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Dicembre 2025: la filosofia metafisica della Religione Pagana.
Cronache mese di dicembre 2025
06 dicembre 2025

Aristotele, dopo aver accennato, con superficialità, sulle cause del venir in essere del presente come pensato dai filosofi pre platonici, corre immediatamente a cercare conforto delle sue "teorie" nel concetto di intelletto di Anassagora.
Il concetto di intelletto di Anassagora è ben lontano dall'essere un Dio. E' l'intelletto, l'intelligenza. Ora, ognuno può interpretarlo come vuole perché:, sembra, che lo stesso Anassagora non abbia mai voluto precisare che cosa sia l'intelletto. Non si comprende se sia un oggetto esterno alle cose esistenti o se è la capacità delle cose esistenti di agire opportunamente attraverso l'intelletto.
Scrive Aristotele:
Ma dopo questi pensatori e dopo che furono addotti siffatti princìpi, poiché: proprio questi ultimi si rivelarono insufficienti a spiegare la generazione naturale delle cose esistenti, ancora una volta i filosofi, costretti, come abbiamo già rilevato55, dalla stessa verità, si diedero alla ricerca di un altro principio. Difatti è senza dubbio inverosimile che il fuoco e la terra o qualche altro elemento di tal genere sia causa del fatto che in parte le cose esistenti siano, in parte si generino in conformità col bene e col bello, ed è, altresì, impossibile che quei filosofi ci credano; né:, d'altronde, sarebbe stato ragionevole affidare un compito così importante al caso e alla fortuna56. Ecco perché:, quando qualcuno57 disse che, proprio come negli animali, così anche nella natura la causa del mondo e di tutto quanto il suo ordinamento è un Intelletto, egli apparve come una persona sobria rispetto ai più antichi che parlavano a casaccio. E noi sappiamo con certezza che Anassagora seguì questi ragionamenti, quantunque si dica che Ermotimo di Clazomene59 abbia parlato di una tale causa già prima di lui. Ma, comunque le cose siano andate, i sostenitori di questa dottrina riuscirono non solo a porre come principio delle cose ciò che è la causa della loro bellezza, ma anche un principio che è in grado di assicurare alle cose il loro movimento.
Da: Aristotele, Metafisica, editore Hachette, 2016, pag. 19-20
Il termine "agathon" in Grecia deriva dalla parola greca antica (agathos), che si traduce in "buono" o "virtuoso". Nella filosofia greca, la bontà, il bene, rappresenta l'eccellenza morale e la virtù etica e viene riferito alla mente. Come nome, Agathon significa nobiltà, integrità e la ricerca delle più alte virtù. Questo termine viene riferito all'intelletto di Anassagora che Aristotele interpreta come una sorta di "ordinatore del mondo" perché:, lui afferma: "Difatti è senza dubbio inverosimile che il fuoco e la terra o qualche altro elemento di tal genere sia causa del fatto che in parte le cose esistenti siano, in parte si generino in conformità col bene e col bello, ed è, altresì, impossibile che quei filosofi ci credano; né:, d'altronde, sarebbe stato ragionevole affidare un compito così importante alcaso e alla fortuna.
I filosofi, dice Aristotele, affermano che il mondo nasce dagli elementi, ma Aristotele ritiene impossibile che questi filosofi ci abbiano creduto. In sostanza, Aristotele inizia la sua dissertazione filosofica affermando che coloro, di cui parla, sono in malafede: Talete, Anassimene, Anassimandro, Empedocle, ecc.
Anassagora viene usato da Platone e da Aristotele per contrapporsi ai filosofi ionici che facevano venir in essere il presente dai vari elementi fisici, ritenuti fondamentali per la vita stessa.
Scrive Platone nel Fedro:
Imbattutosi in un uomo di questo tipo, ossia in Anassagora, ed essendosi riempito di indagini celesti ed essendo pervenuto alla natura dell'intelletto e della ragione, questioni intorno alle quali Anassagora faceva un discorso ampio, di qui ricavò quello che era utile per l'arte dei discorsi.
Platone "Tutti gli scritti", Fedro, Bompiani, 2014, pag.575
Non esiste nessuna citazione che ci indichi che Anassagora sia "pervenuto alla natura dell'intelletto", ma io ho l'impressione che nei processi di trasformazione attribuiti agli elementi fisici, considerati arché:, Anassagora abbia aggiunto "l'intelligenza" come strumento con cui gli oggetti si adattavano nei processi di trasformazione che dall'origine ha formato il presente.
Anche perché:, il Diels-Kranz, alla voce Anassagora, scrive citando Platone:
47. Plat. Phaed. 97 b. Ma avendo udito una volta un tale che, a quanto disse, leggeva un libro di Anassagora e affermava che è l'intelletto l'ordinatore e la causa di tutte le cose, godetti di tale causa e mi parve che in certo modo stava bene che causa di tutte le cose fosse l'intelletto e pensai che, se la cosa era in questi termini, l'intelletto ordinatore ordinasse tutto e disponesse ogni cosa nel modo migliore: per conseguenza, se di ciascun essere uno volesse trovare la causa per la quale viene alla luce o perisce o esiste, deve trovare qual è il suo modo migliore di esistere o di subire o di fare alcunché:. In forza dunque di tale ragionamento nient'altro conviene all'uomo indagare e intorno a se stesso e intorno agli altri esseri se non ciò che è il meglio e l'ottimo, ed è necessario che costui conosca anche il peggio, perché: è la stessa la scienza dell'uno e dell'altro. Ragionando così, credevo tutto contento d'aver trovato in Anassagora il maestro della causa degli esseri secondo il mio intendimento, e che egli mi avrebbe detto in primo luogo se la terra è piatta o rotonda e, dopo avermelo detto, me ne avrebbe spiegato la causa e la necessità, indicandomi il meglio e che è bene per essa essere così e se m'avesse detto che sta al centro m'avrebbe spiegato che è bene per essa stare al centro e se me l'avesse dimostrato mi preparavo a non desiderare più alcun genere di cause. Così pure riguardo al sole ero pronto a imparare le stesse cose e alla luna e agli altri astri e alla velocità che hanno gli uni verso gli altri e ai rivolgimenti e agli altri fenomeni, in che modo è bene che ogni corpo faccia e subisca quel che subisce. Non avrei mai pensato in realtà che lui, dicendo che tutte queste cose sono ordinate dall'intelletto, aggiungesse ad esse un'altra causa se non questa, che cioè il meglio per loro è di stare come stanno: e perciò pensavo che egli, avendo attribuito a ciascuna cosa in particolare e a tutte in comune questa causa, avrebbe pure spiegato quel che è il meglio per ciascuna e il bene comune a tutte. E non avrei ceduto queste speranze a nessun prezzo, ma presi quei libri con somma cura e quanto più presto potei li lessi per imparare al più presto quel che è il meglio e il peggio. Ed ecco, amico mio, che da quella meravigliosa speranza crollai trascinato giù, perché:, andando avanti nella lettura, vedo che il mio eroe non si serviva affatto dell'intelletto e non gli attribuiva nessuna causa nell'ordinamento delle cose e ricorreva all'aria, all'etere, all'acqua e ad altre molte e strane cose.
Da: Diels-Kranz, "I presocratici - testimonianze e frammenti" vol. 2, Editore Laterza, 1990, pag. 575-576
Da quanto riporta il Diels-Kranz. Anassagora, come dice Platone "vedo che il mio eroe non si serviva affatto dell'intelletto e non gli attribuiva nessuna causa nell'ordinamento delle cose e ricorreva all'aria, all'etere, all'acqua e ad altre molte e strane cose".
E' difficile pensare che Anassagora pensasse all'intelletto come oggetto in sé:. Appare piuttosto che Anassagora attribuisse l'intelletto agli oggetti esistenti prodotti dall'acqua, l'etere, l'aria, ecc. nei loro processi di adattamento per arrivare al presente.
La questione iniziale consiste sul "dove" si colloca l'intelletto. Se lo si colloca nei corpi di materia-energia o se lo si vuole collocare al di fuori dei corpi indicandolo come "l'Intelletto" generatore o creatore dei corpi come sembra propendere, in questa prima fase della metafisica, Aristotele.
Scrive Aristotele nella metafisica:
E si potrebbe, d'altra parte, supporre che verso una tale soluzione propendesse per primo Esiodo o anche qualche altro che considerò come principio tra le cose esistenti l'Amore o il Desiderio, come, del resto, ha fatto anche Parmenide; anche quest'ultimo, infatti, rappresentando la generazione dell'universo dice che < Afrodite > in primo luogo Amor concepiva tra tutti gli dèi, mentre Esiodo afferma:
Nacque tra tutti gli dei il Caos primiero e sol dopo
Gaia dall'ampio petto...
Quindi l'Amor che su tutti i numi immortali risplende, volendo significare che negli esseri è indispensabile la presenza di una certa causa capace di mettere in moto e di raccogliere le cose. Si potrà decidere in appresso in che senso e a chi di costoro si debba assegnare la priorità di tali scoperte; ma, siccome nella natura si riscontra la presenza anche dei contrari delle cose buone - ossia la presenza non solo dell'ordine e della bellezza, a ma anche del disordine e della bruttezza; anzi le cose cattive sono più numerose di quelle buone e le cose di scarso pregio sono più numerose di quelle belle -, un altro filosofo introdusse l'Amicizia e la Contesa, considerando spettivamente ciascuna di queste come causa di ciascuna di quelle cose.
Da: Aristotele, Metafisica, editore Hachette, 2016, pag. 20-21
Consideriamo i primi due personaggi che vengono citati da Aristotele. Noi possiamo pensare che Aristotele fosse in possesso di versioni diverse di Esiodo rispetto a noi come possiamo pensare che Aristotele fosse in possesso di affermazioni più vaste della filosofia di Parmenide e non solo quelle filtrate attraverso Platone nel Parmenide.
Io leggo le frasi di Esiodo citate da Aristotele.
Queste dicono:
Dunque, per primo fu Caos, e poi
Gaia dall'ampioo petto, sede sicura per sempre di tutti
gli immortali che tengono la vetta nevosa dell'Olimpo,
e Tartaro nebbioso nei recessi della terra dalle ampie strade
Poi Eros, il più bello fra gli immortali
che rompe le membra, e di tutti gli Dèi e di tutti gli uomini
doma nel petto il cuore e il saggio consiglio.
Esiodo, Teogonia, BUR, 1999, pag. 71
Esiodo non parla di un soggetto al di fuori della realtà. Dice: "Primo fra tutti fu Caos". Solo che Caos è la realtà percepita dal veggente. il veggente non la può descrivere perché: non ha gli strumenti di forma e quantità, gli strumenti della ragione, con cui produrre una descrizione per come la percepisce. La visione del veggente è confusa. Il veggente non è in grdo di selezionare, in ciò che vede, qualche cosa di definibile. Caos, l'indefinibile, è l'unico modo che ha quel veggente di chiamare quanto vede e che non può descrivere.
Caos diventa oggetto in sé:, al di fuori di quanto il soggetto definisce. Caos non ha intelligenza, non ha volontà, non ha scopo.
Caos è una realtà che soggettivamente non si può definire, ma che viene percepita con il corpo e con le emozioni del veggente che può abitare e muoversi nel Caos, ma non lo può descrivere.
In questa realtà si aprono degli spazi definibili dal veggente. In questo modo il veggente può iniziare a descriverli.
Da Caos il veggente distingue la materia. La materia entra nella ragione del veggente. Ha delle qualità e acquista delle forme che possono passare dalla percezione del vissuto, come l’abitare il Caos da parte del veggente, alla descrizione della ragione perché:, finalmente, ha selezionato qualche cosa in Caos: la materia che il veggente chiama Gaia, Gea. Al veggente non interessa se Gaia è solo materia o è un composto di materia ed energia. Quanto percepisce, lo definisce con la sua ragione e con la cultura razionale con cui definisce quanto riesce ad entrare nella sua ragione selezionato dal Caos che abita.
Tutto nasce da Gaia, dalla materia, che fornisce "sede sicura di tutti gli immortali" sia che abitino nel luogo chiamato Olimpo sia che abitino nel "Tartaro dalle ampie strade".
Quale versione della Teogonia di Esiodo abbia Aristotele, non lo so, ma nella mia Teogonia non dice: "Quindi l'Amor che su tutti i numi immortali risplende", ma dice: "Poi Eros, il più bello fra gli immortali che rompe le membra, e di tutti gli Dèi e di tutti gli uomini doma nel petto il cuore e il saggio consiglio". Con uno sguardo superficiale, le due citazioni appaiono simili, ma in realtà sono diverse ed opposte. Nella versione di Aristotele, Amor, Eros, risplende al di sopra degli Dèi. Appare come un Dio esterno agli Dèi che sovrasta gli Dèi. Nella mia versione, Eros sta all'interno degli Dèi, doma il petto, alimenta il saggio consiglio e spezza le membra (o sciogli i legamenti), cioè porta gli Dèi e gli Esseri della Natura a superare la forma nella quale vivono.
Mentre Aristotele considera che Eros è al di fuori della materia vivente, la citazione lo indica come proprietà della materia vivente. Una qualità della materia che alimenta la necessità di vivere quando diventa cosciente. Dire quell’oggetto è rosso, significa che rosso è una qualità dell’oggetto. Non è un soggetto al di fuori dell’oggetto.
Per comprendere come Aristotele colloca Eros, l'Eros primordiale che emerse da Caos, è necessario ricorrere a come definisce Eros, Platone nel Simposio:
"Però - risposi io -, tutti ammettono che è un grande dio!".
"Parli di tutti, intendendo tutti quelli che non sanno - disse -, oppure anche di quelli che sanno?".
"Proprio di tutti".
E lei, ridendo, disse: "E come può essere, o Socrate, [C] che ammettano che egli sia un gran dio, quelli che dicono che non è nemmeno un dio?"
"E chi sono costoro?", chiesi.
"Uno sei tu -rispose- e uno io".
Ed io ribattei: "In che modo puoi dire questo?".
E lei rispose: "è facile! Dimmi: non affermi tu che tutti gli dèi sono beati e belli? O avresti forse la sfrontatezza di dire che qualcuno degli dèi non sia né: bello né: beato?".
"Per Zeus, io no", dissi.
"E non dici felici coloro che sono in possesso di cose buone e belle?".
"Sicuramente".
"Ma tu hai ammesso che Eros, per mancanza delle cose buone e belle, ha desiderio di queste cose di cui è mancante".
"L'ho ammesso, infatti".
"E allora, come potrebbe essere dio chi non è partecipe delle cose belle e delle cose buone?"
"In nessun modo, a quanto pare"
"Dunque, vedi - disse — che anche tu non credi che Eros sia un dio?"
"Allora - dissi -, che cos'è Eros. E un mortale?".
"No certo . . ."
"Ma, allora, che cos'e? .
"Come si è detto prima - disse è qualcosa di intermedio fra mortale e immortale".
"Allora che cos e, o Diotima?"
"Un gran demone, o Socrate: infatti, tutto ciò che è demonico è intermedio fra dio e mortale".
"E quale potere ha?", domandai.
"Ha il potere di interpretare e di portare agli dèi le cose che vengono dagli uomini e agli uomini le cose che vengono dagli dèi: degli uomini le preghiere e i sacrifici, degli dèi, invece, i comandi e le ricompense dei sacrifici. E, stando in mezzo fra gli uni egli altri, opera un completamento, in modo che il tutto sia ben collegato con se medesimo. Per opera sua ha luogo tutta la mantica e altresì l'arte
sacerdotale che riguarda i sacrifici e le iniziazioni e gli incantesimi e tutta quanta la divinazione e la magia. Un dio non si mescola all'uomo, ma per opera di questo demone gli dèi hanno ogni relazione ed ogni colloquio con gli uomini, sia quando vegliano, sia quando dormono. E chi è sapiente in queste cose è un uomo demonico; chi, invece, è sapiente in altre cose, in arti o in mestieri, è uomo volgare. Tali demoni sono molti e svariati; e uno di essi è Eros".
Platone, Simposio (202,B - 203, B), pag. 510 - 511
Dopo la discussione in cui si esaltava Eros, Platone, per bocca di Socrate che riferisce le opinioni di una donna di Mantinea, Diotima, presentata da Platone come saggia e sapiente, Eros, che sorge dal Caos, diventa un demone che fa da tramite fra gli uomini e gli Dèi.
Esiste una volontà precisa di rubare alla materia le sue qualità attraverso le quali diviene nell'esistenza per attribuire, ciò che la materia costruisce con le sue trasformazioni, ad un soggetto altro che domina la materia.
Diverso è il discorso in Parmenide. Parmenide parla di Eros, ma lo considera una "creazione dell'Essere".
Nel frammento 13, del Poema sulla natura, Parmenide dice:
"Primo fra tutti gli dei [l'Essere] creò con la mente Amore [Eros]."
Parmenide, Poema sulla Natura, traduzione di Giovanni Cerri, Editore BUR, maggio 2000, pag. 157
D'altro canto, è Parmenide che pone l'Essere al di sopra degli Dèi quale creatore degli Dèi e del destino.
Dice Parmenide nel frammento:
Come poi potrebbe sussistere l'Essere? Come rinascere?
Poni ch'è nato, non è, se pure è sul punto di essere.
Tolta è così di mezzo nascita e morte oscura.
Mai potresti distinguerlo in parti, è tutto omogeneo;
non più qui, meno lì, per cui non potrebbe consistere,
è invece all'opposto tutto pieno di Essere.
E dunque tutto continuo: si stringe l'Essere all'Essere.
Immobile allora nei ceppi delle sue grandi catene,
è privo d'inizio, di fine, dato che nascita e morte
sono respinte lontano, certezza verace le esclude.
Parmenide, Poema sulla Natura, traduzione di Giovanni Cerri, Editore BUR, maggio 2000, pag. 153
A questo punto è doveroso chiedesi: quale causa sul venir in essere del mondo e della vita cerca Aristotele?
Ciò che appartiene alla materia emergendo progressivamente da Caos; o ciò che sovrasterebbe l'esistente, Dèi, uomini, mondi e natura, che Parmenide chiama "Essere", immobile, eterno, mai nato, e che definisce come "il tutto dell'esistenza"?
E' la contraddizione interna della metafisica: Essere e non-Essere.
Su entrambi si può costruire una logica metafisica che esclude necessariamente l'altra nella definizione del trascendente all'esistenza. Una mette il trascendente al di sopra della realtà. Costruttore e dominatore della realtà; l'altra mette in trascendente nel divenire della realtà, una realtà che si nega continuamente, che "non è", per essere ciò che ancora non è.
Una definisce un proprietario della realtà, l'altra definisce la realtà priva di proprietari.
E' buffo Parmenide scriva nel frammento 2:
Ecco che ora ti dico, e tu fa' tesoro del detto,
quelle che sono le sole due vie di ricerca pensabili:
l'una com'«è», e come impossibile sia che «non sia»,
di persuasione è la strada, ché: a verità s'accompagna,
l'altra come «non è», come sia necessario «non sia», 5
che ti dichiaro sentiero del tutto estraneo al sapere:
mai capiresti ciò che «non è», è cosa impossibile,
né: definirlo potresti...
Parmenide, Poema sulla Natura, traduzione di Giovanni Cerri, Editore BUR, maggio 2000, pag. 149
La strada dell'"Essere" porta alla "verità dell'Essere"; l'altra strada come "non è" determina come "sia necessario che non sia" non porta alla "verità", ma porta alla ricerca del vero dove ciò che non è si nega continuamente per continuamente costruire un diverso sé: stesso in un continuo cammino verso l'infinito.
La questione pratica della contraddizione all'interno della metafisica è semplice: la "verità dell'Essere" porta a formulare l'idea del dominio dell'uomo sull'uomo in quanto, il dominatore, afferma la verità dell'Essere; la necessità del "non è" porta ad una continua trasformazione di ogni soggetto dell'universo che diviene in sé:, e per sé:.
Due sentieri di filosofia metafisica. Uno arriva all'attuale ontologia che definisce l'assoluto che domina l'uomo; l'altro arriva alla dialettica della negazione della negazione che costruisce l'uomo nel suo abitare il mondo.
E' certamente più facile, nelle condizioni educazionali in cui viviamo, capire una metafisica che chieda all'uomo di credere, obbedire e che imponga doveri che non una metafisica che necessita di essere definita nei modelli esistenziali per permettere agli uomini di negare sé: stessi per costruire un diverso sé: stesso onde soddisfare i propri desideri e i propri bisogni nella società in si vive.
Una via facile: "Qui comando io e tu obbedisci!"; e una via difficile: "Queste sono le mie scelte per i miei intenti e questi sono i miei errori che non mi permisero di raggiungere l'obbiettivo, ma che mi hanno permesso di accumulare esperienza, sapere e consapevolezza in una trasformazione continua".
La questione su l'"Amicizia" e "Contesa" o "Armonia" e "Peitò", sarà oggetto del prossimo capitolo in quanto la questione è relativa al venir in essere della realtà.
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