L'Universo in cui viviamo è Caos
Nessuno mette ordine in Caos: ogni soggetto si adatta e abita Caos con la propria volontà.
Agosto 2025: la filosofia metafisica della Religione Pagana.
05 agosto 2025
In filosofia esistono solo due regole per conoscere se un discorso ha un senso di verità o se è falso e in malafede.
Nel primo caso, quando l'affermazione si appoggia su dati reali che ricadono sotto i sensi, oppure se si tratta di uno sviluppo ideale, sia pur trascendente, di dati di realtà che ricadono sotto i sensi; nel secondo caso, quando l'affermazione è utile agli uomini e al miglioramento delle loro condizioni di vita.
In tutti gli altri casi, le affermazioni ricadono sotto la categoria del fantastico, dell'inganno, della malafede o del delirio.
Nell'inganno, nella malafede e nel delirio ricadono le affermazioni di Agostino d'Ippona relative alla città di Dio.
Secondo Agostino d'Ippona esisterebbe una "città di Dio" che si opporrebbe alla "città dei Pagani". Mentre la "città dei Pagani" è la città del vivere quotidiano delle persone, la "città di Dio" occuperebbe un trascendente ontologico che Agostino d'Ippona non solo non sa spiegare e definire, ma ne afferma l'esistenza appoggiandosi ad altri che ne affermano l'esistenza dimostrando di desiderare un luogo di delizia, dato il fallimento della propria esistenza, ma senza poterlo né definire né giustificare.
Un conto è il desiderio psicologico, che viene trattato dalla psichiatria, e un altro conto è l'affermazione filosofica, che richiede non solo la definizione della realtà in essere, ma anche la prospettiva di modificazione della realtà in essere date le scelte che il filosofo dovrebbe indicare nello sviluppo del suo pensiero.
Della città di Dio contro i Pagani, scrive Agostino d'Ippona:
Chiamiamo città di Dio quella di cui parla la Scrittura, che ha sottomesso a sé ogni genere d'umano ingegno(1), e non per casuali movimenti degli animi ma per la suprema disposizione della provvidenza, elevandosi con la sua divina autorità al di sopra di ogni letteratura umana(2). In essa sta scritto: Di te si dicono cose stupende, città di Dio(3). E altrove: Grande è il Signore e degno di lode nella città del nostro Dio. Il suo monte santo, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra (4); poco più avanti, nello stesso Salmo: Come avevamo udito, così abbiamo visto nella città del Signore degli eserciti, nella città del nostro Dio; Dio l'ha fondata per sempre(5). In un altro Salmo ancora: Un fiume e i suoi ruscelli rallegrano la città di Dio, la santa dimora dell'Altissimo. Dio sta in essa: non potrà vacillare(6). In base a queste testimonianze e ad altre analoghe, che sarebbe troppo lungo ricordare per intero, abbiamo appreso che esiste una città di Dio di cui ci fa desiderare ardentemente d'essere cittadini quell'amore che ci ha ispirato il suo fondatore. I cittadini della città terrena antepongono invece a questo Fondatore della città santa i propri dèi, ignorando che Egli è il Dio degli dèi(7), ma non degli dèi falsi, cioè empi e superbi, che, privi della luce immutabile e comune a tutti e perciò ridotti ad un ben povero potere, cercano di inseguirne in ogni modo uno personale, esigendo doni divini dai fedeli loro schiavi. Egli è Dio invece di dèi devoti e santi, che trovano la loro gioia più nel sottomettersi a Dio che nel ricevere la sottomissione di molti, più nel venerare Dio che nell'esser venerati al posto suo.
XI,1. 1 V. supra, IX,5, nota 1.
2 Cfr. De doctr. christ., 11,42,63.
3 Sal. 87,3.
4 Sal. 48,2 s.; cfr. Sal. 96,49.
5 Sal. 48,9.
6 Sal. 46,5 s.; cfr. Gn. 2,10; Sal. 36,9.
7 Cfr. Sal. 50,1; Dt. 10,17; Gs. 22,22
Agostino d'Ippona, La città di Dio contro i pagani (De Civitate Dei contra Paganos), Editore Bompiani, 2015, pag. 515
"Chiamiamo "città di Dio" quella di cui parla Doroty, la città di smeraldo.". Questo è il meccanismo adottato da Agostino d'Ippona per affermare una realtà che abita solo nel suo personale desiderio.
Che forse Agostino d'Ippona argomenta attorno alla realtà della "città di Dio"? No! La afferma come si afferma qualcosa per dare speranza consolatoria ad un disperato: lo dicono le "sacre scritture".
Sarebbe stato più onesto se avesse detto "Ne ho dedotto l'esistenza partendo dai Salmi della bibbia" che significa "L'ho dedotto perché io desidero che ciò sia".
Ma io non rendo schiave le persone quando dico che "desidero che ciò sia", le rendo schiave, sfruttando i momenti della loro disperazione, quando dico loro che "questo è" e li costringo a sperare in "questo è" imprigionando la loro psiche mentre blocco ogni loro possibilità d'azione costringendoli in uno stato psicologico d'attesa.
Per cercare di capire come Agostino d'Ippona ha costruito la sua idea affermando che nella bibbia si trovano le testimonianze della "città di Dio" ho cercato di raccogliere i riferimenti che il presentatore, della città di Dio di Agostino, ha messo come note per concretizzare i riferimenti fatti da Agostino d'Ippona.
La mia ricerca delle note non è stata precisissima. Un po' perché la numerazione dei Salmi è diversa da bibbia a bibbia e non sempre il numero dei salmi corrisponde, spesso va modificato di un numero. Ho fatto il possibile. Altre volte i traduttori, a seconda dei loro intenti, usano termini edulcorati per mascherare la crudeltà o le intenzioni criminali del Dio della bibbia.
In ogni caso, al di là degli errori, penso di aver raccolto uno schema sufficiente di citazioni e di passi che ci permette di ricostruire, per quanto è possibile, il labirinto mentale in cui Agostino d'Ippona intende intrappolare l'uomo per sottometterlo e stuprarne il futuro.
Proviamo leggere le citazione dei salmi fatta da Agostino d'Ippona nel contesto dell'affermazione.
-1- All'affermazione: "Di te si dicono cose stupende, città di Dio(3)." Di Agostino d'Ippona, viene citato il Salmo 87,3 (io l'ho trovato nell'86)
Salmo 87 (86) per intero recita:
1 Dei figli di Core. Salmo. Canto.
Le sue fondamenta sono sui monti santi;
2 il Signore ama le porte di Sion
più di tutte le dimore di Giacobbe.
3 Di te si dicono cose stupende,
città di Dio.
4 Ricorderò Raab e Babilonia fra quelli che mi conoscono;
ecco, Palestina, Tiro ed Etiopia:
tutti là sono nati.
5 Si dirà di Sion: "L'uno e l'altro è nato in essa
e l'Altissimo la tiene salda".
6 Il Signore scriverà nel libro dei popoli:
"Là costui è nato".
7 E danzando canteranno:
"Sono in te tutte le mie sorgenti".
La città di Dio è la città da cui proviene il popolo ebraico, una città fisica, che gli ebrei considerano una città di Dio ed essi stessi proprietà del loro Dio.
Non è una città trascendente. Il salmo parla di una città ideale che sta nei desideri degli ebrei deportati a Babilonia e, nei desideri nostalgici, la città che ricordano appare al loro desiderio come "stupenda".
L'unica testimonianza in questo salmo è la testimonianza del migrante che ricorda con nostalgia il paesello d'origine al quale ambisce tornare perché incapace di fondare un proprio futuro e vorrebbe ritornare nell'utero della sua infanzia.
-2- All'affermazione "Il suo monte santo, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra (4)" di Agostino d'Ippona viene indicata al Salmo 48,2.
-3- All'affermazione "Dio l'ha fondata per sempre(5)." Viene indicata al Salmo 48,9 (47,9)
E ancora nei Salmi 48,2 (che poi viene dato come Salmi 47) con dei rimandi.
Salmi 47
1 Cantico. Salmo. Dei figli di Core.
2 Grande è il Signore e degno di ogni lode
nella città del nostro Dio.
3 Il suo monte santo, altura stupenda,
è la gioia di tutta la terra.
Il monte Sion, dimora divina,
è la città del grande Sovrano.
4 Dio nei suoi baluardi
è apparso fortezza inespugnabile.
5 Ecco, i re si sono alleati,
sono avanzati insieme.
6 Essi hanno visto:
attoniti e presi dal panico,
sono fuggiti.
7 Là sgomento li ha colti,
doglie come di partoriente,
8 simile al vento orientale
che squarcia le navi di Tarsis.
9 Come avevamo udito, così abbiamo visto
nella città del Signore degli eserciti,
nella città del nostro Dio;
Dio l'ha fondata per sempre.
10 Ricordiamo, Dio, la tua misericordia
dentro il tuo tempio.
11 Come il tuo nome, o Dio,
così la tua lode si estende
sino ai confini della terra;
è piena di giustizia la tua destra.
12 Gioisca il monte di Sion,
esultino le città di Giuda
a motivo dei tuoi giudizi.
13 Circondate Sion, giratele intorno,
contate le sue torri.
14 Osservate i suoi baluardi,
passate in rassegna le sue fortezze,
per narrare alla generazione futura:
15 Questo è il Signore, nostro Dio
in eterno, sempre:
egli è colui che ci guida.
Come leggiamo nel 48, 2 (che poi si trova nel 47,2 e nel 47,9) e 48,9 non si tratta della testimonianza di un oggetto o di un luogo, ma della testimonianza di una disperazione che desidera un oggetto o un luogo diverso dalle condizioni dell'esistenza.
Trasformare la testimonianza di un desiderio, vissuto dolorosamente, nella testimonianza di un luogo da spacciare come oggettivo è un inganno in malafede. Un inganno malevolo che quando elevato a potere di Stato, e alimentato dalle armi, diventa infamia volta a distruggere l'umanità.
Il Monte Sion è:
Con il nome di monte Sion è conosciuta un'altura di 765 metri sul livello del mare, posta a sud della Porta di Sion, immediatamente fuori dalla Città Vecchia di Gerusalemme.
Tratto da internet.
Il desiderio di onnipotenza dello sconfitto idealizza quanto ricorda, ma si tratta della testimonianza della sconfitta di un corpo desiderante che ha rinchiuso sé stesso nella nostalgia.
Lo sconfitto sogna l'onnipotenza dicendo:
"Gioisca il monte di Sion, esultino le città di Giuda a motivo dei tuoi giudizi. Circondate Sion, giratele intorno, contate le sue torri. Osservate i suoi baluardi, passate in rassegna le sue fortezze, per narrare alla generazione futura: Questo è il Signore, nostro Dio in eterno, sempre: egli è colui che ci guida."
Lo sconfitto sogna l'onnipotenza di un padrone superiore che possa essere di consolazione alla propria disperazione attraverso la sconfitta di chi lo ha sconfitto. Questa è la testimonianza della disperazione di Agostino d'Ippona.
-4- All'affermazione di Agostino d'Ippona "Dio sta in essa: non potrà vacillare(6)" vengono indicati Sal. 46,5 s.; cfr. Gn. 2,10; Sal. 36,9.
La stessa condizione è nei Salmi 45,1
1 Venite, cantiamo con gioia al SIGNORE,
acclamiamo alla rocca della nostra salvezza!
Salmi 45 (46 forse in altra scrittura)
5 Le tue frecce sono acuminate;
i popoli cadranno sotto di te;
esse penetreranno nel cuore dei nemici del re.
6 Il tuo trono, o Dio, dura in eterno;
lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia.
Genesi 2,10
10 Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. 11 Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre intorno a tutto il paese di Avìla, dove c'è l'oro 12 e l'oro di quella terra è fine; qui c'è anche la resina odorosa e la pietra d'ònice.
Salmi 36, 9 (35, 9)
9 Allora l'anima mia esulterà nel Signore,
mi rallegrerò della sua salvezza.
Dio sta nella città di Dio e la città di Dio, secondo Agostino d'Ippona, non potrà vacillare.
Qui non si tratta della "città di Dio" che non può vacillare, si tratta della condizione psichiatrica dell'individuo sottomesso che, travolto dalle difficoltà presenti nella sua vita, anziché affrontarle, preferisce sperare in un evento, la "Città di Dio", nel quale porre fine alle sue sofferenze.
L'individuo sconfitto che ha cessato di fluire nella sua esistenza si costruisce nella sua testa una città magnifica, promessa da un padrone che chiama "Dio", e questa, da fantasia delirante, assume, dentro di sé, un dato di realtà nel quale vuole confidare.
"Allora l'anima mia esulterà nel padrone ed esulterò per la salvezza della mia anima"
E' un'idea che prede forma in un corpo disperato che dice: io non sono in grado di affrontare la quotidianità, ma la mia mente esulterà perché la mia anima sarà salva. E con questo vuole significare che lui, in quanto corpo pensante, sarà salvo dalle contraddizioni che sta vivendo.
In questo delirio sogna:
"Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre intorno a tutto il paese di Avìla, dove c'è l'oro e l'oro di quella terra è fine; qui c'è anche la resina odorosa e la pietra d'ònice."
E' come per la popolazione veneta che, attanagliata dai morsi della fame, sognava "Mari de tocio e montagne di polenta". La disperazione emotiva non è molto diversa dalla fame e porta a sognare terre paradisiache dove la disperazione cessa, l'angoscia si dissolve, e finalmente viene raggiunta quella felicità tanto desiderata.
Il disperato sogna che qualcuno combatta chi gli procura disperazione, un padrone più potente dei suoi padroni:
"Le tue frecce sono acuminate; i popoli cadranno sotto di te; esse penetreranno nel cuore dei nemici del re. Il tuo trono, o Dio, dura in eterno; lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia."
E' il desiderio del disperato che si pensa impotente nella situazione che sta vivendo. Quella descrizione, in cui veicola il suo desiderio, lo tiene prigioniero. Lo costringe a rinunciare all'azione. Lo costringe ad accettare la situazione che sta vivendo. Il desiderio del disperato alimenta la disperazione del disperato che sogna un onnipotente dalle frecce acuminate che uccidano la fonte della sua angoscia.
-5- All'affermazione di Agostino d'Ippona "I cittadini della città terrena antepongono invece a questo Fondatore della città santa i propri dèi, ignorando che Egli è il Dio degli dèi(7)" vengono indicate le citazioni: 7 Cfr. Sal. 50,1; Dt. 10,17; Gs. 22,22
Al salmo 49, 1-3 il Dio degli ebrei e dei cristiani dice:
1 Ascoltate, popoli tutti;
porgete orecchio, abitanti del mondo,
2 plebei e nobili,
ricchi e poveri tutti insieme.
3 La mia bocca dirà parole sagge,
il mio cuore mediterà pensieri intelligenti.
Al salmi 50
1 Il Potente, Dio, il SIGNORE,
ha parlato e ha convocato la terra
da oriente a occidente.
2 Da Sion, perfetta in bellezza,
Dio è apparso nel suo fulgore.
3 Il nostro Dio viene e non se ne starà in silenzio;
lo precede un fuoco divorante,
intorno a lui infuria la tempesta.
Deuteronomio 10
15 Ma il Signore predilesse soltanto i tuoi padri, li amò e, dopo loro, ha scelto fra tutti i popoli la loro discendenza, cioè voi, come oggi. 16 Circoncidete dunque il vostro cuore ostinato e non indurite più la vostra nuca; 17 perché il Signore vostro Dio è il Dio degli dèi, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali, 18 rende giustizia all'orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito.
Giosuè 22,20-23
Quando Acan figlio di Zerach commise un'infrazione contro lo sterminio, l'ira del Signore non venne forse su tutta la comunità d'Israele, sebbene fosse un individuo solo? Non morì forse per la sua colpa?"". 21Allora quelli di Ruben, di Gad e la metà della tribù di Manasse risposero così ai capi delle migliaia d'Israele: 22"Dio degli dèi è il Signore! Dio degli dèi è il Signore! Egli lo sa, ma lo sappia anche Israele. Se abbiamo agito con ribellione o con infedeltà verso il Signore, egli non ci salvi oggi stesso! 23Se abbiamo costruito un altare per smettere di seguire il Signore, per offrirvi olocausti od oblazioni e per farvi sacrifici di comunione, il Signore stesso ce ne chieda conto!
Agostino d'Ippona nella sua disperazione, consolandosi con l'idea della realtà del suo padrone, lo immagina superiore agli Dèi Pagani. Gli uomini che vivono nella città terrena forse non sono felici, tuttavia affrontano le condizioni della vita che incontrano. Sono attivi, propositivi. Non vivono la disperazione nella speranza della fine della loro disperazione.
Le citazioni che Agostino d'Ippona cerca nella bibbia sono affermazioni consolatorie. Il suo Dio ce l'ha sicuramente più lungo degli Dèi dei Pagani.
E Agostino d'Ippona dice ai Pagani:
"Ascoltate, popoli tutti; porgete orecchio, abitanti del mondo, plebei e nobili, ricchi e poveri tutti insieme. La mia bocca dirà parole sagge, il mio cuore mediterà pensieri intelligenti."
Solo che da quella bocca non escono le parole sagge che Agostino d'Ippona immagina nella sua angoscia. Nel cristianesimo mai saranno insieme nobili ricchi e poveri; saranno sacrificati, macellati, i poveri costruiti dai cristiani per salvaguardare ricchi e nobili. Nessuna parola saggia si può leggere nelle sacre scritture di Agostino d'Ippona, solo parole d'odio che chiedono agli uomini di sottomettersi.
Nella sua angoscia, Agostino d'Ippona minaccia proclamando:
"Il Potente, Dio, il SIGNORE, ha parlato e ha convocato la terra da oriente a occidente. Da Sion, perfetta in bellezza, Dio è apparso nel suo fulgore. Il nostro Dio viene e non se ne starà in silenzio; lo precede un fuoco divorante, intorno a lui infuria la tempesta."
Nessun Dio padrone ebreo o cristiano è mai apparso nel suo fulgore, solo eserciti cristiani che hanno macellato i popoli per la gloria del loro Dio.
Nel desiderio represso di Agostino d'Ippona, il suo Dio non se ne sta in silenzio, ma stermina gli uomini con un fuoco divorante e intorno a lui infuria la tempesta. E' l'immagine consolatoria che si forma nella testa di Agostino d'Ippona: lui e il suo Dio. Lui e il suo Dio si sentono forti, invincibili, sterminatori di coloro che non vogliono sottomettersi a lui.
Nella mente, Agostino d'Ippona si immagina di essere il prediletto del suo Dio padrone e fa proprie le parole che gli ebrei, nel loro delirio, immaginarono nel Deuteronomio:
"Ma il Signore predilesse soltanto i tuoi padri, li amò e, dopo loro, ha scelto fra tutti i popoli la loro discendenza, cioè voi, come oggi. Circoncidete dunque il vostro cuore ostinato e non indurite più la vostra nuca; perché il Signore vostro Dio è il Dio degli dèi, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali, rende giustizia all'orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito."
La "Città di Dio", la città di un Dio che odia gli uomini favorendo alcuni affinché sterminassero altri. Agostino d'Ippona immagina di esserne il favorito, ma se gli imperatori cristiani di Roma e di Ravenna non macellarono i popoli in nome di quel Dio, Agostino d'Ippona non avrebbe nemmeno la consolazione nel delirio di onnipotenza nella sua impotenza esistenziale.
Agostino d'Ippona, elevato al rango di Dio in terra, sente di amare il forestiero, ma il forestiero ama la sua violenza e il suo delirio di onnipotenza? Al forestiero, Agostino d'Ippona dà pane e vestiti, ma non la libertà di essere sé stesso.
Agostino d'Ippona, elevato al rango di Dio in terra, sente la necessità di dare giustizia all'orfano e alla vedova, solo che nel farlo non condanna sé stesso, né il proprio Dio, quali autori delle sofferenze dell'orfano e della vedova.
Agostino d'Ippona, elevato al rango di Dio in terra, si sente il "padrone" degli Dèi. Non tanto per essere il padrone degli Dèi, né gli Dèi dell'Olimpo, del Tartaro o dell'Ade, si sono mai presentati come padroni, ma per considerarsi padrone degli Esseri Umani che camminano con gli Dèi e in diritto di sterminarli in nome del suo Dio padrone.
Legittimare lo sterminio di uomini e popoli, questo alimenta l'idea di onnipotenza fra gli ebrei e questo alimenta l'idea di onnipotenza in Agostino d'Ippona.
"Quando Acan figlio di Zerach commise un'infrazione contro lo sterminio, l'ira del Signore non venne forse su tutta la comunità d'Israele, sebbene fosse un individuo solo? Non morì forse per la sua colpa? Allora quelli di Ruben, di Gad e la metà della tribù di Manasse risposero così ai capi delle migliaia d'Israele: "Dio degli dèi è il Signore! Dio degli dèi è il Signore! Egli lo sa, ma lo sappia anche Israele. Se abbiamo agito con ribellione o con infedeltà verso il Signore, egli non ci salvi oggi stesso! Se abbiamo costruito un altare per smettere di seguire il Signore, per offrirvi olocausti od oblazioni e per farvi sacrifici di comunione, il Signore stesso ce ne chieda conto!"
La libertà di sterminare è la libertà che Agostino d'Ippona rivendica per il proprio Dio. Per gli uomini rivendica la libertà di farsi sterminare per volontà e decisione di Agostino d'Ippona che si identifica con il Dio sterminatore.
Lui è lo sterminatore di coloro che hanno costruito altari per onorare altri Dèi. Il suo Dio è il Dio degli Dèi, il padrone degli Dèi, il padrone degli uomini e in diritto di macellarli per il proprio tornaconto personale.
La città di Dio di Agostino d'Ippona è una città fatta di sangue, dolore e morte. Un dolore del quale Agostino d'Ippona si compiace. Finalmente non è solo lui che vive nell'angoscia, ma ha fatto dell'angoscia un modo di essere di tutti gli abitanti del pianeta affinché anelino a quella città del padrone di Agostino d'Ippona in cui le loro sofferenze saranno moltiplicate per compiacere Agostino d'Ippona dandogli sollievo alla sua angoscia.
Per Agostino d'Ippona la città terrestre dei pagani deve essere distrutta. I Pagani non vivono nell'angoscia, vivono adattandosi alle condizioni del mondo e Agostino d'Ippona pensa bene a imporre condizioni criminali per rubare loro la felicità nell'abitare il mondo.
Le due città di Agostino d'Ippona non sono separate. Una pretende di occupare lo spazio dell'altra. Sia come spazio fisico che come spazio emotivo. O gli uomini sono liberi di affrontare la vita assieme ai loro Déi nella città terrestre; o gli uomini devono vivere nell'angoscia e nel terrore imposto dal Dio di Agostino d'Ippona in modo da dimettersi dal ruolo di cittadini diventando schiavi della speranza che Agostino d'Ippona provvede a rubare loro.
Dopo 1500 anni da Agostino d'Ippona la vediamo la città di Dio mentre il sangue degli uomini scorre per le strade e le loro ossa marciscono nel putridume dell'indifferenza.
NOTA: i passi della bibbia sono stati prelevati, per brevità, da siti web cristiani.
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