La partita di calcio fra filosofi, azione n. 50
Esistenzialisti contro rinascimentali n. 10

Capitolo 81

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Claudio Simeoni

 

Sei capace di giocare a calcio?

 

Esistenzialisti e rinascimentali n. 10

 

Continua dal precedente...

 

Mentre tremano i bordi del campo in una lenta agonica dissolvenza, Pietro Pomponazzi, scoraggiato, tenta la sua ultima sortita lasciando la palla a Kant.

"La prova ontologica dell'esistenza di Dio mediante il concetto di un essere originario o è quella che da predicati ontologici, che soli fanno pensare questo essere come completamente determinato, conclude all'esistenza assolutamente necessaria, o è quella che conclude ai predicati dell'essere originario dall'assoluta necessità dell'esistenza di qualche cosa, qualunque essa sia: perché, difatti, al concetto di un essere originario appartiene (affinché non sia derivato) la necessità incondizionata della sua esistenza, e (affinché questa ce la possiamo rappresentare) la determinazione completa dell'essere stesso per mezzo del suo concetto. Entrambe le condizioni si credette di trovarle nel concetto dell'idea ontologica di un essere reale in grado supremo: e così sorsero due prove metafisiche. La prova fondata su di un concetto della natura puramente metafisico (la prova ontologica propriamente detta) conclude dal concetto dell'essere reale in grado supremo alla sua esistenza assolutamente necessaria; perché (si dice) se esso non esistesse, gli mancherebbe una realtà, cioè l'esistenza. - L'altra (che è detta pure prova metafisico-cosmologica) conclude dalla necessità dell'esistenza di qualche cosa (il che si deve ammettere, poiché nella coscienza di noi stessi ci è data una esistenza) alla determinazione completa di quell'essere, in quanto reale in grado supremo: perché tutto ciò che esiste dev'essere completamente determinato, ma ciò che è assolutamente necessario (vale a dire ciò che dobbiamo riconoscere come tale, e quindi a priori) deve essere determinato completamente mediante il proprio concetto: il che si può trovare soltanto nel concetto di una cosa reale in grado supremo. Qui non è necessario scoprire il carattere sofistico delle due conclusioni, cosa che abbiamo fatto altrove; ma è necessario soltanto notare che, se tali prove si possono difendere con ogni sorta di sottigliezze dialettiche, esse non potrebbero mai passare dalla scuola al pubblico, e avere il minimo influsso sul semplice senso comune."

Immanuel Kant, Critica del giudizio, CDE (licenza Laterza), 1990, p. 360

Prima che Kant si appresti a tirare in porta, un rapido intervento di Kierkegaard gli toglie la palla.

"Egli non può rinunciare a nulla di tutto questo, né al dolore più forte, né alle fatiche più gravi; eppure l'espressione di questa lotta, di questa conquista è il pentimento. Col pentimento ritorna in se stesso, ritorna nella famiglia, ritorna nella stirpe, finché trova se stesso in Dio. Sceglie se stesso mentre si rinnega, rinnega se stesso mentre si sceglie. Solo a questa condizione egli può scegliere se stesso; e questa è l'unica condizione che egli vuole, perché solo così può scegliere se stesso in modo assoluto. Cosa è mai l'uomo senza amore? Ma vi sono molte qualità di amore; amo mio padre diversamente da mia madre, mia moglie diversamente ancora, ed ogni diverso amore ha una sua diversa espressione; ma vi è anche un amore col quale amo Dio, e questo ha un'espressione sola nella lingua: il pentimento. Se non l'amo cosi, non lo amo in modo assoluto con tutto il mio essere più profondo. Ogni amore diverso per l'assoluto è un malinteso. Quando io tento di cogliere l'assoluto con la passione del pensiero (anche questo è un amore per l'assoluto, che io lodo), non è più 1'assoluto che io amo, non amo in modo assoluto. Questo amore per Dio è infatti necessario. Ma non appena amo liberamente, e amo Dio, non posso far altro che pentirmi. E se non vi fosse nessun'altra ragione perché l'espressione del mio amore per Dio fosse pentimento, basterebbe il fatto che egli mi ha amato per primo. Ma anche questa è una definizione imperfetta, poiché solo quando scelgo me stesso come colpevole scelgo me stesso in modo assoluto, se la mia scelta deve essere una scelta e non coincidere con una creazione. Anche se fosse il peccato del padre ad andare in eredità al figlio, egli si pente anche di quello, perché soltanto così può scegliere se stesso, scegliersi in modo assoluto; e anche se le lacrime dovessero quasi distruggerlo, egli continua a pentirsi, poiché solo cosi sceglie se stesso. E come se il suo io fosse fuori di lui e dovesse essere conquistato, il pentimento è il suo amore per esso, perché lo sceglie in modo assoluto dalla mano del Dio eterno. Quello che ho esposto fin qui non è sapienza cattedratica: è cosa che ciascuno può capire sol che lo voglia e ognuno può volerlo, se veramente vuole. Non l'ho imparato nelle sale delle conferenze, l'ho imparato nella mia stanza di soggiorno, o se vuoi, nella camera dei bambini, poiché quando vedo il mio figlioletto correre per terra, tanto allegro, tanto contento, penso: chissà se non ho avuto una influenza dannosa su lui. Dio sa che ho ogni cura per lui, ma questo pensiero non mi tranquillizza. Allora dico a me stesso che verrà un momento nella sua vita, in cui anche il suo spirito si maturerà nel momento della scelta; allora sceglierà se stesso e si pentirà anche di quelle colpe che da me possono pesare su di lui. Ed è assai bello che un figlio si penta delle colpe del padre, eppure non lo farà per amor mio, ma solo perché così può scegliere se stesso."

Soren Kierkegaard, Aut-aut, Edizione CDE (concessione Mondadori), 1990, p. 93 - 94

In possesso della palla, Kierkegaard, dopo essersi pentito per i suoi numerosi e atroci peccati, serve Russell meno incline a considerare riprovevoli pe sue azioni.

"Dato che un agnostico non crede in Dio, non può nemmeno credere che Gesù fosse Dio. La maggior parte degli agnostici ammira la vita e gli insegnamenti di Gesù riportati nel Vangelo, ma non più di quanto ammiri quelli di certi altri uomini. Alcuni lo pongono allo stesso livello di Buddha, altri a quello di Socrate, altri ancora a quello di Abraham Lincoln. Non pensano neppure che sia' indiscutibile ciò che Egli ha detto, dato che non accettano alcuna autorità come assoluta. Gli agnostici considerano l'Immacolata Concezione come una dottrina ripresa dalla mitologia pagana, dove fenomeni del genere non erano affatto inusuali. (Si racconta che Zoroastro fosse nato da una vergine; e Ishtar, la dea babilonese, è chiamata la Santa Vergine.) Gli agnostici non possono dare credito né a questa dottrina né a quella della Trinità, poiché ambedue appaiono del tutto infondate se non si crede in Dio."

Bertrand Russell, Dio e la religione, Newton, 1994, p. 67

Russell, convinto della bontà del proprio gioco di gambe, serve Heidegger

"Un comune modo di parlare: il nazionalsocialismo non si è formato in primo luogo come "teoria", bensì è incominciato con l'azione. Bene. Ma allora da ciò segue forse che la "teoria" è un che di superfluo? Ne consegue addirittura che" altrimenti", "d'altra parte", ci si adorna di cattive teorie e "filosofie"? Non ci si rende conto che qui "teorie" è inteso in modo ambiguo - a seconda dell'occorrenza - e che dunque, proprio nell'interpretare le proprie azioni, "teoreticamente" si prende un granchio; perché: se i molti "discorsi" in campo non fossero "teorie" - che cos'altro si farebbe se non questo? Rieducare ad altre visioni gli uomini e i compatrioti (Volksgenossen), per esempio quella del lavoratore e dei lavoratori, dell'economia, della società, dello stato - della comunità nazionale - dell'onore - della storia. "Teoria" come mero pensiero distaccato, che viene solo pensato, e teoria in quanto precorritrice richiesta di conoscenze non devono essere accomunate; a seconda dei casi anche il senso della prassi è un altro; mobilitazione non è mera prassi e il mero scatenarsi e partire all'attacco non è mera mobilitazione. Il concetto distorto di "teoria" può avere le più insidiose conseguenze pratiche; perché allora prassi diventa nient'altro che attività = "organizzazione" mal compresa. Questa di adesso non è però una condizione finale - e nemmeno semplicemente la sezione di un mero diffondersi di tale condizione tra il popolo al di là del partito - bensì proprio la mobilitazione in questa dimensione che si presume meramente teoretica, perché è là che si radicano gli stati d'animo fondamentali e in base a questi il mondo storico deve essere creato. Quanto più originari e forti sono la forza simbolica del movimento e il suo lavoro, tanto più necessario è il sapere. Ma questo non inteso in senso grammaticale nella sua logica e calcolo bensì come potenza determinante lo stato d'animo fondamentale della superiorità del mondo."

Martin Heidegger, Quaderni neri, Bompiani, 2015, p. 176 – 177

Su Martin Heidegger si avventa Spinoza. Spinoza gli toglie la palla impedendogli di tirare nella sua porta.

"Se, poi, coloro che detengono il supremo potere sono pagani, allora: o non si doveva stipulare con essi alcun patto, ma, piuttosto che trasferire a loro il proprio diritto, bisognava risolversi a sopportare tutto; oppure, una volta stipulato il patto e trasferito a loro il proprio diritto (poiché per ciò stesso ci si è privati del diritto di difendere se stessi e la religione), si è tenuti ad ubbidire a loro e a mantenere la promessa o, almeno, ad esservi costretti, ad eccezione di colui al quale Dio con una rivelazione certa abbia promesso un particolare aiuto contro il tiranno o abbia voluto che fosse espressamente esentato.
Così, vediamo che di tanti Giudei che erano a Babilonia soltanto tre giovani, che non dubitavano dell'aiuto di Dio, non vollero ubbidire a Nabucodonosor; ma tutti gli altri senza dubbio, accetto soltanto Daniele, che lo stesso re prediligeva, lo ubbidirono costretti dalla legge, pensando forse in cuor loro che per decreto di Dio erano soggetti al re e che il re deteneva il supremo potere e lo conservava per disposizione divina.
Eleazaro, invece, poiché in qualche modo sussisteva ancora la patria, volle dare ai suoi un esempio di fermezza, affinché, seguendolo, sopportassero tutto piuttosto che accettare che il loro diritto e la loro potestà fossero trasferiti ai Greci, e affinché facessero ogni tentativo per non giurare fedeltà ai pagani; cosa che è confermata anche dall'esperienza quotidiana.
Le potenze cristiane, infatti, non esitano, per la propria maggior sicurezza, a stringere patti con i Turchi e i pagani e a ordinare ai propri sudditi, che vanno a stabilirsi da lo- ro, di non prendersi, nell'esercizio di qualcosa di umano o divino, maggior libertà di quella che hanno espressamente pattuito o di quella che quel potere concede, come è evidente dal contratto stipulato dagli Olandesi con i Giapponesi, del quale abbiamo parlato in precedenza."

Spinoza, Trattato teologico-politico, Bompiani, 2001, p. 547

Come Spinoza tenta di toccare la palla, si trova contrastato da Nietzche che gli era giunto alle spalle senza che lui se ne accorgesse. Nietzsche gli toglie la palla con una mossa disperata consapevole che il tempo della sua esistenza sta giungendo al termine.

"Il peso Più grande. Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina?». Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?"

Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi, 1984, p. 201 – 202

Nietzsche vede la porta avversaria e si prepara a tirare quando una "tigre" disperata gli si avventa sulla palla portandogliela via e facendolo cadere dalla spinta. Stupito, Nietzsche si guarda attorno e in una nebbia che sembra svanire vede Marsilio Ficino che fugge con la palla al piede.

"Sulla base di tutti gli argomenti precedenti, è possibile concludere che la ragione umana, nel considerare l'ordine delle cose, si volge sempre alla ragione divina, che ordina ogni cosa, nello stesso modo in cui le sfere cosmiche si volgono intorno al centro dell'universo. E se è eterno il movimento di rivoluzione che per sé in modo naturale e continuo si svolge intorno ad un centro eterno, allora deve essere eterna anche la nostra ragione. Poiché quando compie l'atto intellettivo in virtù di Dio e in Dio ritorna a Dio senza intermediari, dimostra in modo chiaro di procedere direttamente da lui senza intermediari. D'altronde, chi può negare che ciò che proviene direttamente dall'eternità è destinato a essere in eterno? Inoltre, la nostra ragione contempla in Dio l'idea eterna, in quanto è eterna, quando, sulla base di una ragione inoppugnabile, conclude che essa è eterna. Ma essa la contempla così come la riceve da Dio, segue dunque che la riceve in un modo eterno. E dal momento che il modo in cui la riceve dipende da come essa stessa è, in quanto riceve secondo la propria natura, segue che essa stessa è eterna, poiché riceve in modo eterno. Ma questa nostra ragione non è altro che vita intellettuale. Dunque, essa vivrà per sempre, anzi per sempre avrà anche intelligenza, se esisterà per sempre."

Marsilio Ficino, Teologia Platonica, Bompiani, 2011, p. 1153

Per Marsilio Ficino non c'è più tempo. Il campo di gioco si sta dissolvendo, una nebbia cala sul pensiero dei filosofi ed infinita è la tristezza di ognuno di loro per non essere riusciti a sopraffare l'avversario…..

 

Continua...

 

Marghera, 22 agosto 2018

Pagina tradotta in lingua Portoghese

Tradução para o português: Capítulo 81 - A partida de futebol entre filósofos, ação n.50 Existencialistas contra renascentistas n.10

 

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Claudio Simeoni

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