L'Universo in cui viviamo è Caos
Nessuno mette ordine in Caos: ogni soggetto si adatta e abita Caos con la propria volontà.
Agosto 2025: la Religione Pagana fra filosofia metafisica, psicologia, problemi sociali e cronaca quotidiana.
Argomenti del sito Religione Pagana
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31 agosto 2025
Perché è necessario affrontare il pensiero di Agostino d'Ippona per dimostrare che la Religione Pagana è maggiormente utile agli uomini che quella sconcezza quel è il cristianesimo?
E' necessario ricordare che Agostino d'Ippona fece una guerra contro i Pagani e, per farlo ha usato Platone, Stoici e neoplatonici. Se non si dimostra lo squallore ideologico di queste dottrine, non si può parlare di Paganesimo.
Scrive Karlheinz Deschner in "Storia criminale del cristianesimo":
E' facile intuire come, accanto a quella degli “eretici”, Agostino si adoperò anche per la repressione dei pagani. E questo nonostante la sua formazione fosse a tal punto debitrice nei riguardi della filosofia pagana, in particolare del neoplatonismo di Plotino, che egli stesso non esitava ad affermare che ciò che si definiva religione cristiana, esisteva nella sostanza già nel mondo antico, anzi sin dall’inizio del genere umano. “Dopo l’incarnazione di Cristo, la vera religione, che era esistita da sempre, prese a essere chiamata cristiana”. E aggiungeva: “Se i filosofi antichi vivessero ai nostri giorni, apportando qualche modifica alla loro dottrina, potrebbero essere definiti cristiani”. Di fatto erano talmente irrilevanti le differenze tra il cristianesimo e il neoplatonismo, sulla cui scia si muoveva Agostino, che, all’inizio del V secolo, il vescovo Sinesio di Cirene, condannò tutti i dogmi contrari alla dottrina neoplatonica.
Karlheinz Deschner in "Storia criminale del cristianesimo" vol. 1, Ariele Editore, 2000, pag. 430
Se non si affrontano le distorsioni ideologiche introdotte nella filosofia da Platone ed usate da Agostino d'Ippona per stuprare i pagani in nome del suo Dio assassino, è come se lasciassimo impunito uno dei maggiori assassini macellai dell'umanità.
La modificazione della concezione della struttura sociale introdotta da Agostino d'Ippona nella sua guerra contro ogni autorità che cerca di introdurre aperture sociali per rendere meno penosa la sottomissione delle persone, è quanto di più atroce abbia assistito la storia dell'umanità
Io non faccio il tifo per i nemici di Agostino all'interno del mondo cristiano, come Pelagio o Giuliano, perché erano tutti adoratori del Macellaio di Sodoma e Gomorra al di là di come interpretavano il suo diritto di macellare gli uomini.
C'era un mondo, politeista, dinamico, democratico con cui le società interpretava il mondo divino dove gli Dèi non erano i padroni degli uomini, ma partecipavano a "funzioni divine" che costituivano il mondo abitato dagli uomini e dagli Esseri della Natura.
In nome del diritto di trasformare gli uomini in schiavi, Agostino d'Ippona, aggredisce, diffama e fa macellare gli uomini in nome e per conto del suo Dio. Gli uomini devono diventare schiavi della sua morale. La morale di Agostino d'Ippona che si eleva al ruolo di Dio, di Dio padrone, in diritto di macellare gli uomini che manifestano sentimenti religiosi che lui non approva.
Con Agostino d'Ippona l'odio dei cristiani contro la vita si fa sostanza. I poveri sono poveri perché Dio ha decretato che siano poveri e in quanto tali devono rimanere poveri e amare i ricchi perché Dio ha decretato che loro devono essere ricchi.
Agostino d'Ippona rielabora il concetto di predestinazione divina introdotto da Paolo di Tarso che fa della schiavitù degli uomini manifestazione della volontà del suo Dio padrone.
Scrive Karlheinz Deschner
Con inaudita tenacia il vescovo di Ippona condusse la sua battaglia contro 1’“orrore degli idoli”, contro “i culti empi”, contro la “gentaglia pagana”, gli “impuri”, gli “spinti ripugnanti”, “tutti irrimediabilmente malvagi”: “allontanali, disprezzali”. Agostino dileggiava Giove il “seduttore” e le sue “detestabili imprese”. Condannava la “lascivia di Venere , il culto della Grande Madre, “un atto disgustoso, criminale, infamante”, e la Grande Madre stessa, definita un mostro” che, “con la schiera dei suoi giovani amanti a pagamento, contamina la terra e offende il cielo”. Per non dire di Saturno che addirittura supera la Grande Madre, “con la sua sfacciata crudeltà”. Peraltro Agostino - come faranno, in seguito, anche Tommaso d’Aquino o papa Pio II - difendeva la prostituzione, come strumento per evitare che “l’impeto delle passioni mandasse tutto in rovina”: la solita doppia morale cattolica! (Non di rado papi, come per esempio Sisto IV [1471-1484], promotore della festa dell’immacolata Concezione, nonché vescovi, abati, badesse di rinomati monasteri, mantenevano bordelli molto redditizi!) Agostino riproponeva contro il politeismo le solite viete argomentazioni, dalla materia inerte e dunque dall’insensibilità che caratterizzava gli idoli, alla loro incapacità di soccorrere l’uomo, fino all’identificazione degli idoli con i demoni.
In che modo il santo intendesse condurre il suo attacco al paganesimo, lo illustra in forma estremamente dettagliata la sua grande opera in 22 libri, espressamente diretta contro i pagani, dal titolo De civitate Dei (413-426), in seguito, una delle letture preferite di Carlo Magno. In essa Agostino, come sostiene van der Meer, “giudicava dall’alto la falsa cultura del mondo antico”, a favore - si sarebbe tentati di aggiungere - di una nuova cultura di gran lunga peggiore! e lo fa ricorrendo, ancora una volta, allo strumento delle falsificazioni. Nel De civitate Dei, l’idolatria veniva presentata come vizio capitale del mondo romano, quando in realtà il suo vizio, come del resto anche quello cristiano, era la brama di potere che spingeva a passare sopra i cadaveri; il politeismo si configurava come la causa principale della decadenza morale e del sacco di Roma del 410; il politeismo era la fonte di tutti i mali, le guerre, le discordie di cui risultava costellata la storia di Roma. In questa che è universalmente considerata la più grande opera di Agostino, il santo non si fece alcuno scrupolo di “screditare, attraverso consapevoli deformazioni”, il mondo degli idoli. Contro i pagani si servì di “tutti i mezzi”, compresa la “falsificazione delle citazioni”. “Menzogna e vergogna sono le due grandezze cui nell’ambito dell’idolatria, tutto è riconducibile” (Schultze).
Karlheinz Deschner in "Storia criminale del cristianesimo" vol. 1, Ariele Editore, 2000,p. 430/431
Il macello dei cristiani non è solo il macello delle persone fisiche, ma è soprattutto il macello della speranza esistenziale che la possibilità di un mondo di pensieri diversi permette di costruire.
I cristiani annientano il diritto di pensare, il diritto di percepire, il diritto di emozionarsi.
Per i cristiani gli uomini devono essere ricondotti alla "becera materia", schiavi obbedienti dei loro padroni come schiavi obbedienti alla volontà del Dio in cui Agostino d'Ippona si identifica.
L'aggressione fatta da Agostino d'Ippona ai Pagani equivale all'aggressione fatta da Hitler alla Polonia; i massacri incitati da Agostino contro eretici e Pagani, equivalgono ai campi di sterminio della Germania nazista.
La questione centrale non consiste nel fatto che Agostino d'Ippona abbia aggredito i pagani e incitato a macellarli, la questione centrale è che le condizioni, provocate dai macelli incitati da Agostino d'Ippona, impedivano ogni dibattito e ogni affermazione contraria alle farneticazioni deliranti di Agostino d'Ippona. Anche quando le affermazioni deliranti erano contestate anche da altri cristiani come Pelagio e Nastorio.
Genocidio, è la parola con la quale si può definire l'ideologia cristiana e l'ideologia cristiana di Agostino d'Ippona in particolare.
31 agosto 2025
Con l'uso ideologico e sociale della morte in Agostino d'Ippona, che è l'uso della morte che ne ha fatto e ne fa il cristianesimo come strumento di controllo degli uomini, concluderò la stesura dell'VIII volume della Teoria della Filosofia Aperta.
Si tratta di un viaggio nella filosofia metafisica iniziato, se non erro, nel 1995/1996 a Castelfranco Veneto, e ripreso nell'attuale sentiero il 25 aprile 2012. un lungo cammino di svelamento fra preconcetti soggettivi ed oggettivi in cui la realtà ideologico-religiosa della Religione Pagana veniva svelandosi giorno dopo giorno, post dopo post.
31 agosto 2025
Varrebbe la pena di riflettere su questo frammento di Empedocle (Akragas [Agrigento], tra il 484 e il 481 a.c – tra il 424 e il 421 a.c.).
17. Aezio, I 3, 20 [Pseudo-Plutarco, 878A] (DK 31 B 6)
Empedocle di Agrigento, figlio di Metone, dice che gli elementi sono quattro: fuoco, aria, acqua e terra, e due le forze dominanti, Philia (Amicizia) e Neikos (Contesa), di cui l'una unifica, l'altra, invece, separa. E si esprime così: infatti, ascolta dapprima le quattro radici di tutte le cose: Zeus splendente, Era portatrice di vita/nutrimento e Aidoneo [Ade] e Nestis [Persefone] che con le sue lacrime bagna la fonte mortale.
--fine frammento---Da: Laura Gemelli Marciano Vol. II, pag. 199
Sembra quasi un inizio della transizione delle idee dagli Dèi di Esiodo ed Omero agli elementi che sono Dèi in sé.
Il frammento ci fa intravvedere come i concetti religiosi erano molto più complessi di quanto il cristianesimo ha fatto intendere, ma soprattutto, con la presenza dei due elementi, citati nel frammento di Philia e Neikos, ci dimostra come il concetto religioso fosse centrato sulla trasformazione degli elementi. La contraddizione era alla base dell'esistenza e il conflitto, che risolve gli elementi in contrapposizione, era concepito come una continua modificazione del presente con il venir in essere di realtà modificate da realtà che l'hanno preceduta.
Pagina specifica dell'argomento
30 agosto 2025
Sesto Empirico (160 circa – 210 circa) è un filosofo "scettico" di cui nulla si sa della sua vita. Di lui ci sono pervenuti numerosi scritti che ci raccontano delle correnti filosofiche dello scetticismo e numerose informazioni relative alla filosofia del secondo, terzo secolo d.c..
Sesto Empirico ci fornisce citazioni del pensiero di Empedocle particolarmente interessante.
Dice: "Il criterio di verità non sono le sensazioni, ma la retta ragione."
La verità e la menzogna che inganna, appartengono sempre alla ragione. Se parliamo della verità delle cose, necessariamente parliamo delle cose in sé, che non son tali in sé alla nostra ragione, ma sono tali per noi, per come noi le percepiamo e le descriviamo. Questo "descrivere le cose" che vengono percepite, noi lo chiamiamo "criterio di verità della ragione". Un criterio di verità che non si riferisce alla cosa in sé stessa, ma solo per il giudizio che della cosa noi formuliamo per come noi la percepiamo. Un criterio di verità soggettivo determinato dalla nostra ragione che elabora la percezione.
Aggiunge ancora Sesto Empirico citando Empedocle: "della retta ragione, una è divina e l'altra umana".
In sostanza, secondo Empedocle, le ragioni che ha l'uomo sono due, una che riguarda la ragione umana e l'altra una ragione divina. Una ragione che elabora la percezione delle cose, ma obbedisce a criteri diversi, a modalità diverse, a sostanze diverse, che sono riconducibili alla natura divina separata e ignorata dalla ragione umana.
Di queste ragioni, dice Empedocle, una è quella umana e noi la riempiamo di parole, la possiamo esprimere; l'altra ragione, quella divina, non è esprimibile. Non usa le parole, ma noi la possiamo abitare anche se la conoscenza di quella ragione rimane sconosciuta alla ragione umana.
Direi che fosse chiaro in Empedocle il concetto di Daimon, la parte divina degli Esseri della Natura, che cresce dentro ogni Essere e che attiva un suo modo di percepire la realtà in cui l'uomo vive, la elabora e, in questa realtà, costruisce le relazioni con gli aspetti divini dell'oggettività in cui l'uomo vive.
Probabilmente è da questo concetto che nasce l'idea dei "demoni" mediatori fra gli uomini e gli Dèi in Platone e nei medio platonici.
L'uomo parla con gli Dèi attraverso la sua parte divina, il suo Daimon, che altro non è che un corpo di energia emotiva, la stessa sostanza di cui è costituito il corpo degli Dèi. La vita degli Esseri della Natura è un processo attraverso il quale, vivendo, il corpo plasma la propria energia emotiva costruendo il proprio corpo luminoso, il proprio Daimon, che da quando inizia a crescere è si in relazione col proprio corpo fisico che abita il mondo, ma costruisce anche relazioni e percezioni con i corpi di energia emotiva, energia vitale, che abitano il mondo degli Esseri della Natura.
Riflette Sesto Empirico riportato da Laura Gemelli Marciano che riprende la citazione dal Diels Kranz:
7. Sesto Empirico, Contro i Matematici VII 122-4 (DK 31 B 2)
122. Altri, però, dicevano che, secondo Empedocle, il criterio di verità non sono le sensazioni, ma la retta ragione, e della retta ragione, una è divina, l'altra umana. Fra queste quella divina è inesprimibile, quella umana, invece, si può esprimere.
123. E riguardo al fatto che il criterio di verità non sta nelle sensazioni dice così:
"infatti, strette palme/angusti artifici sono diffuse/i per le membra,
molte cose futili vi cozzano contro, che ottundono le cure.
E, dopo aver osservato, nelle loro esistenze, un breve scorcio di vita,
rapidi a morire, sollevati in alto come fumo, se ne volano via,
solo di quello persuasi, in cui ognuno si è imbattuto per caso,
sospinti in ogni dove, ma [ognuno} si vanta, da stolto, di aver trovato il tutto.
Così queste cose non possono essere viste dagli uomini, né udite,
né comprese con la mente."
124. In quanto all'assunto che la verità non è del tutto inafferrabile, ma si può cogliere fin dove giunge la ragione umana, egli lo rende chiaro aggiungendo alle parole precedenti [queste]:
"tu, però, poiché ti sei ritirato fin qui,
lo apprenderai; certo, non più oltre può spingersi umano ingegno."
Laura Gemelli Marciano, Da Velia ad Agrigento, Ed. Valla, 2024, pag. 187/189
Il poetare di Empedocle appare abbastanza chiaro anche se non sono chiari, almeno per me, i modi di dire.
La futilità si presenta all'uomo che perde acutezza e vivacità intorpidendosi. Intorpidendo la propria percezione e alimentando le illusioni. Così gli uomini, dopo aver osservato nella loro breve vita uno scorcio dell'esistenza, se ne volano via persuasi che ciò che nella loro vita si sono imbattuti è tutta la realtà dell'esistente. Ognuno si vanta di aver scoperto la realtà, ma è solo un illuso che pensa di aver trovato il tutto.
L'immenso, dice Empedocle, non può essere visto dagli uomini, né udito e nemmeno compreso con la mente. Per la ragione umana è inconoscibile Caos perché la ragione umana non può ridurre la realtà in sé ad una forma né separare ciò che la compone perché, davanti ad essa, è smarrita.
Ciò che il Daimon dell'uomo percepisce è inconoscibile per la ragione umana. Solo che gli oggetti percepiti dal Daimon sono gli stessi oggetti percepiti dalla ragione umana, che limita la percezione dell'oggetto in sé, per poterlo descrivere e racchiuderlo in una forma della quale può parlare.
La ragione umana costruisce la sua verità delle cose. Che non è la verità delle cose in sé, ma è la verità della percezione umana della cosa che percepisce. Una frazione della cosa in sé con cui la ragione umana identifica quella cosa più o meno consapevole che ciò che percepisce e descrive non è la cosa in sé, ma solo la sua rappresentazione, limitata e circoscritta, della cosa in sé.
La ragione umana, legata al corpo, fin là fa giungere la sua conoscenza, la sua verità, ma non oltre. Come per il feto la cui conoscenza è circoscritta alla pulsioni emotive che dalla madre giungono a lui, ma non può percepire il mondo vissuto dalla madre e dal quale riceve gli impulsi emotivi. Fin là può giungere, ma non oltre.
Le idee di Empedocle erano incomprensibili da parte di Platone.
Pagina specifica dell'argomento
29 agosto 2025
Nel post precedente relativo alla Contemplazione, avevo scritto:
'"La ragione, messa da parte dalla contemplazione, tenta di riprendere il controllo dell'individuo mediante forme di delirio di onnipotenza. Le immagini allucinatorie vengono alimentate dalla ragione facendo credere all'individuo di essere al centro di un '"interesse divino'" o di "possedere il dono...'" da super uomo o super donna.
Le sensazioni che permettono all'individuo di anticipare fatti o accadimenti futuri, fenomeni presenti in maniera massiccia nella prima fase dell'attività del contemplatore prima che la ristrutturazione neuronale e sinapsica sia completata, vengono usati dalla ragione per far credere all'individuo di essere un superuomo che vede il futuro.
L'individuo si illude che continuando gli esercizi della contemplazione aumenterà la sua capacità di vedere '"ancora meglio e con più precisione'" il futuro. Invece, quando la ristrutturazione neuronale si è completata non solo le allucinazioni di quell'anticipazione del futuro possibile scompaiono, ma l'illusione di poterlo fare in modo sempre più perfetto ha creato nuove e diverse barriere per impedire alla nuova ristrutturazione neuronale di supportare adeguatamente la sua coscienza."
Questo non è scritto a caso e appartiene, come tutti gli elementi del Crogiolo dello Stregone, all'esperienza personale.
Quando con la contemplazione si aprono '"le porte della percezione'", cioè la capacità dell'individuo di portare alla coscienza elaborazioni della realtà vissuta fatte con la parte interna e antica del cervello (gli antichi direbbero '"liberare i Titani dal Tartaro'" oppure '"aprire le bronzee porte del Tartaro'"), l'inizio avviene spesso, così nel mio caso, per allucinazioni o percezione rivestita da aspettative soggettive che si presentano come allucinazioni.
Il problema da risolvere, per chi pratica contemplazione, è stabilire quando è allucinazione, quando è percezione e quando si tratta di un'allucinazione che riveste una percezione.
Quando iniziai il mio percorso di Stregoneria, oltre quaranta anni or sono, io fui costretto ad affrontare questo problema. La prima cosa che feci, probabilmente in seguito alle mie scelte di vita, fu quello di non permettere alle allucinazioni o alla percezione allucinatoria di interferire o di '"guidare'" il proseguo della mia attività.
Allora io non potevo distinguere fra allucinazioni e percezioni. Il pericolo di abbandonarsi alle illusioni fornite dalle visioni allucinatorie o dalle percezioni trasformate in immagini allucinatorie, era molto forte.
Abbandonarsi alle illusioni era una tentazione straordinariamente affascinante. Avrebbe interrotto l'attività di contemplazione che in quel periodo, sto parlando fra il 1983 e il 1985, io esercitavo nei confronti della luna piena. Ad ogni luna piena io mi sedevo in terrazza, ascoltavo la musica del Bolero di Ravel e contemplavo la Luna fermando il dialogo interno.
Una parte delle visioni che ebbi le ho raccontate nei vari scritti. Tali visioni, in cui proiettavo me stesso, furono descritte nella quarta parte della prima stesura del Libero dell'Anticristo. Quella quarta parte va sotto il nome di '"Il libro degli Stregoni'". Un libro che non è mai stato reso pubblico perché è difficile, nelle visioni allucinatorie, distinguere quanto può essere reale, in relazione alla realtà vissuta dalla ragione, e quanto deve essere confinato in un immaginario da tenere accuratamente distinto dalla quotidianità.
Quel capitolo è '"tutto sbagliato'". Nel senso che i riferimenti che fanno funzionare quello che dico, sono tutti presi dalle nozioni culturali o dai ricordi che avevo in quel tempo. L'unica cosa esatta è il meccanismo della nascita della Stregoneria. Motivo, intenti e fini. Il meccanismo è reale, non la forma o la rappresentazione.
Riguardando oggi quelle storie, mi rendo conto che rappresentano la descrizione, fatta con la mia fantasia, di come alcuni '"antichi'" costruirono e modificarono la vita perché la modificazione del presente in cui vivevo coinvolgeva l'Intento della mia vita.
Altre persone che praticano Contemplazione, con altri Intenti, hanno visioni diverse.
Non possono non avere delle visioni perché la contemplazione spinge alla modificazione della struttura neuronale e per farlo il cervello rilascia naturalmente una serie di sostanze allucinatorie al fine di favorire la costruzione di diverse connessioni neuronali (simil mescalina e simil marijuana fra l'altro...) che producono effetti allucinatori e spesso simili agli effetti della schizofrenia.
Solo che, a differenza degli ammalati o dei drogati, il contemplatore ha il controllo sugli effetti allucinatori e li può gestire senza mettere in pericolo la sua vita quotidiana. Come uno sciamano.
Fine quindicesima parte... Continua... con "gli aspetti delle Tre Arti Magiche in Stregoneria - Riflessioni scientifiche sugli effetti della Contemplazione nella modificazione delle connessioni neuronali.
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28 agosto 2025
Laura Gemelli Marciano, a proposito di Empedocle e della sua miracolistica, sostiene che, a differenza di quanto affermato sia da Platone che dai moderni critici, se Empedocle, in qualche modo, non avesse portato a buon fine quanto millantava in relazione al suo potere di fare "miracoli", non avrebbe ottenuto quella fama che ottenne. Portare a buon fine significa o raggiungere l'obbiettivo prefissato o far credere di aver raggiunto l'obbiettivo prefissato.
Scrive Laura Gemelli Marciano:
Nella Sicilia del V secolo a.C. non ci si accontentava di sole finzioni letterarie; individui e città sofferenti richiedevano atti concreti e immediati. Inoltre, purificatori e guaritori, grazie al loro carisma e al fatto che rispondevano efficacemente alle necessità di chi a loro si rivolgeva, godevano di prestigio e autorità molto maggiori di quanto si possa dedurre dalle sbrigative e sprezzanti descrizioni di Platone e, sulla sua scia, degli interpreti moderni.
Laura Gemelli Marciano, Da Velia ad Agrigento, Ed. Valla, 2024, pag. 125
Empedocle dichiarava che, essendo diventato un Dio, aveva il potere di modificare la realtà e, proprio perché aveva il potere di fare miracoli, la sua filosofia, le sue affermazioni, dovevano essere necessariamente vere. In sostanza, lo dice il Dio.
E' la stessa tecnica usata dagli evangelisti nei loro vangeli. Raccontano dei miracoli di Gesù, ma omettono di definire il pensiero religioso di Gesù presupponendo che sia religione solo la sottomissione a Gesù che dichiara di essere il figlio del Dio padrone. Sono i "miracoli" che testimonierebbero la divinità di Gesù, come se fare miracoli non fosse stata la norma di ogni millantatore per molti secoli prima di lui.
La stessa cosa, scrive Laura Gemelli Marciano, è stata fatta da Pitagora e da Parmenide (definito "medico"). Se non raggiungevano obbiettivi per quanto affermavano, il loro pensiero non sarebbe stato preso in considerazione.
Scrive Laura Gemelli Marciano:
Nella Sicilia del V secolo a.C. non ci si accontentava di sole finzioni letterarie; individui e città sofferenti richiedevano atti concreti e immediati. Inoltre, purificatori e guaritori, grazie al loro carisma e al fatto che rispondevano efficacemente alle necessità di chi a loro si rivolgeva, godevano di prestigio e autorità molto maggiori di quanto si possa dedurre dalle sbrigative e sprezzanti descrizioni di Platone e, sulla sua scia, degli interpreti moderni. Ritornando al discorso della derivazione dai poemi delle azioni straordinarie attribuite a Empedocle, vale la pena riportare almeno un esempio a dimostrazione della debolezza di questa ipotesi. La promessa all'allievo, nel fr. 8, 7-9, di conferirgli il dominio sui venti avrebbe generato, secondo gli interpreti antichi e moderni, la sua fama di "dominatore dei venti" con relativi aneddoti. Laura Gemelli Marciano, Da Velia ad Agrigento, Ed. Valla, 2024, pag. 126
In pratica, Empedocle dichiarava di avere il controllo dei venti e a tal proposito venivano riportati racconti delle sue gesta. Fra l'altro, l'aver organizzato un sacrificio di asini con la cui pelle avrebbe fatto degli otri con cui imprigionare i venti.
Questo meccanismo, dell'uomo che fa miracoli e che, pertanto, è portatore di una verità ideologica, lo vedremo riprodotto e veicolato in varie epoche storiche.
Scrive Laura Gemelli Marciano:
Lo storico siculo Timeo di Tauromenio (IV secolo a.C.) riferisce a questo proposito un evento di cui Empedocle sarebbe stato protagonista. Poiché i venti etesii soffiavano furiosamente mettendo in pericolo i raccolti, egli avrebbe fatto scuoiare degli asini per farne, con le pelli, otri da installare sulle colline intorno e arrestarne la furia; per questo sarebbe stato denominato "colui che trattiene i venti" (1 A, 46-51). Secondo gli interpreti moderni, questo aneddoto, riportato in diverse varianti più o meno razionalizzate anche da Plutarco, Clemente Alessandrino e altri autori (cfr. nota a 1 A, 48-51), sarebbe derivato non solo dal fr. 8, ma anche dal famoso episodio dell'Odissea (X 19 sgg.), in cui Eolo consegna a Odisseo l'otre che racchiude i venti tempestosi. Empedocle avrebbe preso spunto proprio da questo passo per sottolineare la sua somiglianza col mitico dominatore dei venti. Queste semplicistiche spiegazioni, però, passano sotto silenzio il fatto che la figura del "dominatore dei venti" non era solo mitica, ma concreta e operante, oltre che nel mondo iranico, anche in territorio greco.
Laura Gemelli Marciano, Da Velia ad Agrigento, Ed. Valla, 2024, pag. 126
Dominare i venti, controllarli, impedire ai venti di fare danni, era sicuramente considerato un atto di potere del mago rispetto agli altri uomini che si limitavano a proteggersi dalla violenza dei venti. Come rileva la ricercatrice, dominare i venti era un'attività da "maghi" molto diffusa nell'antichità. Non solo nell'ambiente iraniano, ma anche a Corinto operava un gruppo denominato "quelli che placano i venti".
Del miracolo di Empedocle ne parla anche Plutarco, Clemente Alessandrino e altri autori, Sta a dimostrare che la miracolistica di Empedocle era conosciuta non solo in ambito greco, col disprezzo che Platone gli mostrava, ma anche a livello popolare, altrimenti Platone l'avrebbe ignorata.
Empedocle fece sacrificare degli asini con la cui pelle fece costruire degli otri che, piazzati nella direzione dei venti dovevano imprigionare i venti. Ovviamente, qualche risultato deve averlo ottenuto, altrimenti sarebbe stato insultato e denigrato dalla popolazione.
La questione riguarda il modo di concepire la vita di Empedocle opposta al modo di concepire la vita di Platone.
Scrive Laura Gemelli Marciano:
Per comprendere il personaggio Empedocle è necessario staccarsi dalla concezione platonica che vede come vero sophos solo il dio; l'uomo può essere solo un philo-sophos sempre desideroso di sapere e capace di discussione dialettica, ma anche conscio di non arrivare mai del tutto a colmare la propria ignoranza (Phaedr. 2780!). Per questo Platone, anche quando accenna alla possibilità che esistano uomini "sapienti", li fa sparire subito dall'orizzonte del discorso come poco interessanti: infatti, essi non sarebbero filosofi perché già sanno {Lys. n8a;Symp. 204a). Significativamente, il suo allievo Eraclide Pontico (fr. 87 Wehrli) afferma che solo il dio è sophos, mentre l'uomo può essere unicamente philo-sophos, proiet tando tale concezione su Pitagora (cfr. anche Gemelli-Marciano I, Pitagora e i pitagorici antichi, 24 e nota). Con questa trasposizione della vera sophia dall'uomo al dio viene cancellata, con un colpo di spugna, tutta la tradizione degli "uomini divini", come Epimenide, Pitagora, Empedocle e altri come loro, la cui "sapienza" presuppone non un sapere teorico acquisito attraverso interminabili discussioni dialettiche, ma il raggiungimento dello statuto divino attraverso un percorso di iniziazione.
Laura Gemelli Marciano, Da Velia ad Agrigento, Ed. Valla, 2024, pag. 127-128
Platone non concepisce la formazione della sapienza. Per Platone, la conoscenza dell'uomo non è quella che l'uomo costruisce durante la sua esistenza, ma è quella che ricorda mediante la reminiscenza delle sue vite passate. L'uomo ricorda, non costruisce la sua conoscenza.
Non esiste in Platone il processo di costruzione della propria coscienza in quanto tutto dipende dall'anima che è indipendente dal corpo dell'uomo.
Pertanto, la sapienza e la conoscenza sono condizioni statiche, che si hanno o non si hanno, e l'unico soggetto che può averla è il Dio.
Scrive Platone:
Nessuno degli dèi fa filosofia, né desidera diventare sapiente, dal momento che lo è già. E chiunque altro sia sapiente, non filosofa. Ma neppure gli ignoranti fanno filosofia, né desiderano diventare sapienti. Infatti, l'ignoranza ha proprio questo di penoso: chi non e né bello né buono né saggio, ritiene invece di esserlo in modo conveniente. E, in effetti, colui che non ritiene di essere bisognoso, non desidera ciò di cui non ritiene di aver bisogno".
Simposio, 204 A
Questo modo di concepire l'uomo è l'opposto dell'orfismo e della stessa filosofia di Empedocle dove Empedocle è consapevole di aver costruito la sua sapienza, la sua conoscenza, e, attraverso questa di essersi trasformato in un Dio. Al di là di come veicolerà la sua concezione di essere un Dio.
Il punto chiave della questione è che, secondo Empedocle, "Dio si diventa", mentre secondo Platone o si è un Dio, e allora si possiede la sapienza, o non si è un Dio e allora si può solo essere "amico della sapienza" cioè amico del Dio che possiede la sapienza.
C'è anche un'altra contrapposizione fra Platone ed Empedocle. La formazione della conoscenza filosofica, secondo Platone, si forma mediante la dialettica che, alla fine, è solo dialettica sofista priva di contenuti, come dimostrano i suoi dialoghi. Per Empedocle la formazione della conoscenza filosofica si forma mediante l'iniziazione e il cammino che il filosofo mette in atto nella non conoscenza per trasformala in conoscenza e farla propria In Platone, l'uomo non ha conoscenza e sapere; in Empedocle l'uomo costruisce il proprio sapere e la propria conoscenza.
Il percorso dell'iniziato è il percorso attraverso il quale l'uomo forma la sua conoscenza, il suo sapere e, ad ogni passo, si trasforma in un Dio perché, per formare la sua conoscenza, ha usato le sue emozione e la sua volontà. Empedocle che controlla i venti, molto probabilmente, ispira gli scrittori dei vangeli che non si accontentano del controllo dei venti, ma serve loro per affermare un Gesù "padrone dei venti".
Mentre Platone deride Empedocle e il suo cammino di conoscenza per diventare un Dio, i cristiani, affermando che il loro Gesù è un Dio, attingono al racconto con cui Empedocle ferma il vento descrivendo un Gesù "padrone del vento".
Scrive Marco nel suo Vangelo:
35In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: "Passiamo all'altra riva". 36E, congedata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. 37Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. 38Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: "Maestro, non t'importa che siamo perduti?". 39Si destò, minacciò il vento e disse al mare: "Taci, calmati!". Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. 40Poi disse loro: "Perché avete paura? Non avete ancora fede?". 41E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: "Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?".
Vangelo di Marco 4, 35-41
Nelle religioni pre-filosofiche si definiva un figlio di un Dio colui la cui forza, il cui coraggio o la cui conoscenza era utile alla vita degli uomini.
Ercole ha la forza e, mediante la forza, affronta il Leone di Nemea che terrorizzava la popolazione. Che piaccia o meno, Empedocle ha la conoscenza attraverso la quale organizza dei rituali con cui ferma il vento che danneggiava le persone. Gesù pensa solo a sé stesso e rimprovera i suoi adepti perché hanno avuto paura, Per contro, Platone deride Empedocle, il suo percorso di iniziazione, e pensa di ridurlo al rango di "filosofo della natura" che, detto da un filosofo ontologico, suona come un insulto.
A Gesù interessa solo essere riconosciuto come il padrone a cui anche il vento e il mare gli obbediscono (sempre che fosse un mare); ad Empedocle interessava acquisire fama salvando la città dai venti; a Platone interessava denigrare Empedocle per negare l'esistenza di una trasformazione che permetteva agli uomini di acquisire la sapienza che lui voleva relegarla a strumento dei Dio come potere sugli uomini.
Elaborano il loro pensiero a seconda dei loro interessi soggettivi.
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27 agosto 2025
I Pagani celebrano la Devotio per ricordare che il mondo è un "Crogiolo di Dèi". Sia come insieme del mondo in cui viviamo, che l'insieme che ognuno di noi chiama "Io".
La Devotio induce il Pagano a riconoscere gli Dèi dentro sé stesso, riconoscerli nel mondo e riconoscerli in ogni sé stesso con cui viene in relazione.
La Devotio che viene recitata per ricordare gli Dèi presso il Bosco Sacro ad opera della Federazione Pagana è una selezione delle divinità proprie dell'Antica Religione di Roma. Ma si possono creare Devotio a seconda delle specifiche sensibilità delle persone nelle diverse culture.
L'elemento centrale del rito non è la forma della Devotio, ma la relazione emotiva che il partecipante alla Devotio crea con il mondo in cui vive.
Invocazioni della Devotio nella Religione Pagana
La Devotio appartiene all'attività di iniziazione propria della Religione Pagana.
Che cos'è l'iniziazione?
E' la presa di coscienza delle persone che sono ciò che sono perché sono diventate così trasformazione dopo trasformazione. Le trasformazioni sono state subite dalle persone. Alle condizioni oggettive che le persone incontravano si sono adattate e questo adattamento costituisce la trasformazione soggettiva. Il venir in essere della persona che ora si presenta a noi.
Diventare consapevoli che noi ci trasformiamo continuamente ci costringe a porci il problema su come ci trasformiamo e in che cosa ci trasformiamo.
Chiederci: cosa vogliamo diventare?; come vogliamo percepire il mondo?; quale meta vogliamo raggiungere?.
E nel contempo mettere in atto azioni e scelte per ottemperare ai propri propositi. Propositi che l'iniziato non realizzerà mai perché una volta che inizia il cammino è il cammino stesso, che lui ha scelto, che lo guida su obbiettivi e su propositi che l'iniziato nemmeno immaginava.
Una parte antica che abita dentro di noi prende il spravvento sulle nostre scelte e il noi stessi, che la ragione ignora perché lo ha separato dalla coscienza, inizia a mandarci segnali che ci guidano in quel cammino il cui unico scopo è il cammino stesso in cui l'iniziato si trasforma.
L'iniziato non è umile davanti a "Dio", l'iniziato si prende in mano la responsabilità della propria vita ed egli stesso è il Dio che percorre il proprio sentiero in un mondo di Dèi. L'iniziato tratta gli Dè alla pari di sé esattamente come tratta alla pari di sé ogni uomo o donna che incontra. Come tratta alla pari di sé ogni animale e ogni vegetale. Rispetto, anche quando sono necessarie azioni distruttive, è ciò che guida l'abitare il mondo dell'iniziato.
La Devotio che recitiamo presso il Bosco Sacro ci ricorda questo: noi non abitiamo solo un mondo pieno di Dèi, noi stessi siamo il Dio che con gli Dè costruisce le relazioni.
Invocazioni della Devotio nella Religione Pagana
Noi non sappiamo quanto tempo di vita abbiamo a disposizione. Non sappiamo se moriremo domani. Ogni attimo in cui noi leghiamo le nostre emozioni alle emozioni degli oggetti nel mondo in cui viviamo, noi diventiamo sempre più potenti.
Non acquisiamo potere di dominare altri, acquisiamo potere d'esistenza. In altre parole, acquisiamo potere per affermare il nostro diritto di essere nel mondo mentre soddisfiamo i nostri bisogni e i nostri desideri.
L'Iniziato non prega il Dio che lo soccorra; l'iniziato mette in atto le sue strategie per far in modo che i problemi si possano risolvere col maggior vantaggio possibile.
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26 agosto 2025
Penso che in questa frase di Laura Gemelli Marciano venga identificata la differenza fra chi percorre un cammino di trasformazione, cosciente della trasformazione di sé stesso e chi, al contrario, evoca l'umiltà per sottomettersi ad un Dio, come Platone o i cristiani:
Le reiterate dichiarazioni di umiltà, secondo cui l'uomo è un nulla nei confronti del dio, celano l'altra faccia, di sicuro meno trionfalisticamente modesta, della medaglia: la volontà di sottrarsi a un percorso di vita, costellato di dure prove, di sofferenze e di rinunce a sé stessi come individui, ma anche alle responsabilità pratiche che la presa di coscienza della propria essenza divina comporta.
Con Platone, dunque, il concetto e l'ambito della Sophia si restringono: non sono più un agire, un entrare nel mondo divino e divenirne partecipe con tutto ciò che ne consegue a livello di azione pratica nel mondo, ma un parlare astratto sul tema e, in definitiva, una fuga dal mondo.
Laura Gemelli Marciano, Da Velia ad Agrigento, Ed. Valla, 2024, pag. 129
Ogni affermazione, per quanto può fornire un punto di vista, implicitamente ne fornisce altri anche se sugli altri punti di vista tende a distrarre l'attenzione di chi osserva.
I cristiani vanno orgogliosi della loro sottomissione al loro Dio, ma, soprattutto, vanno orgogliosi quando umiliano le persona affinché si sottomettano al loro Dio.
Nell'ideologia cristiana non c'è trasformazione e, pertanto, non c'è iniziazione, c'è solo l'umiltà con cui il cristiano si deve sottomettere alla verità che è il suo Gesù. Il cristiano non dirà mai che Gesù dice stupidaggini perché, identificandosi con Gesù, si prostra davanti al suo Dio, il Macellaio di Sodoma e Gomorra, e pretende che tutti lo omaggino agendo ad imitazione del Macellaio di Sodoma e Gomorra.
23 agosto 2025
La filosofia soffre dell'arroganza criminale dei filosofi ontologici che offendono ed ingiuriano quei filosofi che, non usando il delirio come base per le loro affermazioni, tendono ad analizzare la realtà per quello che è e non per quello che un qualche delirio immaginario vuole farla apparire.
Scrive Laura Gemelli Marciano sulle idee che Platone aveva di Museo e degli Orfici:
Non a caso l'immagine che egli [Platone] offre dei seguaci di Orfeo e Museo è quella di vagabondi che bussano alle porte dei ricchi offrendo iniziazioni consistenti solo in banchetti e simposi senza alcun altro carico o responsabilità. La dicotomia, diffusa fra gli studiosi moderni, fra orfici, che si limiterebbero al rituale senza implicazioni etiche, e pitagorici, che invece impostano il percorso su un sistema di vita regolato da precetti etico-religiosi, è in parte una diretta conseguenza di questa presentazione platonica che ha volutamente sottaciuto le implicazioni morali del percorso iniziatico.
Laura Gemelli Marciano, Da Velia ad Agrigento, Ed. Valla, 2024, pag. 129
Penso che abbia individuato perfettamente, se non l'inizio, ma quasi, della moderna contrapposizione fra strutture di pensiero che da allora, ancor oggi, sia pur veicolate in maniera diversa, caratterizzano l'ideologia religiosa e sociale del mondo in cui viviamo.
Che Pitagora e quanti lo seguono siano vissuti per diffamare gli Orfici e i poeti come Omero ed Esiodo, è sufficientemente documentato. Ciò che non è documentato è l'incapacità di Pitagora e di chi fa proprie le sue affermazioni, di opporre affermazioni diverse al pensiero degli orfici, al pensiero di Esiodo e al pensiero di Omero.
A mio avviso, come ho documentato, sia Orfeo che Omero ed Esiodo, erano portatori di sistemi filosofici complessi. Troppo complessi per un Platone che vedeva nello schiavismo la legittimazione delle sue società ideali. L'unico modo che avevano Pitagora e Platone di affrontare la filosofia di Esiodo, Omero e Orfeo, era quella di ignorarla definendola come “spazzatura” con la quale non valeva la pena confrontarsi. Lo stesso vale, per quanto riguarda Platone, il suo atteggiamento nei confronti di Democrito del quale voleva bruciarne i libri.
La scusa adottata dai filosofi ontologici per offendere Orfeo, Omero ed Esiodo consisteva nel fatto che la poesia presentava gli Dèi in forma antropomorfica mentre i filosofi ontologici, per la loro malattia mentale, abbisognavano di figure astratte, indefinite e sottomesse all'immaginazione della loro onnipotenza. Infatti, gli ontologici parlano di un Uno, di un tutto, di un Artefice, di un Creatore con cui si identificano e al quale tutto si deve sottomettere. Cosa che non avviene né con Orfeo, Omero ed Esiodo la cui forma antropomorfica degli Dèi è somma di simboli di una realtà religiosa alla quale Pitagora, Parmenide, Platone, Aristotele e altri sono estranei.
Se non prendiamo atto di questo, non possiamo nemmeno capire la filosofia e le ambiguità sociali che stiamo oggi vivendo.
Se non prendiamo atto di questo, non riusciamo nemmeno a capire come mai personaggi come Emanuele Severino e Galimberti non si sono accorti (o hanno fatto finta di non accorgersi) che le idee di Heidegger, che loro incensavano, appartenevano ai fondamenti ideologici del nazismo.
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23 agosto 2025
Sospensione del caricamento pagine fino al giorno 25 agosto a causa dei problemi generati da una piccola inondazione.
Nulla di grave. Solo che richiede lavoro di pulizia, sistemazione garage, eliminazione materiale danneggiato e quant'altro.
Il mio condominio, essendo mezzo metro più basso del livello della strada, ha sofferto maggiormente della stagnazione dell'acqua.
23 agosto 2025
Marco Terenzio Varrone nato il 116 a.c. e morto nel 27 a.c.
Varrone scrive: La raccolta di volumi Antiquitates rerum humanarum et divinarum sui costumi, sui miti e sulla religione di Roma.
Varrone è un contemporaneo di Cicerone e parteciperà alle guerre civili.
Il libro di Varrone è un libro andato perduto, ma il suo contenuto può essere in parte ricostruito grazie alle molte citazioni che si trovano nel De Civitate Dei di Agostino d'Ippona.
Il paradosso è che, oggi come oggi, se si vuole tentare di conoscere com'era la Religione di Roma è necessario leggere gli insulti e le ingiurie che ad essa vennero rivolte da Agostino d'Ippona.
Si separa il dato esposto dall'insulto per il quale il dato è stato esposto. Si prende il dato e lo si colloca nell'insieme della vita delle persone e questo ci rivela com'era il sentimento religioso che Agostino d'Ippona insulta per il proprio interesse.
La questione è che senza Varrone e l'aggressione fatta a Varrone da Agostino d'Ippona, noi non avremmo avuto quasi nessuna documentazione sulla religione di Roma Antica che non fosse quella dell'impero. Varrone ha scritto della religione come pratica religiosa delle persone.
Lo stesso Ovidio, quando scrive i Fasti, attinge da Varrone (morto da circa 30 anni). Le intenzioni fra la scrittura di Varrone della religione di Roma di Varrone e quella di Ovidio sono diverse. Ovidio deve ingraziarsi l'imperatore Augusto. Pertanto, le finalità dell'esposizione dei principi religiosi in Varrone non ha nulla a che vedere con le finalità di esaltazione dell'imperatore in Ovidio.
Ricordo che un gruppo nazista che voleva farsi passare per "pagano" mi prese in giro e mi insultò quando parlai dei costumi di Roma estratti dalla "La città di Dio contro i pagani" di Agostino d'Ippona. Per loro gli Dèi di Roma erano solo gli Dèi dell'imperatore e della Religione di Roma non interessava altro.
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22 agosto 2025
Ci sono molte analogie fra l'inizio del cammino nella filosofia metafisica e l'ingresso di Dante nel suo inferno.
La filosofia metafisica è un inferno, una foresta infernale, fra filosofi che proclamano i loro principi da quasi 3000 anni e utilizzatori di quei principi che fra propaganda e distorsione del principio stesso tendono a creare sempre nuove "verità" da vendere come una batteria di piatti al mercato rionale.
Se pensiamo ai filosofi come degli alberi di una foresta, gli utilizzatori e i fruitori di quella filosofia sono come cespugli spinosi che formano barriere affinché nessuno si avvicini all'albero e non ne analizzi né i principi né gli effetti che hanno i principi.
L'uomo che affronta la foresta della filosofia, dopo aver lavorato per riparare macchine per scrivere e fotocopiatori, nel mezzo del cammin della sua vita si ritrovò in una selva oscura che la dritta via era smarrita.
La dritta via del credere che ciò che razionalizzava nella sua quotidianità fosse ciò che era nella realtà in cui viveva.
Improvvisamente i confini sfumarono ciò che avrebbe dovuto essere non era e la forma delle cose divenne nebbia a mano a mano che la realtà gli mostrava l'illusione della sua rappresentazione.
Perdere le certezze delle credenze costruite in decenni di vita era una cosa dura e la selva del pensiero umano gli appariva selvaggia e aspra come mai aveva immaginato.
Tant'è amaro scoprirsi vittima di illusioni dove ragione fu portata a morte e l'emozione fermava il respiro nella gola.
So perché entrai in quella foresta, necessità del cammino e insoddisfazione in un'esistenza che appariva, ogni giorno, sempre più triste ed indigesta.
Passo dopo passo mi ritrovai a pugnar con i giacobini che mi spinsero avanti in un fragor di desideri che sembravano senza fine.
Troppa fatica attraversò le mie membra, desideravo tornare, ma quando mi voltai ogni strada era sbarrata; non c'era ritorno; o mi sedevo sulla riva del torrente o proseguivo fra sterpi e rovi.
Non guardai in alto, non guardai in basso, il mio sguardo dritto osservava ogni cosa, ogni pietra ed ogni anfratto su cui ero in grado di posare il mio pensiero.
Passo dopo passo, entrai in quella foresta. Ero nudo, senza scudi, davanti a tutti loro che brandivano spade e coltelli che avevano affilato per tutta la loro vita.
Guardai in alto e un Cielo Stellato mi prese per mano conducendomi fra gli anfratti del pensiero di Zeus che gli uomini manifestavano fra realtà e illusioni.
Libera interpretazione, un po' rozza, dell'inizio della Commedia di Dante Alighieri
Nel mezzo del cammin di vostra vita
vi ritrovaste in una selva oscura,
che la vostra via dell'illusione era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era l'illusione è cosa dura
esta follia selvaggia e aspra e forte
che nel pensier annega la paura.
Tant'è amara la disillusione che poco è più morte;
ma per trattare della realtà che voi trovaste
rideste d'altre cose ch'i avete scorte.
Voi non sapete ben ridir come entraste
tant'era pien di sonno a quel punto la ragione vostra
che la folle via illusoria abbandonaste
Ma poi che foste ai piè d'un colle giunti
là dove terminava l'illusoria valle
che v'aveva di paura il cor compunto
Guardaste in alto e vedeste gli occhi suoi
abbagliati già dei raggi del sole
che accompagna dritto del pensiero in ogni anfratto.
22 agosto 2025
Ricordo un tempo in cui si discuteva e ci si scannava per questo o quel partito politico, per questa o quell'idea sulla visione del mondo.
Poi venne il giorno della prostata. Il giorno in cui il cuore iniziò a dare problemi. Il giorno in cui gli specchi, in cui ci si specchiava, caddero in frantumi.
I corpi che invecchiano, le prostate che si gonfiano, il corpo che decade e la stanchezza per idee che si vedono infrangersi sugli scogli di una terra che rimane sempre uguale a sé stessa.
Ciò che cresceva dentro di noi è lontano da noi stessi. Il noi, che vive in mondi negati alla nostra coscienza, ci appare lontano mentre abitiamo un tramonto in un mondo in cui non vediamo ancora la sera.
Un corpo stanco, malato, arranca sulla strada della vita mentre gli Dèi, alle nostre orecchie sussurrano: "Non sei ancora arrivato, ancora non è tempo. Un altro passo, un altro passo ancora. Non c'è meta, solo cammino ..."
"Non c'è meta, solo cammino," proclama il noi stessi cresciuto dentro di noi giorno dopo giorno "non c'è alba, non c'è tramonto, solo cammino che ad ogni passo trasforma il tuo essere nel presente... e io sono oggi diverso da ciò che ero ieri."
Da: Settimo volume della Teoria della Filosofia Aperta, tomo 2, pag. 255 (per ora è in sistemazione per la pubblicazione)
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21 agosto 2025
Nell'ottica degli insegnamenti dei vangeli, i cristiani per perseguitare qualcuno, prima lo discreditano, poi lo diffamano e, infine, lo persegue militarmente.
La strategia è insegnata da Gesù nei Vangeli attraverso i suoi insulti e le sue ingiurie contro i Farisei.
Si, ma perché ricordare la persecuzione degli ebrei ad opera della chiesa cattolica, proprio oggi, quando gli ebrei stanno effettivamente macellando i cittadini di Gaza dopo averli diffamati, chiamandoli terroristi, allo stesso modo con cui la chiesa cattolica attribuiva agli ebrei l'omicidio rituale dei bambini?
Proprio perché stanno sterminando i cittadini di Gaza per i loro progetti criminali, in nome del Macellaio di Sodoma e Gomorra che va ricordato il passato in cui altri adoratori del Macellaio di Sodoma e Gomorra aggredirono loro.
Purtroppo, fintanto che non si condannerà il Macellaio di Sodoma e Gomorra per delitto, il modello che consiste in macellare il più debole per la gloria del più forte continuerà ad essere riproposto nella storia.
Il brano che riporto, sulla santificazione di due vittime di bambini attribuiti al sacrificio rituale degli ebrei, è tratto da "Il cristianesimo reale" di Walter Peruzzi, editore Odradek. Pag.290/291
Si accredita la leggenda dell'omicidio rituale
Dalla generica intolleranza si passa più specificamente all'antisemitismo con la posizione assunta da Benedetto XIV sulla questione dell'omicidio rituale il 22 febbraio 1755, nella Lettera "Beatus Andreas" indirizzata a mons. Veterani, da cui riportiamo due brani (C234; C2l9):
[citazione del Peruzzi]
[(3.4c) L'anno 1483, ... Simone di Trento, fu messo crudelmente a morte dai giudei, in odio alla fede .. Quando in seguito l'evidenza su questo fatto e le prove che la stabilivano furono prodotte, e fu ben dimostrata e la morte e il motivo per il quale fu inflitta, e fu constatato anche che gli assassini erano giudei ... il papa Sisto V deliberò nell'anno 1588 un breve di concessione per la celebrazione della Messa e la recita di un ufficio proprio in onore del B. Simone, nella città e in tutta la diocesi di Trento ... Tra ciò che Noi abbiamo concesso per il culto del Beato Andrea ... barbaramente trucidato dagli Ebrei in odio alla fede di Cristo ... e ciò che i nostri predecessori hanno decretato per il culto del Beato Simone, vi è tuttavia questa differenza, che il nome del Beato Simone è stato iscritto, dietro ordine del papa Gregorio XIII, nel martirologio romano.
... Resta ora, che il tutto si esamini, e si veda, se è conveniente, che si dia corso alla Causa del Beato Andrea, o se è meglio, che si fermi nello stato in cui è ... sarà proprio della di lei diligenza ... il suggerire il partito che dovrà prendersi, quando succeda il caso, che per lo più suoi essere di qualche, Fanciullo ammazzato dagli Ebrei nella Settimana Santa in onta di Cristo, tali essendo gl'infanticidi dei Beati Simone, ed Andrea, e d'una gran parte degli altri commemorati dagli autori.
[fine citazione del Peruzzi]
La posizione di Benedetto XIV è particolarmente grave in quanto, nei secoli precedenti, vari papi avevano difeso gli ebrei da questa accusa infamante, definendola destituita di fondamento. In questo documento, invece, si dà per accertato, anche sulla base dell'autorità di Sisto V che l'ha beatificato, e di Gregorio XIII che l'ha inserito nel Martirologio romano (dove resterà fino al Concilio Vaticano lI) che il "beato Simone" sia stato ucciso dagli ebrei in odio alla fede. E a lui viene aggiunto come altro caso certo, pur interrogando si sull'opportunità di procedere nella causa, il "beato" Andrea senza escludere che altri seguano, specie "nella settimana santa" quando gli ebrei si attivano di più nella loro furia omicida ... come questo papa "illuminato" non esita a sostenere.
Ricordo che l'accusa di "mangiare i bambini" fu rivolta dai cristiani ai comunisti per salvaguardare il loro diritto di sfruttamento schiavistico di uomini e donne private dei diritti di cittadini e costretti nella miseria sociale. Il tutto per la gloria del Macellaio di Sodoma e Gomorra.
Purtroppo, domani le cose si ripeteranno. Ancora e ancora perché lo schema di diffamare e macellare è un fondamento ideologico proprio della religione cristiana alla qual si oppongono, col medesimo sistema ebrei, musulmani e buddisti.
Dire che ogni ebreo o un cristiano è un assassino, anche se nessun tribunale li processerà mai fintanto che non commettono l'atto, è una difesa sociale per gli atti che nella società mettono in atto ebrei e cristiani contro i cittadini per la gloria del loro Dio assassino.
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20 agosto 2025
E' complesso, oggi come oggi, comprendere la violenza criminale, l'imbecillità, di Agostino d'Ippona.
Nella città di Dio contro i Pagni, Agostino d'Ippona fa delle affermazioni senza senso e, dal momento che non ha argomenti per affermare tali affermazioni, ricorre all'insulto nei confronti di chi fa affermazioni contrarie e, spesso, argomenta per confermarle.
Scrive Agostino d'Ippona:
2. Ma perché piacque all'eterno Dio creare proprio allora il cielo e la terra, che prima non aveva creato? Quanti pretendono, dinanzi a questa affermazione, che il mondo sia eterno senza alcun inizio, e perciò non creato da Dio, sono troppo estranei alla verità e preda della malattia, stolta e mortifera, dell'empietà. Oltre alle parole dei profeti, infatti, il mondo stesso proclama, in certo senso tacitamente con la sua ordinatissima mutabilita e mobilita e con il magnifico splendore di tutte le cose visibili, che lo ha potuto creare solo Dio, ineffabilmente ed invisibilmente grande, ineffabilmente ed invisibilmente bello.
Ci sono altri, invece, che riconoscono il mondo come fatto da Dio, senza ritenere però ch'esso abbia un inizio nel tempo, ma solo un inizio nella sua creazione, in modo ch'esso sia sempre stato fatto 8; essi parlano così quasi per difendere Dio da un impulso casuale e perché non si creda che gli sia di colpo venuto in mente ciò che non gli era venuto in mente prima, cioè di creare il mondo, essendo dunque sorta in Lui una nuova volontà, mentre Egli è assolutamente immutabile.
Tratto da Agostino d'Ippona, La città di Dio contro i Pagani, XI,4,2, Editore Bompiani, 2015, pag. 519
Si tratta di una somma di affermazioni imbecilli, senza nessun fondamento e prive di ogni logica filosofica a meno che non vogliamo riconoscere una logica razionale ad un delirio proprio da malattia psichiatrica.
Affermazione uno:
Ma perché piacque all'eterno Dio creare proprio allora il cielo e la terra, che prima non aveva creato?(7) Quanti pretendono, dinanzi a questa affermazione, che il mondo sia eterno senza alcun inizio, e perciò non creato da Dio, sono troppo estranei alla verità e preda della malattia, stolta e mortifera, dell'empietà.
La nota 7 dice:
"Domandare perché Dio ha creato equivale a voler conoscere, afferma Agostino la causa della volontà di Dio"
La domanda reale è un'altra: su quali basi affermi che un "coglione" ha creato il mondo? Un soggetto si sveglia da un eterno letargo e in lui nasce la necessità di "creare l'universo".
Ora, ciò che è, è ciò che è.
Non esiste nessun elemento razionale che induca l'idea secondo cui "ciò che è", è stato creato da qualcuno a meno che, chi lo afferma, ha l'intendimento di appropriarsi di "ciò che è" o dettare leggi e norme a proprio vantaggio affermando che "qualcuno ha creato ciò che è".
Affermare che, ciò che è, è stato creato da qualcuno, equivale ad affermare che la Befana esiste, Babbo Natale porta i regali e gli asini volano.
Affermare che qualcuno ha creato il mondo implica la volontà di imporre un padrone al mondo e stuprare gli uomini per gli interessi del padrone descritto come creatore del mondo.
Domandare perché Agostino d'Ippona ha affermato che Dio ha creato equivale a voler conoscere la qualità del padrone, del despota, che Agostino d'Ippona vuole imporre agli uomini per poterli stuprare.
La religione greca fa derivare il mondo dal Caos e dall'uovo luminoso che si dischiude in Nera Notte. Omero, anche se diversamente, non modifica se non nella rappresentazione il modello esiodeo. Gli stessi ionici fanno nascere il mondo da degli archè. Che poi i filosofi greci assolutisti avessero delle idee blasfeme rispetto al venir in essere del mondo, non giustifica la volontà criminale di Agostino d'Ippona che vuole imporre un padrone al mondo.
La "malattia, stolta e mortifera, dell'empietà." E' propria di Agostino d'Ippona dal momento che, al giorno d'oggi, con i mezzi che abbiamo a disposizione, sappiamo che il mondo in cui viviamo è divenuto dall'uovo luminoso descritto da Esiodo che la scienza moderna definisce Big Bang.
Con cosa Agostino d'Ippona supporta la sua affermazione?
Affermazione due:
Dice Agostino d'Ippona:
Oltre alle parole dei profeti,
"Lo hanno detto i profeti!". E' come se Agostino d'Ippona avesse detto: "Lo schizofrenico, mio vicino di letto del mio ospedale psichiatrico, ha detto che il mondo lo ha creato Dio e, dunque, il mondo lo ha creato Dio."
Questo tipo di affermazioni, supportate da una continua ricerca di un'autorità che confermi ciò che io credo, è il modo più imbecille e infantile di affrontare la filosofia metafisica.
Si può ovviamente dire: "Non ci sono i mezzi per conoscere come è avvenuto il venir in essere del mondo". Ma affermare che il mondo è stato creato da una volontà esterna è come avere le 36 possibilità del venir in essere del mondo su una roulette e Agostino d'Ippona lancia la pallina e questa, dopo aver girato all'interno della testa di Agostino, si ferma nella casella "creazione dal nulla di Dio". La pallina delle casualità indica la causalità del mondo.
Ora che abbiamo qualche dato in più dai tempi di Agostino d'Ippona, si è stabilito che ha ragioni, attraverso la verifica della ricerca scientifica, Esiodo mentre, nessun elemento conferma le affermazioni di quelli che Agostino d'Ippona chiama "profeti" che, per quanto è possibile leggere delle loro affermazioni, possono essere benissimo dei drogati d'oppio che delirano nelle loro allucinazioni.
Le farneticazioni deliranti attorno al delirio del mondo.
Affermazione tre:
Dice Agostino d'Ippona:
il mondo stesso proclama, in certo senso tacitamente con la sua ordinatissima mutabilita e mobilita e con il magnifico splendore di tutte le cose visibili, che lo ha potuto creare solo Dio, ineffabilmente ed invisibilmente grande, ineffabilmente ed invisibilmente bello.
Scrive un dizionario trovato in rete:
La contingenza del mondo è un argomento filosofico che cerca di dimostrare l'esistenza di Dio partendo dall'osservazione che le cose del mondo sono contingenti, cioè potrebbero non esistere. Questo porta a postulare l'esistenza di un essere necessario, non contingente, che sia la causa ultima della loro esistenza, e questo essere necessario viene identificato con Dio.
Il concetto di Agostino d'Ippona verrà successivamente precisato anche dai filosofi arabi (Avicenna) non solo da quelli medioevali nella necessità di cercare prove che confermino l'esistenza di un Dio che, sanno benissimo, non esistere.
"Siccome il mondo è così, qualcuno lo ha fatto così!", Ciò rivela l'idea del mondo, come un oggetto di possesso, posseduto da qualcuno che giustifica il suo diritto a possederlo.
Dal momento che l'oggetto è fatto da qualcuno, quel qualcuno è padrone di quell''oggetto, ne dispone, assegna regole e leggi a cui quell'oggetto si deve sottomettere.
Non è "con il magnifico splendore di tutte le cose visibili," che Agostino d'Ippona ricava l'idea che può essere stato solo Dio a crearle. Al contrario, è il desiderio di Agostino d'Ippona di essere il padrone di tutte le cose visibili e splendenti che ingenera il desiderio di un "creatore padrone" col quale identificarsi. E' il desiderio di possesso, un becero desiderio di possesso, ingenerato dalla consapevolezza dell'inadeguatezza del proprio essere nel mondo che lo induce a cercare la giustificazione della propria inadeguatezza nella "creazione di Dio". Questo permette ad Agostino d'Ippona si non sentirsi più fuori dal gioco del dibattito filosofico perché lui è il paladino della farneticazione "Dio ha creato il mondo".
Le cose nel mondo sono contingenti, gli Dèi stessi, perché il mondo è divenuto in sé e per sé, in un continuo processo di mutamento e trasformazione. Oggi lo possiamo osservare per "ciò che è", ma oggi siamo in grado di osservare, almeno in parte, di "ciò che era" e comprendere alcuni meccanismi che lo hanno trasformato in "ciò che è". Da questo si deduce che "ciò che è" un tempo non era, ma "ciò che era" si è trasformato in "ciò che è" mediante la forza, le tensioni, la volontà e gli adattamenti di "ciò che era". E questo esclude ogni volontà creatrice al di fuori della realtà delle cose che oggi sono "ciò che è".
Affermazione quattro:
Scrive Agostino d'Ippona:
Ci sono altri, invece, che riconoscono il mondo come fatto da Dio, senza ritenere però ch'esso abbia un inizio nel tempo, ma solo un inizio nella sua creazione, in modo ch'esso sia sempre stato fatto 8; essi parlano così quasi per difendere Dio da un impulso casuale e perché non si creda che gli sia di colpo venuto in mente ciò che non gli era venuto in mente prima, cioè di creare il mondo, essendo dunque sorta in Lui una nuova volontà, mentre Egli è assolutamente immutabile.
Riprendo. Questo permette ad Agostino d'Ippona si non sentirsi più fuori dal gioco del dibattito filosofico perché lui è il paladino della farneticazione "Dio ha creato il mondo".
Una volta che Agostino d'Ippona ha trovato la pallina nella roulette nella casella "Dio ha creato il mondo", non gli resta che ignorare tutti coloro che hanno affermato che il mondo è divenuto in sé e per sé e contendere il terreno filosofico a chi afferma, come lui, che il mondo è stato creato da Dio.
E' divertente questa polemica su questi deliranti che si contendono la "verità della creazione del mondo" col solo fine di poter pensarsi i padroni del mondo perché loro, e solo ognuno di loro per sé, possiede la verità con la sua idea sulla creazione del mondo identificandosi col creatore del mondo in un delirio allucinatorio che andrebbe curato in campo psichiatrico.
La psichiatria è una branca specializzata dell'umanesimo dove la filosofia metafisica incontra le necessità mediche dove le allucinazioni del farneticante vengono curate con farmaci, più o meno efficaci, e non vengono discusse, se non nell'analisi psicoanalitica, come oggetti in sé, o come un prodotto filosofico.
Qui non siamo davanti a "ciò che credevano gli antichi", ma siamo davanti a "come questi antichi legittimavano il loro desiderio di possesso di uomini e cose".
Possiamo discutere sull'attendibilità dell'archè di Talete e possiamo comprendere come gli archè degli ionici servisse a spiegare il mondo nel loro tempo. Ma non possiamo discutere dei deliri di onnipotenza, ma solo riconoscerli come tali e indicarne le incongruenze.
Entrare in una condizione psicologica che manifesta la necessità di possedere il mondo, è proprio della filosofia metafisica ontologica che conduce direttamente al delirio psichiatrico.
Posso argomentare attorno ai voli acrobatici della slitta di Babbo Natale. Fintanto che scherzo con la fantasia, va bene, ma quando questo lo trasformo in un dato di realtà da imporre, allora si è fra il criminale e il delirante.
In fondo, dare dell'imbecille ad Agostino d'Ippona sembra quasi un'assoluzione per le conseguenze criminali delle sue affermazioni per le quali dovrebbe essere chiamato a rispondere dei delitti contro l'umanità messi in atto in nome del suo Dio padrone.
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19 agosto 2025
L'atto di volontà messo in atto dall'individuo con cui contemplare il mondo che comprende un predisporsi fisicamente (scegliere la posizione...); una scelta del senso con cui contemplare fissando su di esso la propria attenzione (tutto sé stesso...); fermare il dialogo interno (produrre il silenzio...); spostare l'attenzione sulle sensazioni che giungono al senso e che quotidianamente sono relegate nel rumore di fondo delle sensazioni ignorate dalla ragione; tutto questo produce nell'individuo una vera e propria "esplosione di energia", una "sensazione di potere".
In quel momento è l'individuo, la persona, che decide che cosa percepire e come percepirlo. E' la persona che decide quali sensazioni ascoltare e quali non ascoltare. Non è più solo in balia di un mondo che determina i fenomeni che lui deve percepire, ma acquisisce il potere di scegliere di annullare i fenomeni che giungono; il potere di scegliere fra i fenomeni che giungono quelli diversi dall'ovvietà quotidianità; il potere di scegliere di percepire non il fenomeno in sé, ma le sensazioni che il fenomeno percepito fanno sorgere in lui.
Con questa attività, l'individuo sta sottraendo la propria percezione e le proprie sensazioni al controllo della ragione. L'individuo rompe quella barriera selettiva con cui la ragione determina la qualità e la quantità di fenomeni che giungono alla sua coscienza. La coscienza stessa dell'individuo si modifica ritraendo dal giudizio sui fenomeni del mondo.
Se prima l'individuo era abituato, nell'ambito delle strategie di sopravvivenza di Zeus, a reagire all'apparire di un fenomeno in quanto quel fenomeno per la sua ragione significava che..., ora, sospendendo il giudizio mediante l'attività con cui ha fermato il dialogo interno, mantiene sì la capacità di reagire nello stesso modo all'apparire del fenomeno ma, rispetto al fenomeno, esercita una capacità critica e di analisi che parte dalle proprie sensazioni liberate dal controllo descrittivo della ragione.
La contemplazione lo ha "abituato" ad ascoltare le sensazioni prodotte dal fenomeno prima di reagire al fenomeno stesso.
Le resistenze della ragione alla perdita del controllo della coscienza dell'individuo sono molto forti e si articolano in varie strategie. Una delle strategie più pericolose per il cammino dell'individuo è quando la ragione si appropria di tutta una serie di sensazioni che emergono dal corpo dell'individuo e le riveste di immagini fantasiose, specialmente visive, per cui quelle sensazioni diventano immagini allucinatorie quale surrogato razionale del dialogo interno che l'individuo ha interrotto.
Le immagini allucinatorie (numeri del lotto, visualizzazione di spiriti, comprensione visiva di testi, visualizzazione di eventi futuri, sogni lucidi, ecc.) sono dovute al rilascio di sostanze pseudo allucinatorie prodotte naturalmente da parte del cervello nella fase in cui la contemplazione sta destrutturando i collegamenti neuronali e il reticolato sinapsico per ristrutturarli, cioè costruendo nuovi collegamenti neuronali che supportino fisicamente la coscienza nella considerazione di sensazioni e segnali che prima erano ignorati.
Ogni volta che noi mettiamo in atto un'attività psico-fisica non adattiamo solo la struttura fisica, muscolare, del corpo, ma ristrutturiamo i collegamenti neuronali in funzione dell'attività che facciamo (anche questi sono parte fisica del corpo, ma non vengono considerati alla stregua di muscoli da irrobustire...).
In altre parole, ristrutturiamo il cervello che, detto in parole più povere e più volgari, se prima il cervello pensante ce lo ha costruito l'educazione monoteista costringendoci ad essere soggetti passivi ai fenomeni del mondo, ora ristrutturiamo il cervello per diventare soggetti attivi nel mondo.
La contemplazione, come attività, ha la capacità di permettere all'individuo di poter ristrutturare il proprio modo di percepire e selezionare i fenomeni del mondo. Se all'inizio dell'attività della contemplazione questa appariva come un'attività lenta, a mano a mano che l'individuo si "impratichisce" la velocità del contemplare diventa così veloce da diventare naturale nell'espressione del vivere dell'individuo nel mondo.
La ragione, messa da parte dalla contemplazione, tenta di riprendere il controllo dell'individuo mediante forme di delirio di onnipotenza.
Le immagini allucinatorie vengono alimentate dalla ragione facendo credere all'individuo di essere al centro di un "interesse divino" o di "possedere il dono..." da super uomo o super donna.
Le sensazioni che permettono all'individuo di anticipare fatti o accadimenti futuri, fenomeni presenti in maniera massiccia nella prima fase dell'attività del contemplatore prima che la ristrutturazione neuronale e sinapsica sia completata, vengono usati dalla ragione per far credere all'individuo di essere un superuomo che vede il futuro.
Così l'individuo si illude che continuando gli esercizi della contemplazione aumenterà la sua capacità di vedere "ancora meglio e con più precisione" il futuro. Invece, quando la ristrutturazione neuronale si è completata non solo le allucinazioni di quell'anticipazione del futuro possibile scompaiono, ma l'illusione di poterlo fare in modo sempre più perfetto ha creato nuove e diverse barriere per impedire alla nuova ristrutturazione neuronale di supportare adeguatamente la sua coscienza.
La ristrutturazione operata dalla contemplazione non implica un rafforzamento della capacità razionale di vivere nel mondo, ma implica la ristrutturazione della coscienza affinché elaborazioni irrazionali (emotive e di trasformazione relazionale) possano intervenire sul corpo e sulla psiche dell'individuo predisponendolo al meglio nell'affrontare il mondo in cui vive. In sostanza, diciamo che alimenta la capacità empatica di relazione emotiva dell'individuo con i soggetti del mondo tanto da far giungere al corpo, alla psiche e alla coscienza i risultati dell'elaborazione dell'aspetto emotivo e dei mutamenti della realtà dai quali la ragione è estranea e separata.
La contemplazione non rafforza la ragione e la razionalità dell'individuo, se non nella sua capacità di analisi critica del mondo in cui vive, ma fornisce all'individuo uno strumento efficiente con cui affrontare il mondo in cui vive.
I limiti della contemplazione nell'individuo stanno nella qualità con la quale l'individuo affronta il mondo in cui vive. La contemplazione affina le capacità dell'individuo, modificandolo e ristrutturandolo, nella direzione in cui l'individuo opera nel mondo in base alle proprie passioni, alle proprie predilezioni, al proprio impegno.
In altre parole, la Contemplazione modifica l'individuo nell'attività in cui l'individuo investe le proprie emozioni nella sua vita quotidiana. Tanto più impegnata è la vita dell'individuo, tanto più è ricca di interessi in cui investe le proprie emozioni e tanto maggiore è la quantità di ristrutturazione dell'apparato neuronale e sinapsico messo in atto dall'attività di contemplazione.
Non ci si deve illudere che gli effetti della contemplazione di espandano all'infinito. Gli effetti ella contemplazione si espandono quanto serve all'individuo per vivere. Poi lo sviluppo sembra fermarsi sedimentando nell'individuo la capacità di contemplare come metodo di analisi nell'ambito della sua attività nel presente.
Un'altra trappola messa in atto dalla ragione per fermare le trasformazioni dell'individuo (questa trappola la incontriamo in molte religioni che hanno a loro fondamento forme di meditazione contemplativa) è quello di trasformare la contemplazione da mezzo per trasformare l'uomo nella vita dell'individuo a fine in cui conchiudere l'attività dell'uomo. Se il fine della contemplazione diventa la contemplazione, il contemplatore muore in sé stesso.
Quando si cessa di fare esercizi di contemplazione?
Quando la tecnica della contemplazione non richiede più che l'individuo si separi dalla sua attività. A forza di fare esercizi di contemplazione diventa automatico praticare la contemplazione nell'attività quotidiana. Cosa significa? Significa che quando si deve affrontare un problema o una questione nella propria quotidianità, anziché proiettare sul fenomeno o sulla relazione il significato razionale precostituito (questo significa che...), si mette in atto la pratica della contemplazione che regola la nostra reazione e i nostri adattamenti al fenomeno o alla relazione in atto.
Sulla tecnica della contemplazione avevo scritto:
"Si seleziona un senso con cui si desidera contemplare. Ci si siede comodi in una poltrona o in una sdraio. Si blocca il dialogo interno fermando il flusso delle parole. Si concentra la propria attenzione sul senso. Si gioca col senso storpiandone la percezione sensoria e mettendo le proprie emozioni sulle sensazioni senza descrivere le sensazioni e senza giudicare o spiegare le sensazioni."
Davanti ai fenomeni o alle relazioni che l'individuo costruisce nel mondo, si selezionano i sensi con cui vuole affrontarli. Ci si pone nella posizione che si ritiene più vantaggiosa per affrontarli (come in una poltrona o una sdraio dell'umana esistenza....). Si blocca il dialogo interno e la significazione del fenomeno o della relazione che la ragione vuole proiettare e la si sostituisce con la critica e con l'analisi razionale. Si ascolta che cosa dicono i sensi e le sensazioni in relazione a quel fenomeno o a quella relazione. Si gioca con le sensazioni in modo da portare all'attenzione anche elementi che altrimenti sarebbero relegati nel rumore di fondo delle sensazioni in relazione al fenomeno o alla relazione.
Dopo i che, ognuno fa le sue scelte.
Nessuno è più in grado di controllarvi. Per controllare una persona è necessario conoscere la reazione della persona ad un fenomeno dato. Ma se la persona mette in atto la contemplazione nella sua attività quotidiana, non è più controllabile perché la sua reazione, al fenomeno che sta analizzando, non è più prevedibile.
Per controllare una persona è necessario che sia circoscritta o rinchiusa in una gabbia di Pavlov. In quelle condizioni la persona impara a sbavare quando giunge il fenomeno dei passi del guardiano che gli porta il cibo.
La ragione tende a chiudere l'individuo in una vera e propria gabbia di Pavlov in cui le reazioni o le risposte dei soggetti sono determinate dalle sbarre razionali della gabbia limitando sia la capacità del soggetto di percepire i fenomeni che la capacità del soggetto di rispondere ai fenomeni. Questo rende l'individuo prevedibile e chiunque manovra i fenomeni del mondo in cui vive lo controlla controllandone le risposte prevedibili.
Chi pratica Contemplazione ed è riuscito a trasferire la Contemplazione da un'attività separata dalla vita quotidiana alla vita quotidiana stessa, ha spezzato le sbarre della gabbia di Pavlov che la ragione ha costruito ai suoi sensi e alla sua capacità di usarli e di rispondere ai fenomeni del mondo.
L'individuo si è TRASFORMATO.
E' diventato un Apprendista Stregone (o Strega) e ha iniziato ad alimentare il suo Potere di Essere come capacità di rappresentarsi nella società e nella Natura.
Questo individuo non ha più bisogno di sdraiarsi, chiudere il dialogo interno, giocare con i sensi ecc. per contemplare, ma il contemplare è metodo assunto, fagocitato, dall'individuo che ha sostituito l'impulsività aprioristica con cui la ragione descrive in maniera assolutistica il mondo e i fenomeni del mondo in cui l'individuo vive.
Fine quattordicesima parte... Continua... con "gli aspetti delle Tre Arti Magiche in Stregoneria - Come funziona fisiologicamente e i limiti ed effetti della Contemplazione nell'attività quotidiana
19 agosto 2025
Quando qualcuno dice: "persone o bambini innocenti", lo fa per ignoranza.
Per i cristiani e la chiesa cattolica in particolare, la colpa, per la quale gli uomini, donne e bambini devono vivere nella sofferenza è quella di essere nati.
Non esistono innocenti. Tutti sono colpevoli di essere nati (a parte la Maria dei cristiani).
ABC della teologia cristiana!
Per questo i cristiani possono ammazzare tutti e li ammazzano per volontà di Dio in quanto, nascendo, hanno dimostrato di essere malvagi!
Non è colui che ammazza gli uomini per puro divertimento che dimostra di essere malvagio, ma è l'uomo, la donna e il bambino che vengono ammazzati ad essere malvagi perché, se non fossero malvagi, Dio non permetterebbe che venissero ammazzati.
E' la logica di chi sventola il crocifisso.
Tratto dal: II tomo del VII volume della Teoria della Filosofia Aperta, in preparazione, pag. 209/210
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18 agosto 2025
Uno dei problemi che Agostino d'Ippona deve risolvere è coniugare la verità in sé della parola di Dio nella bibbia, che racconta di un irreale, con la realtà che deve, in un modo o nell'altro, far coincidere con la verità in sé di Dio.
Il passo che prendo in esame riguarda la creazione come espressa dalla bibbia e come interpretata da Agostino d'Ippona che, per interpretarla, si immedesima nel ruolo di Dio. Agostino d'Ippona è Dio stesso che crea il mondo e Agostino d'Ippona, dopo aver creato il mondo, ci spiega come lo ha creato e il significato di quanto descritto nella bibbia che è "assolutamente vera".
Scrive Agostino d'Ippona:
Ma la Sacra Scrittura, assolutamente vera, dice: In principio Dio creò il cielo e la terra, lasciando intendere che in precedenza non creò nulla, poiché se avesse creato qualcosa prima di tutto ciò che ha creato, direbbe piuttosto che in principio Egli l'ha creato; non c'è dubbio perciò che il mondo non è stato creato nel tempo, ma con il tempo. Ciò che accade nel tempo, infatti, ha un prima e un dopo; segue il passato e precede il futuro; ma qui non potrebbe esserci passato, poiché non c'era alcuna creatura che lo potesse produrre con i suoi mutamenti. Il mondo, invece, fu creato con il tempo, se è vero che nella sua condizione è stato creato il movimento che muta, come sembra presentarsi anche l'ordine dei primi sei o sette giorni, nei quali si parla di sera e di mattina, finché nel sesto giorno non vengano compiute tutte le cose che Dio creò e nel settimo non si presenti in un grande mistero il riposo di Dio. Per noi è molto difficile, se non addirittura impossibile, pensare alla natura di questi giorni. Ben più difficile, poi, il descriverli.
Tratto da Agostino d'Ippona, La città di Dio contro i Pagani, XI,6, Editore Bompiani, 2015, pag. 522
Oggi sappiamo che il cielo e la terra, comunque noi li pensiamo e li definiamo, sono divenuti per trasformazione.
Se un tempo alcuni potevano pensare che "tutto è così", oggi si è certi che "tutto è diventato così". La parola di Dio della bibbia, se fosse stata scritta da Dio, la conoscenza assoluta, e non da un povero deficiente, avrebbe potuto dire, ad esempio, "in principio Dio creò il mutamento", la trasformazione, il tempo.
Questa incongruenza la rileva Agostino d'Ippona quando dice: "non c'è dubbio perciò che il mondo non è stato creato nel tempo, ma con il tempo". E' il tempo, la trasformazione, di quanto "creato" che stride per Agostino d'Ippona. Quello che il Dio di Agostino d'Ippona avrebbe creato, si trasforma e diviene nel mutamento, nel tempo. Ma la bibbia non parla di tempo perché, altrimenti, la creazione del suo Dio non sarebbe "In principio Dio creò il cielo e la terra,", ma avrebbe dovuto essere "Dio ha iniziato a creare il cielo e la terra" dando il via ad un processo di trasformazione attraverso il tempo.
Solo che nella bibbia non esiste il concetto di tempo.
Esiste il concetto di "fu sera e fu mattina", ma non appartengono al concetto di tempo, ma solo ad un apparire al di fuori del tempo, della trasformazione. Non esiste l'idea del passaggio dalla sera al mattino, ma esiste l'apparizione della sera e l'apparizione del mattino. Questo non appartiene al concetto di tempo che implica la misurazione della trasformazione degli oggetti, ma è un altro modo per descrivere la "creazione dal nulla", un apparire al di fuori del tempo.
Anche questo concetto di "creazione dal nulla", che la bibbia e Agostino d'Ippona vogliono affermare, è un concetto non solo discutibile, ma falso nell'affermazione e scorretto come premessa.
Quando il Dio della bibbia afferma di aver creato dal nulla, si è dimenticato di dire che lui c'era. E se lui c'era, non c'era il nulla. Pertanto, se l'estensore della bibbia fosse stato corretto, avrebbe dovuto dire che il suo Dio ha creato, ma non dal nulla, ma partendo da sé stesso: dalla parola di Dio.
Agostino d'Ippona esegue un triplo salto mortale affermando:
"Il mondo, invece, fu creato con il tempo, se è vero che nella sua condizione è stato creato il movimento che muta, come sembra presentarsi anche l'ordine dei primi sei o sette giorni, nei quali si parla di sera e di mattina, finché nel sesto giorno non vengano compiute tutte le cose che Dio creò e nel settimo non si presenti in un grande mistero il riposo di Dio."
E' quel "se è vero", a cui l'interlocutore dovrebbe rispondere "ovviamente non è vero" perché, se fosse vero Dio, come estensore della bibbia avrebbe parlato del mutare delle cose e non del loro apparire. Come appare la sera e come appare il mattino, appaiono anche le cose create da quel Dio durante quei giorni.
Un Dio che fatica parecchio dal momento che ha la necessità di riposarsi il settimo giorno. Solo che il settimo giorno non fu sera e non fu mattina e, dunque, appare come un giorno infinito.
Scrive Genesi 2:
1 Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. 2 Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. 3 Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto. 4 Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati. Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo,
Genesi 2, 1-4
Non c'è sera al riposo, e non c'è mattino. E' come se il riposo del Dio della bibbia sia eterno e questo, Agostino d'Ippona lo chiama:
"e nel settimo non si presenti in un grande mistero il riposo di Dio"
Questo parassita ha lavorato 6 giorni, creando qualche cosa di assolutamente immobile, perché privo di trasformazione, e il settimo giorno, il giorno del suo riposo, diventa eternità di un presente immutabile.
Capisco che l'estensore della bibbia, nella sua somma ignoranza del presente in cui viveva, non riteneva di dover giustificare quanto scriveva attribuendo quanto scriveva al suo Dio. Se lo attribuiva a Dio, pensava, forse, chi avrebbe potuto mettere in discussione Dio? Sarebbe stato, come minimo, blasfemo.
Però, assumendo questo criterio, è blasfema l'interpretazione di Agostino d'Ippona che si permette di dire che cosa Dio pensa, perché lo pensa e le soluzioni che Dio ha preso in merito alla realtà del vissuto.
Ovviamente, se il Dio dei cristiani ha scritto la bibbia, ha scritto delle stupidaggini dal momento che il Dio cristiano crea mediante la parola i cristiani dovrebbero prendere la parola in quanto tale. Ma dal momento che le parole indicano realtà inesistenti, i cristiani sono costretti ad interpretare Dio sostituendosi, essi stessi, a Dio per raccontare che cosa Dio intendeva o che cosa Dio pensava.
Sarebbe ironico se ciò non avesse conseguenze criminali nella vita degli uomini.
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17 agosto 2025
Ha ragione Fisichella: i cristiani sono degli ignoranti nelle questioni che riguarda la fede cattolica.
Non si tratta di un'ignoranza dovuta all'incapacità dei cristiani di leggere i testi sacri della chiesa cattolica, si tratta piuttosto di una "legittima difesa" fra ciò che ritengono giusto, in una società democratica, e l'odio per gli uomini del quale trasudano i testi sacri della chiesa cattolica.
Davvero al principio Costituzionale, secondo cui tutti gli uomini sono uguali, la chiesa cattolica pensa che i cattolici accettino più volentieri che tutti gli uomini devono essere uguali in ginocchio davanti al Dio padrone e i suoi rappresentanti?
Davvero Fisichella ritiene che davanti al principio Costituzionale secondo cui le persone sono padrone del loro corpo, i cattolici possono accettare il principio secondo cui il loro Dio, Gesù o i suoi rappresentanti possono stuprare i loro corpi facendone ciò che ritengono opportuno?
Davvero Fisichella ritiene che davanti al principio Costituzionale della Libertà religiosa, i cattolici possono preferire di attuare l'ordine di Gesù di "Scannare chi non si mette in ginocchio davanti a lui"?
Davvero Fisichella ritiene che davanti al principio Costituzionale secondo cui la Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell'uomo, i cattolici possano preferire i diritti inviolabili del Dio padrone e dei suoi rappresentanti nei confronti degli uomini (compreso il genocidio e lo sfracellare la testa dei bambini sulle pietre)?
Davvero Fisichella ritiene che davanti al principio Costituzionale secondo cui "tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa", i cattolici possono preferire l'ordine del loro Dio padrone di "ammazzare chi adora altri Dèi"?
E' vero, i cristiani cattolici hanno troppo analfabetismo religioso. Anziché sottomettersi ai testi sacri cristiani e obbedire all'ordine di Mosè di ammazzare parenti e figli, preferiscono pensare ad un sistema religioso che, sia pur sempre cristiano, sia di fatto eretico perché più vicino alle esigenze sociali.
Che ne direbbe Fisichella di far capire ai cattolici che il diritto dei preti cattolici di stuprare bambini deriva dall'Imitazione di cristo del Vangelo di Marco in cui un giovinetto nudo seguiva Gesù e che questa attività è l'unica attività sessuale di Gesù in tutti i vangeli?
Che ne direbbe Fisichella di far capire ai cattolici che la dichiarazione, il magnificat, di Maria, imposto alle donne, altro non è che la negazione del cittadino e l'esaltazione della schiava prostituta? La prostituta violentata che magnifica il padrone che l'ha violentata.
Che ne direbbe Fisichella di far capire ai cattolici che la frusta con cui Gesù scaccia i mercanti dal tempio è la legittimazione che Hitler ha dato alla soluzione finale con i campi di sterminio?
Ecc. Ecc.
I cristiani hanno bisogno di un altro tipo di religione. Anche se la televisione tempesta i cittadini di programmi di sottomissione cristiana, non è che i cittadini non vivano la contraddizione fra ideologia cristiana ed esigenze sociali. Anche se Giorgio Napolitano intende nascondere che tutta la corruzione politica è cristiana-cattolica, non è che il cittadino non riconosca la struttura morale cattolica dei comportamenti criminali.
Riporto dal giornale La Stampa on-line:
Fisichella: "Tra i cristiani troppo analfabetismo religioso"
5/10/2012
Perché, si chiede l'arcivescovo, tanti credenti sono profondamente esperti nelle loro professioni e sulla fede hanno un vago ricordo del Catechismo?
L'Anno della Fede, che sarà aperto l'11 ottobre, a 50 anni dal Concilio, "è innanzitutto una opportunità che la Chiesa ha per restituire a molti cristiani il desiderio di essere veramente tali, vale adire ravvivare il dono della fede e soprattutto essere anche nella condizione di conoscere la fede". Lo dice, in un'intervista, l'arcivescovo Rino Fischella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione.
"Quello che noi oggi certamente verifichiamo - afferma – è un profondo analfabetismo che tocca anche i contenuti basilari della fede. Accompagnato anche dalla incapacità a saper dare delle ragioni del perché si è cristiani". Secondo Fisichella, quindi, occorre "da un lato riprendere con seria considerazione il tema della propria formazione: non è pensabile che noi abbiamo tanti cristiani che sono profondamente esperti nelle loro materie e professionalità e sui contenuti della fede hanno un vago ricordo del Catechismo della Prima Comunione. E dall'altra "ci auguriamo realmente che l'Anno della Fede possa diventare opportunità perché i credenti abbiano a ritrovare il gusto della preghiera e della partecipazione soprattutto alla messa domenicale".
Il capodicastero vaticano spiega che "noi veniamo da un lungo periodo in cui l'essere credenti è equivalso ad appartenere a una tradizione. Oggi non è più cosi". "Dati sociologici - sottolinea - ci mostrano come i sacramenti dell'iniziazione hanno una notevole diminuzione dovuta al fatto che siamo dinanzi a una nuova forma di ateismo". Per cui, secondo Fisichella, occorre "motivare presso i credenti" che non basta più "una appartenenza geografica di fatto cattolica, e neppure una tradizione familiare", ma che essere cristiani è "una scelta a cui deve corrispondere una conoscenza dei contenuti, cui si aderisce liberamente perché fede è scelta di libertà, e dall'altra parte deve sollecitare a uno stile di vita coerente con la propria scelta".
Tratto da: La stampa on-line 5/10/2012
L'anno della fede, per i cattolici, è l'anno della legittimazione della patologia psichiatrica da dipendenza psicologica dall'idea di un'onnipotenza alla quale sottomettere l'individuo e il suo futuro.
L'anno della fede è l'anno in cui i cattolici tentano di legittimare la loro violenza sull'infanzia: tutti i cattolici violentano la struttura psico-emotiva dei bambini costringendoli in ginocchio davanti al crocifisso, qualche cattolico li stupra anche fisicamente.
Questa è la fede di Fisichella: è violenza e odio sociale in funzione di un Dio padrone al quale sottomettere la società.
Mentre noi viviamo in una società democratica retta sui principi Costituzionali che tanta fatica hanno comportato, Fisichella vuole imporre la monarchia assoluta come da dottrina del suo Dio padrone.
E i politici, sempre a caccia di voti, preferiscono tacere offendendo ciò che c'è di più sacro nella Costituzione della Repubblica.
NOTA: la riflessione è del 2012, già pubblicata su un blog, ma la riflessione è sempre attuale perché l'ignoranza religiosa dei cristiani è sempre attuale, come, del resto, i loro comportamenti criminali in nome del crocifisso.
17 agosto 2025
La politica economica mondiale non sta giocando a scacchi. Ha buttato a terra la scacchiera e pedoni, cavalli, torri e regine nelle immondizie.
Giocate ora, se siete capaci! Oppure prostratevi (baciate il culo) al padrone che ha rovesciato la scacchiera!
17 agosto 2025
Anche quando un consiglio viene a fornirci una soluzione alla nostra incertezza, ci scuote solo se quel consiglio definisce ciò che noi avremmo detto o fatto, altrimenti entra in conflitto e la nostra coscienza lo scarta.
A questo punto: a che serve ricevere un consiglio, che qualcuno ritiene saggio, se già noi sappiamo che cosa è e cosa non è saggio?
A nulla!
Quando noi diciamo "il saggio dice...", in realtà è quanto noi diciamo che, per una questione di "pudore" o, peggio, di "vigliaccheria", attribuiamo l'affermazione ad una persona considerata "oggettivamente" "saggia" per impedire che qualcuno, che ascolta, ci dica che stiamo dicendo una sciocchezza.
Conoscere molti "saggi" consigli ci aiuta anche se quei "saggi" consigli vengono ignorati?
Certamente, purché non siano i saggi consigli che avremmo dato noi.
Avere un ampio bagaglio di consigli che noi non riteniamo saggi, perché non coincidono con la nostra categoria di saggezza, è una ricchezza indispensabile.
Si tratta di un tesoro al quale attingere quando ciò che riteniamo saggio fallisce nel corso della nostra umana esistenza.
Alla fine, l'unico comportamento veramente saggio è quello di ascoltare le ragioni dei propri nemici mentre li si sta combattendo.
Le ragioni dei nostri nemici sono i consigli inascoltati che accumuliamo come "possibile soluzione" nel momento del nostro fallimento.
Tratto da: L'instabile equilibrio della saggezza, Teoria della filosofia apeta, VII volume, tomo II, pag. 143 (per ora)
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16 agosto 2025
E' impressionante come la scienza dimostri continuamente che la visione esiodea (che è la visione degli antichi Hittiti e dei Sumeri) sia coerente col divenire dell'universo.
Ci racconta Esiodo nella teogonia:
Dunque, per primo fu Caos, e poi
Gaia dall'ampio petto, sede sicura per sempre di tutti
gli immortali che tengono la vetta nevosa d'Olimpo,
e Tartaro nebbioso nei recessi della terra dalle ampie strade
"Da Caos nacquero Erebo e nera Notte.
Da notte provennero Etere e Giorno
che lei concepì a Erebo unita in amore."
Gaia per primo generò, simile a sé,
Urano Stellato, che l'avvolgesse tutta d'intorno,
che fosse ai beati sede sicura per sempre.
Generò i monti grandi , grato soggiorno alle dee
Ninfe che hanno dimora sui monti ricchi d'anfratti;
essa generò anche il mare infecondo, di gonfiore furente,
Ponto, senza amore gradito;[…]
Tratto da: Esiodo, Teogonia
Questa è l'alba dell'universo raccontata da Esiodo.
Sembra importante riuscire a capire il momento in cui l'universo è germinato nascendo nel mondo. Un universo in cui germinano coscienze che generano, trasformazione dopo trasformazione, le condizioni per le quali quella che noi, figli di Zeus, chiamiamo vita ha potuto venir in essere.
L'alba di Nera Notte.
Quando i Titani forgiavano il mondo che sarà.
La scienza studia il momento del venir in essere del mondo e dell'universo e trova i meccanismi della vita delle antiche religioni.
Nessun dio creatore all'inizio del mondo, ma una vita che si dispiega in tutto il suo potenziale iniziando da uno stato di non consapevolezza.
L'Età Oscura, l'era di Nera Notte, quando quell'utero della vita partoriva le galassie.
Quell'utero della vita che partoriva le galassie, Urano Stellato, con cui Gaia, unita in amore, generava la vita per trasformare l'inconsapevole materia in materia consapevole, vivente.
La scienza scopre la realtà del mito.
Come in questo articolo che prelevo da La Repubblica:
La galassia all'alba dell'universo è il corpo celeste dell'Età oscura.
E' il più giovane mai osservato prima d'ora. Secondo gli esperti, dovrebbe risalire al periodo successivo al Big Bang
L'OCCHIO umano non si era mai spinto così lontano, a circa 13,2 miliardi di anni luce da noi. Nello spazio profondo è stata intercettata la galassia più lontana di sempre. Il corpo celeste risale a quando l'universo aveva "solo" 490 milioni di anni. A scoprire questo antichissimo oggetto celeste sono stati i ricercatori che collaborano al progetto di ricerca Clash (Cluster Lensing And Supernova survey with Hubble) a cui partecipano astronomi Inaf attraverso due programmi Prin coordinati da Massimo Meneghetti (Inaf - Osservatorio Astronomico di Bologna) e da Mario Nonino (Inaf - Osservatorio Astronomico di Trieste).
La scoperta di questa galassia così remota, pubblicata nell'ultimo numero della rivista Nature, è di grande utilità anche per ottenere nuove informazioni su una fase nell'evoluzione dell'Universo tanto importante quanto ancora poco conosciuta, che prende il nome di Età Oscura (Cosmic Dark Age). Una fase in cui l'Universo era avvolto da una nebbia di idrogeno neutro, in grado di assorbire la radiazione luminosa.
L'Età Oscura si concluse quando si formarono le prime stelle e la loro intensa radiazione ultravioletta rese lentamente trasparente la nebbia, tra 150 e 800 milioni di anni dopo il Big Bang, permettendo così alla luce delle stelle di propagarsi nel cosmo e arrivare, dopo un lunghissimo viaggio, fino a noi. "Quella presentata nel nostro lavoro è la più convincente osservazione di una galassia a distanze così elevate fatta fino a oggi", ha commentato Mario Nonino.
La giovane galassia è stata individuata dietro il gigantesco ammasso di galassie denominato "MACS1149+2223" grazie alle riprese dei telescopi spaziali Hubble e Spitzer sfruttando il fenomeno della lente gravitazionale forte. Questo ammasso di galassie, grande circa 2,5 milioni di miliardi di volte il Sole, ha svolto la funzione di telescopio gravitazionale, consentendo ai ricercatori di focalizzare la debole luce proveniente da una galassia ancora più distante, amplificandola di ben 15 volte. Un effetto predetto dalla Teoria della Relatività Generale di Einstein, secondo cui la materia contenuta nelle strutture cosmiche è in grado di curvare la traiettoria di fotoni provenienti da sorgenti più lontane.
"La scoperta di una galassia, che sulla base delle nostre osservazioni è stata scorta quando l'Universo è verso la fine dalla cosiddetta Cosmic Dark Age, mostra come l'approccio di sfruttare l'amplificazione degli ammassi sia estremamente efficiente per osservare l'Universo primordiale - afferma Mario Nonino. Questo metodo potrà essere ulteriormente sfruttato per ottenere osservazioni più dettagliate sia con telescopi attuali, come Alma, che con quelli di prossima generazione come l'europeo E-Elt (European Extremely Large Telescope) e il Jwst (James Webb Space Telescope), il successore di Hubble".
Tratto da:
La Repubblica on-line del 19 settembre 2012, sezione scienze
La realtà del mito precedente a Platone è una realtà che prende sempre più corpo nella ricerca scientifica. Possono essere diversi i nomi con i quali la ricerca scientifica indica le proprie scoperte, ma i contenuti sono i contenuti indicati dal Mito di Esiodo.
Le scoperte scientifiche dimostrano la realtà della religione antica che ha nel Mito il suo fondamento mentre nessuna conferma alle affermazioni creazioniste di Platone e del cristianesimo arriva dalla ricerca scientifica.
Nessun dio creatore all'inizio dell'universo, ma un'energia-materia le cui caratteristiche sono quelle di trasformarsi da inconsapevole in consapevole e, questo processo di trasformazione proprio della struttura dell'energia-materia, è quello che ci ha generati e che, seguendo le strategie di espansione, ci permette, come individui della Natura, di diventare eterni assieme all'intero universo.
All'inizio fu Caos. Caos come inizio, Caos come presente, Caos come futuro. Per la nostra ragione, nulla può essere definito. Solo Nera Notte può essere definita dalla nostra ragione. Quando la ragione usa il termine "Caos" sta indicando un insieme che non è in grado né di definire né di quantificare. Nera Notte viene identificata dalla ragione se non altro perché il buio assoluto può essere chiamato buio dalla ragione.
Poi, il Big Bang, la materia concentrata che si espande.
Ma non è la materia che si espande ad attirare i Mito che, comunque, la ragione definisce "Gaia" o "Gea", ma è Eros, Fanete, dalle ali d'oro perché egli è l'intento, progetto e fine, proprio della materi-energia che dal Big Bang si espande in Nera Notte.
Da qui inizia il Mito, comunque raccontato dagli antichi poeti tanto odiati dai filosofi assolutisti e dogmatici come Parmenide, Pitagora, Platone, ecc.
16 agosto 2025
Mentre il primo tomo del settimo volume della Teoria della Filosofia Aperta è in fase di revisione definitiva, del secondo tomo per il primo controllo sono arrivato a pag. 137 il che significa che ho ancora 250 pagine da controllare.
Nel frattempo sto iniziando ad impostare l'ottavo volume della Teoria della Filosofia Aperta.
Non avrei mai pensato che in quel periodo del 1994 (anno più, anno meno, vado a memoria), quando lavoravo da Volpato a Castelfranco Veneto addetto alla riparazione di fotocopiatori e saltavo il pranzo usando le due ore di pausa per commentare le idee della filosofia come esposte dal III volume del Bignami di Filosofia, che dopo trent'anni avrei fatto tanto lavoro.
E' stato un cammino, e lo è tutt'ora. Un cammino che ha un solo scopo, definire i principi della Religione Pagana in relazione alle idee della filosofia come ufficialmente è presentata dalla cultura ufficiale e insegnata agli studenti.
16 agosto 2025
Alcune riflessioni sono fuori dal tempo. sembra essere delle costanti che definiscono il comportamento degli uomini generaione dopo generazione, ripetendo i medesimi errori attraverso una visione superficiale della vita.
Un riflessione amara scritta nel 2023, continua aa rimanere in tutta la sua amarezza.
Anche questa riflessione è parte del Settimo volume della Teoria della Filosofia Aperta, tomo secondo, che sto tentando di rivedere.
Uomini e tifo
La domanda da farci è anche questa:
Cosa sarebbe successo ad Ulisse senza i suoi marinai?
La storia ci parla dell'eroismo di Ulisse, ma quell'eroismo fu possibile solo perché molti uomini sacrificarono sé stessi e Ulisse ne trasse beneficio.
Lo stesso vale per re ed eserciti dove gli eserciti vengono macellati e i re si contendono il dominio. Si contendono il dominio sulla macellazione di uomini.
Quando noi leggiamo quella storia, le nostre emozioni con cosa si allineano?
Col re che trionfa o con gli uomini macellati?
Il re è nemico degli uomini, ma gli uomini combattono per quel re perché non hanno altra possibilità.
In questo sta il segreto della coercizione emotiva che trova alleati anche per le imprese più distruttive soprattutto per l'alleato stesso.
"Non c'è altra possibilità" che tifare per un re, un despota, contro un altro re, o despota, e morire come conseguenza.
Tifare e trasformare questo tipo in ideologia che giustifica il tifo e, per conseguenza, lo sterminio, che quel tifo indica.
"Non c'è altra possibilità" o, forse, un'altra possibilità c'era. C'era prima. Prima che il re o il despota decidesse il conflitto, ma gli uomini erano costretti a vivere nell'illusione che non ci sarebbe stato nessun conflitto. Ed è questo che li ha resi obbedienti e sprovveduti.
Zeus, Marte, Afrodite, Minerva, Apollo, Artemide sono Dèi che abitano l'uomo e la donna e che l'uomo e la donna possono chiamare ad abitare la loro coscienza ed agire come se fossero essi stessi quegli Dèi, ma per farlo è necessario capirne l'importanza, altrimenti la scelta di partecipare ad un tifo per un re o un despota diventa inevitabile.
In questo modo Ulisse torna ad Itaca, mentre chi lo accompagnava muore nel viaggio per permettere ad Ulisse di arrivare ad Itaca.
Tratto da: Teoria della Filosofia Aperta, Settimo volume, tomo secondo.
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15 agosto 2025
La filosofia è una foresta incantata dove lupi famelici, faine e volpi si agitano nel sottobosco.
Là ci sono lonicere, che sembrano mirtilli e amanite falloide che ti invitano a raccoglierle e metterle nel piatto.
Ci sono amanite moscarie che ti raccontano di realtà immaginarie e piante di belladonna che ti fanno sussultare il cuore.
Piccoli topo ragno si muovono fra le felci, mentre gli alberi ricoprono il tutto con le foglie che cadono in un perenne autunno del pensiero filosofico.
E i batteri sono là, nel terreno che fermenta, che si cibano di idee un tempo glorificate e ora distrutte dall'imputridire del terreno.
La filosofia è una foresta incantata, non contiene il canto di sirene, ma solo il sibilare delle vipere.
In quella foresta sono un viandante. Un viandante che cerca la fragola, sotto l'erba, occultata dalla Daphne. Raccolgo la mora, evitando le spine lungo il mio viaggio che in quella foresta appare senza fine.
La filosofia è una foresta che apre sentieri ai coraggiosi e intrappola i pavidi fra i rovi di un pensiero alienato.
15 agosto 2025
Questa è una riflessione dell'08 marzo 2023. E' una riflessione inserita, per ora, nel II° tomo del settimo volume della Teoria della Filosofia Aperta che sto tentando di sistemare.
Ignorare i segnali del mondo
Come una talpa che scava nella terra, così il mutamento del presente, centimetro dopo centimetro, costruisce sé stesso.
Il contadino attento vede la terra smossa e interviene; il contadino meno attento ignora la terra smossa e quando la vede attribuisce la condizione a qualche effetto accidentale e contingente.
Così il mutamento costruisce sé stesso, spesso lontano dall'attenzione dei più, e quando è diventato abbastanza potente emerge in superfice con tutta la sua potenza che aveva accumulato.
Chi è attento ha già provveduto a proteggersi, chi non è attento, ora, vive una crisi che lo sta travolgendo. Non possiamo essere attenti a tutti i mutamenti possibili, ma che cosa succede se ora stanno organizzando "economie di guerra" quando sono privi di uomini per fare una guerra?
La riflessione fu condivisa su Facebook, ma credo che oggi stia diventando ancora più attuale.
Come se la terra fosse ancora più scavata da mutamenti del presente che ancora non si manifestano.
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14 agosto 2025
La tecnica della Contemplazione inizia con un atto di volontà dell'individuo nei confronti della propria ragione com'è divenuta nel momento in cui percepisce la necessità di veicolare le proprie emozioni nelle relazioni con i soggetti che costituiscono il mondo in cui vive.
Ho descritto la tecnica della Contemplazione.
Si seleziona un senso con cui si desidera contemplare. Ci si siede comodi in una poltrona o in una sdraio. Si blocca il dialogo interno fermando il flusso delle parole. Si concentra la propria attenzione sul senso che si intende usare (spesso gli occhi o le orecche). Si gioca col senso storpiandone la percezione sensoria e mettendo le proprie emozioni sulle sensazioni senza descrivere le sensazioni e senza giudicare o spiegare le sensazioni.
Il lavoro di concentrazione della propria attenzione sul senso, il blocco del dialogo interno per fermare il giudizio (Sospensione del giudizio) sulla percezione sensoria (stimoli), la messa a fuoco mediante l'attenzione su sensazioni inusuali, è tanto più efficace quanto maggiore è il riflesso o lo stupore che dalle nostre emozioni giungono dalle sensazioni.
Normalmente la contemplazione si fa con la vista. Ma si può fare sia con l'olfatto che con l'udito. Tutti e tre questi sensi comprendono oggetti che mettiamo in rilievo attraverso la nostra attenzione, sia da un immenso numero di oggetti che abitano un "rumore di fondo" di ogni singolo senso. Oltre a questi, esistono altri fenomeni al di là del rumore di fondo dei tre sensi che siamo talmente abituati a scartare da non prendere mai in considerazione.
I tre sensi percepiscono i fenomeni del mondo sia nella loro forma (la vista, le immagini che identifica; il suono, i rumori che identifica; l'olfatto, gli odori che identifica) che nei contenuti emotivi di ogni fenomeno.
Per brevità, considero la contemplazione mediante la vista.
Il gioco della Contemplazione va fatto con gli occhi sfuocando l'immagine, mettendo a fuoco un punto intermedio fra l'oggetto da contemplare e la posizione del contemplatore. Sdoppiando l'immagine e fissando l'attenzione nel mezzo delle immagini sdoppiate si costringe la ragione ad accettare la percezione di qualche cosa di inusuale.
In un secondo tempo si sposta l'attenzione "dentro agli occhi" stimolando il centro della fronte.
Il gioco della Contemplazione va fatto anche con i suoni. In questo caso si pone l'attenzione sui suoni, sui piccoli rumori che di solito ignoriamo, sempre fermando il dialogo interno, sospendendo il giudizio e fagocitando le sensazioni prodotte nella struttura emotiva.
Normalmente noi ascoltiamo i suoni, ma la nostra ragione seleziona i suoni che lei ritiene importanti dai suoni che ritiene irrilevanti. Costringere la ragione a ritenere rilevante il suono, che normalmente vuole ignorare, modifica la quantità e a qualità di informazioni che giungono.
Sia che noi siamo in una città più o meno rumorosa, o in un bosco, infiniti messaggi sonori, giungono alla nostra coscienza e, spesso, messaggi sonori che le nostre orecchie non riescono a sentire, possiamo percepirli col corpo per le emozioni di trasmettono.
Il gioco dell'attenzione, nella contemplazione mediante le orecchie, consiste, fra l'altro nell'isolare i singoli rumori da quello che è il "rumore di fondo" della vita.
Noi tendiamo a cancellare i fenomeni che percepiamo con i sensi relegandoli in una sorta di "rumore di fondo". Ci sono immagini che non cogliamo con gli occhi perché vengono considerare ovvie e banali e queste immagini vengono relegate nel "rumore di fondo della vista"; ci sono rumori che ignoriamo e che releghiamo nel "rumore di fondo" del nostro ascoltare il mondo; ci sono odori che ignoriamo e che releghiamo nel "rumore di fondo dell'olfatto"; così per il gusto e il tatto.
Ciò che noi tendiamo ad ignorare è sempre portatore di emozioni e quando ignoriamo il fenomeno, lo facciamo solo con la ragione perché il nostro corpo percepisce le emozioni provenienti dai fenomeni scartati, con esse interagisce e trasmette alla nostra coscienza quelle relazioni sotto forma di sensazioni
Il gioco dell'attenzione nella contemplazione per i diversi rumori di fondo è più importante farlo con l'udito, il gusto e l'odorato che non con la vista.
La stessa contemplazione, con le dovute variabili può essere praticata con il gusto, il tatto e l'odorato.
Col tatto: palpare ed emozionarsi.
Col gusto: percepire le diverse sostanze.
Con l'odorato: giocare sugli odori e le sensazioni che gli odori provocano sempre fermando il dialogo interno, sospendendo il giudizio e concentrando l'attenzione sul singolo odore selezionato dall'insieme che percepiamo.
La Contemplazione è tanto più efficace quanto maggiormente coinvolgiamo le nostre emozioni nell'attività di contemplazione. Sia in ciò che percepiamo, si in ciò che proiettiamo soggettivamente durante la contemplazione.
La Contemplazione modifica la struttura emotiva dell'individuo e apre la percezione profonda non solo alla percezione emotiva degli oggetti-soggetti nel mondo (cosa che le persone sensibili già fanno), ma soprattutto all'elaborazione dell'aspetto emotivo dei fenomeni permettendo loro di accedere alla nostra coscienza.
In questa prima fase della pratica della Contemplazione, la battaglia è fra noi.
Fra la nostra ragione che si è fissata nel corso della crescita e la nostra necessità di spostare il ruolo della ragione dentro noi stessi: la costringiamo a smettere il ruolo di padrona per diventare uno strumento al nostro servizio.
Nel far questo costruiamo dei canali attraverso cui la nostra struttura di elaborazione dell'aspetto emotivo dei fenomeni, che avviene con la parte più antica del cervello e con tutto il corpo, possa far arrivare i segnali dell'interpretazione del mondo alla nostra coscienza. In questo modo noi possiamo agire nel mondo anche partendo da quelle informazioni.
Inizialmente, bloccare il dialogo interno ed analizzare i fenomeni esterni sospendendo il giudizio mentre si cercano aspetti inusuali o non normalmente considerati di quei fenomeni, comporta una certa difficoltà.
Alimenta un'apprensione soggettiva e una sorta di attesa come se dalla nuova attività dovessero presentarsi scoperte sensazionali.
Il tempo impiegato per giocare con i sensi e l'impegno psicologico ed emotivo che il soggetto ha investito nel farlo. predispone la coscienza ad aprirsi all'arrivo di soluzioni a relazioni fenomenologiche ottenute mediante l'elaborazione del contenuto emotivo dei fenomeni stessi. Non si tratta spesso di "capire che cosa succede", ma di predisporre il corpo per affrontare ciò che sta per succedere e che la ragione, per le sue peculiarità, ignora.
La ragione è sempre fissata in un presente che vuole immobile; le sensazioni che arrivano attivano la sensazione di un futuro possibile. Questo al di là che l'individuo, mediante la sua disciplina, riesca a fissare quelle sensazioni in condizioni di realtà o le proietti in un fantastico immaginato.
Si sono trascorse ore su quello sdraio o su quella poltrona per concentrare l'attenzione su aspetti inusuali percepiti mediante i sensi, sospendendo il dialogo interno e il giudizio.
Ci si è seduti su quella poltrona giorno dopo giorno e mese dopo mese. Ma noi, su quella poltrona, ci andavamo per fermare il dialogo interno e manipolare la nostra attenzione su un oggetto scelto (per quanto riguarda la vista) o l'ascolto di segnali dei sensi che normalmente la ragione confinava nel rumore di fondo dell'umana esistenza.
Noi, con la Contemplazione, facevamo uscire il suono considerato dal rumore di fondo per metterlo al centro della nostra attenzione e su tali effetti concentravamo la nostra attenzione. I piccoli suoni ignorati, come il camminare di un topo in un bosco o l'ignorato, lontano, stridere dei freni su un'autostrada, entravano nella nostra attenzione. Improvvisamente il mondo si riempiva di strane e nuove immagini, strani e nuovi suoni, incredibili nuovi odori. E tutti, improvvisamente, diventavano vivi, acquisivano un altro significato. Un giorno, come se sempre fosse stato, come se nulla fosse mai cambiato, ci si accorge di abitare quelle immagini, quei suoni, quelli odori. Percepire l'emozione dell'immagine, percepire l'emozione del suono, percepire l'emozione dell'odore. E poi, spariscono le immagini, i suoni, gli odori e rimangono le emozioni. Ma questo è un altro discorso.
E il resto della giornata? Quando scendiamo da quel divano, da quella poltrona?
Affrontavamo i problemi del lavoro, della famiglia o di quant'altro è necessario nella nostra attività.
Sulla poltrona con i nostri esercizi aprivamo i canali affinché l'analisi delle relazioni emotive potesse affluire alla coscienza; la nostra attività quotidiana dirigeva, attraverso i problemi che presentava, la direzione nella quale potevano manifestarsi gli effetti del nostro contemplare.
La Contemplazione è come la ragione: uno strumento che l'individuo usa per affrontare la propria quotidianità. Che serve avere degli strumenti per agire nel mondo, che la nostra specie ha forgiato in milioni e milioni di anni, se poi li lasciamo arrugginire perché ignorati e ci separiamo dal mondo?
Con la Contemplazione noi abbiamo un nuovo strumento attraverso il quale vivere il quotidiano. Giorno dopo giorno, seduti con una birra o quant'altro su quella comoda poltrona, giocando con gli occhi sull'oggetto che abbiamo imparato a contemplare con la vista; oppure l'oggetto che abbiamo imparato a contemplare col gusto o l'amata che contemplavamo sfiorando con le dita la pelle o i rumori che posti dalla ragione in uno sfondo del nostro vissuto, noi li pescavamo per porli alla nostra attenzione. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno....
La nostra ragione, messa da parte, un po' alla volta, cede il controllo della coscienza all'individuo. Un po' alla volta, quando poniamo l'attenzione su un fenomeno, su un aspetto, la nostra ragione non interviene più col dialogo interno affermando "Questo vuol dire che..." ma si ritira nel silenzio attendendo le sensazioni che dalla parte più profonda del nostro cervello tendono ad emergere.
La contemplazione, nel mito della Grecia, assumeva il nome di MUSE.
Le Muse, figlie di Zeus e Mnemosine, erano contemplazione finalizzata: alla musica, al canto, all'astronomia, alla poesia, alla lirica, ecc..
Preparandosi per quelle attività l'individuo sospendeva il dialogo interno, bloccava il giudizio, portava alla sua attenzione l'oggetto del suo intento e lo contemplava: per imparare a cantare, a suonare, a comporre poesia o lirica o a recitarla e cantarla.
Oggi, sotto il dominio cristiano, noi dobbiamo imparare a contemplare.
Questo perché la religione cristiana, imponendo la malattia mentale quale dipendenza psichica dall'idea della provvidenza del dio padrone, di fatto, costringe le emozioni umane a contemplare il suo dio padrone.
Costringe l'uomo a cercare il dio padrone negli oggetti del mondo che, anziché diventare soggetti intelligenti e attivi, ai suoi sensi diventano oggetti che manifestano il dio padrone stesso. La violenza del cristianesimo, che separa l'uomo dal mondo, per metterlo in ginocchio davanti al suo dio padrone.
Fine tredicesima parte... Continua... con "gli aspetti delle Tre Arti Magiche in Stregoneria - Come funziona fisiologicamente e i limiti ed effetti della Contemplazione nell'attività quotidiana
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13 agosto 2025
Avete presente l'iconografia cinematografica della Strega o dello Stregone che raccoglie erbe per fare intrugli dai quali emerge la pozione che serve per i fini che si è prefisso?
Per fare un esempio, consideriamo il Ginepro.
Si è consapevoli della necessità di produrre un infuso "magico" capace di stimolare le attività fisiologiche (eliminare gonfiori di stomaco, aumentare la sudorazione, stimolare la diuresi, la sudorazione, ecc.).
A questo punto, si mette in atto una "strategia d'agguato".
Si individua la pianta, si individua il tempo in cui accumulare gli elementi da usare nella pozione sotto forma di decotto, si individuano le tecniche da praticare, ecc.
125 grammi di legno di ginepro tagliuzzato immerso in grammi 1500 d'acqua da ridurre per ebollizione a 1000. Si aggiunge poi grammi 125 di vino bianco. L'intruglio si usa per la sudorazione bevendone 100 g. per volta al mattino. Oppure si prepara come infuso con 4 – 8 bacche di ginepro in 500 g. d'acqua. Oppure, ancora, si estrae l'olio essenziale, ecc. ecc.
Questo modello di attività, modificando i contenuti, lo possiamo estendere a decine di altre attività. In questa pratica viene identificata, dall'iconografia classica, il modus operandi della Strega o dello Stregone.
Proviamo a cambiare gli elementi della pozione nel crogiolo.
Raccogliamo le emozioni libidiche, condiamole con 150 grammi di paura dell'individuo di esporsi nella società; aggiungiamo 10 grammi di percezione rettile, che traiamo dalla nostra percezione nelle relazioni antiche con il mondo; aggiungiamo 4 grammi di percezione della memoria di quand'eravamo esseri unicellulari; mescoliamo questi ingredienti fuori dalla dimensione del tempo soggettivo; facciamoli bollire nelle contraddizioni della nostra quotidianità fino a far mutare l'insieme della fusione e possiamo ottenere una mistura magica. Un "elisir del coraggio".
Come il decotto del ginepro ingurgitato ci permette di aumentare la sudorazione (in caso di febbre). "l'elisir del coraggio" ci permette di gestire l'ansia nelle tensioni della vita e della quotidianità quando affrontiamo i problemi. Ci permette di non fuggire quando è possibile affrontarli e di fuggire quando non è possibile affrontarli, ma siamo noi che decidiamo.
Raccogliete le vostre erbe, ma soprattutto, raccoglietele in funzione della "consapevolezza della necessità di produrre un infuso "magico" capace di stimolare..." ciò che il vostro Intento vi indica.
Quando l'Intento vi stimola e voi dite: "Che cosa voglio!" è il momento di attrezzarsi raccogliendo gli ingredienti per raggiungere il "Che cosa voglio". Se foste un generale che si appresta ad andare in guerra, la prima cosa che dovreste fare è l'elenco delle salmerie, l'elenco delle armi, l'elenco delle forze che avete a disposizione e, una volta fatto l'elenco, dovrete decidere se vale la pena affrontare quella guerra o se è più opportuno non farla e sottrarsi.
In ogni momento della quotidianità ci si deve comportare come se si dovesse essere in guerra: fare un continuo bilancio dei fattori che concorrono per prepararci a mescolarli dentro di noi e produrre un noi stesso adeguato alla bisogna.
Se hai un intento all'interno di una condizione razionale, come una guerra, l'elenco delle cose sono cose razionali, quantità e forme che vanno definite. Questo modo di essere è più legato al "Potere di Avere" che si esprime come "Potere di possesso" nella società finendo per imporre il dominio dell'uomo sull'uomo.
Se, al contrario, il tuo intento è quello di abitare il mondo vivendo le contraddizioni della quotidianità nella quale riversi i tuoi bisogni e i tuoi desideri, allora il soggetto che manipoli è te stesso con tutto quel potere emotivo e tutti quegli strumenti che nel corso dei milioni di anni la specie, dalla quale sei emerso, ha forgiato per attrezzarti nell'affrontare il mondo e la vita affinché a tua volta possa arricchire la tua specie con le tue scelte e la tua esperienza.
Che cosa significa, dunque, "essere uno Stregone"?
Significa costruirsi la capacità di scegliere i giusti ingredienti da mescolare nel crogiolo ed ottenere il "filtro magico" che consente all'individuo, di far fronte ai problemi della sua vita fino alla morte del suo corpo fisico. Ognuno, nel proprio crogiolo, mette ciò che trova per quel che gli serve e beve il "filtro magico" che ha mescolato giorno dopo giorno. E' necessario stare attenti perché, se nel crogiolo metti troppa dulcamara, digitale, aconito, allora non fai un "elisir" che ti aiuta a vivere, ma fai un miscuglio velenoso con cui puoi morire.
Troppe persone scambiano amanite falloide per funghi commestibili: troppe persone scambiano le bacche di onicera per mirtilli; troppe persone scambiano la speranza per una condizione psicologica positiva. In tutti i casi ci si avvelena costruendo un "filtro magico" che accompagna le persone verso l'autodistruzione.
Quando nel crogiolo metti libido sottomessa alla morale, la paura elevata a padrona delle scelte, illusioni e allucinazioni spacciate per visioni e un sorso di delirio di onnipotenza, allora non fai un "elisir" che ti aiuti a vivere, ma fai un miscuglio velenoso con cui, sicuramente, vai verso la distruzione.
Ogni uomo e ogni donna è un Crogiolo di emozioni, bisogni e intenti, che le passioni dirigono alimentando l'intento della nostra esistenza.
Ogni donna e ogni uomo è una Strega o uno Stregone che, consapevoli o meno, mescolano il loro Crogiolo. E' necessario che le persone che guardano l'altro osservino il Crogiolo che sta mescolando anziché ascoltare e considerare solo le sue parole perché dal Crogiolo che la persona è diventata emergono le sue intenzioni che le parole occultano e il preconcetto nasconde.
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12 agosto 2025
Non si conosce esattamente l'importanza del pensiero filosofico di Senofane di Colofone, certamente il suo pensiero va collocato nell'assolutismo ideologico in quando tende, secondo i frammenti citati da altri filosofi, a sottomettere la realtà ad un Tutto che manifesta la realtà.
Scrive Laura Gemelli Marciano:
Anche se la cronologia di Senofane di Colofone (570-475 a.C. circa) non è del tutto priva di problemi, la sua attività si può collocare con una certa sicurezza fra la seconda metà del VI e il primo quarto del V secolo a.C.
Laura Gemelli Marciano, Sentieri di sapienza attraverso la Ionia e oltre da Talete ad Eraclito, Editore Valla, 2023, pag. 305
Di questo filosofo non si sa quasi nulla se non che fece una feroce guerra contro i poeti come Esiodo e Omero accusandoli di mentire sugli Dèi.
Scrive Laura Gemelli Marciano:
Egli attacca sia la rappresentazione degli dèi, sia le presunte concezioni astronomiche, cosmogoniche e cosmologiche dei poeti epici che si sono addentrati in queste zone del passato e del presente inaccessibili alla conoscenza umana. I temi annunciati nell'invocazione alle Muse della Teogonia esiodea sono, infatti, la nascita degli dèi, della terra e del cielo (cfr. nota a 37 B, 4) e anche Omero parla della generazione degli dèi da Oceano e Tethys e di altri temi cosmologici. Il frammento di Senofane si situa dunque sulla linea della critica ai poeti epici che, pur coscienti dell'incapacità degli uomini di conoscere tutti questi ambiti, si appellavano all'ispirazione delle Muse, testimoni oculari degli eventi da loro narrati (cfr.nota a 37 B, 4).
Laura Gemelli Marciano, Sentieri di sapienza attraverso la Ionia e oltre da Talete ad Eraclito, Editore Valla, 2023, pag. 313
Le citazioni dei frammenti "contro i poeti" di Senofane:
6 A. Diogene Laerzio, IX 18 (DK 21 A 1)
[...] [Senofane] viene lodato da Timone [fr. 60, 1 Di Marco];
dice dunque:
Senofane, quasi immune da vanità, fustigatore dell'inganno omerico. [...] Scrisse sia in versi epici, sia elegie e giambi contro Esiodo e Omero, biasimando quanto essi hanno detto sugli dèi.
6 B. Sesto Empirico, Contro i Matematici IX 193 (DK 21 B 11)
Infatti essa [scil. la mitologia dei teologi e dei poeti] è piena di ogni genere di empietà. Perciò anche Senofane, confutando Omero ed Esiodo, afferma:
Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dèi tutto
quanto presso gli uomini è vergogna e biasimo:
rubare, commettere adulterio e ingannarsi a vicenda
6 C. Sesto Empirico, Contro iMatematici I 289 (DK 21 B 12)
Omero ed Esiodo, poi, secondo Senofane di Colofone, hanno cantato empie azioni degli dèi, quante più ne potevano: rubare, commettere adulterio e ingannarsi a vicenda.
Laura Gemelli Marciano, Sentieri di sapienza attraverso la Ionia e oltre da Talete ad Eraclito, Editore Valla, 2023, pag. 323/325
Queste sono le citazioni che parlano dell'avversione di Senofane contro i poeti come Omero o Esiodo.
Ma che cosa si diceva delle idee di Senofane?
I presunti principi
L'UNO
16 A. Platone, Sofista 2428 (DK 21 A 29)
STRANIERO [di Elea] [...] La nostra schiatta eleatica, invece, che trae origine da Senofane e ancor prima, considera quelle che vengono definite "tutte le cose" come una sola, e le descrive così nei suoi racconti.
16 B. Aristotele, Metafisica 986b 21-5 (DK 21 A 30)
Senofane tuttavia, il primo tra costoro [scil. gli Eleati] ad aver postulato l'uno (infatti si dice che Parmenide sia stato un suo discepolo), non ha fatto alcuna precisazione al riguardo, né sembra aver affrontato la questione della natura di entrambe le specie dell'uno [scil. quello secondo la forma e quello secondo la materia], ma, avendo preso in considerazione il cielo nel suo complesso, afferma che l'uno è il dio.
16 C. Teofrasto, fr. 224 FHS&G [Simplicio, Commento alla Fisica di Aristotele, p. 22, 26-31 Diels] (DK 21 A 31)
Teofrasto sostiene che Senofane di Colofone, il maestro di Parmenide, ha assunto un solo principio e cioè che l'essere e il tutto siano uno (e che non sia né limitato né illimitato, né in movimento né immobile), ammettendo, però, che la menzione dell'opinione di Senofane sarebbe più pertinente a un altro ambito che non a quello dell'indagine sulla natura. Infatti Senofane definiva questo uno e tutto come il dio.
16 C. Hippol. Ref. 114, 2; Ps.-Plut. Strani. 4 SENOFANE 16D-18A 335
16 D. Cicerone, Academica II37, 118 (DK 21 A 4)
[...] Senofane, che è vissuto anche un po' prima [scil. di Anassagora], sostiene che tutto è uno e che è immutabile; e questo è ildio, ingenerato ed eterno, di figura rotonda.
Laura Gemelli Marciano, Sentieri di sapienza attraverso la Ionia e oltre da Talete ad Eraclito, Editore Valla, 2023, pag. 333/335
La filosofia di Senofane è tutta presunta.
Senofane di Colofone è un personaggio, filosofo, sfuggente. Di lui si sa poco. Sono rimaste poche citazioni nella filosofia antica e, alcuni studiosi, mettono in dubbio l'autenticità del pensiero di Senofane espresso nelle citazioni.
In articolare, la citazione di Senofane di Colofone contenuta nel Sofista di Platone lascia perplessi più di qualche studioso mentre, altri, le ritengono coerente.
Nella storia della filosofia non si tratta di affermazioni di poco conto, si tratta di uno dei fondamenti su cui è venuta a forarsi l'ideologia assolutista della filosofia, la struttura di dominio dell'ontologia nella filosofia che ha portato la filosofia a cessare di ragionare sul reale del vissuto per spostare l'insieme dei suoi interessi nei deliri patologici che sono diventati l'argomento centrale su cui a filosofia ha vissuto per duemilacinquecento anni.
D'altro canto, la pratica di Platone di elaborare idee assolutiste e di attribuirne l'origine ad altri per non risultare responsabile delle atrocità che afferma, può indurre, effettivamente, l'idea che l'attribuzione a Senofane di Colofone dell'invenzione del Dio assoluto, del Tutto, come creatore o produttore della realtà, può essere stato un modo per nascondersi.
Ciò che lascia perplessi è la coincidenza fra l'attacco portato dai frammenti citati di Senofane contro Omero ed Esiodo e l'idea del Tutto che Platone attribuisce a Senofane. E con lui Aristotele, Teofrasto, ecc.
Scrive (nella biografia di Parmenide citando Diogene Laerzio) Laura Gemelli Marciano:
I A. Diogene Laerzio, IX 21; 23 (DK 28 A 1)
21. Parmenide di Elea, figlio di Pireto, fu discepolo di Senofane [...]. Tuttavia, pur essendo stato discepolo anche di Senofane, non lo seguì. Ma, come ha riferito Sozione [fr. 27 Wehrli], si unì anche ad Ameinias, il pitagorico, figlio di Diochaites, un uomo povero, ma aristocratico e ne divenne seguace più [che di Senofane] e, alla sua morte, gli eresse un heroon, poiché Parmenide apparteneva a una illustre casata ed era ricco, e non da Senofane, ma da Ameinias fu avviato alla "quiete". [...]
Laura Gemelli Marciano, Sentieri di sapienza Da Velia ad Agrigento da Parmenide ad Empedocle, Editore Valla, 2024, pag. 31
Le affermazioni di Diogene Laerzio sono molto tarde e, probabilmente sono prese dal platonismo nella tradizione neoplatonica.
Senofane fu l'iniziatore alla filosofia di Parmenide?
Secondo Diogene Laerzio, Parmenide fu allievo di Senofane, ma non lo fu lungamente. Parmenide si legò, sempre secondo Diogene Laerzio, a Ameinias un pitagorico.
Senofane sembra che avesse molti punti in comune con i pitagorici. Innanzi tutto l'odio per i poeti associava Senofane a Pitagora. In secondo luogo, la teoria del Tutto, sempre che l'abbia iniziata Senofane, non è altro che una riproposizione della teoria dell'Uno pitagorico o, se vogliamo, viceversa.
Quando Sesto Empirico, in Contro i matematici, parla contro i teologi e i poeti definisce, sembra citando, in questo modo il pensiero di Senofane:
6 B. Sesto Empirico, Contro i Matematici IX 193 (DK 21 B 11)
Infatti essa [scil. la mitologia dei teologi e dei poeti] è piena di ogni genere di empietà. Perciò anche Senofane, confutando Omero ed Esiodo, afferma:
Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dèi tutto
quanto presso gli uomini è vergogna e biasimo:
rubare, commettere adulterio e ingannarsi a vicenda
16 B. Aristotele, Metafisica 986b 21-5 (DK 21 A 30)
Senofane tuttavia, il primo tra costoro [scil. gli Eleati] ad aver postulato l'uno (infatti si dice che Parmenide sia stato un suo discepolo), non ha fatto alcuna precisazione al riguardo, né sembra aver affrontato la questione della natura di entrambe le specie dell'uno [scil. quello secondo la forma e quello secondo la materia], ma, avendo preso in considerazione il cielo nel suo complesso, afferma che l'uno è il dio.
Lo stesso di Aristotele viene sostenuto anche da Teofrasto.
Accettiamo, per ipotesi, le due citazioni come definizione del pensiero di Senofane.
Se Senofane ritiene che, con Aristotele:
"non ha fatto alcuna precisazione al riguardo, né sembra aver affrontato la questione della natura di entrambe le specie dell'uno [scil. quello secondo la forma e quello secondo la materia], ma, avendo preso in considerazione il cielo nel suo complesso, afferma che l'uno è il dio."
Con Teofrasto:
Teofrasto sostiene che Senofane di Colofone, il maestro di Parmenide, ha assunto un solo principio e cioè che l'essere e il tutto siano uno (e che non sia né limitato né illimitato, né in movimento né immobile), ammettendo, però, che la menzione dell'opinione di Senofane sarebbe più pertinente a un altro ambito che non a quello dell'indagine sulla natura. Infatti Senofane definiva questo uno e tutto come il dio.
Appare evidente che l'elemento centrale su cui poggiare l'attenzione nel pensiero di Senofane è: "Senofane definiva questo uno e tutto come il dio.".
Questo significa che c'è qualche cosa che non quadra nelle affermazioni di Sesto Empirico a proposito delle motivazioni per le quali Senofane odiava Omero ed Esiodo.
Non si trattava, come dice Sesto Empirico (160 circa - 210 circa), del fatto che:
Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dèi tutto quanto presso gli uomini è vergogna e biasimo: rubare, commettere adulterio e ingannarsi a vicenda
Se non forse in maniera secondaria o pretestuosa.
Sia Omero che Esiodo fanno nascere la realtà del vissuto da una trasformazione del mondo e della materia che avviene in sé e per sé. La creazione, sia in Omero che in Esiodo, avviene per generazione di una situazione precedente che non dipende da un Dio o da un Tutto, ma dipendono dalla materia stessa, dall'energia che si fa coscienza e al suo divenire non si possono applicare le categorie di giudizio giuridiche come applicate nelle società civili.
La parte buffa dello scetticismo, che ha seguito la trasformazione dello scetticismo Pirroniano da parte di Carneade, è che lo scettico non usa lo scetticismo a 360 gradi, ma solo nella direzione del principio che vuole mettere in discussione.
Quando uno scettico, come Sesto Empirico dice che Senofane censura Omero ed Esiodo perché:
Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dèi tutto quanto presso gli uomini è vergogna e biasimo: rubare, commettere adulterio e ingannarsi a vicenda
Non sta applicando il metodo scettico, ma sta applicando un metodo dogmatico e fideista. Se questo lo ha scritto Senofane, Sesto Empirico lo sta riproponendo senza una critica accettandolo per fede; se non lo ha scritto Senofane, lo sta accettando per dogma.
Non è tanto il fatto che noi, delle società civili, se avessimo commesso quelle azioni non costituirebbe vergogna e biasimo, ma appartiene al dogma e alla fede estendere quei giudizi morali o giuridici ad azioni che non rientrano in un contesto giuridico. E' come dire: "Il lupo che uccide una pecora è un assassino!" è una stupidaggine che sta alla pari del dire che l'uomo è un assassino perché uccide animali per mangiarseli o la pecora è un assassino perché uccide, per mangiarsela, esseri viventi che è l'erba. Esistono delle azioni nell'esistenza che non possono essere ricondotte a categorie morali proprie della società umana.
Il Dio dei cristiani che stupra Maria, fa effettivamente un'azione criminale, non tanto per l'azione che in sé che non è mai avvenuta, quanto per fornire un modello di violenza che ha attraversato la storia ha legittimato lo stupro di milioni e milioni di donne ad imitazione del Dio dei cristiani che stupra Maria.
Nessuno si è mai sognato di mangiarsi una donna imitando Zeus che fagocita Meti dalla cui azione nasce Atena. E nessuno degli Antichi ha mai pensato che Saturno divorasse i suoi figli per poi vomitarli. Pensare che effettivamente Crono divorasse i suoi figli manifesta una volontà di diffamazione del racconto mitologico. Perché non accogli il concetto secondo cui Crono ha protetto i suoi figli mettendoli dentro di sé vomitandoli solo quando Zeus ha costruito la dimensione razionale della vita?
Se Sesto Empirico avesse usato il metodo scettico, di cui si professava seguace, si sarebbe chiesto il valore e la realtà di quanto affermato da Senofane. Avrebbe usato lo scetticismo nei confronti delle affermazioni di Senofane.
Voler credere che Omero ed Esiodo indicassero, attraverso gli Dèi, comportamenti criminali e non il venir in essere della realtà che noi viviamo, significa voler distorcere il valore della poesia esiodea e omerica in funzione di un'attività di diffamazione e denigrazione.
E' facile sospettare che né Sesto Empirico né altri filosofi del suo tempo, e anche di secoli prima se proprio vogliamo escludere la malafede, non avessero chiari i contenuti ideologici per i quali Senofane muoveva guerra ad Esiodo e ad Omero.
La realtà viene in essere in sé e per sé. La materia-energia si fa coscienza e le coscienze formano un'oggettività di Dèi che agiscono e, con la loro azione, modificano il presente che consente la nascita di altri nuovi e diversi Dèi che, a loro volta, agendo, modificano il presente. Questa è la realtà divina descritta da Omero ed Esiodo.
Appare del tutto evidente che non solo Senofane, ma Pitagora con i pitagorici, Parmenide e Zenone, Platone e Aristotele, hanno un solo obbiettivo, combattere il politeismo religioso, che individuano nella democrazia, per imporre l'assolutismo della dittatura dell'Artefice, del Tutto, dell'Uno.
Non è a caso che il miliardario Cicerone, padrone di Roma ed esiliato per assassinio terroristico dei suoi oppositori politici, ricordi che:
16 C. Hippol. Ref. 114, 2; Ps.-Plut. Strani. 4 SENOFANE 16D-18A 335
16 D. Cicerone, Academica II37, 118 (DK 21 A 4)
[...] Senofane, che è vissuto anche un po' prima [scil. di Anassagora], sostiene che tutto è uno e che è immutabile; e questo è ildio, ingenerato ed eterno, di figura rotonda.
Rimane la mia opinione secondo cui Senofane non ha insultato i poeti perché attribuivano agli Dèi delitti esecrabili, ma perché Esiodo e Omero attribuivano il venir in essere del mondo al mondo stesso e alle sue trasformazioni mentre lui voleva sottometterlo a sé stesso identificandolo con l'azione del Tutto nel quale si identificava. Come, del resto, è avvenuto per il delirio di Parmenide nella descrizione del suo viaggio sul carro. Come del resto è avvenuto con Pitagora che fingeva di essere Apollo e che farneticava di essere sceso all'Ade dove Omero ed Esiodo venivano torturati per aver parlato in quel modo degli Dèi.
Appare buffo. Tutta la filosofia che ho trattato in questi 8 mesi, la filosofia antica, non è altro che una perenne riproduzione della filosofia attuale: da un lato ci sono i "filosofi" che legittimano il Dio padrone e i suoi diritti di sottomettere l'uomo (chiamatelo Dio padrone, Artefice, Tutto, Uno, sono sinonimi che indicano sempre il Dio padrone) e dall'altro lato ci sono "filosofi" che sgomitano per uscire dall'assolutismo del Dio padrone.
Mi sto rendendo conto che ci fu un tempo in cui i filosofi assolutisti sgomitavano per imporre il loro Dio padrone ad uomini che vivevano una democrazia religiosa dove gli Dèi non erano una gerarchia di dominio, ma un insieme di funzioni. Distrutto il ruolo degli Dèi nelle funzioni dell'esistenza, subentrò la gerarchia di dominio.
Dapprima una gerarchia vaga, espressa da gruppi minoritari di uomini e poi, via via da gruppi di uomini sempre più violenti in cui scopo era legittimare il dominio dell'uomo sull'uomo.
Purtroppo gli uomini che praticano una filosofia di liberazione dell'uomo non sono in grado di dare dei delinquenti e dei criminali ai filosofi assolutisti che coltivano l'ideologia del dominio dell'uomo sull'uomo. Non facendolo permettono a questi ultimi di essere violenti e criminali nei confronti dell'uomo e dei filosofi che auspicano una diversa relazione fra l'uomo e il divino in cui sono immersi.
Pagina specifica dell'argomento
11 agosto 2025
Le riflessioni sono fatte su un fatto di cronaca del 2012, ma sono tutt'ora attuali dal momento che l'attuale governo ha messo in atto tutta una serie di azioni per rendere difficoltoso alle donne di abortire.
La sentenza della Corte di Cassazione è una sentenza di civiltà che ancor oggi andrebbe analizzata e conosciuta in tutta la società civle.
E' la nostra Corte di Cassazione a sancire il principio. Una coppia che aveva deciso di portare a termine la gravidanza solo se il feto era sano, avendo avuto in tal senso delle rassicurazioni da parte dell'ospedale di Castelfranco, ha avuto un figlio con deformazioni che l'ospedale avrebbe dovuto individuare prima della nascita.
Questo ha aperto un contenzioso sul "diritto di non nascere". Un diritto importante perché nascere può costruire sofferenza e se la sofferenza, che la madre partorisce, le viene imposta da terzi, viene violato un diritto fondamentale della Costituzione.
E' diritto della madre decidere se portare a termine o meno una gravidanza. E' decisione esclusiva della madre decidere se far nascere o meno il figlio. E' diritto insindacabile della madre decidere se abortire o meno e le motivazioni per le quali desidera abortire, sono motivazioni sacre della madre e vanno rispettate.
Non nascere non è un danno, ma nascere con deformazioni fisiche che ne rendono difficoltosa la vita, quando si poteva evitare la nascita, è un danno che deve essere risarcito non solo alla madre, ma anche al figlio che con quella difficoltà dovrà convivere.
Ancora una volta la Corte di Cassazione ha ribadito i principi Costituzionali, contro la violenza dei cristiani che vogliono sostituirli con i principi cristiani. Purtroppo, non si tratta solo di esaltati delle parrocchie capitanati dal movimento per la vita che aggredisce le donne che vogliono abortire, ma spesso si tratta di magistrati e poliziotti che nelle loro decisioni e nei loro comportamenti, alle norme Costituzionali sostituiscono i principi di morte e di odio del crocifisso.
Ora sarà necessario attendere la motivazione della sentenza per avere un quadro più chiaro di come la giurisprudenza tratta la questione. E' compito della Corte di Cassazione, che dovrà trattare in questo senso, da oggi in poi, le questioni analoghe.
Aver stabilito che il feto non ha diritti se non quelli che la madre ha nei suoi confronti, significa aver stabilito un principio di civiltà giuridica che aiuta la società civile ad uscire dall'orrore cristiano.
Quante altre donne, che vorranno abortire, subiranno indebite pressioni e atti di violenza psicologica dal movimento per la vita che agisce come un'organizzazione che semina il terrore godendo dell'impunità da parte dei magistrati? Il diritto alla sicurezza di queste donne, spesso, non viene rispettato.
Mentre i magistrati di Cassazione e della Corte Costituzionale continuano a lavorare per stabilire la corretta interpretazione delle norme giuridiche, i cittadini sono costretti a subire angherie, offese, denigrazioni, aggressioni di ogni tipo il cui fine è impedire loro di fruire dei loro diritti Costituzionali.
Riporto la notizia di cronaca dal Corriere del Veneto del 2012:
Non riconobbe la sindrome di Down,
medico deve risarcire genitori e bimba
Gli esami non hanno rilevato la patologia. Accolto il ricorso della famiglia. Per la prima volta la Cassazione riconosce il danno anche alla figlia
VENEZIA - Risarcimento danni per i genitori, ma anche per il bambino in caso di mancata diagnosi precoce delle malformazioni fetali. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione martedì, accogliendo tutti e cinque i motivi del ricorso presentati dall'avvocato Enrico Cornelio, legale della famiglia coinvolta nel procedimento per la nascita di una bimba Down, con cui ha impugnato le precedenti sentenze del Tribunale di Treviso e della Corte d'Appello di Venezia. Le motivazioni della Cassazione non sono ancora a disposizione, ma leggerle sarà necessario per chiarire la portata di questa sentenza, che si presenta di fatto come una sorta di rivoluzione giurisprudenziale. In pratica in caso di mancata diagnosi precoce sul nascituro i danni, in caso di malformazioni permanenti, verrebbero poi riconosciuti sia ai genitori che avevano chiesto di effettuare l'esame, sia al bambino.
"Si tratta di una sostanziale variazione della giurisprudenza esistente— spiega Cornelio—finora in caso di mancata diagnosi la Cassazione riconosceva solo il diritto al risarcimento ai genitori. Il problema risolto dalla Cassazione è che tutto il nostro sistema giuridico è impostato sul principio che solo con la nascita si diventa titolari di diritti e se così non fosse la legge 194 sarebbe una norma incostituzionale, consentendo alla madre di essere arbitra di un diritto del nascituro. Ne consegue che se non nascere o non essere fatto nascere non è un danno, mentre nascere malformato significa essere invalido, è evidente che tale invalidità costituisce un danno di cui risponde l'ultimo soggetto che ha concorso alla catena causale che l'ha provocato, cioè il medico o l'ospedale ".
L'episodio in questione riguarda una coppia che, di fronte a una gravidanza inaspettata giunta dopo altre decise di portarla a termine solo nel caso in cui la bambina fosse stata sana e si rivolse dunque ad un medico dell'ospedale di Castelfranco per gli esami di rito.
Accertamenti che però non evidenziarono la sindrome di Down poi emersa alla nascita. "Ai genitori è stato proposto il Tritest - spiega l'avvocato Cornelio - che però ha un 40% di potenziali falsi negativi. Loro sono incappati proprio in uno di questi. Esistono invece sistemi di diagnosi precoce estremamente aggiornati: la biopsia dei villi coriali e l'amniocentesi". Alla nascita, a differenza del risultato del test, la figlia della coppia presentava la patologia temuta. Ed è stato dichiarato con perizia in primo grado, invalido al 75%. Lo stesso vale per i genitori, invalidi permanenti anche loro, per il danno psichico riportato dalla depressione conseguente. E per questo dovranno essere tutti e tre risarciti. La sentenza di due giorni fa, insomma, ribalterebbe totalmente i due precedenti gradi di giudizio e aprirebbe di fatto un casus nella giurisprudenza, che dovrà ora però essere necessariamente chiarito nel dettaglio, con la lettura delle motivazioni della Cassazione.
04 ottobre 2012
Tratto da:
Corriere del veneto cronaca 4-ottobre-2012
E' corretto che la Corte di Cassazione abbia deciso che l'ASL di Castelfranco Veneto debba risarcire anche la bambina. Dovrà passare tutta la sua vita con una sindrome che le renderà difficoltoso l'adempimento dei doveri di cui all'articolo 4 della Costituzione della Repubblica.
Ancora una volta l'odio per la vita con cui il movimento per la vita che agisce come "braccio esecutivo" di Ratzinger contro le donne che intendono abortire, è stato cassato come illegale dalla Corte di Cassazione.
Purtroppo, il passaggio delle norme fra l'interpretazione costituzionalmente legittima imposta dalla Corte di Cassazione e l'assunzione del principio da parte della magistratura periferica, comporta dei tempi piuttosto lunghi e questo lascia spazio ad altra violenza sulle donne e sul loro diritto alla vita.
Pagina specifica dell'argomento
10 agosto 2025
Agostino d'Ippona si sforza di raccontare come il suo Dio si rapporta con l'uomo.
Secondo Agostino d'Ippona la mente eletta sorpassa tutte le altre menti e giunge alla sostanza immutabile che sarebbe il Dio di Agostino d'Ippona.
Non fraintendiamo il termine "conoscere" con il significato di "immaginare" che Agostino d'Ippona vuole attribuirgli. Che Agostino d'Ippona immagini il suo Dio, è credibile; che Agostino d'Ippona conosca il suo Dio è quanto meno delirante. Si conosce un oggetto che si abita e di cui si ha esperienza; non si conosce un oggetto che si immagina anche se l'immaginazione dell'oggetto è così coinvolgente da far credere al soggetto di abitarla.
Dice un dizionario:
Conoscere:
-1-Avere notizia di una cosa, sapere che essa esiste o quale essa sia.
"non conosco il motivo delle sue azioni".
-2-Avere una cognizione ampia e approfondita di qualcosa, spesso frutto di studi, letture, ecc.: c. la storia, la geometria; anche assol..
"ha un grande desiderio di cconoscere."
Riflessivo
-1-Essere cosciente di sé, del proprio carattere.
"mi conosco fin troppo bene"
Riflessivo reciproco
-2-Incontrarsi per la prima volta, fare reciproca conoscenza.
"si sono conosciuti stamattina"
Immaginare:
Transitivo
-1-Raffigurare nel pensiero, creare nell'immaginazione: immagina una città senza automobili; + che e cong. o + di e inf.: immaginò che il padre fosse ancora vivo; immagina di poter trascorrere le vacanze ai tropici; spesso in espressioni enfatiche: immagina se lo farei volentieri!; anche in frasi negative, spec. con prop. interr. indir.
"non immagini quanto mi dispiaccia!"
Transitivo pronominale
-2-Pensare, raffigurarsi nella mente: chiusi gli occhi e m'immaginai un cielo notturno; + che e cong. o ind., o + di e inf.: m'immagino che le cose stiano per cambiare; m'immagino che il viaggio sarà faticoso; s'immaginò di essere stata bocciata; anche con prop. interr. indir.
"m'immagino quanto sia stanco, povero ragazzo!"
Sostantivo maschile
-3-astrazione ipotetica, sul piano dell'intelletto o del sentimento.
"Tu stesso ti fai grosso Col falso immaginarti"
Questa è la differenza indicata da un vocabolario fra conoscere e immaginare.
Scrive Agostino d'Ippona:
XI,2. [Cristo per conoscere Dio.]
E' davvero cosa grande e molto rara sorpassare con lo sforzo della mente ogni creatura corporea e incorporea, considerata e riconosciuta come mutabile, e poter giungere alla sostanza immutabile di Dio, dove apprendere che tutta la natura è esclusivamente opera sua, pur senza identificarsi con Lui. Dio infatti non parla con l'uomo per mezzo di una creatura corporale, colpendo le orecchie del corpo e facendo vibrare lo spazio dell'aria tra chi parla e chi ascolta, né per mezzo di una creatura spirituale che ha una forma simile al corpo, come accade nei sogni o in altri casi analoghi (anche questo, infatti, è un modo di parlare alle orecchie del corpo, poiché è come se si parlasse per mezzo di un corpo e attraverso uno spazio di natura fisica; la rassomiglianza di tali visioni ai corpi è infatti notevolissima); parla invece con la stessa verità, per chi è capace di intendere con la mente e non con il corpo; si rivolge a quella che è la parte migliore dell'uomo, alla quale soltanto Dio è superiore.
Tratto da Agostino d'Ippona, La città di Dio contro i Pagani, Editore Bompiani, 2015, pag. 516
Le affermazioni vanno dimostrate. Affermare come fa Agostino d'Ippona, secondo cui la Natura è opera del suo Dio, è un insulto alle persone che abitano la Natura, che sono divenute nella Natura, che sono parte indistinguibile della Natura.
L'affermazione, quando non è supportata da prove ed argomentazioni, suona come ingiuria e insulto nel momento stesso in cui priva un soggetto della propria ricchezza, la Natura in cui vive, per attribuirne l'origine e la proprietà ad un soggetto diverso che, attraverso questa rivendicazione, rivendica la proprietà degli Esseri Umani.
Dio, secondo Agostino d'Ippona, sarebbe il padrone della Natura senza identificare la propria esistenza nella Natura. In sostanza, la Natura, secondo Agostino d'Ippona, sarebbe un giocattolo di Dio.
Se tu Agostino d'Ippona mi punti un mitra addosso e mi imponi di riconoscere che il tuo Dio è il padrone della Natura e, per estensione, il mio padrone, io dico "si", ma solo perché temo il mitra che mi punti addosso, non perché tu hai delle ragioni per sostenere l'affermazione secondo cui il tuo Dio è padrone della Natura.
Il tuo Dio, Agostino d'Ippona, non parla proprio all'uomo né ha mai parlato all'uomo. Ci sono degli individui che hanno scritto del tuo Dio, ma solo perché loro si ritenevano essere il tuo Dio e loro dicevano ciò che Dio voleva o faceva perché erano ciò che loro volevano o ciò che avrebbero fatto se fossero stati Dio anziché limitarsi ad immaginarsi Dio.
Chi si identificava con Dio era convinto di parlare con Dio e, invece, erano gli effetti psicologici della loro malattia mentale che produceva uno sdoppiamento della loro personalità producendo un delirio che attribuivano ad un soggetto diverso da sé e che chiamavano "Dio".
La dimostrazione di questo è data dal fatto che Agostino d'Ippona non ha nessun argomento che giustifichi la credenza nel suo Dio padrone se non quella: lo ha detto la bibbia. Come se altri uomini non avessero delirato in passato o in seguito ad intossicazione di oppiacei o in seguito a malattie i cui deliri scambiavano per messaggi di Dio. E poi, ne segue che i deliranti giustificano sé stessi con le affermazioni dei deliranti che li hanno preceduti e gli stessi genitori si presentano ai figli come adoratori di quel delirio invitando i loro figli a far proprio quel delirio (vedi Deuteronomio).
Il Dio di Agostino d'Ippona parla con la stessa verità a chi è capace di delirare nel desiderio di onnipotenza che permette all'individuo di sfuggire psicologicamente alla miseria quotidiana che sta vivendo.
Il delirio è il minimo comune denominatore di Agostino d'Ippona e gli autori dei testi biblici. Un delirio che porta gli autori dei testi biblici a pensarsi padroni di uomini in nome e per conto del loro Dio padrone.
Chissà perché negli USA esiste un ampio commercio di pillole per malattie psichiatriche.
Ancora scrive Agostino d'Ippona:
E veramente giusto, perciò, che si intenda, o se questo non è possibile, almeno si creda che l'uomo è stato fatto ad immagine di Dio, e certamente egli è più vicino a Dio, che gli è superiore, nella parte con cui domina quelle inferiori, che ha in comune con gli animali. Ma poiché la mente stessa, cui competono per natura ragione ed intelligenza, è indebolita da certi vizi oscuri e antichi, non solo per aderire a questa luce e goderne, ma anche per poterne sopportare lo splendore, prima di tutto c'è bisogno che s'inizi e si purifichi nella fede, finché attraverso un graduale risanamento e rinnovamento non divenga capace di tanta felicità. E perché in questa fede possa camminare più fiduciosamente verso la verità, la Verità stessa, Dio Figlio di Dio, ha assunto l'umanità senza perdere la divinità ed ha istituito e fondato la fede stessa, per schiudere all'uomo la via che attraverso l'uomo-Dio arriva al Dio dell'uomo. Egli è dunque il mediatore tra Dio e gli uomini: l'uomo Cristo Gesù, Come uomo Egli è mediatore ed è quindi anche la via. Poiché se tra colui che cammina e la meta verso cui cammina si trova in mezzo una via, c'è speranza di raggiungerla; se al contrario essa manca o la si ignora, a che serve conoscere la meta? Contro tutti questi errori c'è solo una via, la più sicura: che Egli sia contemporaneamente Dio e uomo; Dio come meta del cammino, uomo come via attraverso cui camminare.
Tratto da Agostino d'Ippona, La città di Dio contro i Pagani, Editore Bompiani, 2015, pag. 516 e 517
Agostino d'Ippona sa perfettamente che sta scrivendo stupidaggini senza senso. Affermazioni prive di ogni argomentazioni e, per questo, folli e criminali. E allora Agostino d'Ippona ricorre ad un trucco:
"E veramente giusto, perciò, che si intenda, o se questo non è possibile, almeno si creda che l'uomo è stato fatto ad immagine di Dio."
Siccome sono un povero pazzo, dice Agostino d'Ippona, che faccio affermazioni prive di senso, ritengo un atto di "giustizia" il fatto che gli uomini siano costretti a credere di essere stati fatti ad immagine e somiglianza di Dio.
La questione va capovolta, ogni dimostrazione afferma che l'uomo ha costruito il Dio di Agostino d'Ippona a propria immagine e somiglianza. Tutte le prove dicono che è il delirio dell'uomo che ha creato il Dio padrone ad immagine e somiglianza dell'uomo. Le prove stanno nelle immagini e nei desideri con cui le scritture, che Agostino d'Ippona attribuisce al suo Dio, definiscono la forma e i desideri del suo Dio.
Non esiste uno splendore di Dio. Esiste un desiderio farneticante che costruisce delle immagini psichiche consolatorie date le condizioni atroci in cui gli ebrei e i cristiani costringono gli uomini a vivere. Esiste uno splendore come desiderio soggettivo che si concretizza in allucinazioni nelle forme della malattia mentale, ma non esiste un'oggettività di splendore riferibile al Dio dei cristiani.
Le menti malate che desiderano cieli diversi da quelli sotto i quali stanno vivendo, immaginano, farneticano, desiderano, costringendo la loro struttura psichica a dare una forma alla loro angoscia. L'atto criminale non consiste nel desiderare e nel delirare, ma nel voler trasformare il delirio in oggettività al fine di stuprare gli Esseri Umani, in funzione di quel delirio.
E ora entriamo ad affrontare il concetto di verità del cristianesimo come esposto da Agostino d'Ippona.
Che cos'è la verità per un cristiano?
Non è certo la verità degli oggetti o la verità della vita.
Per un cristiano, la verità è Gesù.
Gesù, un individuo mai esistito, spacciato come persona fisica, è sostanziato dai quattro vangeli ufficiali dei cristiani. I quattro vangeli dei cristiani sono Gesù. La sua realtà fattiva. Non esistono descrizioni fuori dai quattro vangeli ufficiali. Anche se recentemente sono stati scoperti altri vangeli, detti gnostici, o apocrifi, questi non sono entrati nella storia, non sono entrati in conflitto con i vangeli ufficiali e, pertanto, sono estranei al cristianesimo.
La verità è il Gesù dei vangeli ufficiali.
Per quante stupidaggini, sciocchezze, crimini siano definiti nei vangeli ufficiali attribuiti all'attività di Gesù, per un cristiano, quella è la verità! "Io sono la verità!" dice Gesù nei vangeli, "Io come persona, non ciò che dico!". Quando in un vangelo Pilato chiede a Gesù che cos'è la verità, Gesù non risponde.
Per Agostino d'Ippona la verità è Gesù: colui che inventa i forni crematori, colui che ordina di scannare le persone che non si mettono in ginocchio, colui che è venuto a portare la guerra fra gli uomini, colui che viene arrestato col bambino nudo, colui che si appropria del tempio cacciando le persone, colui che insulta i farisei, colui che si vanta di condannare le persone là dove c'è dolore e stridor di denti, colui che fa il bullo con la samaritana, ecc.
Per Agostino d'Ippona, questa è la via.
Dice Agostino d'Ippona:
Dio Figlio di Dio, ha assunto l'umanità senza perdere la divinità ed ha istituito e fondato la fede stessa, per schiudere all'uomo la via che attraverso l'uomo-Dio arriva al Dio dell'uomo. Egli è dunque il mediatore tra Dio e gli uomini: l'uomo Cristo Gesù, Come uomo Egli è mediatore ed è quindi anche la via.
L'affermazione non è una dimostrazione.
Quando i Pagani dicono che Ercole è figlio di Zeus, lo dicono per le imprese a favore degli uomini fatte da Ercole. La prodezza delle imprese, vere o raccontate che siano, fa dire ai Pagani, "quello è figlio di Zeus". E' indubbio che Ercole non ha mai fatto quelle imprese, ma quelle imprese, l'agire in funzione del benessere degli uomini, è il modello offerto dai racconti di Ercole.
Quando mi si dice che Gesù è "figlio di Dio", non mi si presenta un'impresa, ma una persona che pretende di essere un qualche cosa che a me non può fregare di meno. Mentre con Ercole so che devo agire in funzione della società compiendo imprese più o meno grandi, con Gesù io devo solo "credere per fede" che le minchiate che raccontano i vangeli sono delle verità divine. Gesù non offre un modello d'azione, se non i comportamenti da bullo con i farisei, che sono comportamenti di prevaricazione e di diffamazione, ma mi chiede di credere che lui è il figlio di un Dio che Agostino d'Ippona non è in grado né di dimostrarne la realtà e nemmeno di indicare l'utilità della sottomissione dell'uomo a quella figura spacciata per divina.
E qual è la funzione di Gesù?
Per Agostino d'Ippona è quella di sostituire i demoni, che i neoplatonici indicavano come mediatori fra gli uomini e gli Dèi, con un Gesù che medierebbe fra gli uomini e il suo Dio. Questa figura di mediazione, che era indicata da Platone e dai medio platonici nei demoni, in Agostino d'Ippona viene assunta da Gesù.
Agostino d'Ippona dice che la via sicura è che Gesù sia Dio e uomo; Dio che si è incarnato in un uomo.
Volete mettere che differenza rispetto all'idea Pagana secondo cui un uomo, Ercole per esempio, per le sue imprese è diventato un Dio?
Per Agostino d'Ippona, Dio si fa uomo; per i Pagani gli uomini, attraverso le imprese della loro vita, si fanno Dèi.
Si potrebbe concludere questa riflessione sul delirio di Agostino d'Ippona dicendo che i cristiani, dopo la morte sono attesi "là dove c'è dolore e stridor di denti" per non aver obbedito all'imperio del loro Dio o in un paradiso ad ammirare il loro padrone (quanto è bello e quanto è figo); i Pagani, dopo la morte sono attesi all'Olimpo per aver vissuto con passione seguendo i propri desideri e le proprie predilezioni.
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09 agosto 2025
Trump, psicologicamente, si identifica con l'assolutismo del Dio della bibbia.
Le persone, e anche gli Stati, guardano a quest'assolutismo e ne sono un po' intimoriti.
In questa situazione Trump impone dazi e impone tangenti ai paesi del mondo.
Dal momento che l'Europa ha ceduto così facilmente, si immagina che tutti i paesi del mondo debbano cedere altrettanto facilmente ai suoi dazi e a pagargli le tangenti imposte.
E' indubbio che gli USA sono una superpotenza militare, ma nessuno ha osservato che gli USA sono dei nani psicologici, fragili e impotenti davanti alle persone che hanno, sia pur qualche volta non condivisibile, una struttura ideologica nella quale veicolare la loro volontà.
In una struttura di relazioni generali in cui le dinamiche sono delle relazioni fra servo-padrone, nel momento stesso in cui un individuo riafferma sé stesso non partecipando a tale relazione, sia il servo che il padrone rimangono smarriti.
Il padrone vedrà in quell'individuo un individuo che vuole, a sua volta, diventare un padrone mentre il servo, pur servendo il padrone precedente, sarà attento a non inimicarsi troppo colui che pensa voglia, a sua volta, diventare un padrone.
Trump ha paura di quei capi di Stato che gli dicono: "fottiti".
E' vero che tutti i paesi de mondo sono felici di vendere agli USA, ma è altrettanto vero che loro hanno qualche cosa da vendere agli USA mentre gli USA non hanno nulla da offrire loro se non bombe affinché si distruggano.
Trump e la sua amministrazione sono rabbiosi davanti a Xi Jinping, a Lula, a Modi, a Putin, a Ramaphosa che si ergono come persone a difesa dei propri paesi e Trump è ben deciso a distruggerne le economie e le società.
Quando a dispetto di tutti i dati economici dichiara che le economie Indiane e Russe sono moribonde, manifesta un'intenzione di distruggere quelle economie.
Però la Cina è troppo forte e Trump, per separare la Cina dal resto delle economie mondiali afferma di essere molto vicino ad estendere la tregua commerciale con la Cina.
Per contro è pronto ad aumentare i dazi nei confronti del Brasile, perché non ha accettato di sottomettersi al colpo di Stato di Bolsonaro, aumenta i dazi al Sudafrica aaccusandolo di razzimo contro i biianchi con prove false e con menzogne; aumenta i dazi all'India perché acquista petrolio dalla Russia anziché dagli USA.
L'Europa che a Trump ha detto "Si buana!" si registra il crollo degli ordinativi alle fabbriche tedesche e il crollo della produzione industriale ungherese portando il settore automobilistico vicino al tracollo. La stessa Polonia accantona la sua promessa fiscale ai cittadini per far fronte al proprio bilancio fallimentare.
Il Brasile, che voleva essere un esempio di protezione dell'ambiente per tutto il mondo, ora si trova costretto a trivellare petrolio a più non posso per proteggersi da Trump.
Trump ha paura di questi personaggi che difendono gli interessi dei loro paesi: questi paesi producono beni mentre gli USA non producono nulla che sia utile al mondo.
A tutti questi paesi non serve sanzionare gli Stati Uniti con i dazi. Per loro è sufficiente che se gli Stati Uniti desiderano i loro prodotti paghino i dazi USA per la loro importazione.
In questo momento Trump vive nella paura. Il licenziamento del responsabile delle statistiche sul lavoro dimostra il suo smarrimento e la sua incapacità.
In sei mesi di governo, il Presidente USA non ha mai fatto una visita di Stato all'estero e questo dimostra la paura e il terrore che prova nei confronti di paesi che, a differenza degli USA, cercano di costruire relazioni sociali e di commerciare.
Qualcuno negli USA ha molto bisogno di supporto di psichiatri e psicologi, ma soprattutto ha bisogno della cultura di quelle università che sta distruggendo perché, per gli americani basta la bibbia. Per loro la cultura dei libri è inutile: se i libri scrivono le stesse cose della bibbia, non servono perché basta la bibbia, se dicono cose diverse dalla bibbia, vanno bruciati.
Questa è la logica attraverso la quale si distruggno le università e le reti museali degli USA: a che serve la cultura se un mondo deve essere fatto di schiavi che premono un bottone per sganciare bombe?
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08 agosto 2025
I soggetti che si contemplano lo fanno mettendo in atto due forze soggettive fondamentali: l'attenzione e l'intento.
Ho già parlato in vari scritti relativi al Crogiolo dello Stregone spiegando che cos'è l'attenzione.
L'attenzione di un soggetto è l'intero soggetto.
L'attenzione è l'attività nella quale il soggetto, mediante il suo corpo e la sua psiche, mette tutto sé stesso in una singola azione o in una singola relazione: se l'attività del contemplare avviene con gli occhi o con le orecchie, tutto il soggetto, la sua coscienza, in quel momento, è occhi o orecchie. Gli occhi o le orecchie, in quel momento, sono tutto il soggetto che contempla: tutto il suo corpo e tutta la sua psiche.
E' il soggetto come attenzione che guida il flusso emotivo nella relazione con il soggetto contemplato.
Tutto il soggetto che contempla è coinvolto nell'attività di contemplazione.
Tanto più profonda e intensa è l'attività di contemplazione tanto più il contemplatore, con le sue emozioni dirette dalla sua attenzione, avvolge tutto il contemplato la cui attenzione, se non si sottrae alla contemplazione, avvolge il contemplatore.
La contemplazione ha uno scopo, un INTENTO.
L'intento del contemplatore alimenta l'intento del contemplato che allinea il proprio intento all'intento del contemplatore. C'è un motivo per cui noi pratichiamo contemplazione. C'è uno scopo nella scelta dell'oggetto da contemplare e sollecitare a contemplarci a sua volta.
Perché contempliamo? Perché un soggetto contemplandoci ha afferrato la nostra attenzione inducendoci a contemplarlo, o perché esprimiamo un intento per cui abbiamo preso l'attenzione di un soggetto affinché risponda alla nostra contemplazione?
C'è un motivo, una qualità, dell'Intento per cui noi contempliamo.
Tale qualità dell'intento è un soggetto in sé che ha chiamato alla relazione nella contemplazione contemplando contemplatore e contemplato che contempla il contemplatore.
La qualità dell'intento è un Dio che si esprime alimentando la necessità di contemplare.
Quando un individuo inizia ad allenarsi a contemplare inizia ad allenare occhi, orecchie, naso, gusto e pelle nella percezione di segnali inusuali o razionalmente incoerenti che arrivano dal mondo. Nell'usare i sensi in quel modo l'individuo sposta la sua attenzione dall'uso "normale quotidiano" dei sensi (che descrivono la forma del mondo) ad un uso che permettono all'individuo di percepire realtà inusuali, irrazionali, illogiche i cui segnali giungono ai sensi perché il soggetto, durante la contemplazione, ha bloccato il dialogo interno impedendo alla ragione di commentare, descrivere o spiegare i fenomeni inusuali o razionalmente incoerenti che giungono alla coscienza.
Quest'attività, che descriverò più avanti anche se la trovate presente da molti anni descritta per il Crogiolo dello Stregone e da oltre 30 anni viene presentato un modello di contemplazione durante il rito dell'Equinozio d'Autunno presso il Bosco Sacro a Jesolo, permette di rassicurare la ragione e di aprire dei canali per sensazioni inusuali affinché giungano alla coscienza senza il filtro della descrizione razionale della ragione. La contemplazione acquieta l'ansia della ragione per l'arrivo di qualche cosa di nuovo al quale sarà costretta ad adattarsi, si aprono le barriere della ragione (le alte mura di bronzo che ci separano dall'Ade in cui, dentro di noi, vivono i Titani) e si fanno affluire alla coscienza le descrizioni del mondo ottenute mediante l'elaborazione di segnali emotivi che altrimenti la ragione annullerebbe.
Apriamo la coscienza alle sollecitazioni empatiche che coinvolgono le sfere emotive del contemplatore e del contemplato che contempla il contemplatore.
Siamo aperti alle emozioni del mondo.
Le emozioni del mondo fluiscono dentro di noi. Ma non si tratta di un arrivo caotico e incontrollabile perché, nel fare questi esercizi che hanno aperto la coscienza alle relazioni emotive col mondo, proprio perché noi ci siamo impegnati a farlo usando i sensi in modo inusuale e fermando il dialogo interno, abbiamo costruito il guardiano che impedisce il coinvolgimento indesiderato a ogni sollecitazione dei soggetti del mondo: l'intento.
Il nostro intento attraverso il quale finalizziamo la nostra contemplazione fissando su un oggetto o su azioni circoscritte.
Alla coscienza si affacciano gli Dèi che abitano in noi e la cui organizzazione è ciò che noi siamo diventati.
Noi facciamo affacciare alla cosicenza questo o quel dio; rispondiamo a questa o quella contemplazione a seconda che l'intento del contemplatore, che ci invita a contemplarlo, sia in "sintonia" col nostro intento.
Noi sollecitiamo, con la contemplazione, ciò che riteniamo corrisponda al nostro intento e il contemplato risponde se il nostro intento è in sintonia col suo intento.
Con l'esercizio fatto sui sensi noi abbiamo sostituito la selezione dei fenomeni provenienti dal mondo operata dalla ragione attraverso la sua descrizione (forma e quantità) con la selezione dei fenomeni mediante l'INTENTO.
Noi non abbiamo una sola qualità dell'Intento. O meglio, l'Intento è sempre uno, ma noi lo veicoliamo in mille e mille modi a seconda della nostra attività quotidiana, dei nostri bisogni, dei nostri interessi, dei nostri scopi e dei nostri progetti. Lo stesso vale per i soggetti del mondo che noi pensiamo come oggetti della nostra contemplazione.
Ogni veicolazione dell'intento è un dio. Se io vivo la contraddizione e la contraddizione afferra le mie emozioni perché mi rende difficoltosa la mia esistenza, io esprimo l'Ares che ho dentro di me e l'Ares che è fuori di me chiama alla contemplazione. Ma pure l'Ares di ogni soggetto del mondo chiama a rispondere alla contemplazione del contemplatore qualora gli intenti del contemplato siano assonanti.
Quella contemplazione non è solo fusione di reciproche emozioni, ma è il fluire nella coscienza di tutte quelle sensazioni inusuali che ci permettono di interpretare la situazione; di tutte quelle intuizioni che superano i modelli di risposta alle sollecitazioni del mondo generalmente acquisti; di tutte quelle intuizioni che ci permettono di affrontare la situazione che ci ha indotto a contemplare chiamando il contemplato a contemplarci.
Quella contemplazione è Ares. Ma avrebbe potuto essere ognuno degli infiniti Dèi di cui siamo fatti e che vengono coinvolti continuamente nella nostra attività quotidiana, più o meno consapevolmente, ma che senza degli esercizi sulla contemplazione non sono in grado di indurci a contemplare e ad aprirci a sensazioni nuove ed improvvise, ad illuminazioni, ad intuizioni e a tutte quelle sensazioni che dentro di noi tendono ad emergere usando meccanismi di analisi inusuali dei fenomeni noti o sconosciuti alla ragione (fatti con la parte profonda del cervello come l'amigdala, fatti col cervello nello stomaco, fatti col corpo o con l'azione che normalmente la ragione nega e scarta).
Alcuni di questi strumenti di analisi dei fenomeni sono presenti fin da quando nostro nonno stava nel brodo primordiale e sono stati affinati nel corso del tempo, delle trasformazioni, di generazione in generazione.
Capire che la contemplazione è un Dio significa capire il senso dei poemi omerici in cui un Dio consiglia, fa trovare, suggerisce o sussurra portando messaggi agli eroi che affrontano con coraggio la loro vita quotidiana. In fondo, lo scopo della contemplazione è questo.
La contemplazione è il modo in cui gli Dèi si esprimono dentro e fuori d noi chiamando alla relazione i soggetti che abitano il mondo le cui tensioni ed emozioni sono assonanti con le nostre.
Fine dodicesima parte... Continua... con "gli aspetti delle Tre Arti Magichein Stregoneria - L'uso dei sensi nella tecnica della Contemplazione
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07 agosto 2025
La stampa ci racconta come Trump sta destabilizzando l'economia di tutti i paesi del mondo
La stampa ci racconta di come i paesi del mondo stanno tentando di rispondere a Trump per difendersi dall'aumento dei dazi.
La stampa non ci racconta di che cosa stanno facendo i vari paesi del mondo per costruire relazioni commerciali fra di loro.
La stampa non ci racconta che cosa potrebbe produrre nell'economia in paesi che costruiscono relazioni commerciali indipendentemente dagli USA e da Trump.
Ricordo che un giorno, il Presidente della Repubblica Ciampi, tornato dalla Cina si mostrò furioso con la stampa italiana. In Cina c'era una situazione economica in forte espansione e la stampa italiana taceva, quasi per non voler fare propaganda alla Cina.
In questo modo, gli imprenditori italiani avevano perso due decenni di affari con la Cina.
Un esempio banale. In Cina mangiano la pizza californiana perché gli USA sono arrivati prima degli italiani a portare la pizza (comunque i cinesi non possono mangiare formaggio) e, per questa ragione le pizze italiane non si vendono.
Sappiamo dell'esistenza di un'organizzazione economico finanziaria che si chiama BRICS, tanto avversata dagli USA, ma non sappiamo quali provvedimenti hanno preso questi paesi per commerciare indipendentemente dagli USA.
Sappiamo che la Via della Seta si sta espandendo, ma non conosciamo né i trattati economici che ha dato origine, né le conseguenze future di un commercio che ignora gli USA.
Delle dinamiche dell'economia mondiale non sappiamo quasi nulla. La stampa italiana è più tesa a fare propaganda che non a dare informazioni.
Scrive l'Washington Post - USA:
Il quadro economico di Washington si sta facendo più cupo a causa dei tagli federali.
Dall'aumento delle richieste di sussidio di disoccupazione al calo della spesa dei consumatori locali, stanno emergendo segnali di tensione in settori chiave che un tempo contribuivano a sostenere la regione.
Scrive El Pais - Spagna:
Gli Stati Uniti intensificano le minacce contro l'India per l'acquisto di petrolio russo.
Trump critica Nuova Delhi per aver mantenuto scambi commerciali con Mosca, proprio mentre Washington fa pressione su Putin affinché firmi un cessate il fuoco.
Scrive Le Monde - Francia:
Di fronte ai nuovi dazi doganali statunitensi, il Sudafrica cercherà altri sbocchi.
Il governo ha istituito un helpdesk che aiuterà gli esportatori e i produttori sudafricani a esplorare nuovi mercati in Africa, Asia e Medio Oriente.
Financial Time - Inghilterra:
I dazi sui pomodori imposti da Trump aprono un nuovo fronte nella controversia commerciale tra Stati Uniti e Messico.
Le armi americane trasformano le bande di Haiti in un esercito.
Le armi contrabbandate dalla Florida stanno rafforzando le milizie del paese e consentendo loro di sfidare un governo fragile.
The Guardian - Inghilterra:
Alcuni turisti e viaggiatori d'affari potrebbero dover pagare una cauzione fino a 15000 dollari per entrare negli Stati Uniti.
Business Standard - India:
Le restrizioni cinesi sulle terre rare colpiscono le catene di approvvigionamento della difesa degli Stati Uniti, aumentando i costi.
Nonostante le pressioni degli Stati Uniti, le petroliere russe scaricano nelle raffinerie indiane.
El Globo - Brasile:
La Cina ha autorizzato 183 esportatori di caffè brasiliano il giorno dell'aumento dei dazi di Trump.
Gli investitori cinesi in Brasile battono i record e si diversificano.
Toronto Star - Canada:
La Cina respinge le richieste degli Stati Uniti di interrompere l'acquisto di petrolio russo e iraniano.
L'economia canadese sta dimostrando "resilienza" di fronte ai dazi statunitensi. Come e perché.
Bloomberg Europe - USA:
Wall Street avverte gli investitori di prepararsi al crollo delle azioni.
Los Angeles Times - USA:
Las Vegas è in declino a causa del calo del turismo. Perché è un po' colpa della California.
Le visite a Las Vegas sono diminuite dell'11% a giugno rispetto allo stesso mese dell'anno scorso a causa del calo del turismo internazionale negli Stati Uniti.
Fine notizie di stampa.
Il quadro che appare è abbastanza inusuale per la stampa italiana.
Anche se si vuole far credere che il mondo abbia accettato i ricatti economici dell'amministrazione USA, in realtà il mondo si sta muovendo con dinamiche economiche e sociali sconosciute anche ai suoi principali attori.
Il problema dei grandi manipolatori della struttura economica mondiale rimane l'insiemistica: un insieme di miliardi di persone che, date le condizioni nelle quali sono nate, cercano di sopravvivere nella loro quotidianità.
L'analisi sociologica deve continuamente ridurre i singoli individui a masse per poterne pensare le trasformazioni, ma gli individui non sono "masse", sono insiemi dinamici in cui ogni singola individualità modifica continuamente le condizioni dell'insieme stesso.
Prevedere gli sbocchi di una situazione sociale o di un'economia non può essere fatto da analisti sociali che riducono tutto a schemi predefiniti. Ad un'azione, messa in atto da un potere in un insieme, non corrisponde uno ed un solo comportamento massificato come risposta, ma tanti comportamenti quanti sono gli individui di quell'insieme anche se, nei comportamenti si possono individuare delle risposte "maggioritarie" rispetto ad altre che appaiono più individuali.
Un aspetto della trasformazione sociale ed economica, in questo momento, appare certo: il tramonto del modello economico USA e il ritorno alla barbarie medioevale della cultura e della società USA.
Stiamo assistendo al tramonto di una super potenza incapace di produrre benessere sociale. Una super potenza piena di armi ma vuota di uomini e di cultura.
Per ora questa super potenza pretende che il mondo gli dia il denaro che ha trasformato in feticcio, ma il denaro è un mezzo per misurare, non è un oggetto in sé. Senza i contenuti della produzione e del commercio il denaro non ha nessun valore.
07 agosto 2025
Questo brano di Eugenio Garin, svincolata dalla situazione storica, sembra descrivere la situazione del pensiero filosofico com'è oggi.
Sembra che le difficoltà si riproducono. Non si tratta della ripetizione della storia, ma della ripetizione dei medesimi errori e delle medesime carenze in una situazione oggettiva che trae beneficio da errori e carenze.
Scrive Eugenio Garin in storia della filosofia italiana:
Quello che è certo è che stava crollando il castello incantato dell'idealismo, dopo avere imprigionato per decenni i filosofi italiani, costringendoli, tutti senza eccezione, a discorrere delle ombre delle cose, in un mondo fittizio, con problemi immaginari, e spesso assurdi. Non più le ombre o le idee, ma le cose si facevano avanti con crudeltà. Dopo tanto parlare di storia e di storicismo, ci si accorgeva che gli «storicismi» erano tanti, e contraddittori e che di fatto ci si era chiusi fuori della realtà e dell'esperienza, fra «storie» di idee e di puri atti di pensiero. Le cose, l'esperienza, la storia signora degli uomini anche se fatta dagli uomini, irrompevano crudelmente. I libri più sinceri di quegli anni, non le esercitazioni accademiche, sono pieni di senso tragico, del bisogno di cose «vere», di realtà, e di un'infinita stanchezza di parole e di problemi fittizi. Supposizioni irrazionalistiche che ancora si diffondono, espressione di un crudele scatenarsi di violenza, si ha l'impressione che neoidealismo e vecchio positivismo, insieme uniti, si dissolvano come nebbia che le ricerche cacciate e beffate ritrovino le loro proporzioni: le scienze della natura, la logica, la sociologia, la psicologia; e i problemi di una storia ancorata alle cose, ai bisogni e alle forze reali, e non più tutta presa fra le idee.
Citazione dalla "Storia della filosofia italiana" di Garin presa da una riflessione del settimo volume della Teoria della Filosofia Aperta.
Possiamo dire che sta crollando il castello incantato dell'operaismo e del liberalismo antimaterialista. Sta crollando il castello incantato del cattolicesimo e del protestantesimo che tentano di rivivere in una situazione antislamica alimentando quell'odio religioso da crociata che ha caratterizzato gli scontri militari più violenti degli ultimi 20 anni.
Finita l'avventura sociale della visione comunistica della vita con la caduta del muro di Berlino; acquisita l'uguaglianza, voluta dalla propaganda cristiana, di Hitler uguale Stalin; nascosto il ricordo che furono le pulsioni sovietiche e l'ideale sociale sovietico a sconfiggere il nazismo e non il liberalismo occidentale che era attraversato da tentazioni di alleanza ideologica col nazismo; i popoli occidentali si trovano orfani di quell'ideale dell'essere cittadini che ha portato alla nascita delle Costituzioni Europee fino alla formulazione del trattato di Nizza e Lisbona che stanno progressivamente per essere dimenticati nelle dinamiche assolutiste che si stanno affermando attraverso la crisi economica che dal 2008 al 2015 sta attraversando l'Europa.
C'è una grande stanchezza, di un presente fallimentare, in una democrazia ingiuriata e violentata dall'assolutismo cattolico che controlla con metodi mafiosi le Istituzioni e ogni anfratto della cultura negando ai cittadini le più elementari libertà che garantivano la sicurezza esistenziale. Siamo al ridicolo: tu hai la libertà di pensare, però devi garantirmi la libertà di poterti bastonare. Dobbiamo essere entrambi liberi!
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06 agosto 2025
La felicità, il sesso e il piacere, sono legati in una relazione assoluta e indissolubile dentro all'Essere Umano come in ogni altro Essere della Natura.
E' la condizione che ha permesso la nascita della vita sul nostro pianeta. E' la condizione che permette le trasformazioni nell'esistenza di ogni vivente. Bloccare un aspetto di questa relazione, fra felicità, sesso e piacere, significa costruire il male come necessità del soggetto di ripristinare il suo percorso nella felicità, nella sessualità e nei piaceri che l'esistenza gli può fornire ad ogni costo.
Negare il sesso, il desiderio e il piacere, criminalizzandoli, è l'atto più criminale che si possa fare in una società specialmente quando, l'ideologia del dolore e l'esaltazione della sofferenza come negazione del piacere e della sessualità, viene imposta come comportamento premiale ai bambini e ai ragazzi costringendoli a rinunciare a sé stessi. Uccidere la ricerca della felicità, impedendo ai ragazzi di fornirsi degli strumenti adeguati per farlo ed esaltando la sofferenza e il dolore che la mancata ricerca di felicità donerebbe loro, costituisce il fondamento della distruzione della società civile.
La visione della ricerca della felicità era il fondamento dell'Epicureismo nel quale la ricerca della felicità era inteso come il fondamento del divenire umano in una società che fondava sé stessa nella ricerca di un sempre maggiore benessere.
L'epicureismo esprimeva l'ideologia del piacere. Un piacere che non era circoscritto ad un singolo individuo, ma all'insieme della società.
La ricerca della soddisfazione sessuale e della felicità ha basi e riscontri fisiologici, oggi la ricerca scientifica lo sta sempre più scoprendo riservando le proprie scoperte ai suoi "eletti" in contrapposizione alla massa delle persone che, invece, devono vivere nel dolore e nella sofferenza.
L'imposizione della sofferenza come ideale dell'ebraismo, cristianesimo, islamismo e buddhismo, ha lo scopo di impedire all'uomo di elevarsi nelle relazioni fra sé e il mondo in cui vive. Ha lo scopo di costringere l'uomo a crogiolarsi nel dolore e nella sofferenza rendendolo impotente ad uscire da quella condizione. Più si impone il dolore all'uomo e più, ogni singolo uomo, trarrà piacere nell'imporre dolore ad altri uomini e donne.
La ricerca scientifica fornisce prove fisiologiche e biologiche per dire che le religioni del dolore praticano, di fatto, un'azione di terrorismo nei confronti degli Esseri Umani. Un'azione di terrorismo che, incontrando l'approvazione delle Istituzioni che fanno dell'uomo un oggetto di possesso anziché un soggetto di diritto Costituzionale, sfruttano l'ideologia religiosa del dolore per dominare l'uomo.
Riporto i risultati della ricerca sul legame fra "amore" e sesso anche se non condivido la direzione monoteista, assolutista, che vogliono imporre i ricercatori trasformando la "fedeltà come sottomissione all'altro" in una condizione possibile, quasi desiderabile. Il sentimento inibisce delle aree cerebrali attive nel desiderio sessuale. Noi dobbiamo capovolgere la logica della ricerca: l'inibizione delle aree cerebrali adibite alla sessualità, mediante la repressione, provoca la nascita del sentimento. Il sentimento che è sempre "nostalgia" per una separazione che non si riesce a recuperare. Quella separazione è una separazione libidica fra noi e il mondo che ha nella inibizione delle aree cerebrali adibite al sesso la sua rappresentazione fisiologica. In pratica: è proprio perché l'educazione ha inibito le aree cerebrali che nasce il sentimento come surrogato della relazione libidica fra noi e il mondo.
Negli Esseri viventi ci sono vari metodi con cui veicolare le emozioni. Il principale rimane sempre la pratica sessuale, ma quando la pratica sessuale viene inibita dalle condizioni morali, scattano altri meccanismi che permettono di incanalare e veicolare le emozioni che altrimenti produrrebbero malattia mentale nell'individuo. Caricare il sentire il mondo mediante le emozioni è uno di questi metodi che normalmente non è alternativo alla pratica sessuale, ma essenzialmente riguarda l'apertura del soggetto alle emozioni del mondo. Alimenta l'empatia.
Questa alternativa nella veicolazione emotiva tende a costruire un rapporto privato, intimo, un rapporto che assicura una relazione amorosa e spesso manifesta il "possesso dell'altro". E' il sentimento che trasforma la relazione sessuale in una relazione di possesso esclusivo.
La notizia di fonte giornalistica:
Dal desiderio all'amore
c'è una strada nel cervello
Uno studio internazionale ha svelato le aree del cervello coinvolte nel passaggio dal sesso al sentimento. Che agisce sul nostro organismo come una droga. La fedeltà è possibile
L'AMORE abita nella testa, si sa da tempo. Il cuore lo abbiamo già scartato. La domanda è dove si trova precisamente, quali aree coinvolge. E soprattutto se sono le stesse interessate dal desiderio. Una risposta adesso c'è. L'amore e il sesso si sviluppano in due zone differenti del cervello, ma estremamente vicine. Così, come fosse una droga, il sentimento crea dipendenza. Non ci sono più dubbi: lo possiamo vedere per la prima volta sulla mappa cerebrale dell'amore 1, realizzata da un team internazionale di studiosi.
Jim Pfaus, psicologo canadese della Concordia University, e i suoi colleghi statunitensi e svizzeri hanno analizzato i dati di 20 diversi studi sul tema. Esaminando l'attività cerebrale di persone alle quali venivano mostrati video erotici o fotografie di partner, l'èquipe è stata in grado di localizzare le zone collegate all'amore e al desiderio. "I due stimoli - racconta Pfaus - attivano aree specifiche del cervello. Ma correlate l'una all'altra".
Lo striato - una parte sottocorticale del telencefalo vicina all'insula - è il testimone del processo che trasforma il desiderio in amore, ma gli stimoli vengono registrati in due diverse zone. Il desiderio sessuale attiva la stessa area del "piacere" che viene stimolata dal cibo o dallo stesso sesso. L'amore invece colpisce nella zona del "condizionamento", dove acquistano valore quelle cose o persone associati alla ricompensa o al piacere. "Il desiderio sessuale - continua Pfaus - si pone un obiettivo concreto, mentre l'amore è qualcosa di molto più astratto e complesso, indipendente dalla presenza fisica della persona amata".
L'amore, agendo sulla stessa area che crea la dipendenza, ha quindi lo stesso effetto di una sostanza stupefacente. "L'amore è, di fatto, una dipendenza che nasce dal desiderio sessuale ricompensato", chiarisce Pfaus. Questo significa che pur di avere amore si è disposti a tradire il proprio partner? No, rassicura lo studio: il sentimento innesca percorsi cerebrali che portano alla monogamia e al legame di coppia, inibendo alcune aree del cervello solitamente attivate dal desiderio sessuale.
Tratto da:
repubblica.it scienze 2012/06/20
Troppo spesso la ricerca scientifica viene trasformata nella certificazione di una morale. "No, rassicura lo studio:" che si sta parlando di "tradire" il partner. Ci sono dei legami di coppia che inibiscono. Sono le inibizioni date, spesso, dalle condizioni sociali, che ci inducono in una relazione fissa anche se, qualche volta, non soddisfacente.
La società impone tutta una serie di legami, obblighi e doveri, che costituiscono veri e propri impedimenti alla veicolazione della libido soggettiva come risposta ai desideri personali. Questi impedimenti agiscono sulla nostra struttura emotiva e rafforzano quella separazione che nel corso dell'evoluzione, facendo nascere la qualità della ragione umana, ci ha separati dal mondo della Natura e da tutte le altre specie. La veicolazione delle emozioni nell'empatia dei legami col mondo, limitata dalla ragione, si è riversata nella pratica della sessualità. La pratica della sessualità veicola le emozioni restringendo il campo per la veicolazione delle emozioni nelle relazioni empatiche. Spesso, relazioni empatiche e sessualità, nell'individuo, si riassumono in comportamenti possibili e socialmente accettabili.
Quando l'uomo sarà liberato da alcuni impedimenti, i ricercatori, con i loro strumenti, potranno verificare che ci sono condizioni diverse e aree cerebrali diverse che si attivano. L'errore della ricerca consiste nel considerare l'uomo creato ad immagine e somiglianza di un Dio pazzo, cretino e deficiente. L'individuo non è un soggetto che è divenuto nel mondo e nella vita e che, pertanto, può ancora divenire e trasformarsi.
La ricerca scientifica fotografa la realtà presente dell'individuo. In questo caso la risposta agli stimoli di connessioni neuronali date e costruite come adattamento soggettivo alle variabili oggettive nel corso della sua esistenza. Non fotografa i processi di trasformazione soggettiva che hanno prodotto quella tipologia di connessioni neuronali. Le scelte soggettive, gli adattamenti emotivi dell'individuo come risposte alle sollecitazioni del mondo in cui viveva, non appaiono alla registrazione del presente. Per questa ricerca scientifica tutto è fermo in un presente; in una sorta di creazione dell'individuo.
In queste condizioni, l'analisi scientifica, non prende in considerazione le risposte soggettive all'ambiente che l'individuo ha messo in atto fin dalla primissima infanzia per costruire quella struttura sinapsica e quei collegamenti neuronali che accendono quelle aree cerebrali in risposta agli stimoli degli sperimentatori.
Per questo tipo di ricerca non è importante COME si sono formate le connessioni neuronali e come si sono costruite le condizioni per le quali a quegli stimoli si registrano quelle risposte, ma per la costruzione dell'uomo è importante sapere che si sono autoimposte delle strutture inibitrici e coercitive ad un comportamento legato al divenire e allo sviluppo della vita.
Esiste un comportamento soggettivo legato al divenire della vita. Un comportamento che ha stimolato lo sviluppo degli Esseri e la diversificazione delle specie. Questo comportamento viene inibito per essere funzionale all'adattamento dell'individuo alle esigenze della società in cui vive.
Tener presente questo, per noi è importante perché, inibire la pulsione di vita nelle persone per imporre dei controlli sociali significa inibire il divenire della specie, dell'uomo, in funzione di un controllo sociale che viene calato nella psiche umana: "Sarai schiavo con tutto il tuo corpo e con tutta la tua anima".
Rilevare delle forme fisiologiche inibitrici rispetto alla pulsione di vita che da miliardi di anni hanno trasformato le specie della natura pone una domanda esistenziale fondamentale: a cosa siamo stati costretti a rinunciare, dal punto di vista psichico, emotivo, relazionale, per sopravvivere in questo presente? Come saremmo diventati se nel corso della nostra vita avessimo messo in atto scelte diverse e adattamenti diversi alle sollecitazioni del mondo?
Cosa avrebbe rilevato la ricerca scientifica in quel caso? Noi non siamo ciò che siamo perché lo siamo, ma siamo ciò che siamo perché, nella varie condizioni della vita, abbiamo fatto quelle e solo quelle scelte che ci hanno costruito ciò che ora siamo.
Pagina specifica dell'argomento
05 agosto 2025
In filosofia esistono solo due regole per conoscere se un discorso ha un senso di verità o se è falso e in malafede.
Nel primo caso, quando l'affermazione si appoggia su dati reali che ricadono sotto i sensi, oppure se si tratta di uno sviluppo ideale, sia pur trascendente, di dati di realtà che ricadono sotto i sensi; nel secondo caso, quando l'affermazione è utile agli uomini e al miglioramento delle loro condizioni di vita.
In tutti gli altri casi, le affermazioni ricadono sotto la categoria del fantastico, dell'inganno, della malafede o del delirio.
Nell'inganno, nella malafede e nel delirio ricadono le affermazioni di Agostino d'Ippona relative alla città di Dio.
Secondo Agostino d'Ippona esisterebbe una "città di Dio" che si opporrebbe alla "città dei Pagani". Mentre la "città dei Pagani" è la città del vivere quotidiano delle persone, la "città di Dio" occuperebbe un trascendente ontologico che Agostino d'Ippona non solo non sa spiegare e definire, ma ne afferma l'esistenza appoggiandosi ad altri che ne affermano l'esistenza dimostrando di desiderare un luogo di delizia, dato il fallimento della propria esistenza, ma senza poterlo né definire né giustificare.
Un conto è il desiderio psicologico, che viene trattato dalla psichiatria, e un altro conto è l'affermazione filosofica, che richiede non solo la definizione della realtà in essere, ma anche la prospettiva di modificazione della realtà in essere date le scelte che il filosofo dovrebbe indicare nello sviluppo del suo pensiero.
Della città di Dio contro i Pagani, scrive Agostino d'Ippona:
Chiamiamo città di Dio quella di cui parla la Scrittura, che ha sottomesso a sé ogni genere d'umano ingegno(1), e non per casuali movimenti degli animi ma per la suprema disposizione della provvidenza, elevandosi con la sua divina autorità al di sopra di ogni letteratura umana(2). In essa sta scritto: Di te si dicono cose stupende, città di Dio(3). E altrove: Grande è il Signore e degno di lode nella città del nostro Dio. Il suo monte santo, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra (4); poco più avanti, nello stesso Salmo: Come avevamo udito, così abbiamo visto nella città del Signore degli eserciti, nella città del nostro Dio; Dio l'ha fondata per sempre(5). In un altro Salmo ancora: Un fiume e i suoi ruscelli rallegrano la città di Dio, la santa dimora dell'Altissimo. Dio sta in essa: non potrà vacillare(6). In base a queste testimonianze e ad altre analoghe, che sarebbe troppo lungo ricordare per intero, abbiamo appreso che esiste una città di Dio di cui ci fa desiderare ardentemente d'essere cittadini quell'amore che ci ha ispirato il suo fondatore. I cittadini della città terrena antepongono invece a questo Fondatore della città santa i propri dèi, ignorando che Egli è il Dio degli dèi(7), ma non degli dèi falsi, cioè empi e superbi, che, privi della luce immutabile e comune a tutti e perciò ridotti ad un ben povero potere, cercano di inseguirne in ogni modo uno personale, esigendo doni divini dai fedeli loro schiavi. Egli è Dio invece di dèi devoti e santi, che trovano la loro gioia più nel sottomettersi a Dio che nel ricevere la sottomissione di molti, più nel venerare Dio che nell'esser venerati al posto suo.
XI,1. 1 V. supra, IX,5, nota 1.
2 Cfr. De doctr. christ., 11,42,63.
3 Sal. 87,3.
4 Sal. 48,2 s.; cfr. Sal. 96,49.
5 Sal. 48,9.
6 Sal. 46,5 s.; cfr. Gn. 2,10; Sal. 36,9.
7 Cfr. Sal. 50,1; Dt. 10,17; Gs. 22,22
Agostino d'Ippona, La città di Dio contro i pagani (De Civitate Dei contra Paganos), Editore Bompiani, 2015, pag. 515
"Chiamiamo "città di Dio" quella di cui parla Doroty, la città di smeraldo.". Questo è il meccanismo adottato da Agostino d'Ippona per affermare una realtà che abita solo nel suo personale desiderio.
Che forse Agostino d'Ippona argomenta attorno alla realtà della "città di Dio"? No! La afferma come si afferma qualcosa per dare speranza consolatoria ad un disperato: lo dicono le "sacre scritture".
Sarebbe stato più onesto se avesse detto "Ne ho dedotto l'esistenza partendo dai Salmi della bibbia" che significa "L'ho dedotto perché io desidero che ciò sia".
Ma io non rendo schiave le persone quando dico che "desidero che ciò sia", le rendo schiave, sfruttando i momenti della loro disperazione, quando dico loro che "questo è" e li costringo a sperare in "questo è" imprigionando la loro psiche mentre blocco ogni loro possibilità d'azione costringendoli in uno stato psicologico d'attesa.
Per cercare di capire come Agostino d'Ippona ha costruito la sua idea affermando che nella bibbia si trovano le testimonianze della "città di Dio" ho cercato di raccogliere i riferimenti che il presentatore, della città di Dio di Agostino, ha messo come note per concretizzare i riferimenti fatti da Agostino d'Ippona.
La mia ricerca delle note non è stata precisissima. Un po' perché la numerazione dei Salmi è diversa da bibbia a bibbia e non sempre il numero dei salmi corrisponde, spesso va modificato di un numero. Ho fatto il possibile. Altre volte i traduttori, a seconda dei loro intenti, usano termini edulcorati per mascherare la crudeltà o le intenzioni criminali del Dio della bibbia.
In ogni caso, al di là degli errori, penso di aver raccolto uno schema sufficiente di citazioni e di passi che ci permette di ricostruire, per quanto è possibile, il labirinto mentale in cui Agostino d'Ippona intende intrappolare l'uomo per sottometterlo e stuprarne il futuro.
Proviamo leggere le citazione dei salmi fatta da Agostino d'Ippona nel contesto dell'affermazione.
-1- All'affermazione: "Di te si dicono cose stupende, città di Dio(3)." Di Agostino d'Ippona, viene citato il Salmo 87,3 (io l'ho trovato nell'86)
Salmo 87 (86) per intero recita:
1 Dei figli di Core. Salmo. Canto.
Le sue fondamenta sono sui monti santi;
2 il Signore ama le porte di Sion
più di tutte le dimore di Giacobbe.
3 Di te si dicono cose stupende,
città di Dio.
4 Ricorderò Raab e Babilonia fra quelli che mi conoscono;
ecco, Palestina, Tiro ed Etiopia:
tutti là sono nati.
5 Si dirà di Sion: "L'uno e l'altro è nato in essa
e l'Altissimo la tiene salda".
6 Il Signore scriverà nel libro dei popoli:
"Là costui è nato".
7 E danzando canteranno:
"Sono in te tutte le mie sorgenti".
La città di Dio è la città da cui proviene il popolo ebraico, una città fisica, che gli ebrei considerano una città di Dio ed essi stessi proprietà del loro Dio.
Non è una città trascendente. Il salmo parla di una città ideale che sta nei desideri degli ebrei deportati a Babilonia e, nei desideri nostalgici, la città che ricordano appare al loro desiderio come "stupenda".
L'unica testimonianza in questo salmo è la testimonianza del migrante che ricorda con nostalgia il paesello d'origine al quale ambisce tornare perché incapace di fondare un proprio futuro e vorrebbe ritornare nell'utero della sua infanzia.
-2- All'affermazione "Il suo monte santo, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra (4)" di Agostino d'Ippona viene indicata al Salmo 48,2.
-3- All'affermazione "Dio l'ha fondata per sempre(5)." Viene indicata al Salmo 48,9 (47,9)
E ancora nei Salmi 48,2 (che poi viene dato come Salmi 47) con dei rimandi.
Salmi 47
1 Cantico. Salmo. Dei figli di Core.
2 Grande è il Signore e degno di ogni lode
nella città del nostro Dio.
3 Il suo monte santo, altura stupenda,
è la gioia di tutta la terra.
Il monte Sion, dimora divina,
è la città del grande Sovrano.
4 Dio nei suoi baluardi
è apparso fortezza inespugnabile.
5 Ecco, i re si sono alleati,
sono avanzati insieme.
6 Essi hanno visto:
attoniti e presi dal panico,
sono fuggiti.
7 Là sgomento li ha colti,
doglie come di partoriente,
8 simile al vento orientale
che squarcia le navi di Tarsis.
9 Come avevamo udito, così abbiamo visto
nella città del Signore degli eserciti,
nella città del nostro Dio;
Dio l'ha fondata per sempre.
10 Ricordiamo, Dio, la tua misericordia
dentro il tuo tempio.
11 Come il tuo nome, o Dio,
così la tua lode si estende
sino ai confini della terra;
è piena di giustizia la tua destra.
12 Gioisca il monte di Sion,
esultino le città di Giuda
a motivo dei tuoi giudizi.
13 Circondate Sion, giratele intorno,
contate le sue torri.
14 Osservate i suoi baluardi,
passate in rassegna le sue fortezze,
per narrare alla generazione futura:
15 Questo è il Signore, nostro Dio
in eterno, sempre:
egli è colui che ci guida.
Come leggiamo nel 48, 2 (che poi si trova nel 47,2 e nel 47,9) e 48,9 non si tratta della testimonianza di un oggetto o di un luogo, ma della testimonianza di una disperazione che desidera un oggetto o un luogo diverso dalle condizioni dell'esistenza.
Trasformare la testimonianza di un desiderio, vissuto dolorosamente, nella testimonianza di un luogo da spacciare come oggettivo è un inganno in malafede. Un inganno malevolo che quando elevato a potere di Stato, e alimentato dalle armi, diventa infamia volta a distruggere l'umanità.
Il Monte Sion è:
Con il nome di monte Sion è conosciuta un'altura di 765 metri sul livello del mare, posta a sud della Porta di Sion, immediatamente fuori dalla Città Vecchia di Gerusalemme.
Tratto da internet.
Il desiderio di onnipotenza dello sconfitto idealizza quanto ricorda, ma si tratta della testimonianza della sconfitta di un corpo desiderante che ha rinchiuso sé stesso nella nostalgia.
Lo sconfitto sogna l'onnipotenza dicendo:
"Gioisca il monte di Sion, esultino le città di Giuda a motivo dei tuoi giudizi. Circondate Sion, giratele intorno, contate le sue torri. Osservate i suoi baluardi, passate in rassegna le sue fortezze, per narrare alla generazione futura: Questo è il Signore, nostro Dio in eterno, sempre: egli è colui che ci guida."
Lo sconfitto sogna l'onnipotenza di un padrone superiore che possa essere di consolazione alla propria disperazione attraverso la sconfitta di chi lo ha sconfitto. Questa è la testimonianza della disperazione di Agostino d'Ippona.
-4- All'affermazione di Agostino d'Ippona "Dio sta in essa: non potrà vacillare(6)" vengono indicati Sal. 46,5 s.; cfr. Gn. 2,10; Sal. 36,9.
La stessa condizione è nei Salmi 45,1
1 Venite, cantiamo con gioia al SIGNORE,
acclamiamo alla rocca della nostra salvezza!
Salmi 45 (46 forse in altra scrittura)
5 Le tue frecce sono acuminate;
i popoli cadranno sotto di te;
esse penetreranno nel cuore dei nemici del re.
6 Il tuo trono, o Dio, dura in eterno;
lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia.
Genesi 2,10
10 Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. 11 Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre intorno a tutto il paese di Avìla, dove c'è l'oro 12 e l'oro di quella terra è fine; qui c'è anche la resina odorosa e la pietra d'ònice.
Salmi 36, 9 (35, 9)
9 Allora l'anima mia esulterà nel Signore,
mi rallegrerò della sua salvezza.
Dio sta nella città di Dio e la città di Dio, secondo Agostino d'Ippona, non potrà vacillare.
Qui non si tratta della "città di Dio" che non può vacillare, si tratta della condizione psichiatrica dell'individuo sottomesso che, travolto dalle difficoltà presenti nella sua vita, anziché affrontarle, preferisce sperare in un evento, la "Città di Dio", nel quale porre fine alle sue sofferenze.
L'individuo sconfitto che ha cessato di fluire nella sua esistenza si costruisce nella sua testa una città magnifica, promessa da un padrone che chiama "Dio", e questa, da fantasia delirante, assume, dentro di sé, un dato di realtà nel quale vuole confidare.
"Allora l'anima mia esulterà nel padrone ed esulterò per la salvezza della mia anima"
E' un'idea che prede forma in un corpo disperato che dice: io non sono in grado di affrontare la quotidianità, ma la mia mente esulterà perché la mia anima sarà salva. E con questo vuole significare che lui, in quanto corpo pensante, sarà salvo dalle contraddizioni che sta vivendo.
In questo delirio sogna:
"Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre intorno a tutto il paese di Avìla, dove c'è l'oro e l'oro di quella terra è fine; qui c'è anche la resina odorosa e la pietra d'ònice."
E' come per la popolazione veneta che, attanagliata dai morsi della fame, sognava "Mari de tocio e montagne di polenta". La disperazione emotiva non è molto diversa dalla fame e porta a sognare terre paradisiache dove la disperazione cessa, l'angoscia si dissolve, e finalmente viene raggiunta quella felicità tanto desiderata.
Il disperato sogna che qualcuno combatta chi gli procura disperazione, un padrone più potente dei suoi padroni:
"Le tue frecce sono acuminate; i popoli cadranno sotto di te; esse penetreranno nel cuore dei nemici del re. Il tuo trono, o Dio, dura in eterno; lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia."
E' il desiderio del disperato che si pensa impotente nella situazione che sta vivendo. Quella descrizione, in cui veicola il suo desiderio, lo tiene prigioniero. Lo costringe a rinunciare all'azione. Lo costringe ad accettare la situazione che sta vivendo. Il desiderio del disperato alimenta la disperazione del disperato che sogna un onnipotente dalle frecce acuminate che uccidano la fonte della sua angoscia.
-5- All'affermazione di Agostino d'Ippona "I cittadini della città terrena antepongono invece a questo Fondatore della città santa i propri dèi, ignorando che Egli è il Dio degli dèi(7)" vengono indicate le citazioni: 7 Cfr. Sal. 50,1; Dt. 10,17; Gs. 22,22
Al salmo 49, 1-3 il Dio degli ebrei e dei cristiani dice:
1 Ascoltate, popoli tutti;
porgete orecchio, abitanti del mondo,
2 plebei e nobili,
ricchi e poveri tutti insieme.
3 La mia bocca dirà parole sagge,
il mio cuore mediterà pensieri intelligenti.
Al salmi 50
1 Il Potente, Dio, il SIGNORE,
ha parlato e ha convocato la terra
da oriente a occidente.
2 Da Sion, perfetta in bellezza,
Dio è apparso nel suo fulgore.
3 Il nostro Dio viene e non se ne starà in silenzio;
lo precede un fuoco divorante,
intorno a lui infuria la tempesta.
Deuteronomio 10
15 Ma il Signore predilesse soltanto i tuoi padri, li amò e, dopo loro, ha scelto fra tutti i popoli la loro discendenza, cioè voi, come oggi. 16 Circoncidete dunque il vostro cuore ostinato e non indurite più la vostra nuca; 17 perché il Signore vostro Dio è il Dio degli dèi, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali, 18 rende giustizia all'orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito.
Giosuè 22,20-23
Quando Acan figlio di Zerach commise un'infrazione contro lo sterminio, l'ira del Signore non venne forse su tutta la comunità d'Israele, sebbene fosse un individuo solo? Non morì forse per la sua colpa?"". 21Allora quelli di Ruben, di Gad e la metà della tribù di Manasse risposero così ai capi delle migliaia d'Israele: 22"Dio degli dèi è il Signore! Dio degli dèi è il Signore! Egli lo sa, ma lo sappia anche Israele. Se abbiamo agito con ribellione o con infedeltà verso il Signore, egli non ci salvi oggi stesso! 23Se abbiamo costruito un altare per smettere di seguire il Signore, per offrirvi olocausti od oblazioni e per farvi sacrifici di comunione, il Signore stesso ce ne chieda conto!
Agostino d'Ippona nella sua disperazione, consolandosi con l'idea della realtà del suo padrone, lo immagina superiore agli Dèi Pagani. Gli uomini che vivono nella città terrena forse non sono felici, tuttavia affrontano le condizioni della vita che incontrano. Sono attivi, propositivi. Non vivono la disperazione nella speranza della fine della loro disperazione.
Le citazioni che Agostino d'Ippona cerca nella bibbia sono affermazioni consolatorie. Il suo Dio ce l'ha sicuramente più lungo degli Dèi dei Pagani.
E Agostino d'Ippona dice ai Pagani:
"Ascoltate, popoli tutti; porgete orecchio, abitanti del mondo, plebei e nobili, ricchi e poveri tutti insieme. La mia bocca dirà parole sagge, il mio cuore mediterà pensieri intelligenti."
Solo che da quella bocca non escono le parole sagge che Agostino d'Ippona immagina nella sua angoscia. Nel cristianesimo mai saranno insieme nobili ricchi e poveri; saranno sacrificati, macellati, i poveri costruiti dai cristiani per salvaguardare ricchi e nobili. Nessuna parola saggia si può leggere nelle sacre scritture di Agostino d'Ippona, solo parole d'odio che chiedono agli uomini di sottomettersi.
Nella sua angoscia, Agostino d'Ippona minaccia proclamando:
"Il Potente, Dio, il SIGNORE, ha parlato e ha convocato la terra da oriente a occidente. Da Sion, perfetta in bellezza, Dio è apparso nel suo fulgore. Il nostro Dio viene e non se ne starà in silenzio; lo precede un fuoco divorante, intorno a lui infuria la tempesta."
Nessun Dio padrone ebreo o cristiano è mai apparso nel suo fulgore, solo eserciti cristiani che hanno macellato i popoli per la gloria del loro Dio.
Nel desiderio represso di Agostino d'Ippona, il suo Dio non se ne sta in silenzio, ma stermina gli uomini con un fuoco divorante e intorno a lui infuria la tempesta. E' l'immagine consolatoria che si forma nella testa di Agostino d'Ippona: lui e il suo Dio. Lui e il suo Dio si sentono forti, invincibili, sterminatori di coloro che non vogliono sottomettersi a lui.
Nella mente, Agostino d'Ippona si immagina di essere il prediletto del suo Dio padrone e fa proprie le parole che gli ebrei, nel loro delirio, immaginarono nel Deuteronomio:
"Ma il Signore predilesse soltanto i tuoi padri, li amò e, dopo loro, ha scelto fra tutti i popoli la loro discendenza, cioè voi, come oggi. Circoncidete dunque il vostro cuore ostinato e non indurite più la vostra nuca; perché il Signore vostro Dio è il Dio degli dèi, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali, rende giustizia all'orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito."
La "Città di Dio", la città di un Dio che odia gli uomini favorendo alcuni affinché sterminassero altri. Agostino d'Ippona immagina di esserne il favorito, ma se gli imperatori cristiani di Roma e di Ravenna non macellarono i popoli in nome di quel Dio, Agostino d'Ippona non avrebbe nemmeno la consolazione nel delirio di onnipotenza nella sua impotenza esistenziale.
Agostino d'Ippona, elevato al rango di Dio in terra, sente di amare il forestiero, ma il forestiero ama la sua violenza e il suo delirio di onnipotenza? Al forestiero, Agostino d'Ippona dà pane e vestiti, ma non la libertà di essere sé stesso.
Agostino d'Ippona, elevato al rango di Dio in terra, sente la necessità di dare giustizia all'orfano e alla vedova, solo che nel farlo non condanna sé stesso, né il proprio Dio, quali autori delle sofferenze dell'orfano e della vedova.
Agostino d'Ippona, elevato al rango di Dio in terra, si sente il "padrone" degli Dèi. Non tanto per essere il padrone degli Dèi, né gli Dèi dell'Olimpo, del Tartaro o dell'Ade, si sono mai presentati come padroni, ma per considerarsi padrone degli Esseri Umani che camminano con gli Dèi e in diritto di sterminarli in nome del suo Dio padrone.
Legittimare lo sterminio di uomini e popoli, questo alimenta l'idea di onnipotenza fra gli ebrei e questo alimenta l'idea di onnipotenza in Agostino d'Ippona.
"Quando Acan figlio di Zerach commise un'infrazione contro lo sterminio, l'ira del Signore non venne forse su tutta la comunità d'Israele, sebbene fosse un individuo solo? Non morì forse per la sua colpa? Allora quelli di Ruben, di Gad e la metà della tribù di Manasse risposero così ai capi delle migliaia d'Israele: "Dio degli dèi è il Signore! Dio degli dèi è il Signore! Egli lo sa, ma lo sappia anche Israele. Se abbiamo agito con ribellione o con infedeltà verso il Signore, egli non ci salvi oggi stesso! Se abbiamo costruito un altare per smettere di seguire il Signore, per offrirvi olocausti od oblazioni e per farvi sacrifici di comunione, il Signore stesso ce ne chieda conto!"
La libertà di sterminare è la libertà che Agostino d'Ippona rivendica per il proprio Dio. Per gli uomini rivendica la libertà di farsi sterminare per volontà e decisione di Agostino d'Ippona che si identifica con il Dio sterminatore.
Lui è lo sterminatore di coloro che hanno costruito altari per onorare altri Dèi. Il suo Dio è il Dio degli Dèi, il padrone degli Dèi, il padrone degli uomini e in diritto di macellarli per il proprio tornaconto personale.
La città di Dio di Agostino d'Ippona è una città fatta di sangue, dolore e morte. Un dolore del quale Agostino d'Ippona si compiace. Finalmente non è solo lui che vive nell'angoscia, ma ha fatto dell'angoscia un modo di essere di tutti gli abitanti del pianeta affinché anelino a quella città del padrone di Agostino d'Ippona in cui le loro sofferenze saranno moltiplicate per compiacere Agostino d'Ippona dandogli sollievo alla sua angoscia.
Per Agostino d'Ippona la città terrestre dei pagani deve essere distrutta. I Pagani non vivono nell'angoscia, vivono adattandosi alle condizioni del mondo e Agostino d'Ippona pensa bene a imporre condizioni criminali per rubare loro la felicità nell'abitare il mondo.
Le due città di Agostino d'Ippona non sono separate. Una pretende di occupare lo spazio dell'altra. Sia come spazio fisico che come spazio emotivo. O gli uomini sono liberi di affrontare la vita assieme ai loro Déi nella città terrestre; o gli uomini devono vivere nell'angoscia e nel terrore imposto dal Dio di Agostino d'Ippona in modo da dimettersi dal ruolo di cittadini diventando schiavi della speranza che Agostino d'Ippona provvede a rubare loro.
Dopo 1500 anni da Agostino d'Ippona la vediamo la città di Dio mentre il sangue degli uomini scorre per le strade e le loro ossa marciscono nel putridume dell'indifferenza.
NOTA: i passi della bibbia sono stati prelevati, per brevità, da siti web cristiani.
Pagina specifica dell'argomento
04 agosto 2025
Platone inventa la reincarnazione per dominare l'uomo
Alcuni vangeli gnostici, trovati a Nag Hammadi, che trattano di "creazione del mondo", come quello detto di Giovanni Apocrifo, appaiono scritti che riproducono reinterpretandoli gli aspetti del Timeo di Platone e, in particolare, la creazione che l'"Artefice e Padre di opere" affida a quelli chiamati "Dèi" da Platone (ora vado a memoria, ma il testo di Nag Hammadi me lo devo riguardare per quest'occasione).
Scrive Platone:
Disse queste cose, e di nuovo nel cratere di prima, nel quale aveva temperato e mescolato l'anima dell'universo, versò le cose che erano avanzate di quelle usate prima, mescolandole quasi alla stessa maniera, ma non pure alla stessa maniera, ma seconde e terze in purezza. Dopo che ebbe costituito tutto, lo divise in anime, tante di numero quanti erano gli astri, distribuì ciascuna anima a ciascun astro, e postele in tal modo come su un veicolo, mostrò loro la natura dell'universo e disse loro le leggi fatali. Disse che la prima generazione sarebbe stata stabilita come una sola per tutte, affinché nessuna ricevesse da Lui meno del dovuto, e che tutte quante in ciascuno degli organi del tempo conveniente a ciascuna, avrebbero dovuto produrre il più religioso degli animali. E poiché la natura umana è duplice, il genere migliore sarebbe stato quello il quale poi si sarebbe chiamato sesso maschile.
Tratto da Platone, Tutti gli scritti, Timeo, Editore Bompiani, 2014 pag. 1370
Il controllo degli uomini è la finalità della creazione di Platone. L'"Artefice e Padre di opere" fissa il proprio dominio morale, prima di aver fatto "costruire" l'uomo, affinché il dominio morale sia l'oggetto a cui l'uomo si deve adeguare.
Platone impone il dominio morale non all'uomo e alla sua vita, ma alla struttura emotiva che definisce come "anima" e che deve sottomettersi a quelle regole morali per garantirsi la beatitudine. E' la morale dell'anima che costringe il corpo a rinunciare ai desideri e alle passioni.
Alla bibbia ebraica non interessano le anime, ma interessano solo i corpi. Alla bibbia ebraica non interessa discriminare sulla qualità delle anime, non ha necessità di mascherare il dominio di Dio sui corpi. A Platone interessa dominare i corpi, che nella società platonica si devono adeguare alle regole morali imposte da Platone, ma preferisce mascherarsi dietro le anime quali portatrici di regole morali alle quali i corpi si devono adeguare.
La bibbia ebrea e cristiana presenta due versioni sulla genesi della creazione.
7 allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente.
E
21 Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. 22 Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. 23 Allora l'uomo disse: "Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta".
Genesi 2
Questo in contraddizione con la Genesi 1 in cui si affermava:
27 Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.
Genesi 1
Mentre nella genesi 1 viene annunciato il principio di uguaglianza fra uomo e donna, nella genesi 2 viene annunciato il principio di dipendenza della donna tratta dall'uomo.
Tale concetto è ripreso da Paolo di Tarso e viene usato per imporre la discriminazione della donna nella società cristiana. L'affermazione "la donna è stata tratta dall'uomo" si trova nella Prima lettera ai Corinzi, in particolare al capitolo 11, versetto 8. Paolo scrive: "Infatti l'uomo non deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo".
Paolo di Tarso avrebbe potuto scegliere Genesi 1,27 "27 Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò", ma non lo fece. Preferì la discriminazione? O forse Genesi 1 non era ancora stata scritta dal momento che Genesi 2 fa riferimento diretto alla condizione ebraica a Babilonia nel 600 a.c.?
Sta di fatto che la discriminazione è introdotta dalle regole dell'"Artefice e Padre di opere" in Platone:
E poiché la natura umana è duplice, il genere migliore sarebbe stato quello il quale poi si sarebbe chiamato sesso maschile.
Il principio di uguaglianza, l'"Artefice e Padre di opere" lo riserva alle masse di anime distribuite sugli astri:
Dopo che ebbe costituito tutto, lo divise in anime, tante di numero quanti erano gli astri, distribuì ciascuna anima a ciascun astro, e postele in tal modo come su un veicolo, mostrò loro la natura dell'universo e disse loro le leggi fatali. Disse che la prima generazione sarebbe stata stabilita come una sola per tutte, affinché nessuna ricevesse da Lui meno del dovuto, e che tutte quante in ciascuno degli organi del tempo conveniente a ciascuna, avrebbero dovuto produrre il più religioso degli animali.
Tratto da Platone, Tutti gli scritti, Timeo, Editore Bompiani, 2014 pag. 1370
Il più religioso degli animali era l'uomo nel sesso maschile.
Le anime innestate in corpi maschili devono costringere i corpi maschili alla sottomissione e all'obbedienza. Non devono avere volontà, non devono avere passioni e, come nella bibbia ebraica e cristiana, non devono cogliere dall'albero della conoscenza per mangiarne e diventare come Dèi.
Scrive Platone:
E quando le anime fossero state di necessità innestate nei corpi e al loro corpo una cosa si aggiungesse e un'altra si separasse, sarebbe stato necessario che da queste violente passioni si generasse un sentimento connaturato in tutte, e amore commisto a piacere e a dolore, e, oltre a questi, paura e ira e tutte le altre passioni che seguono a queste, e quelle che hanno natura contraria. E se le anime dominassero tali passioni, vivrebbero nella giustizia; se, invece, ne fossero dominate, vivrebbero nell'ingiustizia.
Tratto da Platone, Tutti gli scritti, Timeo, Editore Bompiani, 2014 pag. 1370
Anche in Platone è importante costruire il concetto di peccato e di colpa. Nella bibbia ebrea e cristiana il peccato consiste nella disobbedienza al padrone; in Platone consiste nel "cedere alle passioni" che, di fatto, è una disobbedienza alla morale comportamentale imposta dal padrone.
Le passioni, per Platone, sono i peccati che portano gli uomini alla perdizione allo stesso modo in cui la disobbedienza di Eva ed Adamo ha portato alla cacciata dell'uomo, e della donna, dal paradiso terrestre.
Scrive Platone:
E colui che vivesse bene il tempo assegnatogli, ritornato di nuovo nell'abitazione dell'astro a lui affine, avrà vita beata e conforme alla sua natura. Ma chi fallisse in queste cose, nella seconda generazione trapasserebbe in natura di donna. E se neanche in questa condizione desistesse dal male, secondo la somiglianza del tipo di malvagità in lui generata, si muterebbe sempre in qualche corrispondente natura ferina; e, continuando a mutare, non cesserebbe dagli affanni, prima che egli, perseguendo la rivoluzione dell'identico e del Simile che ha in se medesimo, vincendo con la ragione la grande massa, che anche successivamente gli si era aggiunta provenendo dal fuoco e dall'acqua e dall'aria e dalla terra, massa tumultuante e irrazionale, riacquistasse la forma della prima ed ottima costituzione.
Tratto da Platone, Tutti gli scritti, Timeo, Editore Bompiani, 2014 pag. 1370
Gli uomini che si sottomettono e che uccidono le loro passioni e i loro desideri in nome della morale imposta dal loro padrone, vengono premiati tornando all'astro da cui proviene la loro anima, ma chi fallisce e non obbedisce e non si sottomette, nella seconda generazione sarà punito nascendo in un corpo di donna.
Se anche in un corpo di donna non si sottomette alle regole morali e fallisce nell'obbedire alla morale imposta preferendo dar corso ai propri desideri e alle proprie passioni, allora si reincarnerebbe "si muterebbe sempre in qualche corrispondente natura ferina". E poi via, via, seguendo una "gerarchia" di decadenza in corpi di animali che Platone ritiene più infimi e squallidi.
Continuerebbe a mutare, aumentando gli affanni, fintanto che non inizia a redimersi attraverso l'obbedienza alla morale imposta dall'"Artefice e Padre di opere" o dal padrone sociale che in esso si identifica.
Scrive Platone
Dopo che Egli aveva promulgate ad essi tutte queste leggi, affinché non fosse causa della malvagità futura di ciascuno, seminò alcuni di essi sulla terra, altri sulla luna, altri su tutti gli altri strumenti del tempo.
Tratto da Platone, Tutti gli scritti, Timeo, Editore Bompiani, 2014 pag. 1370
Dopo che Platone, attraverso l'"Artefice e Padre di opere" ha creato la malvagità attraverso la quale divertirsi a far del male agli Esseri della Natura, distribuì "alcuni di essi" ( e non si sa se anime o cosa) sulla terra, sulla luna e "su altri strumenti del tempo".
Scrive Platone:
E agli dèi giovani Egli affidò ciò che seguiva a tale semina, ossia il compito di plasmare i corpi mortali e ciò che ancora restava, ossia quanto era ancora necessario aggiungere all'anima umana, e procurando questo e tutto ciò che consegue a questo, dominassero e governassero il vivente mortale nella misura del possibile nel modo migliore e più bello, almeno in quanto egli non diventasse egli stesso causa dei propri mali.
E dopo aver ordinato queste cose, Egli rimase nel proprio stato, in modo conforme alla sua natura.
Tratto da Platone, Tutti gli scritti, Timeo, Editore Bompiani, 2014 pag. 1370
Agli Dèi giovani, quelli citati sopra ai quali bisogna credere:
Gea e da Urano nacquero Oceano e Teti; e da questi nacquero Forci e Crono e Rea e quanti con essi, e da Crono e da Rea nacquero Zeus ed Era e tutti quanti sappiamo che sono detti loro fratelli.
Tratto da Platone, Tutti gli scritti, Timeo, Editore Bompiani, 2014 pag. 1369
Affidò loro il compito di plasmare i corpi mortali in conseguenza alla sua semina di complessi di anime.
Ma soprattutto, affidò agli Dèi di dominare e governare il vivente mortale secondo l'opinione di "modo migliore e di più bello" come soggettivamente determinato dall'"Artefice e Padre di opere" e da chi si identificava in quell'"Artefice e Padre di opere" per il quale gli uomini sono solo bestiame da allevamento, come dimostra Platone nella sua Repubblica.
L'ordine dell'"Artefice e Padre di opere" agli Dèi non è diverso dall'ordine del Dio della bibbia all'uomo.
26 E Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra".
Genesi 1
Si tratta di una gerarchia di dominio in cui è richiesta obbedienza e sottomissione a chi sta sopra nella scala gerarchica del Dio di turno.
Il dominio dell'uomo sull'uomo è il motivo ideologico che lega la Genesi della bibbia alla creazione presentata da Platone nel Timeo.
Non ho dubbi che la necessità di dominare l'uomo in Platone ha gli stessi impulsi e necessità dei padroni ebrei che dovevano dominare gli ebrei a Babilonia separandoli dal resto della popolazione e, pertanto, anche le costruzioni ideologiche che legittimano il dominio possono apparire simili.
Detto questo, il sospetto che le idee che Platone ha espresso nel Timeo e le idee degli ebrei espressi nelle genesi, siano generate da un medesimo sostrato culturale è molto forte. Stando ad internet, Platone scrive il Timeo attorno al 360 a.c., mentre il primo documento storico che menziona il libro della Genesi è generalmente collocato nel VI-V secolo a.C., durante l'esilio babilonese. La questione che la donna è tratta dalla costola di Adamo è una deformazione di un racconto mitico babilonese, come è stato ampiamente documentato.
Dal ritorno degli ebrei da Babilonia alla scrittura del Timeo, visti i tempi di trasmissione della cultura di allora, non passa molto tempo.
In ogni caso, che siano a meno il prodotto di uno stesso ambiente culturale o meno, lo diventano con la nascita del cristianesimo ad opera di autori dell'ambiente neoplatonico. La creazione della bibbia necessita della creazione del Timeo per apparire, quanto meno, verosimile. I cristiani dei primi secoli, anche dopo Agostino d'Ippona, lavorano intensamente per fondere i due testi eliminando quelle idee che appaino troppo in contrasto fra i loro.
FINE quarta parte e FINE de La creazione nel Timeo di Platone e la creazione nella Genesi della bibbia
Pagina specifica dell'argomento
03 agosto 2025
Dal pluralismo mitologico all'assolutismo di Platone e della bibbia.
Il processo di creazione, definito da Platone, deve affrontare la mitologia, la teogonia di Esiodo, le idee degli Orfici, le idee delle religioni dei misteri, le idee di Omero.
Nella Genesi della bibbia non esiste l'attività di creazione di potenze superiori all'uomo da parte di Dio. Non esiste nella bibbia un passo biblico che citi la creazione di angeli o demoni da parte di Dio.
La tradizione della presenza di angeli e demoni nel cristianesimo è una tradizione estranea alla bibbia, anche se in qualche passo c'è la citazione di angeli come messaggeri di Dio che tendono ad apparire in specie nel nuovo testamento, nei vangeli, come sincretismo dalla tradizione del mito greco.
Nel libro IX della "Città di Dio contro i Pagani" di Agostino d'Ippona assistiamo al passaggio fra la concezione del demone di Platone e dei demoni dei neoplatonici alla definizione degli angeli nel cristianesimo. Ho pochi dubbi sul fatto che il cristianesimo abbia attinto dai demoni, come intermediari fra gli Dèi e gli uomini, come definiti dai neoplatonici che interpretano Platone, ben prima di Agostino d'Ippona. Ma la lettura di Agostino d'Ippona mi permette di definire il passaggio psicologico messo in atto dai cristiani per costruire la loro idea di angeli così estranea alla tradizione biblica tarda.
Scrive Agostino d'Ippona:
Perché non sembri che anche noi vogliamo fare una mera questione di parole, ritengo che si debba trattare degli angeli buoni, poiché alcuni di coloro che in certo qual modo hanno la mania dei demoni, tra i quali e anche Labeone sostengono che quelli che chiamano demoni da altri sono detti angeli; costoro non ne negano l'esistenza, ma preferiscono chiamarli demoni buoni piuttosto che angeli. Noi invece, come insegna la Sacra Scrittura, conformemente alla quale siamo cristiani, leggiamo di angeli buoni ed angeli cattivi, mai di demoni buoni; infatti, ovunque si trovi tale nome in quelle Scritture, comunque sia enunciato, si indicano sempre spiriti del male. I popoli si sono uniformati a tal punto a questo modo di esprimersi che fra quanti sono chiamati pagani e sostengono la venerazione di una moltitudine di dèi e di demoni, non c'è quasi nessuno tanto istruito e dotto che arrivi a dire, sia pure al suo schiavo, per elogiarlo: "Tu hai un demonio". In ogni caso è certo che con tale espressione non si vuole intendere altro che una maledizione. Ormai sono state offese le orecchie di quasi tutti gli uomini, abituati a intendere questo nome soltanto in senso cattivo; perché dobbiamo sentirci costretti, quindi, a ripetere ciò che abbiamo detto, visto che possiamo evitare, adoperando il nome degli angeli, quell'offesa che può essere provocata adoperando quello di demoni?
Agostino d'Ippona, La città di Dio contro i Pagani, Editore Bompiani, libro IX, 19 p. 451
Per i cristiani si tratta di costruire l'idea degli angeli in contrapposizione all'idea dei demoni e della loro funzione all'interno del neoplatonismo con la quale anche i primissimi cristiani si confrontavano.
Costruire l'idea degli angeli come messaggeri di Dio in contrapposizione alla figura dei demoni che nel neoplatonismo funzionavano da intermediari fra gli Dèi e gli uomini. Così i cristiani inventano gli angeli come intermediari fra Dio e gli uomini trasformando i demoni dei neoplatonici in soggetti malvagi, in angeli caduti, per aver commesso un qualche peccato.
Platone è l'autore di tutto questo e nel Timeo fonda, di fatto, il cristianesimo affrontando gli Dèi delle antiche religioni che deve, in qualche modo, allontanare dalla percezione dell'uomo. La tecnica adottata da Platone è quella di non dire che gli Dèi non esistono, ma quella di far apparire gli Dèi come dei "demoni" creati dall'Artefice/Platone per i suoi scopi. In pratica, li caccia dall'Olimpo, dall'Ade e dal Tartaro per infilarli nel pantano della creazione ad opera dell'Artefice/Platone. E' come se Platone dicesse: "Gli Dèi sono roba mia!".
Iside alata diventa il modello con cui i cristiani rappresentano i loro angeli.
Gli Dèi cessano di essere i soggetti del mondo e diventano un oggetto della creazione di Dio, del Demiurgo. Vengono abbassati ad un sottoprodotto della realtà dell'esistenza per poter, in un secondo tempo, essere, a loro volta, trasformati in demoni che abitano il cristianesimo.
Scrive Platone nel Timeo:
Dire, poi, e conoscere la generazione degli altri dèmoni, è cosa maggiore delle nostre capacità; e bisogna credere a quelli che ne hanno parlato in precedenza, perché essi, essendo discendenti degli dèi, come dicevano, dovevano conoscere certamente i loro progenitori. Dunque, è impossibile non prestar fede ai figli di dèi, anche se parlino senza dimostrazioni verosimili né necessarie. Ma, poiché sostengono di riferire cose di famiglia, obbedendo alla legge dobbiamo credere a loro. Dunque, per noi, la generazione di questi dèi come essi la riferiscono, così sia e così la si dica. Da Gea e da Urano nacquero Oceano e Teti; e da questi nacquero Forci e Crono e Rea e quanti con essi, e da Crono e da Rea nacquero Zeus ed Era e tutti quanti sappiamo che sono detti loro fratelli, e ancora altri discendenti di questi.
Tratto da Platone, Tutti gli scritti, Timeo, Editore Bompiani, 2014 pag. 1369
Platone, nella sua definizione della creazione, come scrive nel Timeo, afferma che "altri dicono" parlando di una realtà che lui, poverino, deve accogliere partendo dal presupposto che chi ne parla è "figlio degli Dèi" e lui non può mettere in discussione la parola dei figli degli Dèi "anche se parlino senza dimostrazioni verosimili né necessarie".
Le affermazioni non sono solo ambigue, ma chiaramente in malafede con finalità di inganno. Infatti, Platone non mette in discussione una genealogia degli Dèi, anche se ne parlano senza dimostrazione", ma non esita, senza dimostrazione, a riportare le parole esatte del Demiurgo che si rivolge agli Dèi figli di Dèi.
Scrive Platone nel Timeo (pag. 1369-1370 del testo che uso):
Poiché, dunque, tutti gli dèi furono generati, quanti si aggirano per il cielo e quanti appaiono in maniera visibile nella maniera in cui vogliono, il Generatore dell'Universo disse a loro le seguenti parole: "O dèi figli di dèi, io sono Artefice e Padre di opere che, generate per mezzo mio, non sono dissolubili, se io non voglio. Infatti, tutto ciò che è legato può dissolversi; ma voler dissolvere ciò che è stato connesso in maniera bella e in buona condizione, è da malvagio. Per queste ragioni e poiché siete stati generati, non siete totalmente in dissolubili. Ma non sarete disciolti e non vi toccherà un destino di morte, poiché avete a vostro vantaggio la mia volontà, che è un legame ancora maggiore e più forte di quello dal quale siete stati legati allorché siete nati. Ora, dunque, imparate ciò che vi dico e vi indico. Restano ancora da generare tre generi di mortali. E se questi non vengono generati, il mondo sarà incompleto: infatti non avrà in se medesimo tutti i generi di viventi. Eppure deve averli, se deve essere perfetto in maniera conveniente. Ma se questi si generassero ed avessero vita per opera mia, diventerebbero uguali agli dèi. Perché, dunque, siano mortali e questo universo sia veramente completo, occupatevi voi, secondo natura, alla costituzione dei viventi, imitando la mia potenza che attuai nella vostra generazione. E per quanto riguarda quella parte che nei viventi conviene abbia il nome in comune con gli immortali e che è detta divina e che governa in coloro che vogliono seguire giustizia e voi, io ne fornirò il seme e il principio. Per il resto voi, intessendo il mortale all'immortale, producete gli animali e generateli, e fornendo loro il nutrimento allevateli, e quando periscono riceveteli nuovamente".
Tratto da Platone, Tutti gli scritti, Timeo, Editore Bompiani, 2014 pag. 1370
A questo punto, la creazione del Timeo di Platone sembra non contenere più elementi della creazione della bibbia, ma alcune di queste affermazioni forniscono concetti allo gnosticismo.
Per Platone Dio non crea l'uomo, tanto meno a sua immagine e somiglianza, ma fa creare gli uomini dagli Dèi, quegli stessi Dèi che Platone ha nominato poc'anzi:
"Da Gea e da Urano nacquero Oceano e Teti; e da questi nacquero Forci e Crono e Rea e quanti con essi, e da Crono e da Rea nacquero Zeus ed Era e tutti quanti sappiamo che sono detti loro fratelli, e ancora altri discendenti di questi."
Tratto da Platone, Tutti gli scritti, Timeo, Editore Bompiani, 2014 pag. 1369
In Platone questi Dèi diventano i demoni: gli strumenti con cui l' "Artefice e Padre di opere" crea l'uomo affinché l'uomo sia un essere inferiore mentre, se fosse da lui creato, diverrebbe simile ad un Dio.
Platone fa dire all'Artefice creatore:
"Ma se questi si generassero ed avessero vita per opera mia, diventerebbero uguali agli dèi. Perché, dunque, siano mortali e questo universo sia veramente completo, occupatevi voi, secondo natura, alla costituzione dei viventi, imitando la mia potenza che attuai nella vostra generazione."
La questione è molto simile a quella che c'è nella bibbia cristiana ed ebrea.
Nella Genesi Dio crea l'uomo stupido e inconsapevole e gli impone di rimanere nella stupidità e nell'inconsapevolezza proibendogli di cogliere dall'albero della conoscenza. L'albero della conoscenza, secondo la Genesi, ha la capacità di trasformare l'uomo in un Dio. Una volta che Eva e Adamo colgono dall'albero della conoscenza diventano uguali a Dio "avendo la conoscenza del bene e del male".
Al Dio della bibbia non resta altro che cacciare l'uomo dal paradiso terrestre affinché non colga anche dall'albero della vita per mangiarne e vivere in eterno.
Per Platone, a differenza di Omero, Esiodo e Orfeo, gli antichi Dèi sono diventati demoni che creano l'uomo. Gea e Urano, Oceano e Teti, Forci, Crono e Rea con Zeus, Era, Demetra, Estia, Posidone e Ade, cessano di esse le intelligenze di un mondo che si trasforma e diventano i "creatori dell'uomo" per conto dell'"Artefice e Padre di opere" consentendo all'uomo di non essere immortale.
Gli gnostici hanno scritto che, vedendo questi Demiurghi vantarsi di essere "l'unico Dio", Sophia ha messo nell'uomo la scintilla divina affinché anche l'uomo, a dispetto del demiurgo (o demiurghi) potesse trasformarsi in un Dio.
Nella Genesi della Bibbia, l'uomo è destinato solo a morire. Non c'è nessuna vita oltre la morte.
Platone, invece, si inventa l'anima:
"E per quanto riguarda quella parte che nei viventi conviene abbia il nome in comune con gli immortali e che è detta divina e che governa in coloro che vogliono seguire giustizia e voi, io ne fornirò il seme e il principio."
L'anima che non viene creata dagli Dèi, ma dall'"Artefice e Padre di opere".
Mentre nella Genesi della bibbia l'uomo si appropria della conoscenza con un atto di volontà e di determinazione, in Platone ciò che è in comune fra uomini e Dèi è concessa dall'"Artefice e Padre di opere". Sia l'uomo che gli Dèi sono sottomessi all'"Artefice e Padre di opere" e nulla può essere messo in atto contro di lui perché solo l'"Artefice e Padre di opere" ha la volontà per agire mentre agli Dèi e agli uomini è rimasta solo la volontà di obbedire.
------- Fine terza parte--continua nella quarta e ultima parte--
Pagina specifica dell'argomento
02 agosto 2025
In un ambiente cristiano è quasi impossibile far capire alle persone che le loro scelte e la loro attività cambia la percezione che hanno del mondo e della realtà in cui vivono.
La contemplazione degli oggetti del mondo e dell'interazione del soggetto che contempla col mondo permette al mondo di modificare il soggetto affinché si adatti alle condizioni oggettive incontrate.
Quel "si adatti" significa: costruisca la sua percezione specifica col mondo e la sua personale elaborazione dei fenomeni del mondo. Questo rende le persone diverse le une dalle altre.
Questa condizione umana permette all'oscurantismo e all'odio cristiano di distruggere, limitandola e circoscrivendo l'attenzione delle persone, la percezione, la capacità critica e la capacità di elaborazione dei fenomeni del mondo. Permette ai cristiani di distruggere nei bambini la capacità, non solo di elaborare i fenomeni del mondo, ma di collocarli negli effetti e nei significati sia che esprimono, in quanto fenomeni, sia nelle modificazioni che in loro (in colui che li percepisce e vi si adatta rispondendo) produrranno.
Quando gli Stregoni scoprirono gli effetti della contemplazione nell'interazione con gli oggetti del mondo alimentando l'empatia soggettiva attraverso l'acuirsi della percezione emotiva (che riconosceva intelligenza, volontà, emozioni ecc. negli oggetti del mondo in cui viviamo) scoprirono anche gli effetti della magia nera cristiana. La sua attività finalizzata a distruggere l'uomo mediante la sua azione manipolatrice della struttura emotiva dell'infanzia.
Gli Stregoni non conoscevano l'esistenza dei neuroni specchio (ma nemmeno i cristiani). Gli Stregoni non conoscevano (ma nemmeno si ponevano il problema) la capacità plastica del cervello umano. Sapevano che data un'azione, articolata nella contemplazione, modificavano la loro capacità di interazione col mondo in cui vivevano.
I cristiani sapevano che costruendo condizioni di vita e di esistenza atroci per l'infanzia, avrebbero ottenuto adulti la cui malattia mentale sarebbe stata dipendente dalla fede nel loro Dio padrone e avrebbero riprodotto tali condizioni atroci per l'infanzia per continuare a seminare la malattia di dipendenza chiamata col nome di fede.
L'uomo che pratica Contemplazione è in grado di riconoscere la modificazione della sua capacità di interazione col mondo attraverso un aumento della sua con-passione e coinvolgimento nelle necessità del mondo in cui vive. Rimane una consapevolezza soggettiva. Viene vissuta, ma non può essere dimostrata oggettivamente perché, ciò che cambia, è la soggettività dell'individuo.
La modificazione della soggettività percettiva dell'individuo non si presenta agli occhi dello spettatore, il quale vede l'individuo che si è modificato come oggetto che "è" e non come oggetto che si è trasformato esercitando la sua volontà nell'attività di contemplazione.
Oggi la ricerca scientifica ci dice che le trasformazioni sono possibili, non ci dice come e in che direzione possiamo trasformarci o perché è necessario farlo. La ricerca scientifica rileva che la nostra capacità di percezione e di elaborazione dei dati di realtà si modifica in base alla nostra attività e in base agli adattamenti che noi mettiamo in atto davanti alle sollecitazioni del mondo.
Riporto dal settimanale l'Espresso del 19 settembre 2013:
Non solo cyber Eraclito aveva ragione
Di Alessandro Gilioli
E' da poco arrivato anche nella traduzione italiana il volume "Connettoma - La nuova geografia della mente" (Le Scienze-Codice edizioni) di Sebastian Seung, neuroscienziato del Mit. Un testo divulgativo e probabilmente destinato a far discutere anche oltre la comunità scientifica. Alla base del saggio c'è infatti la gigantesca questione dell'identità umana: - Io sono il mio connettoma-, dice Seung. Di che cosa stiamo parlando? Il connettoma è l'insieme delle connessioni tra i nostri neuroni: una rete che cambia continuamente nel tempo a seconda delle esperienze che facciamo e delle informazioni che riceviamo. L'identità di ogni persona, consistente appunto nel connettoma, quindi non solo è mutevole (e questo è abbastanza intuitivo) ma è proprio come il fiume di Eraclito che non è mai lo stesso un attimo dopo. Del resto lo stesso Seung paragona il flusso dell'attività neurale a un corso d'acqua. Eraclito quindi aveva ragione: o, se preferite, avevano ragione quelle dottrine filosofiche orientali fondate sulla "anitya", l'impermanenza. Dopo aver mappato il connettoma di un verme (C11e3h poche centinaia di neuroni), gli scienziati dello Human Connectome Pro' t stanno lavorando al cervello umano (circa 100 miliardi di neuroni): pochi giorni fa è stato messo on line il secondo blocco di informazioni ricavate su 68 volontari, dopo che i dati relativi ad altre 12 persone erano già stati pubblicati alla fine del 2012. Il tragitto della mappatura sarà ancora lunghissimo e finora non ha attratto i media come avvenuto per il genoma. Ma è solo questione di tempo: le conseguenze della connettomica infatti tracimeranno presto dalle neuroscienze a ogni altro campo che si voglia occupare della "natura umana", etica e religione incluse.
Settimanale l'Espresso del 19 settembre 2013
La ricerca scientifica fotografa una situazione in atto: non è in grado di dire come, dove e perché può avvenire una modificazione in base all'uso della volontà soggettiva. In base alle predilezioni soggettive. In base alle passioni soggettive. In base ai desideri soggettivi.
La scienza può dire che non è vero che l'uomo è creato da un Dio pazzo e cretino, per cui non si può dire che l'individuo "è così", ma si deve dire che l'uomo è diventato così perché, come singolo individuo, si è adattato alle condizioni sociali che ha trovato e può modificarsi, esercitando la sua volontà nell'attività di contemplazione. La contemplazione diventa uno strumento per modificare sé stessi e migliorare la propria capacità di percepire, elaborare e agire nel mondo.
Questo stesso meccanismo, sulla macro scala dell'evoluzione delle specie, si articola allo stesso modo: usare la volontà soggettiva per modificare la propria capacità di percepire, elaborare e agire nel mondo, porta alla diversificazione delle specie modificando prima i caratteri culturali all'interno della medesima specie per poi fissarne questa modificazione culturale in una modificazione genetica che diversifica la specie.
Quella plasticità cerebrale è anche una plasticità genetica il cui motore della modificazione sta nel desiderio libidico e nel carico emotivo investito dal soggetto.
La contemplazione è l'attività attraverso la quale l'individuo si sottrae all'educazione cristiana e riprende il suo posto nei processi di trasformazione e di evoluzione della vita.
Per combattere la capacità dell'uomo di espandersi nel mondo e la sua con-partecipare alle trasformazioni della vita, che implica un'assunzione di responsabilità soggettiva nelle proprie scelte e decisioni, il cristianesimo ha elaborato la "tecnica" della contemplazione del desiderio soggettivo del proprio Dio padrone che, nelle varie forme libidiche desideranti del singolo soggetto, assumono le quattro forme sessuali classiche della sessualità umana che fissano la dipendenza psichica del soggetto: il desiderio del padre; il desiderio dell'altro; il desiderio della madre; il desiderio della madre sottomessa (moglie).
Questo tipo di contemplazione, anziché espandere l'individuo verso il mondo, lo chiude nella propria sfera desiderante portandolo all'autodistruzione nella fede.
Nel De Imitatione christi la contemplazione di Cristo distrugge l'uomo annullandolo allo stesso modo in cui la contemplazione (chiamata meditazione) di sé distrugge il buddista annullandolo nel nulla chiamato nirvana.
Sia che si pratichi la contemplazione della Stregoneria Pagana, sia che si pratichi la contemplazione del Dio padrone cristiano, sia che si pratichi la contemplazione buddista, si ha sempre una modificazione della struttura neuronale mediante la forzatura della sua plasticità. La modificazione della struttura neuronale ottenuta mediante la contemplazione è relativa al tipo di contemplazione praticato. Può espandere l'individuo nel mondo praticando relazioni emotive con i soggetti del mondo o lo può chiudere in sé stesso, rattrappendolo e consumandolo separandolo sempre più dal mondo.
Si tratta di capire la direzione nella quale noi scegliamo di andare. Se verso l'interazione fra noi e il mondo, attraverso un cammino comune con i soggetti del mondo, o se vogliamo estraniarci dal mondo, chiudendoci in noi stessi mentre ci identifichiamo con l'onnipotenza di Dio, verso la nostra distruzione.
02 agosto 2025
E' da mesi che sto mettendo in guardia su che cosa sta succedendo. Gli Stati hanno tentato di trovare accordi, ma Trump obbedisce solo all'ideologia di Gesù e dice al mondo: "Vi chiamerò amici se farete quello che voglio io!".
Non c'è possibilità di discutere con Trump. E' come un rapinatore che è entrato nel mondo, punta la pistola, e dice: "fuori i soldi!".
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01 agosto 2025
Ho già parlato dell'importanza di toglierci dal centro del mondo. Il Toglierci dal Centro del Mondo ci permette di pensare gli oggetti del mondo come dei soggetti che sono come noi. In questa condizione, tolti dal centro del mondo (eliminata l'idea secondo la quale ognuno di noi si pensa misura della realtà del mondo), possiamo contemplare i soggetti del mondo che agiscono. Osserviamo le loro azioni e le loro decisioni senza proiettare su di loro ciò che noi pensiamo o miriamo se avessimo fatto le loro stesse azioni.
Ponendoci in questa condizione soggettiva, i soggetti del mondo possono contemplarci, afferrare la nostra attenzione costringendoci a contemplarli.
Per poter contemplare dobbiamo risolvere a livello intimo e fagocitare una diversa visione filosofica soggettiva: non siamo soggetti in un mondo che rappresentiamo come oggetti separati da noi, ma siamo soggetti fra soggetti che formano il mondo. Noi soggetti in un insieme di soggetti che formano il mondo di soggetti legati fra di loro da fili emotivi.
I soggetti del mondo non sono diversi fra loro perché ogni soggetto conchiude sé stesso in un corpo separato razionalmente dalle altre forme che chiamiamo corpi.
I soggetti sono separati nello spazio perché la loro coscienza non interagisce mediante la struttura emotiva. L'interazione della coscienza mediante l'empatia e la comunicazione non verbale è tanto più attiva quanto più i soggetti sono della medesima specie e diventa tanto più difficoltosa quanto maggiore è la distanza biologica di specie salvo avvicinarsi quando gli intenti, dei singoli soggetti di specie diverse, formano delle relazioni simbiotiche.
I soggetti del mondo sono diversi fra loro per i tempi di mutamento e di trasformazione che comportano un diverso uso della coscienza: i tempi della terra, degli animali, del sole, delle piante sono fra loro separati.
Tutti corriamo verso la morte del corpo fisico, ma ognuno secondo le specificità in cui è venuto in essere.
Il tempo della trasformazione soggettiva separa gli esseri, le loro coscienze.
La struttura emotiva li lega e li mette in relazione.
Esiste un tempo soggettivo di mutazione biologica e di manifestazione della coscienza che è sia un tempo di specie (ogni specie ha i suoi tempi di trasformazione per giungere alla morte) che il tempo del singolo individuo (il singolo individuo, all'interno del tempo di trasformazione della propria specie, ha la capacità di modificare il suo tempo soggettivo di trasformazione anche se non esce dalla "banda di modificazione" della specie entro la quale operare la modificazione) di ogni singola specie.
Chi lega tutti gli esseri fra loro, tutte le coscienze fra loro, è la struttura emotiva di ogni soggetto. Il legame avviene attraverso l'empatia che si trasferisce nella ragione mediante sensazioni, comunicazione non verbale, illuminazione, intuizione.
Per contemplare un soggetto, sia esso il fuoco, un albero, un animale, un luogo, una persona, devo essere consapevole che non si tratta di un oggetto "muto", ma è un soggetto che contemplo in grado a sua volta di contemplarmi.
Il che significa che riconosco che tale soggetto ha intelligenza, scopo, attenzione, intento, progetto strategico d'esistenza. In altre parole, lo considero come un uomo. Lo considero come un uomo anche se ha una forma diversa e tempi di trasformazione e manipolazione della sua coscienza diversa dalla mia.
Le infinite soggettività del mondo sono separate e interdipendenti.
In questo la Religione Pagana si distingue da ogni altra forma religiosa che contempla un Dio al di fuori del mondo e da ogni altra forma panteista che comprende il Dio o una Dea presente negli oggetti del mondo.
Per la Religione Pagana gli Dèi sono gli oggetti del mondo con cui costruiamo le relazioni.
Oggetti del mondo che contemplano a loro volta.
Attirano la nostra attenzione e ci costringono a contemplarli. Intelligenze del mondo che hanno progetti e scopi ed osservano l'oggetto che io sono chiamandomi con la loro contemplazione alla relazione emotiva. A contemplarli a mia volta.
Questo modo di pensare il mondo, proprio della Religione Pagana, mi permette di ricordare all'Abisso che quando contempla l'uomo, l'uomo lo sta contemplando.
Questo ci permette, inoltre, di diventare consapevoli che spesso, ciò che contempliamo, è una risposta a chi ci sta contemplando: poi, i segnali di comunicazione non verbali o i segnali di comunicazione mediante illuminazione, sensazione o intuizione, appartengono alla sfera dell'empatia che si manifesta nella contemplazione.
Fine Undicesima parte... Continua... con "gli aspetti magici della meditazione in Stregoneria - La contemplazione come, oggetto-soggetto in sé, che chiama i soggetti a contemplarsi: l'intento della contemplazione.
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