcio?

Si dissolse Inganno lasciando un vuoto emotivo fra gli ascoltatori. Inganno aveva spiegato alcuni termini dell'inganno sociale a cui gli uomini sono sottomessi e sembrava che nulla potesse rimuovere le osservazioni di Inganno quando un tremolio della nebbia rivelò una presenza.

Il tremolio si fece insistente, ma dalla nebbia non uscì nessuna forma. Solo una voce presentò sé stessa: "Io sono Nemesi, figlia di Nera Notte e sorella di Inganno. Io sono la "vendetta" colei che porta giustizia là dove le figlie di Temi non sono in grado di arrivare. Sono la figlia che Nera Notte mise a guardia di ogni coscienza che costruendo sé stessa avrebbe trovato nella propria esistenza difficoltà capaci di offendere le proprie emozioni."

"Se hai un nemico" continuò Nemesi "uccidilo, ma non umiliarlo! Io abito le emozioni offese degli uomini e alimento un desiderio di giustizia inespresso che prorompe in una violenza proporzionale all'offesa subita. Io, Nemesi, abito un mondo emotivo in cui le tensioni si accumulano ed esplodono in continuazione. Nel mondo abitato dall'uomo le emozioni si plasmano continuamente. E' un mondo in continua modificazione che desidera le proprie rivincite e le proprie affermazioni."

Poi Nemesi, puntando il suo dito contro gli arbitri, con voce imperiosa affermò: "Io sono la vendetta dell'uomo contro di voi!".

"Quel Ganimede, ch'al marcio dispetto della gelosa Giunone, egli era tanto in grazia, ed a cui solo diceva d'accostarsegli, e porgergli li fulmini trisolchi, mentre a lungi passi a dietro riverentemente si tenevano gli Dèi, al presente credo che, se non ha altra virtute che quella che è quasi persa, è da temere che da paggio di Giove non debba aver a favore di farsi come scudiero a Marte."

Giordano Bruno, Spaccio della bestia trionfante, BUR, 1985, p. 100

"Gelosia è possesso. Possedere colui che viene amato a cui non è concesso altro amore che la deferenza nei confronti di chi lo ama. Amore e possesso dell'oggetto amato a cui viene imposto di amare solo chi lo possiede." riflette Nemesi "Così io alimento la vendetta dell'oggetto che viene amato e a cui non è consentito altro amore che non nei confronti di chi lo possiede come oggetto. Giove è libero di amare chi vuole, ma anche Hera è libera di amare chi vuole e anche Ganimede gode di questa libertà. La libertà non consiste nel possedere l'oggetto amato e pretendere che l'oggetto amato ricambi il sentimento, ma libertà consiste nel poter amare ogni soggetto perché solo amando ogni soggetto non nasce la necessità di imporre ad un oggetto di amare chi lo ama."

"Possedere l'oggetto amato" continua Nemesi "porta alla distruzione dell'amore. Un amore che può essere dichiarato, ma che manca del sentimento verso l'altro perché tutto chiuso e limitato dal sentimento per sé stesso che possiede gli oggetti del mondo. Il possesso chiama la vendetta del posseduto che può desiderare di possedere a sua volta, ma può desiderare di non essere posseduto e di non essere costretto ad una relazione vincolante."

"I vincoli che obbligano la struttura emotiva dell'uomo" continua Nemesi "vanno sempre spezzati e chi vuole uscire dai vincoli emotivi, spesso non sa far altro che proporre nuovi vincoli e nuovi obblighi per l'uomo che dice di amare."

"L'orazione si fa alli quattro angoli del mondo orizzontale e la mattina prima a levante e poi a ponente e poi ad austro e poi a settentrione, la sera a rovescio che domanda corpo sano mente sana a loro e [a] tutte le genti e beatitudini e conclude come pare meglio a Dio, ma l'orazione attentamente e lunga si fa in cielo: però l'altare è tondo e in croce spartito per dove entra. Doppo le quattro repetizioni e prega mirando in su, questo lo fanno con gran mistero. Le vesti pontificali sono stupende di bellezza e di significato a guisa di quelle di Aron."

Tommaso Campanella, La città del sole, Fratelli Melita, 1990, p. XLVIII

"Obblighi" riflette Nemesi "obblighi che rubano il tempo di vita delle persone. Obblighi che costringono le persone all'obbedienza in una ripetizione ossessiva dei gesti che finisce per distruggere la loro struttura emotiva. Obblighi che chiedono vendetta. Chiedono reazioni violente con cui distruggere la quotidianità e l'abitudine a fare quelle azioni.

"E dove portano gli obblighi?" continua Nemesi "Chi possiede le persone è colui che ama le persone. Dal momento che le possiede, le potrebbe uccidere tutte. Ma il suo amore gli impedisce di uccidere tutte quelle persone e, dunque, quelle persone devono essergli grate perché lui le ama, infatti, non le uccide. Per questo l'oggetto posseduto deve amare il suo possessore: perché il suo possessore non lo ha ucciso come nel suo diritto."

Sorride Nemesi per questo suo tortuoso discorso e aggiunge rivolgendosi agli arbitri: "Davvero pensate che questa non sia la vostra logica?"

"Vero è che un monarca sovrano, o la maggioranza di un'assemblea sovrana, possono ordinare molte cose dettate da passioni e contrarie alle loro stesse coscienze, tradendo così sia la fiducia che la legge di natura. Ciò tuttavia non è sufficiente ad autorizzare alcun suddito a prendere le armi contro il sovrano e neppure soltanto ad accusarlo di ingiustizia, o comunque a parlar male di lui; i sudditi infatti hanno autorizzato tutte le sue azioni e conferendogli il potere sovrano le hanno fatte tutte proprie."

Hobbes, Leviatano, Universale Laterza, 1989, p. 207

"In un mondo di gerarchia" continua Nemesi "tutti anelano al posto del sovrano, tutti anelano a possedere e nessuno anela ad essere un oggetto posseduto in dovere di obbedire. Ed il sovrano proclama "nessuno ha il diritto di opporsi al re" e i suoi filosofi proclamano "nessuno può opporsi al sovrano". Per quale diritto quel sovrano occupa quella posizione a discapito di tutti gli altri uomini? Col diritto del più forte e con la violenza del più forte proclama il proprio diritto che tutti devono rispettare. La questione centrale non è il diritto, ma la forza che impone quel diritto. La forza è composta da uomini che anelano ad essere essi stessi sovrani, pastori di uomini sottomessi a cui è negata Nemesi. I sudditi non hanno autorizzato nessuna azione, i sudditi subiscono le azioni del prepotente che si è autoeletto "sovrano", "dittatore", "padrone", "dio padrone". Quanti filosofi proclamano il diritto del padrone ad ottenere l'obbedienza dei suoi schiavi, eppure negli schiavi, Nemesi si presenta spesso potente alla loro coscienza."

"Schiavi obbedite ai vostri padroni di quaggiù con rispetto e timore, nella semplicità del vostro cuore, come cristo, non soltanto quando siete sotto i loro occhi, come se doveste solo piacere a uomini, ma come servi di cristo, che fanno di buon cuore la volontà di dio."

Paolo di Tarso, Lettera agli Efesini 6, 5-6

"Schiavi, sudditi, servi della gleba, servi, operai, tanti sono i nomi che definiscono uomini ridotti ad oggetto di possesso, a non cittadini." Continuò a parlare Nemesi "Obbedite, obbedite a me. Intanto la violenza con cui si estorce l'obbedienza continua ad agire sugli uomini per volontà e piacere del sovrano, del padrone. Poi ci sono i servi dei servi che devono servire con devozione e obbedire, come le donne, gli emarginati, gli stranieri, quelli di una diversa razza e una diversa religione. Una società fatta di schiavi obbedienti e gli obbedienti sono pronti ad uccidere per obbedire. Servi che si fanno servi di servi e obbligano i bambini ad obbedire perché il loro essere servi è il modello che propongono ad ogni persona più debole di loro. Notate questi filosofi. Non dicono mai che "la legge dice che io...", ma "la legge dice che tu devi...". Poi, succede che qualcuno taglia la testa a colui che è re in nome e per conto di Dio. E' Nemesi che sorge dal cuore di uomini che vogliono cessare di essere sottomessi.

"Per favore allontanati da coloro che prendono la loro religione come gioco o scherzo infantile. La vita di questo mondo li ha ingannati. Ammonisci con questo messaggio: ogni anima si perderà con quello che ha guadagnato operando. All'infuori del Dio non esiste per loro alcun Signore o intercessore. Anche se l'anima offrisse l'esatto compenso per il suo riscatto, quello non sarà mai accettato. Eccoli coloro che si sono rovinati con le opere malvagie. Per loro è stata preparata una bevanda di liquido bollente, castigo assai doloroso perché furono "infedeli"."

Maometto, Corano, VI Il gregge, versetto 70, Oscar Mondadori, 1980, p. 216

"Guardati dai servi, dagli schiavi" disse Nemesi "sono pronti ad uccidere pur di indossare catene più leggere e i loro padroni sono schiavi incapaci di affrontare la loro esistenza. Un padrone di schiavi ha paura di perdere il gregge obbediente, ma lo schiavo ha paura di perdere la benevolenza del proprio padrone. Farà violenza a chiunque pur di preservare il diritto del proprio padrone di obbligarlo all'obbedienza perché questo renderà il padrone benevolo nei suoi confronti. Uno schiavo, un servo, non desiderano rinunciare alle loro catene perché non sanno come o con che strumenti potrebbero affrontare il grande mare della libertà dalle costrizioni. Preferiscono scalare la gerarchia tentando di diventare essi stessi i padroni di altri schiavi, magari della moglie o dei figli. Guardati, dice Maometto da coloro che cercano la libertà da Dio perché potrebbero toglierti le tue catene e tu non sapresti come vivere nell'immenso che ti circonda. In fondo, la catena è una sicurezza, un cordone ombelicale che ti lega al padrone. Se qualche uomo ti indica una possibile libertà, allontanatene perché il padrone lo odia e se tu ti avvicini, il padrone odierà anche te e tu perderai la sua benevolenza. Devi temere il potere del tuo padrone che " La vita di questo mondo li ha ingannati. Ammonisci con questo messaggio: ogni anima si perderà con quello che ha guadagnato operando"."

"Quando si fece sera, uscì dalla città. E ripassando di buon mattino, videro che il fico era seccato fin dalle radici. Allora Pietro ricordandosene, gli disse: "Maestro guarda il fico che tu hai maledetto è seccato!". Gesù, rispondendo, disse loro: "Abbiate fede in Dio. In verità vi assicuro che se uno dirò a questa montagna: "Sollevati e gettati in mare", e non esiterà in cuor suo, ma crederò che quanto dice avvenga, gli avverrà. Per questo io vi dico: Tutto quello che voi chiederete pregando, credete di averlo già ottenuto e vi avverrà. E quando vi mettete a pregare, perdonate, se avete qualcosa contro qualcuno, affinché il Padre vostro che è nei cieli, vi perdoni le vostre colpe".

Vangelo di Marco 11, 19-26

"Pensate quanto è potente il vostro padrone" continuò parlando Nemesi "milioni di persone hanno detto alle montagne "sollevati e gettati in mare" e queste si sono sollevate e gettate in mare. Il delirio mescolato all'illusione e alla credenza, non ha limiti. Io, Nemesi, sono reale. Un potere emotivo che scuote le emozioni delle persone che vivono la sofferenza della sottomissione e le spinge a cercare soluzioni. Spingo a cercare il piacere che il dovere d'obbedienza imposto ha negato. Voi" e sembrava sussultare la nebbia "imponete la colpa nella quale costringete gli uomini e gli uomini che vivono i sensi di colpe immaginarie aggrediscono altri uomini affinché anche loro vivano la colpa della sconfitta e la colpa di una sottomissione che si realizza come colpa per non avervi combattuto quando potevano. Rimpianto di ciò che avrebbero potuto avere se solo avessero avuto la lungimiranza nelle loro scelte. Rimpianto e colpa conchiudono le emozioni dell'uomo e gli impediscono di analizzare il presente in una prospettiva di futuro. La colpa come un cancro corrode l'uomo consumandolo in un presente che lo imprigiona "Tutto quello che voi chiederete pregando, credete di averlo già ottenuto e vi avverrà" in un'illusione senza fine perché quell'uomo ha paura di essere come il fico " Maestro guarda il fico che tu hai maledetto è seccato!". Per paura di non aver servito abbastanza devotamente il loro padrone, muoiono insterilendo la propria vita giorno dopo giorno. Io Nemesi mi agito, ma se gli uomini non sanno evocare le Erinni dentro di loro, continueranno a morire e quella morte sarà l'eredità che passeranno ai loro figli."

"Avvenne dunque che essi ottennero, per via del sorteggio fatto da Giustizia, proprio quelle regioni che desideravano, e così si misero a colonizzarle. Dopo di che, come fa il pastore coi suoi armenti, così anch'essi allevarono noi uomini che eravamo per loro possesso e gregge. Con una differenza, però: che gli dèi non usavano corpi per costringere altri corpi, nel modo che i pastori usano per tenere il gregge, cioè a suon di bastonate, ma come per lo più si condurrebbe un animale domestico: cioè guidandolo da tergo. Così appunto gli dèi conducevano e dirigevano la stirpe umana."

Platone, Tutti gli scritti, Crizia, Bompiani, 2014, p. 1422:

"Mai Temi assegnò proprietà di uomini e Esseri della Natura agli Dèi perché gli Dèi sono gli uomini e gli Esseri della Natura" continuò Nemesi "Un padrone, un Dio padrone, pretende la proprietà di uomini e pretende la legittimazione della proprietà degli uomini. In lui non c'è Nemesi. Le sue emozioni sono piatte. Tutto è giustificazione razionale perché ritiene legittimo l'uomo ridotto alla dimensione di un oggetto posseduto. E' l'oggetto posseduto che alimenta le proprie emozioni. Le plasma, le comprime in rabbie che esplodono per effetto di Nemesi in funzione di Temi, quell'equilibrio universale che non ammette costrizioni alla vita. Chi uccide gli uomini, chi apre le manopole del gas per uccidere le persone, lo fa senza rabbia, senza rancore perché quelle che uccide non sono persone, ma oggetti che lui possiede destinandoli alla morte. Così è il giudice che emette un giudizio. Non ha bisogno di rabbia, non ha bisogno di emozioni esposte al mondo, l'imputato è l'oggetto privato di diritti e sottoposto al suo giudizio. Il giudice non ascolta l'imputato, non vaglia le sue ragioni, ma, soprattutto, non si sente colpevole per aver spinto l'imputato al delitto come se la società in cui vive non fosse anche la sua società. In questo modo, giudici e padroni, una volta costretti gli uomini alla sottomissione "Dopo di che, come fa il pastore coi suoi armenti, così anch'essi allevarono noi uomini che eravamo per loro possesso e gregge. Con una differenza, però: che gli dèi non usavano corpi per costringere altri corpi, nel modo che i pastori usano per tenere il gregge, cioè a suon di bastonate, ma come per lo più si condurrebbe un animale domestico: cioè guidandolo da tergo." Uomini trasformati in animali domestici, obbedienti e silenti, che accontentano il loro padrone e che, proprio perché sono obbedienti, non costringono il loro padrone a bastonarli per ottenere l'obbedienza.

"In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei"

Vangelo di Giovanni 10, 1-5

"Ecco" dice Nemesi "Ora gli uomini ridotti a pecore sono nel recinto con cui il padrone delimita i confini del proprio possesso. Il padrone non si preoccupa delle pecore che devono obbedire alla sua voce. Si preoccupa di altri padroni che potrebbero rubargli le pecore. Gli uomini si identificano con il padrone proprio perché sono pecore che un padrone porta al macello della vita. La trasformazione degli uomini in pecore obbedienti è l'orrore che uccide nell'uomo la sua potenza emotiva, quella potenza che lo distingue dalla materia immobile. Si uccide nell'uomo la sua potenza di essere nel mondo, lo si deruba, lo si fa sentire colpevole, peccatore, in altre parole si distrugge la sua struttura emotiva facendolo sentire un "merda umana" indegna di vivere se non nella "benevolenza" del suo padrone. Pecore che seguono la voce del padrone o ogni altra voce capace di alimentare le aspettative degli uomini ridotti a pecore."

"Questa è la condizione" dice Nemesi "di un mondo che trasforma i suoi figli in pecore obbedienti giustificando filosoficamente il diritto del padrone di ottenere l'obbedienza da parte delle sue pecore. Ed è in quel mondo, in quelle condizioni, che io mi agito furiosa nella struttura emotiva degli uomini pretendendo vendetta contro quanto opprime e invocando Temi affinché modifichi gli equilibri. Non c'è futuro per un mondo ridotto all'obbedienza. C'è una morte lenta e inevitabile. Una morte che porta tutto in mondo con sé nella prospettiva di un cambiamento capace di negare il presente della sottomissione. E' necessario che l'uomo risvegli le Erinni dentro di sé perché chi vive nell'obbedienza ai bisogni di altri è un morto che tenta di uccidere altri per alimentare l'illusione di essere ancora vivo. I morti alla vita si ergono padroni della vita e la vita spesso non distingue i suoi nemici perché la vita tende sempre a conservare piuttosto che a distruggere per ricostruire. Se gli uomini non imparano a tagliare la testa a Dio che li vuole pecore del suo gregge, non potranno mai costruire un futuro né per sé né per i loro figli."

E mentre così parlava, voci e suoni sparivano inghiottiti dalla nebbia.

 

Continua...

Il significato della partita di calcio della filosofia spiegate dagli Dèi.

 

Marghera, 18 gennaio 2020

 

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