Dato un insieme, la risultante di un insieme varia al variare di un fattore dell'insieme.
Dato un insieme di risultanti di insiemi, la risultante dell'insieme varia al variare di ogni risultante di ogni insieme contenuto.
Giugno 2025: la filosofia metafisica della Religione Pagana.

18 giugno 2025 cronache della religione pagana
Platone, Apuleio, Agostino d'Ippona e
l'odio contro la condizione divina dell'uomo.

Claudio Simeoni

Cronache mese di giugno 2025

18 giugno 2025

Platone, Apuleio, Agostino d'Ippona e
l'odio contro la condizione divina dell'uomo.

Il medio platonico Apuleio deve risolvere alcune questioni poste da Platone.

La prima questione è questa: Platone, nel Simposio, afferma che non esistono relazioni fra gli uomini e gli Dèi.

Sia nel platonismo che nel neoplatonismo, nello stoicismo come nel cristianesimo, la caratteristica è l'assoluta separazione dell'uomo dal divino, per come viene descritto in queste religioni, al di là dei nomi con cui tale divino è dichiarato. Questa condizione della relazione fra l'uomo e il divino affermato, è la condizione assunta dal cristianesimo per allontanare il pericolo che qualche uomo si dichiari "profeta di Dio". Dicono i cristiani: I profeti ci sono stati, noi li usiamo, ma facciamo in modo di essere noi a gestire la relazione fra l'uomo e Dio e che nessuno venga ad interferire nella nostra attività in nome di Dio. Da qui i scismi e le eresie.

Chi conosce il mito di Omero ed Esiodo sa che gli Dèi abitano con l'uomo. Agiscono con l'uomo e l'uomo è compartecipe delle azioni divine. Per riuscire a comprendere il Mito di Esiodo ed Omero è necessario individuare la natura degli Dèi che compartecipano alla vita dell'uomo. Se, però, si assume una visione antropomorfica come forma della realtà divina e si pensano gli Dèi ad immagine e somiglianza dell'uomo, non esistendo questa natura fisica degli Dèi che l'uomo immagina, l'uomo crea un conflitto fra realtà religiosa immaginata e i riscontri che di tale realtà incontra nella quotidianità.

Per far coincidere l'immaginazione con la realtà antropomorfica degli Dèi è necessario allontanare gli Dèi antropomorfici dalle relazioni con gli uomini e relegarli in un etere dove diventano irraggiungibili da parte dell'uomo.

Mentre Epicuro affermava che "gli Dèi esistono, ma non sono ciò che l'uomo comune pensa che siano", Platone, incapace di negare la realtà degli Dèi, li trasforma o in allegorie, oppure li relega in un mondo inaccessibile per l'uomo. In queste condizioni, per l'uomo, è come se gli Dèi non esistessero né è consentito all'uomo di indagare una diversa natura degli Dèi. Poi, vedremo come nel Simposio gli Dèi vengono definiti "demoni".

Per impedire all'uomo di indagare una diversa natura degli Dèi e impedire all'uomo di usare Omero ed Esiodo per tracciare la realtà divina del mondo, Platone trasforma il Daimon, l'aspetto divino degli Esseri della Natura (e degli Dèi) in demoni che si impossessano del corpo degli Esseri Umani. Ed è il caso del "demone" di Socrate. Un Demone che si è impossessato di Socrate e che suggerisce a Socrate come deve comportarsi.

Non sono gli Dèi che parlano con Socrate. Gli Dèi sono lontani, al massimo parlano con la Pizia di Delfi, ma non con Socrate o con gli uomini.

Il ruolo dei Demoni è il problema che Apuleio affronta nel precisare la natura divina in cui l'uomo vive.

Scrive Apuleio:

[La separazione tra gli dèi e gli uomini]

Fin qui conoscete due tipi di esseri animati: gli dèi si distinguono profondamente dagli uomini per l'altezza della loro sede, l'eternità della loro vita, la perfezione della loro natura e per la totale assenza di rapporti con noi, tanta è la differenza di livello tra le dimore più alte e quelle più basse; lassù, poi, la forza vitale è eterna e indefettibile, mentre quaggiù è precaria e occasionale, e la loro natura (ingenium) è proiettata al culmine della felicità, mentre la nostra è sprofondata nella miseria. Che dire, dunque? La natura non è stretta a nessun vincolo? Piuttosto, è suddivisa in due parti, una divina e l'altra umana, ed è in qualche modo indebolita da un simile frazionamento? Infatti, come dice lo stesso Platone, nessuno degli dèi si mescola agli uomini e il tratto principale della loro perfezione è il fatto di non essere contaminati da alcun commercio con noi. Alcuni di loro sono visibili soltanto al nostro sguardo miope, come gli astri, della cui grandezza e dei cui colori si dibatte ancora oggi; altri, invece, si possono conoscere solo con l'intelletto, e non senza fatica. Meravigliarsene, nel caso degli dèi immortali, sarebbe davvero fuori luogo, perché altrove, anche tra gli uomini, chi è stato sospinto dai doni copiosi della fortuna e innalzato fino all'instabile pedana, al tribunale vacillante di un trono, si lascia avvicinare raramente e trascorre i suoi giorni al riparo dal pubblico, come nel santuario della propria grandezza. Infatti, i rapporti di familiarità ingenerano il disprezzo, quelli sporadici favoriscono l'ammirazione.

Tratto da Apuleio, "Il Dio di Socrate", in "Medioplatonici, opere, frammenti e testimonianze", Editore Bompiani, 2015, pag. 825/827

Gli Dèi per Apuleio sono Dèi antropomorfi la cui forma non è dissimile alla forma umana. Dice che si distinguono per "l'altezza della loro sede", l'eternità della loro vita, la perfezione della loro natura e per la totale assenza di rapporti con gli Esseri Umani. Non per forma fisica.

Dopo di che, Apuleio si lancia in un'esaltazione fantastica degli Dèi dove la magnificenza degli Dèi è proiettata al culmine della felicità in contrapposizione alla vita precaria e occasionale degli Esseri Umani. In altre parole, gli Dèi vivono nel lusso mentre gli uomini vivono nella miseria.

Il quadro divino tracciato da Apuleio è piuttosto desolante. La natura, per Apuleio, si divine in natura umana e natura divina. Secondo Apuleio, che prende da Platone, nessuno degli Dèi, che hanno la stessa forma degli uomini, non è contaminato da nessun commercio (rapporto) con gli Esseri Umani. Alcuni di questi Dèi sono le stelle erranti nel cielo, mentre, altri Dèi li si possono conoscere "solo con l'intelletto". Li si possono solo immaginare.

Poi, Apuleio non trova nulla di meglio che paragonare gli Dèi ai re e agli imperatori che governano il suo mondo. Dal momento che costoro non si fanno avvicinare dagli uomini comuni, anche gli Dèi non si lasciano avvicinare da questi uomini miserabili che stanno in basso.

Secondo Apuleio, se gli Dèi avessero familiarità con gli Esseri Umani verrebbero da questi disprezzati mentre, se gli Esseri Umani li vedono così distanti si favorisce l'ammirazione degli Dèi.

Ben squallidi sono gli Dèi il cui desiderio sarebbe, secondo Apuleio, quello di essere ammirati da dei pezzenti che vivono nella miseria di un'esistenza breve e caduca.

Come avviene la relazione fra gli uomini e gli Dèi secondo Apuleio.

Scrive Apuleio:

VI. "Non arrivo fino a questo punto" - potrebbe rispondere Platone, difendendo il suo punto di vista con la mia voce "non arrivo, cioè, a sostenere che gli dèi sono separati e disgiunti da noi, al punto da ritenere che nemmeno i nostri voti li possano raggiungere. Infatti, non li ho estraniati dalle preoccupazioni per le vicende umane, ma soltanto dal loro contatto con esse. Inoltre, vi sono alcune potenze divine intermediarie che abitano questo spazio aereo, tra la sommità dell'etere e i bassifondi della terra, e che comunicano agli dèi i nostri desideri e i nostri meriti". I Greci chiamano questi esseri daimones (= demoni); tra gli abitanti della terra e quelli del cielo essi fungono da messaggeri delle preghiere di quaggiù e dei doni di lassù; da una sponda all'altra essi trasportano le richieste di quaggiù e gli aiuti di lassù, facendo da interpreti o da salvatori, a nome degli uni o degli altri. E' proprio grazie a loro, come Platone sostiene nel Simposio, che hanno luogo tutte le rivelazioni, i prodigi della magia e i presagi di ogni specie. All'interno del loro numero ciascuno svolge l'incarico cui è stato preposto a seconda delle sue competenze: dar forma ai sogni, incidere viscere, governare il volo degli uccelli, modulare il loro canto, ispirare gli indovini, scagliare fulmini, far lampeggiare le nubi, ed altri segni ancora, attraverso i quali prevediamo il futuro. Tutte queste cose dipendono dalla volontà, dalla maestà e dall'autorità degli dèi del cielo, ma bisogna riconoscere che ciò avviene grazie all'obbedienza, all'opera e alla mediazione dei demoni.

Tratto da Apuleio, "Il Dio di Socrate", in "Medioplatonici, opere, frammenti e testimonianze", Editore Bompiani, 2015, pag. 829

Dice Apuleio che "vi sono alcune potenze divine intermediarie che abitano questo spazio aereo, tra la sommità dell'etere e i bassifondi della terra, e che comunicano agli dèi i nostri desideri e i nostri meriti."

Secondo Apuleio, gli Dèi sono separati dagli uomini, ma alcuni "esseri" fanno da messaggeri per raccontare gli Dèi ciò che fanno gli uomini. Loro fanno da messaggeri portando le preghiere degli Uomini agli Dèi e i doni degli Dèi agli uomini.

Dice Apuleio che questi esseri "I Greci chiamano questi esseri daimones (= demoni);" ed è proprio grazie a loro che hanno luogo tutti i prodigi e tutte le rivelazioni come Platone direbbe nel Simposio.

Nel Simposio Platone scrive:

"Allora - dissi -, che cos'è Eros. E un mortale?".
"No certo".
"Ma, allora, che cos'è? "
"Come si è detto prima - disse E' qualcosa di intermedio fra mortale e immortale".
"Allora che cos'è, o Diotima? "
"Un gran demone, o Socrate: infatti, tutto ciò che è demonico è intermedio fra dio e il mortale".
"E quale potere ha?", domandai.
"Ha il potere di interpretare e di portare agli dèi le cose che vengono dagli uomini e agli uomini le cose che vengono dagli dèi: degli uomini le preghiere e i sacrifici, degli dèi, invece, i comandi e le ricompense dei sacrifici. E, stando in mezzo fra gli uni egli altri, opera un completamento, in modo che il tutto sia ben collegato con se medesimo. Per opera sua ha luogo tutta la mantica e altresì l'arte sacerdotale che riguarda i sacrifici e le iniziazioni e gli incantesimi e tutta quanta la divinazione e la magia. Un dio non si mescola all'uomo, ma per opera di questo demone gli dèi hanno ogni relazione ed ogni colloquio con gli uomini, sia quando vegliano, sia quando dormono. E chi è sapiente in queste cose è un uomo demonico; chi, invece, è sapiente in altre cose, in arti o in mestieri, è uomo volgare. Tali demoni sono molti e svariati; e uno di essi è Eros".

Tratto da Platone, Tutti gli scritti, Simposio, Editore Bompiani, 2014 pag. 510/511

Platone, nell'aggredire il significato di "daimon" delle antiche religioni, ha trasformato il demone in un messaggero degli Dèi privando l'uomo della sua parte divina. Una parte divina che riempirà col concetto di anima come oggetto diverso dall'uomo.

In questo contesto ideale platonico, non è più l'uomo che entra in contatto con gli Dèi attraverso il daimon che è, la sua parte divina che forma il suo corpo come insieme emotivo, ma è un soggetto esterno, a cui l'uomo si deve sottomettere, che controlla la comunicazione fra l'uomo e gli Dèi. L'uomo cessa di abitare il mondo e viene abitato da anime e daimon per conto degli Dèi o dell'Artefice.

Per Platone l'uomo diventa un pagliaccio; privo di volontà; incapace di progettare uno scopo; oggetto di possesso dell'Artefice o degli Dèi che lo controllano con i demoni.

Platone combatte l'antico sistema religioso. Atena non è uscita dalla testa di Zeus per dare una direzione alla volontà degli uomini nei progetti e nel cammino della loro vita, ma Atena è un abitatore irraggiungibile del cielo, oppure un demone. Atena che sorge nel cuore di Ulisse e ne trattiene l'impeto costringendolo ad attendere una migliore occasione, non è Ulisse che come daimon costruisce le relazioni emotive con l'Atena che egli è, ma è un demone che agisce su Ulisse.

Non è più Eros che sorge dall'uovo luminoso e dispiega le sue ali d'oro nello spazio oscuro portando l'intento nella materia che si trasforma dando vita al presente in cui viviamo, ma in Platone diventa un demone che collega gli uomini con gli Dèi.

Che ne è dell'intento e della volontà d'esistenza degli Esseri Umani?

Un oggetto da distruggere che deve essere sottomesso ad una morale. La volontà dell'uomo serve per costringere lo stesso uomo a sottomettere le proprie pulsioni alla morale imposta. Per Platone, la volontà dell'uomo come strumento per stuprare l'uomo e impedirgli il divenire, trasformandosi, seguendo i propri desideri.

Da qui la nascita della morale del dolore e della sofferenza propri del neoplatonismo, del cristianesimo e del buddismo. Volontà d'esistenza per auto costringere l'uomo all'obbedienza.

L'obbedienza è l'oggetto a cui Platone e Apuleio tendono ad imporre all'uomo. L'uomo deve obbedire ai principi etico-morali che Platone e Apuleio descrivono come "graditi agli Dèi".

I demoni, secondo Platone e Apuleio, sono gli artefici dei prodigi della magia, dei presagi e ogni demone svolge il proprio incarico cui è stato preposto secondo il volere degli Dèi. I demoni, sempre secondo Apuleio e Platone, danno forfma ai sogni, incidono sulle viscere, governano il volo degli uccelli, modulano il canto degli uccelli, ispirano gli indovini, scagliano i fulmini, fanno lampeggiare le nuvole.

Secondo Apuleio e Platone, tutto non avviene negli oggetti e per gli oggetti. Non è l'uomo che sogna, che intuisce, che osserva il mondo, che percepisce le trasformazioni del mondo, ma sono i demoni che agiscono in questo senso sia fuori dell'uomo che attraverso l'uomo stesso.

Tutto avviene, secondo Platone e Apuleio, per la volontà degli Dèi del cielo, ma grazie alla mediazione dei demoni che fanno la volontà degli Dèi riducendo l'uomo ad una marionetta supplice che deve subire le condizioni della propria esistenza imposta dai demoni per volontà degli Dèi.

C'è qualche cosa di molto malate in tutto questo.

A queste affermazioni sul ruolo dei demoni controbatte Agostino d'Ippona. Ad Agostino d'Ippona interessa il ruolo dei demoni. Da Platone assume il concetto di demone, ma toglie al demone la divinità della relazione con gli Dèi, affermata da Platone, per far dei demoni un oggetto di disprezzo.

Scrive Agostino d'Ippona:

Invano dunque Apuleio e quanti la pensano come lui hanno tributato ai demoni quest'onore, ponendoli a mezz'aria tra il cielo dell'etere e la terra, in modo che trasmettano agli dèi le preghiere degli uomini e di qui agli uomini le richieste accordate, dal momento che, come sostengono che abbia detto Platone, nessun dio entra in relazione con l'uomo. Perciò quanti prestarono fede a queste dottrine ritennero più sconveniente che gli uomini avessero relazione con gli dèi e gli dèi con gli uomini; conveniente invece che i demoni avessero tali relazioni con gli dèi e con gli uomini, per trasmettere petizioni e comunicare concessioni; con la conseguenza evidente che un uomo puro ed estraneo alle delittuose arti magiche, per poter essere esaudito dagli dei deve ricorrere a questi intermediari, che amano tali arti, mentre con più facilità e più volentieri dovrebbe essere esaudito perché, non amandole, diviene più degno. E certo poi che quelli amano le sconcezze del teatro, che non sono amate dalla castità; amano le mille arti di nuocere nei sortilegi della magia, che non sono amati dall'innocenza. Così, quando castità e innocenza vogliono impetrare qualcosa dagli dei, non possono farlo in virtù dei propri meriti, se manca il soccorso dei loro nemici. C'è poco da arrabattarsi per giustificare queste finzioni poetiche e questi zimbelli teatrali! Contrario è stato Platone, loro maestro tanto autorevole; a meno che l'umano pudore abbia un concetto di sé così basso, che non solo prediliga le cose ignobili, ma addirittura le consideri bene accette alla divinità.

Tratto da Agostino d'Ippona, La città di Dio contro i Pagani, Editore Bompiani, 2015, pag. 408-409

"Invano", dice Agostino d'Ippona, "hanno tributato questo onore ai demoni collocandoli fra la terra e il cielo".

Non è invano. Platone e Apuleio hanno rubato la parte divina degli Esseri della Natura, degli Esseri Umani nel nostro caso, per trasformarli in oggetti d'uso dei demoni.

Gli Esseri Umani cessano di essere Dèi che costruiscono il loro daimon trasformando la morte del corpo fisico in nascita del corpo luminoso, diventano burattini nelle mani di demoni che agiscono per conto degli Dèi.

Il passo successivo è trasformare gli Dèi in demoni, come fa Platone nel Simposio, e i demoni nell'aspetto della "disobbedienza" a Dio, istigatori della ribellione dell'uomo dalla morale imposta da Dio. In questo modo diventa semplice manipolare la "credenza" nei demoni in una credenza funzionale al cristianesimo.

Platone riteneva sconveniente che gli uomini avessero relazioni con gli Dèi. Infatti, il suo odio per i poeti come Omero ed Esiodo era proprio dovuto al fatto che costoro raccontavano storie di relazione fra gli Dèi e gli uomini e queste erano storie nelle quali l'uomo esercitava la propria volontà per perseguire degli scopi e degli intenti veicolando le proprie emozioni nei propri desideri.

L'odio di Platone per gli Dèi era l'odio dell'Artefice che, alienato dal mondo, pretende di dominare il mondo chiamando male ogni desiderio del mondo di agire per sé stesso.

Siamo davanti alla guerra delle "verità". La "verità" sulla realtà del mondo di Apuleio contro la "verità" sulla realtà del mondo di Agostino d'Ippona.

Mentre per Apuleio l'arte divinatoria, le arti profetiche, le arti magiche sono un elemento positivo della vita degli uomini e queste arti vengono messe in atto attraverso i demoni su volontà degli Dèi, Agostino d'Ippona parla di "delittuose arti magiche". Secondo Agostino d'Ippona, gli uomini verrebbero esauditi dagli Dèi quando "mentre con più facilità e più volentieri dovrebbe essere esaudito perché, non amandole [le arti magiche], diviene [l'uomo] più degno".

Agostino d'Ippona rileva come, anche se gli uomini sono convinti che l'esercizio delle arti magiche avviene attraverso i demoni, queste sono un esercizio di volontà dell'uomo che tende a liberarsi dalla coercizione nella quale è costretto a vivere. Agostino d'Ippona rileva la necessità di imporre maggior coercizione morale all'uomo affinché non si ribelli a Dio, nemmeno con le arti magiche.

L'arte magica, per come pensata da Agostino d'Ippona, interferisce con la volontà del suo Dio ed è, dunque: "E certo poi che quelli amano le sconcezze del teatro, che non sono amate dalla castità; amano le mille arti di nuocere nei sortilegi della magia, che non sono amati dall'innocenza."

Per Agostino d'Ippona, tutto è male. Il teatro è sconcio. I cristiani chiuderanno i teatri; chiuderanno le terme per permettere al loro Dio di far ammalare gli uomini e di intristirli. Imporranno la castità con una tale violenza da fare della malattia sessuale l'altare su cui sacrificano gli uomini al loro Dio. Dopo Agostino d'Ippona, saranno necessari 1600 anni, fino alla rivoluzione sessuale di Wilhelm Reich, per iniziare a liberare la sessualità dall'odio di Agostino d'Ippona.

Dice Agostino d'Ippona: "Così, quando castità e innocenza vogliono impetrare [impetrare = ottenere con preghiere, con suppliche, o in genere conseguire una cosa vivamente desiderata come una grazia o un favore] qualcosa dagli dei, non possono farlo in virtù dei propri meriti, se manca il soccorso dei loro nemici.". E i nemici, secondo Agostino d'Ippona, sarebbero i "demoni" che non trasmettono quelle "suppliche" agli Dèi.

E' indubbio che Platone, attraverso Socrate, ha imposto il "pudore". Il problema è che Platone era tendenzialmente omosessuale e probabilmente sessualmente impotente, come Paolo di Tarso. Da questa pulsione nasce in Platone l'odio per le donne che Agostino d'Ippona vuole indicare come "pudore" per rinnovare, a sua volta, l'odio nei confronti delle donne (a parte la madre).

Si deve rilevare come tutto il discorso sui demoni fatto da Platone, Apuleio e Agostino d'Ippona ha il medesimo comune denominatore: il controllo militare della società.

E in questo, devo dire, che per 1500 anni i cristiani ci sono riusciti riempiendo la terra di delitti, omicidi e stragi per la gloria del macellaio di Sodoma e Gomorra.

 

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