Martin Boyce

Decadenza e abbandono

Palazzo Pisani

53 Esposizione Internazionale d'Arte 2009

La Religione Pagana e la Biennale d'Arte di Venezia

di Claudio Simeoni

53esima Biennale di Venezia: La Religione Pagana come bisogno umano espresso nell'arte.

Argomenti di Religione Pagana.

 

Englis version: Martin Boyce at the 53rd Venice Biennale.

 

Decadenza e abbandono

Martin Boyce a Venezia, presso il Palazzo Pisani svolge il tema del decadimento e dell'abbandono.

La mostra di martin Boyce a palazzo Pisani sarà aperta fino al 22 novembre 2009.

In questa rappresentazione ci sono temi cari ai Pagani Politeisti: il tramonto delle cose, degli oggetti, dei luoghi. Tramonto ed abbandono di ciò che ha esaurito il suo ciclo d'esistenza.

Quando gli uomini guardano l'abbandono di cose e luoghi, sono presi da un moto di tristezza. Perché, su quanto vedono, proiettano il loro senso dell'abbandono e il loro senso di decadimento. Si tratta di "condizionamento culturale" che spinge le persone ad identificare sé stesse, il proprio stato psico-fisico, con l'immagine che viene presentata. L'oggetto si presenta come oggetto in sé. Il suo decadimento non si presenta come un processo di trasformazione, ma come decaduto, eterno presente, imposto all'attenzione dello spettatore. Un'immagine priva di prima e di dopo.

Lo spettatore non vive la vita dell'oggetto e, anche quando la vita dell'oggetto viene rappresentata, la forma del decadimento è l'ultima immagine che si fissa nell'attenzione dell'individuo. Con quell'immagine, avviene l'identificazione dello spettatore.

Perché lo spettatore si identifica con l'immagine del decadimento di un oggetto?

Perché negli Esseri della Natura esiste la percezione del loro presente, del loro stato nelle relazioni col mondo, in quel momento, come ASSOLUTE. Al di fuori del tempo (i mutamenti che hanno costruito quelle relazioni di essere nel mondo) e dello spazio (sia inteso come spazio fisico che come spazio culturale).

Tutto si fissa in una successione di attimi presenti, in ognuno dei quali, il soggetto si rappresenta, a sé stesso, come assoluto e immodificabile.

Ed anche quando, nel presente successivo, si modifica, la modificazione emotiva è talmente profonda da far ritenere al soggetto che ci sia sempre stata. Egli considera sé stesso di essere ciò che ora è: ciò che di lui sente, pensa, immagina, vive il mondo. E ad ogni modificazione nelle sue relazioni con il mondo, cancella il suo stato assoluto precedente per considerare il nuovo stato psico-emotivo, con cui costruisce le nuove relazioni, assoluto: "è sempre stato e sempre sarà".

In sostanza, le relazioni che noi abbiamo nel nostro vivere nel mondo non appartengono alla dimensione razionale, ma a quella emotiva. Così l'oggetto decadente o abbandonato, ci appare fuori dal suo tempo e dal suo spazio e coglie le nostre emozioni fissandole nel suo presente.

E' necessario un grande sforzo emotivo per cogliere il senso delle trasformazioni, ma, soprattutto, serve mettere in moto l'empatia come percezione della trasformazione e non come soggettivazione di una proiezione soggettiva sull'immagine presentata. Se fermo la percezione sulle foglie cadute nel bosco d'autunno, la mia ragione intende qualche cosa che sta morendo. E' la foglia l'oggetto della mia attenzione. La foglia separata dall'insieme dello spazio (il bosco) e del tempo (le sue trasformazioni). La foglia non è separata dal mondo e le mie emozioni non si possono fermare a quanto l'immagine mi presenta, ma devono penetrare l'insieme di cui quell'immagine è parte. Penetrare l'insieme significa cogliere le trasformazioni (il tempo e il suo senso) che hanno portato a quell'immagine e lo spazio (inteso come emozioni di coscienze d'insieme) in cui quella rappresentazione giunge alla mia ragione.

Così posso cogliere la vita di quella foglia nell'insieme in cui quella foglia è vissuta.

L'intreccio emotivo che ha costruito nel corso dei suoi infiniti presenti in cui ha modificato sé stessa in un bosco che si modificava in cui infiniti soggetti in infiniti presenti costruivano relazioni emotive che la mia ragione, immaginando la forma e la quantità, trasforma in immagini mute per difendere la mia coscienza dal fiume emotivo che, in caso contrario, la travolgerebbe.

Nel far questo, io ho "girato lo sguardo della mia attenzione".

Le immagini di Martin Boyce rimangono quelle di "cadaveri disseminati" abbandonati dalla loro "anima" che si è spinta in altri lidi. Quel tavolo, quel letto, quel cestino, quel sentiero di pietre fra le foglie rinsecchite e disseminate dall'autunno della vita, non richiamano la nostalgia di una gloria abitata di un tempo che fu', ma evocano un presente che è. Un presente in cui ogni Coscienza abita un corpo. Un corpo che abita un mondo e, nell'abitare quel mondo, alimenta e costruisce quella Coscienza in corpi diversi che costruisce. E, anche se noi guardiamo quell'abbandono, guardiamo quegli "oggetti" come fossero tante placente che feti in germinazione hanno abbandonato per accedere a nuovi e diversi mondi.

Non è un letto o un tavolo abbandonato, ma è un letto e un tavolo che hanno vissuto.

Un letto e un tavolo abitati. Un letto e un tavolo che hanno abitato un mondo costruendo Coscienze nell'essere abitati e abitando. Chi si sdraiava su quel letto, chi giocava o mangiava su quel tavolo, chi gettava oggetti in quel cestino pensando che così il bosco o l'ambiente non sarebbero stati sporcati, ha abitato quei luoghi. Ha ceduto una parte della sua energia e quei corpi, quel letto, quel tavolo, quel cestino, hanno abitato i loro frequentatori trasformandosi in corpi che hanno generato nuovi Dèi.

Solo il DIO che trascende la visione emotiva dell'attimo presente che la scena gli presenta per collocarla nell'immenso dello spazio e nei mutamenti del presente può scorgere la gloria che è stata e la gloria che sarà là dove il cristiano può scorgere solo il proprio abbandono e la propria desolazione. Nell'ambiente creato da Martin Boyce il cristiano può urlare al suo dio, ma è circondato da cadaveri. Cadaveri che furono guerrieri della vita quando il letto abitava l'uomo che dormiva o la foglia faceva affluire la linfa. Ma i guerrieri furono partoriti. Divennero Dèi in altri e diversi corpi lasciando dietro di loro la desolante e disabitata placenta.

Ci si strugge di nostalgia quando non si è più in grado di progettare il proprio futuro. Ci si strugge di tristezza per l'abbandono quando non si è in grado di vedere nuove foglie germinare sugli alberi o forni e lavoro che danno nuova forma a quel metallo.

Contiene un filmato sull'esposizione a Palazzo Pisani.

 

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Allora non ha senso invocare il dio padrone dei cristiani perché non è la rappresentazione di Martin Boyce che rappresenta l'abbandono e la desolazione, ma è la percezione del deserto che è nelle emozioni del cristiano che può cogliere soltanto desolazione e abbandono con i suoi occhi separati dalla vita.

Marghera, 24 giugno 2009

Englis version: Martin Boyce at the 53rd Venice Biennale.

 

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Claudio Simeoni

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