Ade e i filosofi Rinascimentali contro Dialettici
fase n. 5, azione 27

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Capitolo 28
Gli Dèi riflettono sui filosofi

di Claudio Simeoni

Continua dal precedente...

Sei capace di giocare a calcio?

Dopo la partenza di Efesto tutto fu avvolto da un assoluto silenzio. Il silenzio si estese come se fosse la nebbia stessa che impediva ad ogni rumore di giungere alle orecchie. Le parole erano cessate e anche gli arbitri, Yahweh, Fanes, Beppi di (o da) Lusiana e Allahu Akbar, sembravano essere diventati silenzio. Non solo non parlavano, ma ogni espressione del viso, ogni postura del corpo sembrava muta.

Poi, a poco a poco, gli arbitri realizzarono quanto stava accadendo. Non stava arrivando un Dio per raccontare loro l'azione di calcio della filosofia a cui avevano assistito, ma era tutto il campo di calcio che si era trasferito in una nuova e diversa dimensione.

"Questo è l'Ade che si occulta ai vostri occhi e alla vostra coscienza perché questo è il luogo da cui emerge la vita e non il luogo dove i viventi della Natura possono soggiornare una volta morti." La voce sembrava provenire da ogni dove. "Voi" continuò la voce "immaginate uomini e donne che nascono e muoiono per finire nelle vostre grinfie perché voi volete dilettarvi di uomini e donne impotenti. Ma io, Ade, sono il generatore di vita. Io ho calato Persefone, la crescita, affinché ogni uovo, ogni utero e ogni seme siano fecondi."

"Io mi occupo del futuro" proseguì la voce "perché se il futuro non emerge dall'uovo che il tempo sta covando, per i viventi è solo tristezza e disperazione. Voi chiamatemi Ade, ma voi non saprete mai se io sono un luogo o una consapevolezza perché l'uno e l'altro sono la stessa cosa da quando io, Posidone e Zeus abbiamo deciso di assumerci il compito di far germinare la vita sul pianeta."

Un sussulto attraversò Fanete. Un sussulto che attrasse l'attenzione di Ade.

"Conosco il tuo emergere, Antico Padre," disse Ade "ma non si emerge una volta sola alimentando la materia. Si emerge sempre, di continuo, e si emerge mutati ad ogni emergere ed io proteggo il progetto della mutazione perché senza attenzione non esiste più il domani desiderato né per gli Dèi né per gli esseri umani."

"Cosa bisogna considerare come essenziale nelle nostre difficoltà sul fronte del grano? Qual è la via d'uscita da queste difficoltà? Quali conclusioni si devono trarre in legame con queste difficoltà, circa il ritmo di sviluppo della nostra industria in generale e particolarmente dal punto di vista della correlazione fra l'industria leggera e l'industria pesante?"

Stalin, Questioni del leninismo, Sul fronte del grano, editrice l'Unità, 1945, p. 221

"Porsi i problemi su quale futuro si desidera, non per sé stessi, ma per le persone" continua Ade "questa è la novità che io ho introdotto nella vita dell'uomo portando Persefone nell'Ade. Che mondo sarebbe stato se gli uteri, i semi e le uova non fossero diventati fecondi? Per la prima volta nella storia (d'accordo, c'è qualche precedente) chi comanda non si chiede come arricchire sé stesso, ma come aumentare un benessere sociale che avverte insufficiente. Prima di lui la miseria sociale era voluta da Dio, doveva essere accettata perché imposta da Dio."

A questo punto la nebbia si fece più fitta e agli arbitri parve che la nebbia guardasse Yahweh, mentre una voce ricordò su che cosa erano organizzate le società prima che i popoli pensassero ad un possibile prossimo futuro.

" Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno."

Vangelo di Matteo 6, 29 - 32

"Già" mormorò la voce dell'Ade "non arate, non coltivate, non tessete perché Dio provvede a voi. Ma Dio non provvede e Stalin si chiede " Cosa bisogna considerare come essenziale nelle nostre difficoltà sul fronte del grano? Qual è la via d'uscita da queste difficoltà?", c'è un problema e deve essere risolto. Affrontare i problemi nel presente significa agire per costruire un futuro e non essere schiavi di un passato che si fissa su gli uomini come una verità immodificabile."

"Concludendo, le diverse leggi sulla condotta della guerra sono determinate dalle diverse condizioni della guerra, ossia, le leggi variano con il variare del tempo, del luogo e del carattere della guerra. Se si considera il fattore tempo, sia la guerra che le leggi della condotta della guerra si sviluppano; ogni fase storica ha proprie caratteristiche, e perciò, per ogni fase, anche le leggi della guerra hanno caratteristiche proprie, e non è possibile trasferire meccanicamente queste leggi da una fase all'altra. Se si considera il carattere della guerra, sia la guerra rivoluzionaria che la guerra controrivoluzionaria hanno caratteristiche proprie, per cui anche le leggi che le governano hanno proprie caratteristiche e non possono essere trasferite meccanicamente da una guerra all'altra."

Mao Tse Tung, Opere scelte, vol. 1, Casa editrice in lingue estere, Pechino, 1969, p. 194

"E' difficile per gli uomini vivere organizzando e programmare la propria vita mediante una continua analisi dell'oggettività in cui vivono." Continua la voce Ade "E' difficile quando l'uomo è programmato, fin dall'infanzia, a confidare in potenze soccorritrici e provvidenziali. L'uomo è addestrato ad abbandonarsi alle tempeste della vita. L'uomo non viene addestrato come un Ulisse capace di tener saldo il timone della propria esistenza. L'azione dell'uomo è un'azione che risponde ai suoi desideri. Al qui e ora, perché "del dopo non c'è certezza". Eppure, vivere progettando o vivere speranzosi non agendo nel presente comportano la medesima fatica impiegata in un divenuto che ha plasmato l'uomo in funzione dell'uno o dell'altro modo di vivere. Quando hanno progettato l'uomo affinché viva nella speranza e nell'accettazione, hanno spezzato nel bambino ogni spinta emotiva verso una curiosità per le trasformazioni del presente. Dicevano al bambino piccolissimo "tu non sei capace", "tu non lo puoi fare", "tu devi fare questo e non l'altro"; e contemporaneamente l'adulto si pavoneggiava davanti al bambino della sua maggiore abilità. Giorno dopo giorno il bambino è stato stuprato nella psiche costretto ad attendere colui che "è capace" o colui che "lo sa fare". E ha ucciso la sua spinta nel fare, nel progettare, nell'agire costretto a fare giochi in una condizione virtuale, ma separato dalla realtà quotidiana. Ora vive nella realtà virtuale, nella fantasia, e quella fantasia è popolata da esseri immaginari che soddisfano le sue necessità senza costringerlo ad agire per farlo. Ora attende la provvidenza. Al contrario, il bambino stimolato, ha vissuto una sofferenza ogni volta che il conoscere erompeva nella sua coscienza costringendola a riadattarsi continuamente e a fagocitare continuamente il nuovo che accumulava con la sua esperienza. Ora, se deve raggiungere un obbiettivo, si guarda intorno, fa un rapido conto dei mezzi che ha a disposizione; considera l'intento che vuole raggiungere e mette in atto azioni opportune per raggiungerlo. Vivere per provvidenza o vivere progettando il proprio futuro significa aver attraversato un vissuto che ha condizionato il nostro modo di vedere la vita. Com'è la condotta della guerra, così è la condotta della vita. Nulla è uguale a sé stesso e tutto cambia e tutto è diverso ogni volta che il soggetto, l'oggettività o l'intento da perseguire sono diversi."

"Al contrario: tanto più le mani mi sono legate, tanto più svincolati sono i miei desideri, tanto più violenta la mia aspirazione alla liberazione, tanto più potente il mio impulso verso la libertà, la mia volontà di non essere limitato. La potenza sovrana del cuore o della volontà umana, spinta al massimo grado, sovraeccitata dalla potenza della necessità, è la potenza degli Dèi che non conoscono né necessità né limiti. Gli Dèi sono in grado di fare quello che gli uomini desiderano, cioè essi portano ad attuazione le leggi del cuore umano. Ciò che gli uomini sono solo nell'anima, gli Dèi lo sono nel corpo; ciò che quelli possono solo nella volontà, solo nella fantasia, solo nel cuore, e quindi soltanto in senso spirituale, ad esempio essere in un attimo in un luogo lontano, questi lo possono fare in senso fisico. Gli Dèi sono i desideri realizzati, resi fisici, incarnati dell'uomo - sono il superamento dei limiti naturali del cuore e della volontà umana, esseri dalla volontà illimitata, esseri le cui forze fisiche sono pari a quelle della volontà."

Feuerbach, L'essenza della religione, Newton, 1994, p. 52 - 53

"Cosa sono gli Dèi in sé e che cosa vogliono che siano gli Dèi chi ha fallito nella propria esistenza?" Prosegue la voce Ade "Il fallito esistenziale si è ritirato dal mondo reale. Non incontra gli Dèi nella sua realtà quotidiana. Gli Dèi non emergono dentro di lui e lui non si fa questo o quel Dio mentre estende le sue emozioni nel mondo in cui vive. Il fallito esistenziale si è ritirato dentro sé stesso. Lui è il mondo reale di sé stesso e la sua immaginazione ha creato un mondo virtuale in cui lui si muove con un potere onnipotente. Questo mondo virtuale è abitato da un'infinità di immagini onnipotenti, da Dio a Gesù, dalla Madonna a Maometto, da Mosè a Shiva, da Buddha a Padre Pio. Il fallito esistenziale è un uomo prigioniero di sé stesso che libera i propri desideri in un mondo virtuale che spesso sfocia in una vera e propria patologia psichiatrica. In questo modo l'individuo viene sì circoscritto fisicamente, ma viene lasciato libero di delirare perché il delirio inizia e finisce in sé stesso. Gli Dèi sono l'oggettività e la soggettività in cui l'uomo vive, ma per incontrarli è necessario che l'uomo soggettivi l'oggettività riconoscendo sé stesso un oggetto intelligente in un universo di oggetti intelligenti. In caso contrario, l'uomo incontra solo sé stesso in un mondo virtuale dove i suoi desideri prendono forma e si impossessano della sua esistenza."

"Perché dico questo? Affinché sia chiaro che ogni essere raggiunge immediatamente la quiete e non desidera perseguire più nulla, solo quando raggiunge la causa prossima; e che perciò la mente, che non si acqueta in nessuna cosa, se non nella prima, non ha nessuna causa propria eccetto la prima. La prova di ciò è il fatto che la mente umana si volge direttamente a Dio senza intermediari. Le cose, infatti, si volgono alla loro causa allo stesso modo nel quale procedono da essa. Quelle che precedono tramite un intermediario, tramite quell'intermediario si rivolgono alla loro causa. Quelle che procedono senza intermediari, si rivolgono alla loro causa direttamente. L'anima senza intermediari si rivolge a Dio quando lo contempla non in qualche creatura né in una immagine sensibile prodotta dalla fantasia, ma nella sua assolutezza e purezza al di sopra di ogni cosa creata."

Marsilio Ficino, Teologia platonica, Bompiani, 2011, p. 895 - 897

"Il mondo virtuale è un mondo riempito da oggetti prodotti dalla fantasia dell'uomo" continua la voce Ade "costruito dall'uomo non perché non desidera perseguire più nulla", ma perché non è più in grado di perseguire più nulla in quanto manca degli strumenti efficaci per affrontare la realtà in cui vive. La mente umana si rivolge a sé stessa immaginandosi come il Dio che domina e governa il mondo. Solo che l'unico mondo che immagina di governare è il mondo prodotto dalle sue illusioni. La mente è Dio, il Dio creatore del mondo, e ogni mente, prigioniera in sé stessa, si immagina di essere Dio in relazione col Dio creatore, Dio creatore essa stessa. L'anima, dice Ficino, si rivolge direttamente a Dio, cioè a sé stessa non a qualche oggetto diverso da sé perché, se ciò avvenisse, quell'"anima" dovrebbe riconoscere un suo "pari" e non potrebbe più identificarsi col Dio padrone e dominatore del mondo. Il dominio, in quel caso, dovrebbe essere dismesso, nel caso che l'oggetto altro viene pensato come superiore; o diviso qualora l'oggetto altro viene pensato come uguale a sé."

"Gli unici oggetti di una ragione pratica sono dunque quelli del bene e del male. Infatti si intende, col primo un oggetto necessario delle facoltà di desiderare, e, col secondo, della facoltà di aborrire, ma entrambi secondo un principio della ragione."

Kant, Critica della ragion pratica, BUR, 1992, p. 237

"La ragione si fa Dio. La mente del fallito esistenziale si immagina Dio o vicina a Dio" continua Ade "e divide il mondo in "Bene" e "Male". Dice Kant "col primo un oggetto necessario delle facoltà di desiderare, e, col secondo, della facoltà di aborrire". Ciò che a quella mente piace viene chiamato "Bene", ciò che a quella mente non piace viene chiamato "Male". Come il Dio dei cristiani che chiama "Bene" ciò che lui vuole e "Male" ciò che desiderano gli uomini.

"Io non so in verità che idea farmi del bene, se ne tolgo i piaceri del gusto, se ne tolgo quelli della venere, se ne tolgo quelli dell'udito, se ne tolgo i piacevoli moti provocati negli occhi dalle forme, e tutti gli altri piaceri di cui il corpo dell'uomo può godere con qualunque dei suoi sensi. Né certo si può dire che solo la letizia dell'anima sia da porre trai beni. Perché l'anima, per quel che io so, non si allieta se non nella speranza di tutte le cose che ho dette, e precisamente che la natura ne goda libera da dolore."

Epicuro, Scritti morali, BUR, 2001, p. 85

"Non si può distinguere il "Bene" pensato dalla ragione dal "Bene" desiderato dal corpo." Prosegue la voce Ade "Non esiste un "Bene" per un soggetto che non siano le possibilità di espansione del soggetto stesso nel mondo mediante la veicolazione dei propri desideri. Non c'è concetto di "Male" in un soggetto se non quando il soggetto subisce costrizioni che gli impediscono di soddisfare desideri e bisogni. Come dice Epicuro "Perché l'anima, per quel che io so, non si allieta se non nella speranza di tutte le cose che ho dette, e precisamente che la natura ne goda libera da dolore". Che ne sarebbe della mia felicità se Persefone non fosse con me?"

"Si è poi dimostrato come il riconoscimento dei diritti dell'uomo da parte dello Stato moderno non abbia un significato diverso dal riconoscimento della schiavitù da parte dello Stato antico. Cioè, come lo Stato antico aveva come base naturale la schiavitù, così lo Stato moderno ha come base naturale la società civile, l'uomo della società civile, cioè l'uomo indipendente, unito all'altro uomo solo con il legame dell'interesse privato e della necessità naturale incosciente, lo schiavo del lavoro per il guadagno, lo schiavo sia del bisogno egoistico proprio sia del bisogno egoistico altrui. Nei diritti universali dell'uomo lo Stato moderno riconosce che questa è la sua base naturale."

Lenin, Quaderni filosofici, Editori Riuniti, 1971, p.30

"Uno Stato ha dei presupposti sociali su cui si regge" continua la voce Ade "esattamente come la mente di un uomo ha dei presupposti sui quali si regge. Uno stato può reggersi sull'assolutismo imponendo ai suoi cittadini (in questo caso, sudditi) di obbedire per la gloria dello Stato o può, come Stato, riconoscere di avere dei doveri e degli obblighi nei confronti dei suoi cittadini (in questo caso persone portatrici di diritti) che lo qualificano in quanto Stato. Affermare che si tratti sempre di bisogni egoistici appare evidente in quanto lo stesso Stato, qualunque Stato, è la manifestazione di un bisogno egoistico di separazione fra quanto lo Stato possiede e il mondo posseduto da altri Stati. Possedere e gestire, in questo caso, sono due cose diverse. Il possesso dello Stato sono i confini entro i quali quello Stato esercita il suo potere, la gestione dello Stato è il regime che nasce dai rapporti di forza fra i cittadini nelle varie componenti economiche, sociali e religiose. Lo Stato ha la funzione di garantire la felicità. Dove uno Stato assolutista garantisce la felicità dell'oligarchia e della dittatura, mentre lo Stato democratico garantisce la felicità di tutti i cittadini mantenendo equilibrio fra le varie esigenze. La felicità delle persone è il metro di misura di uno Stato capace di garantire le condizioni per una migliore qualità della vita dei cittadini. Come direbbe Pericle, "Noi ad Atene facciamo così"."

Ora il discorso di Ade andava affievolendosi mentre gli arbitri, sempre più perplessi, osservavano quell'immenso spettacolo che la nebbia lasciava intravvedere di un mondo nascosto alla loro ragione. Mentre gli arbitri tentavano di mettere a fuoco quanto sembrava loro di vedere, tutto svaniva e si ritrovarono nel mezzo di quel campo da calcio posto fuori dal tempo. Gli arbitri si fissarono fra loro consapevoli che un altro Dio sarebbe, di lì a poco emerso da quella nebbia per raccontare loro di uno scontro a cui aveva assistito.

 

Continua...

Il significato delle azioni della partita di calcio della filosofia spiegate dagli Dèi.

 

Marghera, 29 agosto 2020

 

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