La partita di calcio fra filosofi, azione n. 51
Fondamentalisti contro Esistenzialisti n. 10

Capitolo 82

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Claudio Simeoni

 

Sei capace di giocare a calcio?

 

Fondamentalisti ed esistenzialisti n. 10

 

Continua dal precedente...

 

Il destino sta travolgendo i giocatori. I filosofi sono angosciati. Non esiste un eterno ritorno e Nietzsche, in possesso di palla, sembra quasi rifiutarsi di passarla ai compagni e giocherella quasi fermo sul posto.

"L'orgoglio spirituale e il disgusto di ogni uomo che ha molto sofferto - quanto profondamente gli uomini possano soffrire ne determina quasi l'ordine gerarchico - la sua orribile certezza, dalla quale egli è interamente pervaso e di cui ha assunto il colore, di sapere, grazie alla propria sofferenza, più di quanto possano sapere i più prudenti e i più saggi; di aver conosciuto e abitato, una volta, molti lontani e paurosi mondi dei quali «voi non sapete nulla»! questo spirituale, silenzioso orgoglio di colui che soffre, questa fierezza del prescelto della conoscenza, dell'iniziato», della vittima offerta in sacrificio, sente la necessità di ogni forma di travestimento, per proteggersi dal contatto di mani pressanti e pietose e soprattutto da tutto ciò che non gli è simile nel dolore. Il profondo soffrire rende nobili; separa. Una delle più sottili forme di travestimento è l'epicureismo e un certo coraggio del gusto, messo da allora in poi in evidenza, che prende alla leggera il soffrire e si oppone ad ogni cosa triste e profonda. Vi sono «uomini sereni» che si servono della serenità, poiché essa fa sì che vengano fraintesi: - essi vogliono essere fraintesi, vi sono «uomini di scienza» che si servono della scienza poiché essa dà un aspetto sereno e poiché la scientificità porta a concludere che l'«uomo è superficiale»: - essi vogliono indurre a una falsa conclusione. Vi sono spiriti liberi e temerari che vorrebbero celare e smentire di essere cuori infranti, fieri, insanabili; e talvolta persino la follia è la maschera di una scienza funesta, troppo certo: - Da cui si deduce che è proprio di una umanità più raffinata provare venerazione «di fronte alla maschera» e non esercitare al momento sbagliato psicologia e curiosità."

Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, Newton, 1977, p. 203

Mentre Nietzsche sembra un po' intontito, è Tommaso d'Aquino che sfrutta il momento per togliergli la palla.

"E' evidente da quanto abbiamo detto, che la legge divina guida l'uomo a seguire l'ordine della ragione in tutte le cose che possono essere a suo uso. Ora, tra tutte le cose che l'uomo può usare, le più importanti sono gli altri uomini. «L'uomo infatti è un animale socievole» [Ethic, I, c. 7, n. 6]: poiché ha bisogno di molte cose che non possono essere provvedute da uno solo. Dunque è necessario che l'uomo venga istruito dalla legge divina a comportarsi secondo l'ordine della ragione verso gli altri uomini. Il fine della legge divina è che l'uomo aderisca a Dio. Ora, in questo uno è aiutato dall'altro, sia nel campo della conoscenza che in quello degli affetti: poiché gli uomini si aiutano vicendevolmente nella conoscenza della verità; e reciprocamente si provocano al bene e si distolgono dal male. Di qui le parole dei Proverbi XXVII, 17: «Un ferro affila l'altro ferro, e un uomo raffina l'ingegno del suo amico». E quelle dell'Ecclesiaste IV, 9-12: «meglio essere due insieme, che uno solo, perché si avvantaggiano della loro compagnia: se uno cade l'altro lo sorregge. Guai a chi è solo: perché caduto che sia, non c'è chi lo rialzi. E se due dormono insieme si scaldano a vicenda: uno solo come farà a scaldarsi? E se uno può essere sopraffatto da un prepotente, due gli tengono testa». Dunque era necessario che la legge di Dio ordinasse gli uomini nei loro rapporti sociali."

Tommaso d'Aquino, Somma contro i gentili, Mondadori, 2009, p. 875

Tommaso d'Aquino che sembra non sentire che la partita sta volgendosi alla fine, passa a Paolo di Tarso.

"Dunque ciò che è buono divenne morte per me? No, certo! Ma il peccato, per manifestarsi come tale, mi diede la morte per mezzo di ciò che è buono, affinché il peccato, per mezzo del precetto, si riveli in tutta la sua malvagità.
Sappiamo infatti che la legge è spirituale, ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato. Non comprendo quel che faccio, perché non faccio quel che voglio, ma quello che odio. Or, se io faccio quel che non voglio, riconosco che la legge è buona. Dunque, non sono io che faccio il male, ma il peccato che abita in me.
So infatti che non il bene abita in me, cioè nella mia carne, poiché il volere sta in mia mano, ma non il fare il bene, poiché non faccio il bene che voglio, bensì il male che non voglio. Or, se io faccio ciò che non voglio, non sono io che lo faccio, ma il peccato che abita in me. Io riscontro dunque in me questa legge, che volendo fare il bene, mi si presenta il male. Difatti, secondo l'uomo interiore, provo diletto nella legge di Dio, ma vedo nelle mie membra un'altra legge, che lotta contro la legge della mia mente e che mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio: per Gesù Cristo, Signore nostro! Dunque, io stesso, con la mente servo della legge di Dio, ma con la carne servo della legge del peccato."

Paolo di Tarso, Lettera ai Romani 7, 13-25

In possesso di palla e consapevole che il tempo dell'esistenza sta per finire, Paolo di Tarso lancia la palla a Gesù detto "figlio di Yahweh".

"Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos'è la verità?». E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa. Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un assassino.
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l'uomo!». Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».
All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: «Di dove sei?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Rispose Gesù: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande».
Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i sommi sacerdoti: «Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare».

Vangelo di Giovanni 18, 36 - 40 e 19, 1 - 15

Gesù detto "figlio di Yahweh", furioso tira in porta con tutta la sua forza, ma Bergson è pronto a rinviare la palla con entrambi i pugni uniti.

"Supponiamo per un istante che sia vera l'ipotesi meccanicistica: l'evoluzione sarebbe il frutto d'una serie d'accidenti aggiunti gli uni agli altri, conservandosi ogni nuovo caso accidentale a mezzo di selezione, se è vantaggioso a quella somma di casi accidentali vantaggiosi già prodottisi, che la forma attuale dell'essere vivente rappresenta. Quale probabilità vi potrà essere che, a mezzo di due serie del tutto differenti di casi accidentali addizionati, due diverse evoluzioni conducano a risultati simili? Più due linee evolutive saranno divergenti, e minori saranno le probabilità che influssi accidentali esterni o variazioni accidentali interne abbiano determinato in esse la costruzione d'organi identici, soprattutto se di tali organi non v'era traccia al momento in cui s'è prodotto il distacco. Questa analogia d'organi sarebbe, al contrario, naturale, per un'ipotesi come la nostra, in forza della quale si dovrebbe ritrovare fin negli ultimi rivali qualcosa dell'impulso ricevuto alla fonte. Ritorniamo così, dopo una lunga digressione, alla; nostra idea di partenza, quella d'uno slancio vitale originario, passante da una ad altra generazione di cellule germinali tramite gli organismi adulti, che formano fra tali cellule la connessione. Tale slancio, conservandosi nelle linee evolutive fra le quali si fraziona, è la causa profonda delle variazioni, di quelle, almeno, che, trasmettendo si regolarmente, si aggiungono le une alle altre creando specie nuove. In generale, dopo che le specie hanno iniziato a differenziarsi partendo da un'origine comune, tendono ad accentuare la loro divergenza man mano che il loro sviluppo progredisce; e tuttavia, accettando l'ipotesi d'uno slancio originario comune, esse potranno, anzi dovranno, per quanto concerne determinati aspetti particolari, evolversi in, modo identico. è quel che ci resta da dimostrare con maggior precisione mediante lo stesso esempio già scelto, la formazione dell'occhio nei molluschi e nei vertebrati, chiarendo del resto in tal modo ancor meglio l'idea di uno "slancio originario"."

Henri Bergson, L'evoluzione creatrice, Editrice scuola, 1993, p. 36 – 37, 38 – 39

La respinta di pugno viene intercettata da Maometto detto "profeta di Allahu Akbar", che a sua volta tira in porta.

99. Alcuni beduini credono al Dio e al giorno ultimo, considerano le spese che fanno per il bene come oblazioni offerte al Dio e come un mezzo per fruire delle preghiere del rasùl. Questa offerta gli sarà computata in modo positivo. Li farà entrare il Dio in sua misericordia. E' colui che perdona il Dio, è ricco in misericordia.
100. E' soddisfatto il Dio con quelli che sono giunti per primi tra gli emigrati e gli ausiliari del rasùl e quelli che li hanno seguiti nel fare il bene: essi pure sono contenti di lui. Gli ha preparato il Dio i gannat dalle cui cavità profonde sgorgano ruscelli. Ivi staranno per sempre, immortali. Quale enorme guadagno!
101. Tra i beduini che vivono nei vostri paraggi ci sono degli ipocriti: anche alcuni abitanti di Medina lo sono, e tu non li distingui, sono ostinati nel vizio. Noi però li distinguiamo, li puniremo due volte, poi li manderemo verso un enorme castigo.

Maometto, Corano, Sura IX Tawbat, versetto 99-101, Mondadori, 1980, p. 281

Il tiro di Maometto detto "profeta di Allahu Akbar", è un tiro furioso. E' consapevole che il tempo sta scadendo, ma nonostante la sua veemenza, Bergson è già pronto alla nuova parata.

"Interviene allora la dottrina finalistica, affermando che le parti sono state riunite secondo un piano preconcepito, in vista d'un fine, e facendo con ciò assomigliare il modo d'operare della natura a quello d'un artefice che anch'egli proceda per unione di parti, al fine di realizzare un'idea o di imitare un modello. A ragione il meccanicismo rimprovererà al finalismo un atteggiamento antropomorfico, non accorgendosi però di procedere anch' esso allo stesso modo, soltanto mascherato: certamente, esso elimina del tutto fini da perseguire e modelli ideali, ma pretende a sua volta che la natura abbia operato come un artefice umano, per riunione di parti. Viceversa, un semplice sguardo rivolto allo sviluppo d'un embrione avrebbe rivelato che la vita procede in modo diametralmente opposto: non per associazione ed aggiunzione di elementi, bensì per dissociazione e sdoppiamento. Bisogna quindi superare sia il punto di vista meccanicistico che quello finalistico, i quali in sostanza non son altro che angoli visuali cui l'intelletto umano è stato indotto dall'osservazione del lavoro umano; ma in qual senso vanno superati? Dicevamo che, accingendoci a scomporre ed analizzare le strutture d'un organo, rischiamo di procedere all'infinito, mentre invece semplicissimo è il funzionamento dell'insieme. Questo contrasto fra infinita complicazione dell'organo ed estrema semplicità della funzione è precisamente ciò che dovrebbe aprirei gli occhi."

Henri Bergson, L'evoluzione creatrice, Editrice scuola, 1993, p. 40 – 41

Tutto si dissolve, tutto scompare.

I filosofi scompaiono dalla vista del presente. Restano le loro "idee". Ma gli uomini si domandano: esistono delle idee senza il vissuto del filosofo? Ed ora che il filosofo è scomparso, non è forse morta l'esperienza che portò alla formazione di quell'idea?

L'idea sopravvive al filosofo, ma non è l'idea del filosofo che permane, bensì la sua forma esteriore per come lo spettatore l'ha letta e riempita del suo significato perché il significato che il filosofo attribuiva alla sua idea è morto con il filosofo.

Nella dissolvenza della realtà del campo da gioco, rimangono gli spettatori muti che riflettono sulla loro esistenza privi dei loro più elementari riferimenti culturali,

 

Continua...

 

Marghera, 22 agosto 2018

 

Pagina tradotta in lingua Portoghese

Tradução para o português: Capítulo 82 - A partida de futebol entre filósofos, ação n.51 Fundamentalistas contra Existencialistas n. 10

 

 

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Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

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