Rimpiangiamo: per non aver pensato quello che avremmo dovuto pensare quando potevamo pensarlo;
per non aver detto quello che avremmo potuto dire quando potevamo dirlo;
per non aver fatto quello che avremmo dovuto fare quando potevamo farlo
Luglio 2025: la filosofia metafisica della Religione Pagana.
09 luglio 2025
Domanda apparentemente banale e retorica: come si concepisce il lavoro?
Ricordo, come sempre, che il termine lavoro sta ad indicare l'attività fisica mediante la quale si trasformano merci in prodotti. In tale attività è impiegato il tempo di vita delle persone. Anche se il tempo di vita delle persone può essere impiegato in altre e diverse attività, tali attività non possono essere considerate lavoro.
E il corpo che lavora e anche se oggi come oggi il termine lavoro è riempito di altri e diversi significati, rimane sempre un'attività fisica in funzione della costruzione di prodotti necessari per la vita del corpo.
L'opposto di lavorare è "rubare"; "rubare" significa appropriarsi di prodotti che altre mani hanno trasformato manipolando merci. Alcune mani trasformano merci in prodotti, altre mani sottraggono, e accumulano quei prodotti, alle mani che li hanno prodotti.
Il politico non lavora, il magistrato non lavora, il poliziotto non lavora, l'imprenditore non lavora. Ciò non significa che le loro mansioni non siano cariche di importanza sociale, ma non possono essere definite "lavoro". Quelle mansioni impiegano tempo di vita, ma da tali attività non emergono prodotti atti a soddisfare bisogni umani anche se possono essere necessarie per la vita sociale e collettiva.
Quando in filosofia si parla di lavoro, si parla del significato originale del termine "lavoro", non di come le società ne hanno deformato il significato per giustificare esigenze di controllo della società civile sugli uomini.
Esiodo, nel VII secolo a.c. (nato circa nel 776 a.c.), più antico della bibbia di ebrei e dei cristiani, significa il termine lavoro con le sue necessità, utilità, fini e prospettive.
Scrive Esiodo in "Le opere e i giorni":
Ma tu, sempre tenendoli presente, dà retta ai nostri precetti, o Perse, progenie divina, affinché la fame ti odii e t'ami invece l'augusta Demetra ben coronata, e t'empia di beni il granaio. La Fame, infatti, è la compagna dell'uomo infingardo, e gli Dei e gli uomini si sdegnano per colui il quale vive ozioso, simile ai fuchi privi di pungiglione che, inetti, consumano divorando il prodotto delle api. A te sia caro, al contrario, il tempestivo lavoro, in modo che il tuo granaio si riempia dei beni stagionali. Col lavoro gli uomini diventano ricchi e opimi di greggi. E tu, lavorando, diverrai di molto più caro agli Immortali e ai mortali; essi, infatti, molto hanno in odio gli oziosi. Lavorare non è vergogna, non lavorare è vergogna. Se lavorerai, presto l'inetto invidierà te che stai arricchendo: fama e virtù s'accompagnano alla ricchezza. Sarai simile a un dio. Lavorare è meglio che volger Io sguardo alle ricchezze degli altri; attendendo al lavoro, occupa dunque la tua vita, così com'io ti esorto.
Esiodo, Le opere e i giorni, Editore BUR, 1958, pag. 22/23
Esiodo usa il termine lavoro in relazione alla trasformazione. "Col lavoro gli uomini diventano ricchi". La stessa trasformazioni di merci in prodotti, che rende ricchi gli uomini, indica il passaggio dalla non-ricchezza alla ricchezza. Un trasformazione che l'uomo ha fatto agendo e non per volontà altra rispetto all'uomo. E' l'uomo che può decidere di lavorare e diventare ricco. Quando l'uomo prende la decisione, "diverrai di molto più caro agli Immortali e ai mortali". Non sei caro agli Immortali e loro ti fanno ricco, ma diventi, ti conquisti, caro agli Immortali perché hai deciso di trasformare merci in prodotti.
L'ambiente di Esiodo è un ambiente ben definito. In quest'ambiente non ci sono uomini che impongono la miseria ad altri uomini e se un uomo non decide di lavorare per arricchirsi non è perché altri uomini lo costringono all'indigenza, ma perché egli rifiuta di impegnare il proprio tempo di vita per trasformare merci in prodotti. Esiodo vede la fame solo nel non-lavoro.
Dice Esiodo:
"La Fame, infatti, è la compagna dell'uomo infingardo, e gli Dei e gli uomini si sdegnano per colui il quale vive ozioso, simile ai fuchi privi di pungiglione che, inetti, consumano divorando il prodotto delle api."
Il disprezzo è rivolto a colui che prende prodotti che altri hanno trasformato; non dà in cambio prodotti che lui ha trasformato perché non ha impegnato, almeno parte, del suo tempo di vita per farlo.
Prendi senza dare prodotti della stessa qualità che hai preso. E' deciso e perentorio Esiodo quando scrive:
"Lavorare non è vergogna, non lavorare è vergogna."
E in questo momento Esiodo introduce il concetto di divenire, di trasformazione, dove il lavorare è una premessa per un futuro che si può realizzare. Non è una "speranza", perché si regge sulle solide basi dell'attività umana che trasforma ciò che non è utilizzabile in ciò che è utilizzabile e, proprio per essere utilizzabile, è commerciabile.
Commerciando si accumulano ricchezze.
Dice Esiodo:
"Se lavorerai, presto l'inetto invidierà te che stai arricchendo: fama e virtù s'accompagnano alla ricchezza. Sarai simile a un dio."
Il concetto di povertà in Esiodo non è il concetto di povertà sociale costruito dall'ebraismo e dal cristianesimo. Un uomo non è povero perché costretto alla povertà o all'indigenza, ma è povero perché ha scelto di essere povero. Nella storia della filosofia, i cinici erano poveri perché hanno scelto di essere poveri.
In Esiodo, la scelta della povertà era una scelta di separazione dell'uomo dalla società degli uomini. Un individuo era povero perché aveva scelto di essere povero non lavorando, non perché qualcuno lo aveva costretto alla povertà. La povertà ti permetteva di non impegnare il tuo tempo di vita nel lavoro, ma nello stesso tempo non ti consentiva di scambiare prodotti che ad altri servivano e di riceverne in cambio.
Non è un caso che i filosofi platonici e Pitagora facessero guerra ad Esiodo. Esiodo metteva al centro del proprio discorso il lavoro come attività nobile, Pitagora e i platonici mettevano al centro del loro pensiero il diritto di appropriarsi di prodotti costruiti da altre mani che non fossero le loro.
Per Esiodo, anche se visse molti secoli prima, "la vergogna non buona" accompagna quei filosofi che rifiutano il lavoro ed elevano a filosofia la loro separazione dalla società.
Ed è a questo punto che Esiodo introduce il concetto di furto e, più in generale, delle azioni che, in contrapposizione al lavoro, si appropriano di prodotti costruiti da altre mani.
Scrive Esiodo:
"La ricchezza non deve essere un furto: le ricchezze date da Dio sono le migliori. Se qualcuno, infatti, acquista con la violenza grande ricchezza o arricchisce con gli spergiuri, come spesso accade quando la bramosia del guadagno fa smarrire le menti degli uomini e la sfrontatezza toglie il pudore, allora gli Dei facilmente accecano e fanno andare in rovina l'uomo, che presto perderà la ricchezza. Lo stesso avverrà a colui che maltratterà l'ospite o il supplice che gli abbraccia le ginocchia, e a colui che violerà il talamo del proprio fratello con amplessi furtivi, a colui che froderà gli orfani, a colui che, insultandolo, offenderà con aspre parole il genitore giunto alla triste soglia della vecchiaia. Lo stesso Zeus si sdegnerà contro costoro e darà aspro compenso alle opere ingiuste."
Esiodo, Le opere e i giorni, Editore BUR, 1958, pag. 22/23
La proprietà privata, è un furto?
Non si sta parlando della proprietà privata come insieme di valore d'uso che un individuo accumula per il proprio benessere, ma si sta parlando di proprietà privata come accumulo di prodotti, di beni, che vengono sottratti alla fruizione della società.
La proprietà privata assume la connotazione di furto quando l'accumulo di beni crea indigenza sociale.
Dice Esiodo (tradotto da Scarpa): "le ricchezze date da Dio sono le migliori".
La mentalità di Esiodo non è la mentalità ebrea.
Qual è la ricchezza data dal Dio?
Dice Esiodo:
"t'ami invece l'augusta Demetra ben coronata, e t'empia di beni il granaio."
La ricchezza data dal Dio è la ricchezza che si ottiene con il lavoro quando i lavoratori sono affiancati dagli Dèi nella loro attività. Un grande raccolto di grano è migliore di uno scasro raccolto di grano. Nel primo caso si è ricchi, nel secondo caso, un po' meno. L'uomo non ha rubato niente e niente il Dio ha tolto ad altri uomini per donarlo a chi ama.
Dice Esiodo:
"Se qualcuno, infatti, acquista con la violenza grande ricchezza o arricchisce con gli spergiuri, come spesso accade quando la bramosia del guadagno fa smarrire le menti degli uomini e la sfrontatezza toglie il pudore, allora gli Dei facilmente accecano e fanno andare in rovina l'uomo, che presto perderà la ricchezza."
La questione è abbastanza semplice e si colloca nell'ambito del divenire e delle trasformazioni.
Se tu ari, semini e coltivi la terra, anno dopo anno, diventi sempre più abile nell'arare, seminare e coltivare. Se tu ti dedichi al furto, diciamo di bestiame, col primo furto hai acquisito una ricchezza che non hai prodotto, ma la tua trasformazione è in atto. Il secondo furto di bestiame può andare a buon fine. Aumenti la tua ricchezza. Diventi arrogante, sfrontato, sprezzante della presenza di condizioni avverse e finisce che al prossimo furto vieni scoperto e ucciso. Il disprezzo, per chi ha sottratto la fatica e il tempo di altri uomini mediante il furto, alimenta l'odio, il disprezzo e la necessità di vendetta.
Esiodo aggiunge anche il disprezzo per chi ruba anche cose immateriali. Come "maltrattare l'ospite". Chi ospita e chi è ospitato offre all'altro fiducia; maltrattare l'altro significa rubargli, sottrargli la fiducia che ha offerto e, anche questo, è una forma di furto (un esempio di furto è quello di Trump nello studio ovale della Casa Bianca che offende ed ingiuria il presidente Sudafricano).
Per Esiodo il furto è anche il furto della fiducia delle persone con le quali si convive. Rubare il talamo al proprio fratello con amplessi furtivi è un rubare. Non è contendere un rapporto d'amore, è rubare la possibilità di un amplesso. L'accento è messo sul "furtivo" che richiama l'azione del ladro. Lo stesso vale per le persone in difficoltà, come gli orfani o gli anziani. Puoi non aver rapporti, ma far loro violenza è un'azione da ladro.
Per Esiodo, il ladro è colui che deruba le persone per assicurarsi un vantaggio, sia in termini di beni che in termini di potere di sopraffazione, e il rubare si oppone alla ricchezza accumulata con il lavoro.
In Esiodo c'è l'idea di lavoro che alimenta il benessere della società e non quella del lavoro che separa la ricchezza accumulata dalla società.
Diversa è l'idea di lavoro che viene esposta mediante la bibbia ebrea e fatta propria dai cristiani: il lavoro come fatica, sofferenza, atto di sottomissione, obbedienza a dei doveri imposti da un padrone che accumula i beni, prodotti da chi lavora e non li ridistribuisce, usandoli per confermare e rafforzare il proprio dominio.
Per gli ebrei il lavoro è fatica e punizione divina.
L'idea che il lavoro, che trasforma merci in prodotti, sia un'attività degradante rispetto all'attività di furto o di rapina, che nell'ebraismo e nel cristianesimo appare come un'attività nobile imposta da Dio, viene definita dalla bibbia ebraica e dai vangeli cristiani al fine di proteggere il ladro dalle rivendicazioni dei derubati.
Scrive la Genesi della bibbia:
Ad Adamo disse: "Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie e hai mangiato del frutto dall'albero circa il quale io ti avevo ordinato di non mangiarne, il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita. Esso ti produrrà spine e rovi, e tu mangerai l'erba dei campi; mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai".
Genesi 3, 17-19
Il lavoro è inteso come punizione divina a cui l'uomo deve sottostare. Il padrone, Dio, impone allo schiavo, uomo, di guadagnarsi il pane col sudore della fronte. Il padrone, uomo, impone all'uomo sottomesso di guadagnare il pame che lui gli sottrae col sudore della sua fronte.
La figura del padrone, definita dalla bibbia, è colui che ruba il pane a chi ha sudato; è colui che ruba i prodotti che gli uomini hanno costruito col loro sudore.
Scrive il Vangelo di Luca:
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.
Vangelo di Luca 12, 41-48
Il padrone non si guadagna il pane col sudore della sua fronte, ma con il sudore della fronte dei suoi servi a capo dei quali mette un altro servo che possa rubare a sua volta il lavoro delle loro mani.
Per il cristianesimo il lavoro, che produce beni atti al consumo umano, è un lavoro degradante, lavoro di servi e schiavi. Il compenso che gli schiavi, i servi, ricevono per il lavoro a cui hanno dedicato il loro tempo di vita, è un compenso minimo, funzionale alla loro sopravvivenza al fine di consentire loro, ed obbligare loro, a ripetere il lavoro, impiegando altro tempo della loro vita, per poter sopravvivere.
L'ideologia cristiana ha come fondamento il "rubare il lavoro di altre mani" trasformando gli uomini in servi e in schiavi obbedienti, funzionali alla vita e al dominio di altri uomini chiamati "padroni" ad immagine e somiglianza del padrone assoluto: "Dio".
Rubare, rapinare, uccidere, stuprare, violentare, nel cristianesimo sono tutti principi elevati a volontà di Dio che diventano tensioni emotive e predilezioni dei cristiani nel loro tentativo di dominare il mondo.
Il Dio dei cristiani è un macellaio assassino e uno stupratore: per quale motivo i cristiani che vi si identificano non dovrebbero essere a loro volta macellai, assassini e stupratori?
Noi viviamo in una società, oggi, in cui il dominio cristiano è assoluto. Sia dal punto di vista della struttura sociale, sia dal punto di vista delle tensioni emotive degli individui.
L'emarginato che ruba viene condannato ad una pena enorme a differenza del miliardario, come Silvio Berlusconi, che ruba ingenti quantità di denaro sottraendolo alla società. E' il concetto secondo cui il padrone ha il diritto di rubare, come il Dio dei cristiani, ma lo schiavo e il servo non hanno diritto alla sopravvivenza se non nella grazia e nella benevolenza di Dio.
C'è un'enorme differenza sociale fra il concetto di lavoro in Esiodo espressa nel 700 a.c. e il concetto di lavoro degli ebrei espressa nella loro bibbia almeno un secolo dopo.
Il concetto di Esiodo è il concetto dell'uomo che affronta con onore la propria vita; il concetto della bibbia è il concetto di lavoro come sofferenza da imporre allo schiavo per la gloria di Dio, del padrone.
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