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I filosofi, gli Dèi e gli arbitri nella Partita di calcio mondiale della filosofia
testi di Claudio Simeoni
Sei capace di giocare a calcio?
Gli arbitri continuavano ad essere immobili al centro del campo da gioco. Hanno arbitrato una partita di calcio fra filosofi della quale non conoscevano né i contenuti né gli effetti. Solo dagli spalti gli spettatori immortali avevano seguito il gioco riportando uno scontro, che si svolgeva nel mondo del tempo, nello spazio del mondo reale. Gli spettatori immortali, molti dei quali ancora non erano all'origine della vita sulla Terra, avevano osservato questo gioco di potere degli uomini fra la loro pretesa di possedere uomini ed uomini posseduti che anelavano a diventare, da un lato, padroni di uomini e, dall'altro lato, uomini senza padroni.
Uomini senza padroni non significa uomini senza doveri. Significa piuttosto senza doveri di sottomissione che è una cosa diversa dai doveri di con-passione che lega gli uomini delle comunità umane.
Sul campo di gioco la nebbia era sempre più fitta quando la qualità della nebbia cambiò leggermente. Non era più la nebbia fitta e compatta formata dalle emozioni del mondo degli uomini, ma divenne una nebbia più leggera in cui, al suo interno, si scorgevano movimenti veloci e continui. L'emozione aveva ceduto il posto all'azione e l'azione è il tempo di modificazione. Il tempo è azione come oggetto e Cronos, come forma della trasformazione, fece udire la sua voce rivolgendosi agli arbitri Yahweh, Fanes, Allahu Akbar e Beppi di (o da) Lusiana .
"Io sono figlio di Urano Stellato e di Gaia. L'Emozione e la Materia dettero vita al presente e io, Cronos, detti il via al mutamento del presente. Tutto muta, continuamente, ma la direzione del mutare appartiene alla volontà e alle scelte di ogni singolo soggetto che agisce nell'oggettività. Io sono la forza del mutamento, ma come tu, uomo, usi il mutamento è un tuo problema e vivi le conseguenze della direzione in cui è avvenuto il mutamento. Ci sono sequenze di mutamento dettate da scelte soggettive in relazione all'oggettività che costruiscono un mondo in cui puoi vivere attraverso conflitti che puoi gestire, ed esistono sequenze di mutamenti dettati da scelte soggettive in relazione all'oggettività che costruiscono un mondo distruttivo e doloroso."
"Il mutare" continuò Cronos "non è responsabile della direzione del mutamento perché il mutare non vive gli effetti della mutazione. Sono i soggetti che manifestano la loro volontà che vivono gli effetti del mutare e sono loro che devono controllare la direzione dei mutamenti per trarre il miglior vantaggio possibile dalla trasformazione sia della realtà in cui vivono che dalla loro stessa trasformazione."
"Anche a partire dal modo di conoscere si giunge alla stessa conclusione. Innanzi tutto l'anima umana conosce gli universali; quindi è del tutto libera dalla materia. La conseguenza è evidente perché se l'anima è congiunta alla materia allora conosce con la quantità e con un organo e conosce le cose come sono qui e ora. La conseguenza regge sulla base del presupposto, perché quelle sono le condizioni di una facoltà materiale; allora ne consegue che non conosce gli universali, poiché l'universale astrae dal qui ed ora."
Pietro Pomponazzi, Tutti i trattati peripatetici, Bompiani, 2013, p.1195
"Se affermi" continua Cronos "che ci sono degli universali da conoscere dovresti, comunque, definirli, dimostrarli e argomentare degli effetti che questi universali hanno sulla vita dell'uomo. Il corpo materiale dell'uomo conosce un infinito numero di condizioni che la coscienza razionale ha rimosso dal suo orizzonte. Il corpo conosce un immenso ignorato dalla coscienza perché il corpo fisico è una trasformazione di Gaia a cui il singolo ha sommato la sua volontà d'esistenza. Il corpo vivente usa la volontà, ma la volontà viene usata perché quel corpo, in quanto vivente, è in grado di emozionarsi alimentando la necessità di usare la volontà per trasformarsi e l'intelligenza per scegliere la direzione delle proprie trasformazioni. E' necessario conoscere come un corpo diviene nella sua esistenza perché il divenire del corpo è coscienza che si somma alla coscienza, esperienza esistenziale che si somma all'esperienza esistenziale. E ad ogni nuova esperienza, ad ogni nuova scelta, il corpo di trasforma, diviene, si adatta al mondo in cui vive."
"Così si composero le prime città di soli nobili, che vi comandavano. Ma però, bisognandovi che vi fussero anche coloro che servissero, gli eroi furono da un senso comune d'utilità costretti di far contenta la moltitudine de' sollevati clienti, e mandarono loro le prime ambascerie, che per diritto delle genti si mandano da' sovrani. E le mandarono con la prima legge agraria che nacque al mondo, con la quale, da forti, rilasciarono a' clienti il men che potevano, che fu il dominio bonitario de' campi ch'avrebbon assegnato loro gli eroi; e così può esser vero che Cerere ritruovò e le biade e le leggi."
Giambattista Vico, Principi di scienza nuova, tomo secondo, Einaudi, 1976, p. 269-270
"Quando riduci la vita alla dimensione sociale" continua Cronos "perdi di vista l'uomo e il suo divenire e consideri la situazione sociale in cui vivi come l'espressione naturale dell'uomo o, peggio, la situazione voluta da un Dio creatore. Ti sfugge l'uomo estraniato dalla società e non sei in grado di pensare ad un uomo diverso da te stesso che ritieni essere il modello dell'uomo. Può Giambattista Vico non pensare ad una società in cui il massimo modello di uomo sia il re del suo regno? Può Giambattista Vico affermare che il re del suo regno non è re per volontà di Dio che ha premiato quell'uomo per le sue qualità morali? Il mondo dell'uomo, con questo pensiero, non si è formato perché l'uomo è vissuto, ma si è formato per volontà di Dio che ha regalato la terra ai nobili, a coloro che, secondo Vico, meritano l'attenzione da parte di Dio. Questi nobili, premiati da Dio, sono così nobili da voler distribuire parte della donazione che hanno avuto da Dio. Così nasce la società fatta da nobili e da pezzenti dove i nobili sono nobili non perché hanno derubato altri uomini, ma per magnanimità di Dio e i pezzenti sono pezzenti perché così Dio ha voluto. Vico prende i vangeli cristiani, le idee assolutiste di Paolo di Tarso, e le rappresenta come se fossero sue idee per riaffermare una società in cui i nobili sono i padroni per volontà di Dio e i pezzenti sono pezzenti proprio per volontà di Dio. In questa società i pezzenti devono essere grati ai nobili ed obbedire loro perché la volontà dei nobili è la volontà di Dio e la volontà di Dio impone ai pezzenti di essere liberi di obbedire ai nobili."
"Sarebbe ugualmente erroneo, tuttavia, dire che, in origine, è colto dalla classe oppressa come imposto dalla classe dominante; ci vuole molto tempo, invece per costituire e per diffondere una teoria dell'oppressione. In primo luogo sta il fatto che il membro della classe oppressa che, in quanto semplice persona, è impegnato in conflitti fondamentali con altri membri della medesima collettività (amore, odio, rivalità di interessi, ecc.) sente la sua condizione e quella degli altri membri della collettività come guardata e pensata da coscienze che gli sfuggono. Il "padrone", il "signore feudale", il "borghese", il "capitalista", appaiono non solamente come dei potenti che comandano, ma, anche, e prima di tutto, come i terzi, cioè quelli che sono al di fuori della comunità oppressa e per cui questa comunità esiste."
Sartre, L'essere e il nulla, il Saggiatore, 2013, p. 484
"I pezzenti vivano come pezzenti, obbedienti ai nobili, perché educati ad obbedire e a sottomettersi alla volontà di Dio" continua Cronos "ma il tempo è vendicatore. Il tempo libera sempre le Erinni perché la vita non può vivere in perenne prigionia. Le pecore del gregge tendono a scannarsi fra pecore del gregge e spesso, le pecore del gregge, chiamano il pastore a dirimere i loro diritti nel gregge. Il gregge spinge per percorrere i pascoli e cercare pascoli più ricchi. Il pastore, il "padrone", il "signore feudale", il "borghese", il "capitalista", hanno una sola ricchezza, gli uomini ridotti a gregge che riconoscono il loro ruolo al di fuori del gregge. Condurre il gregge a cercare pascoli ricchi permette al pastore di controllare il gregge, permette al pastore di prepararlo per la macellazione. Quando non ci sono più pascoli ricchi da conquistare o quando altri pastori hanno conquistato i pascoli ricchi, allora un gregge combatte contro un altro gregge. Il "padrone", il "signore feudale", il "borghese", il "capitalista" improvvisamente hanno la necessità di pecore migliori. Più istruite, più capaci tecnicamente, più addestrate, più pronte a prendere decisioni. Sono queste pecore che addestrate a servire meglio il loro pastore iniziano, alcune, a volgere lo sguardo. Come quei filosofi addestrati a spiegare Dio che, anziché spiegare Dio alle pecore, preferiscono spiegare che Dio è un'invenzione del pastore. Chi costringe le persone ad essere pecore sono proprio i pastori, il "padrone", il "signore feudale", il "borghese", il "capitalista"," coloro che hanno usato il gregge contro un altro gregge. Ci vuole tempo per uscire dalla coercizione che ha costretto le persone a pensarsi pecore del gregge di Dio e sentire dentro di sé la forza che spinge la pecora a prendere il posto del pastore. Ci vuole tempo perché, una volta che alcune pecore, uscendo dal gregge, prendono il posto del pastore, un numero sempre maggiore di pecore aspirano a quel benessere psicologico e fisico che conferisce loro detronizzare il loro pastore. Ci vuole ancora più tempo affinché si possa passare dal desiderio di essere un padrone di greggi ad essere una pecora che rifiuta il gregge. Solo che per rifiutare il gregge serve una società più grande, capace di garantire al suo interno il diritto di ogni soggetto della società stessa. E state certi che se una società diventasse Democratica, al suo interno si formerebbero tante fazioni, tante associazioni che pretendono diritti per sé e doveri per gli altri."
"Per la disperazione consapevole, dunque, è necessario da una parte avere l'idea vera di che cosa sia disperazione. Dall'altra parte si esige chiarezza riguardo a sé stesso, in quanto chiarezza e disperazione si possono pensare unite. Fino a che punto la perfetta chiarezza riguardo a sé stesso, la chiarezza di essere disperato, si possa conciliare con l'essere disperato, cioè se la chiarezza di questa coscienza e conoscenza di sé non dovrebbe liberare un uomo dalla disperazione, dovrebbe renderlo così spaventato di sé stesso che cessasse di essere disperato: questo non lo vogliamo decidere; non lo vogliamo qui neppure tentare..."
Soren Kierkegaard, La malattia mortale, Se, 2008, p. 47-48
"Peggio" dice Cronos "è essere disperati e non conoscere le ragioni razionali che provocano la disperazione. Peggio è quando un corpo vive una disperazione senza avere gli strumenti per poterla affrontare e subisce la disperazione come un effetto prodotto da un mondo dal quale si sente estraneo. La "perfetta chiarezza" che si esprime nella coscienza di un individuo è la "perfetta chiarezza dei mezzi con cui affrontare il mondo in cui quel soggetto vive". La "perfetta chiarezza" è la chiarezza, intesa come consapevolezza, della qualità delle relazioni che l'individuo vive nel mondo in cui è nato. Quando un individuo è disperato nella società significa che l'ascensore sociale delle sue condizioni esistenziali è stato bloccato ed egli vive una condizione di costrizione ossessiva dalla quale non è in grado di liberarsi. In questo modo il pastore, il "padrone", il "signore feudale", il "borghese", il "capitalista", riaffermano il proprio ruolo di dominio deridendo il disperato che anziché veicolare nel mondo la propria disperazione, si chiude in sé stesso distruggendo sé stesso in una condizione servile che lo ha imprigionato nel corpo, nel cuore e nelle emozioni. E qual è la ricetta contro la disperazione proposta dal pastore, dal "padrone", dal "signore feudale", dal "borghese", dal "capitalista"? E' quella di rendere le persone ancora più disperate e angosciate: " dovrebbe renderlo così spaventato di sé stesso che cessasse di essere disperato" e così nacquero i campi di sterminio."
"Ciò che determina la distinzione fra virtù morali e vizi morali è, prima di tutto, la diversità dell'atteggiamento dell'animo nei riguardi degli altri, un atteggiamento che può tradursi in invidia, o, invece, in compassione: due impulsi diametralmente opposti che ogni uomo ha dentro di sé, suscitati come sono dall'inevitabile confronto fra la sua condizione e quella altrui. A seconda del modo in cui il risultato di tale confronto agisce sul suo carattere di individuo, l'una qualità o l'altra determina la sua disposizione di spirito ed è all'origine del suo comportamento. L'invidia alza un muro più spesso fra il tu e l'io; per la compassione quel muro si fa sottile e trasparente, e anzi, talvolta, essa lo abbatte: e allora la differenza fra l'io e il non-io scompare del tutto."
Arthur Schopenhauer, O si pensa o si crede, BUR, 2000, p. 125 - 126
"Quando io evirai mio padre" continuò Cronos "non è l'invidia che ha guidato la mia mano. Io sono il tempo, come posso invidiare l'emozione che è un oggetto diverso dal tempo? Io evirai mio padre per ritagliare uno spazio al mio esistere e mettere in moto il mutamento della materia che si emozionava. Urano Stellato non è superiore a me, Urano Stellato è altro oltre a me. Così l'uomo sottomesso e costretto a non veicolare i propri desideri non ha nessun sentimento di invidia nei confronti dei suoi aguzzini. Prova piuttosto un sentimento di rabbia crescente a mano a mano che la consapevolezza di essere obbligato a non espandersi da costrizioni criminali cresce e si radicalizza nelle sue emozioni. Il derubato non invidia il ladro che lo ha derubato, chiede una sua punizione secondo giustizia. Il ladro che deruba qualcuno non lo fa per invidia, ma per appropriarsi di beni dai quali intende ricavare la soddisfazione dei propri bisogni. L'invidia è l'idea narcisistica che abita la mente dei possessori di uomini che immaginano di essere invidiati, nella loro posizione, dagli uomini che possiedono. Ma i possessori di uomini non suscitano invidia se non fra altri possessori di uomini o di coloro che desiderano diventare possessori di uomini. Suscitano rabbia, avversione, desiderio di vendetta per la libertà negata. Suscitano quel desiderio di giustizia che va oltre Nomos o Dike per alimentarsi alla fonte di Temi. Il Dio dei cristiani non è invidiato dagli uomini, è disprezzato da tutti coloro che sono vittime della sua violenza e amato da tutti coloro che, in suo nome, mettono in atto la violenza sociale per assicurarsi profitti ingiusti."
"Inoltre, conoscendo Dio riduciamo la sua immensità al nostro concetto mentale, mentre amandolo amplifichiamo la mente fino alla immensa estensione della bontà divina. Nel concetto facciamo scendere Dio in noi, nell'amore ci eleviamo fino a lui. Impariamo infatti nella misura in cui noi stessi comprendiamo, mentre amiamo sia nella misura in cui contempliamo sia nella misura in cui, al di là della nostra intuizione, presagiamo ancora vi sia di bontà divina. Inoltre, l'amore non è appagato dalla conoscenza umana se è vero che essa è stata creata ed è finita. La volontà s'acquieta soltanto nel primo e infinito bene."
Marsilio Ficino, Teologia Platonica, Bompiani, 2014, p. 1377
"Dio è immenso" continua Cronos "dice Ficino. Ma questo è sbagliato. Ficino avrebbe dovuto dire che la sua idea di Dio si riferisce ad un immenso che egli immagina e desidera. Un immenso immaginato e desiderato, ma mai provato né argomentato nell'utilità dell'uomo. Poi, Ficino, dovrebbe spiegare attraverso quale tortuoso cammino può attribuire la bontà a Dio anziché attribuire a Dio l'assoluta malvagità e crudeltà come dimostrato dai testi sacri dettati e scritti da Dio. Attraverso questo meccanismo, il pastore di greggi umane, il "padrone", il "signore feudale", il "borghese", il "capitalista" fanno certamente discendere l'assoluta crudeltà di Dio in loro e fanno ascendere a Dio la loro gratitudine per essere, come quel Dio, padroni di persone ridotte a bestiame a cui è imposto di amarli in quanto loro padroni. Un modo per addomesticare gli uomini e distruggere la loro volontà d'esistenza in nome e per conto di Dio, ma nella fruizione immediata di ogni pastore di uomini ridotti a bestiame di ogni "padrone", di ogni "signore feudale", di ogni "borghese", di ogni "capitalista" o "finanziere". Con la violenza "La volontà s'acquieta soltanto nel primo e infinito bene". Intanto, la società degli uomini è sofferente."
"Il vostro spirito e la vostra virtù servano il senso della terra, fratelli: e il valore di tutte le cose sia stabilito da voi in modo nuovo! Perciò dovete essere combattenti! Perciò dovete essere creatori! Il corpo si purifica nel sapere; facendo tentativi col sapere esso si eleva; a colui che conosce, tutti gli istinti si santificano; all'elevato l'anima diventa gaia."
Nietzsche, Così parlò Zarathustra, tomo I, Adelphi, 1976, p. 91
"Le emozioni degli uomini non sono un oggetto diverso dagli uomini, sono la vita dei loro corpi" continua Cronos "corpi che amano, desiderano. Corpi che percepiscono la repressione delle loro emozioni. Corpi che vengono privati delle relazioni con i soggetti del mondo, Corpi che chiedono giustizia. Non una giustizia qualsiasi, ma corpi che chiedono giustizia per i desideri negati da chi intende trasformali in oggetti da usare. Corpi che vorrebbero reagire, ma spesso non sanno come sia possibile farlo. Ed ecco, allora, arrivare i venditori di formule, i venditori di nulla. Quelli che presentano ricette che vanno dalla ribellione all'accettazione passiva della sottomissione. Arrivano quelli che promettono il "regno dei cieli" o i "luminosi avvenire" e vogliono far dimenticare all'uomo che lui non si è trasformato grazie alla Falce Dentata che Gaia dette a Cronos, ma lui è proprietà del padrone del gregge che lo ama mentre lo porta al macello della vita. Arrivano coloro che chiedono agli altri di ribellarsi, ma loro evitano di esporsi perché, chi agisce per modificare il presente, spesso non ha futuro. Date valore al vostro corpo. Il vostro corpo è figlio di corpi viventi che hanno camminato sul pianeta ed hanno la stessa materia che compone la Terra. Usare la Falce Dentata di Gaia permette ai corpi di assicurarsi il futuro. Un futuro che è presente nel mondo ma che nessun uomo può immaginare. Cercate il sapere e la conoscenza e gli uomini diventeranno tutt'uno con Gaia."
Quando Cronos ebbe finito di parlare la nebbia non si diradò, ma divenne più statica come se il suo movimento interno si fosse improvvisamente interrotto. Cronos parlò e poi sparì. Non aveva molto da aggiungere. Lui era il movimento e la trasformazione e aveva accompagnato la vita fin dalla sua prima manifestazione in una Terra giovane e primitiva.
Gli arbitri avevano capito che il racconto della partita di calcio della filosofia era appena cominciato. Altri Dèi sarebbero venuti a commentare altre azioni di gioco e loro avrebbero potuto soltanto ascoltare quelle voci. Gli Dèi erano la vita e la vita era la posta in gioco della partita di calcio mentre gli uomini, la palla, venivano presi a calci dai filosofi.
Il significato della partita di calcio della filosofia spiegate dagli Dèi.
Marghera, 26 gennaio 2020
(tutti i testi sono a cura di Claudio Simeoni)
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Ultima revisione 20 febbraio 2023